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MESSAGGIO PER LA GIORNATA DELLA MEMORIA

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4 febbraio 2016 - 25 shvat 5776

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anno VIII bollettino n. 149 4 febbraio 2016 - 25 shvat 5776

MESSAGGIO PER LA GIORNATA DELLA MEMORIA

DI RAV DR. UMBERTO PIPERNO - RABBINO CAPO DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI NAPOLI

Ogni giorno l’ebreo recita sei versi del Pentateuco, nei quali compare la parola “ricordo”: “ricorda il giorno dell’uscita dall’ Egitto, la casa di schiavitu’, tutti i giorni della tua vita”, “ricorda il giorno del Sabato per santificarlo”, “ricorda tutta la strada che ti ha fatto percorrere nel deserto”, “ricorda quello che ti ha fatto Amalek nel viaggio quando siete usciti dall’Egitto”, “ricorda i miracoli che hanno visto i tuoi occhi”, “ricorda il giorno in cui sei stato davanti al Signore sul Sinai”.

L’uomo esercita la funzione del ricordo come specificità di un essere unico di fronte alla natura e al suo Creatore.

La libertà personale e collettiva è la base dello sviluppo della memoria e ne regola il flusso di fronte ad eventi simili. L’uscita dall’ Egitto è la condizione necessaria che segna il passaggio alla libertà della Nazione.

La capacita’ di osservare il Sabato come il riposo creativo, permette all’uomo di rielaborare la propria coscienza, così come nel viaggio del deserto, paradigma di ogni esilio ed isolamento, l’uomo rischia di perdere la Memoria.

Per questo ricordiamo Amalek, prototipo del nemico che colpisce per distruggere, senza distinzione di persona. Ma ogni ricordo è in funzione del recupero della propria identità.

Il giorno di fronte al Sinai significa la quotidianità nel rispetto della Legge divina, nel rispetto e nello sviluppo dell’uomo e la sua crescita personale e collettiva.

Tutto questo e’ stato cancellato dalla Shoah insieme alla cosiddetta civiltà europea.

Ricordare vuole essere innanzitutto un monito per tutti per recuperare con il ricordo dell’ingiustizia, della distruzione, del baratro dell’ umanità il necessario cammino nel deserto per ritrovare noi stessi.

Ciascuno nella sua coscienza rielabori il rapporto con l’altro, con il ricordo rafforzi la crescita di quella rete di rapporti meravigliosi capaci di riconnettere i fili spezzati per costruire con la Memoria un futuro di cooperazione di fronte alla Legge, di fronte al valore creativo della Parola, Ricordare con il cuore, ma soprattutto con la Parola significa elaborare uno strumento formativo per l’esercizio della Memoria.

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DISCORSO PRONUNCIATO DALLA PRESIDENTE DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI NAPOLI LYDIA SCHAPIRER, ALLA CERIMONIA ORGANIZZATA NEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO FERRA- MONTI IN RICORDO DELLE VITTIME DELLA SHOAH.

Cari tutti,

È con profonda commozione che mi trovo in questa giornata di ricordo e riflessione qui con voi a Ferramonti - campo di concentramento fascista e santuario della Memoria - nel difficile doppio ruolo di Presidente della Comunità Ebraica di Napoli e di figlia di un ex internato in questo campo. Dario Schapirer. Mio padre.

Un campo, Ferramonti, che mio padre ha voluto trasmetterci come esempio di umanità nonostante la fame, la malaria e tutte le tragedie e le difficoltà inferte all’Italia dalla folle guerra in cui ci trascinò il regime fascista.

Un campo, che per la sua atipicità nel panorama dell’universo concentrazionario nazifascita ben si presta a specchio dell’Italia di quell’epoca: un Italia a livello popolare sicuramente migliore di chi si era arrogato il diritto - con tracotanza e violenza - di governarla e di imporle sulla scia dell’esempio tedesco l’infamia delle leggi razziali.

E’ a figure come il Maresciallo Gaetano Marrari, Fra Callisto Lopinot e Paolo Salvatore che noi ebrei tributeremo sempre la nostra eterna gratitudine e riconoscenza.

Non solo in questa giornata dedicata alla memoria delle vittime della Shoah, ma tutti i giorni dell’anno.

Che il loro ricordo sia per noi tutti insegnamento e benedizione. Volgendo uno sguardo al presente, è scontato che come italiani e come ebrei ci troviamo ad

affrontare l’appassionante sfida di preservare - ora che per ovvie ragioni anagrafiche di anno in anno viene sempre più a mancare la testimonianza diretta dei sopravvissuti - la memoria e il senso profondo di ciò che è stata la Shoah. Lo dobbiamo in particolare alle nuove generazioni, che vivono quegli anni sempre come più lontani, anni durante i quali il rispetto verso l’individuo e le minoranze è venuto meno da ogni punto di vista sfociando nella più bieca violenza fisica e psicologica.

Sono sicura, che come Comunità Ebraica, di concerto e col sostegno delle Istituzioni, riusciremo ad assolvere anche a questo compito. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi.

Altrimenti, presto o tardi il 27 gennaio come spesso già accade non solo perderà il suo significato ma rischierà di degenerare in una semplice ricorrenza inutile e stantia.

La situazione delle comunità ebraiche in Italia, oggi, è tutto sommato buona rispetto alle criticità che purtroppo sempre più di frequente ci offre il panorama Europeo ed Internazionale, ma pensare che il nostro Paese sia immune al germe dell’antisemitismo sarebbe un gravissimo errore di valutazione. Non possiamo ignorare fenomeni spregevoli come le liste di proscrizione di recente ricomparse sul web. Ed anche se è vero che qui in Italia siamo di fronte ad episodi che per gravità e frequenza sono ancora lontani dalla violenza e dal terrorismo di cui sono vittime i nostri correligionari in Belgio, in Francia, in Olanda, in Svezia, in Danimarca, in Norvegia e anche in Ungheria e in altri paesi est europei non per questo dobbiamo o possiamo abbassare la guardia. E non possiamo nemmeno chiudere un occhio

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Sullam | 3 di fronte alla trasversalità del fenomeno antisemita, che

sarebbe da ipocriti voler confinare all’estrema destra, essendone afflitto anche un ampio spettro della sinistra.

Deve essere chiaro a tutti che non faremo nessuno sconto a chi maschera il proprio antisemitismo col pretesto dell’antisionismo, sostenendo la retorica terroristica e antidemocratica di chi sogna la distruzione dello stato di Israele. E non staremo nemmeno in silenzio di fronte a chi in maniera spregevole, a proprio uso e consumo si fa scudo delle tragedie degli ebrei morti per chiedere la morte degli ebrei vivi, facendo parallelismi storici privi di ogni fondamento e ragione.

E tutto questo prima che a noi stessi lo dobbiamo a tutti coloro che per il solo fatto di essere nati ebrei e di aver continuato ad esserlo hanno pagato prezzi altissimi.

Il popolo ebraico ha fatto molta strada da quel lontano

27 gennaio del 1945. E’ oggi un popolo che si è ringiovanito pur rimanendo legato alle tradizioni, e questa sua trasformazione - che coincide con la nascita e l’evoluzione dello Stato di Israele - è la forza dinamica e creativa che l’ha reso ovunque integrato e protagonista di primo piano nelle rispettive comunità nazionali, di cui ne condivide le gioie e i dolori, i successi e le sconfitte.

All’occorrenza, nel caso in cui le minacce passate dovessero ripresentarsi, con il vostro aiuto sapremo come affrontarle, e senza paura combatterle e vincerle, in nome della libertà di noi tutti, affinchè certi mostri del passato vengano sconfitti per sempre e non tornino mai più. Vi ringrazio, e ringrazio le autorità civili e l’autorità religiosa qui presenti ed i rappresentanti del mondo della cultura e della scuola per il loro costante impegno.

SHALOM

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SOTTO IL SEGNO DEL CEDRO

DI RAV UMBERTO PIPERNO

Domenica 24 Gennaio abbiamo celebrato a Napoli Tu BiShvat leggendo il Peri Ez Hadar, frutto dell’albero di bell’aspetto, formulario per il Seder con la comunità.

L’aiuto di Giorgio e Micol che hanno presentato ogni frutto con la sua benedizione, ha fatto meritar loro di essere incoronati “valletti di Tu BiShvat”.

I midrashim di Ariel Finzi e la Mishna’ spiegata da David Glavas, hanno introdotto lo speciale concerto itinerario dell’anima della musica ebraica Napoletana- Mediterranea di Raiz Rino Della Volpe, che ha voluto offrire la sua arte e il suo canto in memoria di suo padre z’l’ recentemente scomparso, e del gruppo barese Radicanto. Un pubblico da grandi occasioni ha premiato gli sforzi degli organizzatori.

Lunedi’ 25 a Catania il Centro di documentazione ebraica contemporanea ha presentato la mostra 1938- 1945 “La persecuzione degli ebrei in Italia”, con speciale attenzione sulla reazione degli ebrei siciliani alle leggi razziali. Il professor Michele Sarfatti, insieme al professor Giuseppe Speciale, hanno svolto due importanti relazioni dopo i saluti del vice ministro Bubbico in

rappresentanza del governo. Rav Piperno ha esposto nel suo intervento il significato della recitazione quotidiana dei sei versi del ricordo che pongono l’uomo nel cammino dall’Egitto al Monte Sinai alla ricerca del bene comune.

Dopo un viaggio notturno ho incontrato il nostro delegato Roque Pugliese, con il quale abbiamo condiviso due giornate intense di incontri, conferenze e contatti con una realta’ spirituale sotterranea che cerca di emergere in tutte le sue forme. Il mattino di martedì 26, a Santa Maria del Cedro, con Franco Galiano, Presidente dell’omonima Accademia, di fronte a scuole e autorita’ ed imprenditori e’ stato illustrato il significato del cedro nella vita ebraica e le sue opportunità nel commercio internazionale. Dopo il taglio della torta al cedro, e finalmente una pianta invernale, abbiamo raggiunto Cosenza

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Sullam | 5 per la celebrazione della Giornata dell’Ebraismo

indetta dal locale episcopato con la riflessione sul decimo comandamento: non desiderare la donna d’altri. Il giorno successivo abbiamo posto al mattino nel cimitero di Tarsia le terre della vita, polvere e sassi portati da Gerusalemme da due signore nate nel campo per simboleggiare la resurrezione profetica e la ricostruzione di Gerusalemme.

Ci siamo trasferiti al campo di Ferramonti dove, davanti al cedro piantato dal Keren Kayemet e’ stata svolta una toccante cerimonia di commemorazione, culminata con il suono solenne dello shofar suonato da Roque. L’ultima tappa nella prefettura di Catanzaro per ricordare con la città la Giornata della Memoria, nella speranza di una societa’ senza gli orrori del passato.

Concerto Raiz e Radicanto in Sinagoga a Napoli foto di Luca Canzanella

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CATANIA. LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI IN ITALIA. DOCUMENTI PER UNA STORIA

DI CARLO DAVIDE UCCELLATORE

Giorno 25 gennaio, si è tenuta a Catania una manifestazione nell’ambito della celebrazioni in ricordo della Shoà. Tale evento ha avuto corso nei locali del Palazzo della Cultura all’interno del quale è stata allestita ed inaugurata una mostra fotografica ( rimarrà aperta fino al 15 di febbraio) dal titolo: 1938-1945 “La Persecuzione degli ebrei in Italia. Documenti per una Storia”.

Alla cerimonia hanno partecipato sia istituzioni cittadine che nazionali, con la presenza del sindaco Enzo Bianco, il prefetto Maria Guia Federico ed il vice ministro degli Interni Filippo Bubbico. Inoltre sono intervenuti il prof. Michele Sarfatti direttore del CDEC di Milano ( Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), e Giuseppe Speciale professore dell’ Università di Catania, docente di Storia del Diritto medievale e moderno.

Come rappresentante della Comunità ebraica vi era rav Umberto Piperno, rabbino capo di Napoli. Nella Tradizione ebraica la parola “ricorda” ha una valenza molto forte: il verbo “zachar” nelle sue diverse forme compare innumerevoli volte nella Bibbia. E rav Umberto Piperno nel suo intervento ha evidenziato proprio ciò, dicendo che l’ebreo ogni giorno recita sei versi della Torah in cui compare il termine “ricorda”. Rav Piperno ha inoltre sottolineato che “Ricordare col cuore, ma soprattutto con la Parola significa elaborare uno strumento formativo per l’esercizio della Memoria”. Per quanto concerne la mostra sulla persecuzione degli ebrei in Italia, molto interessante la sezione dedicata agli ebrei che vissero in Sicilia durante quel tragico periodo. Una storia poco nota, ma altrettanto drammatica è quella che riguardò appunto gli ebrei presenti in Sicilia. Come il caso del prof. Azeglio Bemporad, che diresse l’osservatorio

astrofisico di Catania per circa 20 anni sino all’espulsione dall’università avvenuta con l’avvento delle Leggi razziali, o come il prof. Ascoli docente di Anatomia patologica a all’università di Palermo, che subì la stessa sorte. Ci furono anche ebrei nati in Sicilia che vennero deportati, molti di loro non fecero più ritorno.Vorrei ricordarne i nomi: I fratelli Alberto e Carlo Todros, nati a Pantelleria ( TP ). Vengono arrestati nel 1943 in Liguria per attività antifascista, condotti a Fossoli, ed infine inviati nel lager di Mauthausen. Entrambi faranno ritorno. Olga Renata Castelli nata a Palermo. Viene arrestata a Firenze. Viene inviata nel campo di transito di Fossoli, ed infine nel maggio del 1944 deportata ad Auschwitz. Morirà in lager. Leo Colonna nato a Palermo. Arrestato a Torre Pellice (TO), viene successivamente condotto a Milano e da lì ad Auschwitz. Anche egli non sopravvivrà al lager. Emma Moscato nata a Messina. Viene arrestata a Mantova nel dicembre del ‘43, deportata ad Auschwitz il 5 aprile del ‘44. Viene uccisa al suo arrivo il 10 aprile del

‘44. Ed infine Egle Segre nata a Messina, viene arrestata nei pressi di Varese dai tedeschi nel novembre del ‘43.

Viene condotta nel carcere di Milano e nel dicembre dello stesso anno deportata ad Auschwitz da dove non farà più ritorno.

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EMILIO B.

DI PAOLO CAMERINI

Strano, misterioso ed ingiusto è il destino di uomini che, nonostante la luce del loro intelletto, cadono crudelmente nella polvere dell’oblio. Sono essi, per lo più, creature semplici e generose che affrontano con coraggio e dignità il vento ostile della vita.

Senza dubbio Emilio Beer fu una di queste sfortunate creature. Così esordisce Mario Bevilacqua nel suo saggio dedicato ad Arrigo Heine, ricordando Emilio Beer, che lo indusse ad amare la lirica del poeta tedesco e l’arte dello scrivere.

Chi avesse incontrato Emilio Beer al Tempio, ch’egli frequentava quale appartenente alla religione ebraica, o nei locali della Comunità, dove non mancava mai alle riunioni culturali, curioso com’era di ogni aspetto del sapere, lo avrebbe notato se non altro per quel suo aspetto trasandato che spiccava in mezzo a tanti signori ben vestiti.

Emilio Beer era nato nei primi del novecento, ma quando negli anni cinquanta, qualcuno che l’aveva conosciuto da giovane gli chiese quanti anni avesse, egli rispose novanta: e pareva sentirseli tutti addosso quegli anni, quegli anni in più, come un peso che ormai si era abituato a portare.

Bevilacqua di lui così scrive: poverissimo, provato da gravi limitazioni fisiche che gli impedivano ogni lavoro manuale, sprovvisto di titoli di studio, autodidatta, ma forbito scrittore e delicato poeta per dono di madre natura, Emilio Beer traeva i mezzi necessari alla sua sopravvivenza dagli articoli pubblicati su giornali e da testi che egli scriveva per altri, per lo più aspiranti alla libera docenza.

Egli praticava i pressi dell’Istituto Orientale dove

cedeva i suoi scritti, a prezzi irrisori, ma che tuttavia gli consentivano di consumare qualche pasto frugale in un’osteria della zona.

L’Istituto Orientale era allora frequentato da belle ragazze che aspiravano all’insegnamento di lingue straniere, da studenti di Scienze coloniali, da politicanti da strapazzo e da avventurieri provenienti dal Medio Oriente.

Con questi ultimi soprattutto Emilio Beer amava intrattenersi a parlare, per meglio conoscere il pensiero e la realtà storica dei loro paesi. Si esprimeva correttamente in francese, avendolo appreso fin dalla prima infanzia dalla madre parigina.

Quando furono promulgate le leggi razziali, egli, indignato e profondamente addolorato, aderì al gruppo clandestino che si opponeva al regime.

Da quel momento divenne un antifascista militante. Si distinse nella propaganda di idee liberal-democratiche; distribuiva scritti di Mazzini, manifesti avversi al fascismo e soprattutto al nazismo, che metteva sulle sedie delle chiese e sulle panchine dei giardini pubblici.

Poi, nel 1944, scomparve per qualche tempo: era stato rinchiuso in un campo di concentramento insieme ad altri ebrei.

Ricomparve nei pressi dell’Orientale dopo la Liberazione, era ancora più macilento e sofferente di prima - scrive Bevilacqua – ma euforico e fiducioso nell’avvenire.

Aveva ripreso ad aiutare i giovani iscritti al corso di laurea in scienze coloniali nella stesura della tesi e

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pubblicava articoli letterari sul Giornale, ch’era un quotidiano liberale d’ispirazione crociana.

Questa sua ultima attività lo rese noto anche al grande pubblico, quello che leggeva la terza pagina dei quotidiani. Oltre alla collaborazione con altri periodici Emilio Beer aveva pubblicato le sue poesie con l’editore Guida, nella cui libreria si riunivano di nascosto i democratici durante il regime fascista.

Abitava in Piazza Vanvitelli n.10, dove una gentildonna, Lidia Fratesca, discendente da un’antica famiglia risorgimentale, costretta dal duro destino a dare in affitto le stanze del proprio appartamento, gli aveva concesso gratuitamente l’uso di una stanza e spesso gli offriva anche il pranzo.

“La mia fata benefica” la definiva il povero Emilio.

Lo scorso Shabbath abbiamo avuto l’onere ed il piacere di accogliere un nutrito gruppo di ragazzi da Roma, a loro va il nostro ringraziamento. Chi c’era ha potuto vedere gioia e vivacità e vivere uno Shabbath

“con i controfiocchi”!! Grazie a Rav Piperno, ad Ariel Limentani, a tutte le mamme che hanno fatto in modo che questo accadesse ed alle signore che si sono preoccupate dell’organizzazione.

Questo Shabbat, 31 gennaio 2016, e’ stato particolare, infatti per la prima volta ho visto un gruppo in Sinagoga a Napoli, di ragazzi tra i 10 e gli 11 anni, tra i quali ricordo Joshua, Benji, Yoseph, Dario e Micol.

I ragazzi insieme a Rav Piperno sono saliti sulla Tevah, ed hanno letto ad alta voce la maggior parte delle preghiere. All’ ora di pranzo siamo stati benissimo e ciò che era stato cucinato era molto buono, ringrazio quindi Gabriella e Lori che hanno preparato il pranzo per tutti noi.

Nel pomeriggio siamo usciti con il Madrich Ariel Limentani e dopo c’e’ stata una merenda con biscotti assieme al Rabbino Piperno, che insegnava tante cose circa la Torah.

Un bellissimo Shabbat tutti insieme

Era senza dubbio una donna generosa ed ostentava la sua fede repubblicana seguendo la tradizione della sua famiglia.

Fu presso quella dimora che il Bevilacqua, dopo diversi giorni che non vedeva Emilio Beer, andò a cercarlo, ma lui da diversi giorni mancava da casa.

Rientrò una sera, improvvisamente, dicendo: « la mia testa è così dura che ha ammaccato il parafango di una macchina ». Dopo poche ore morì per una commozione cerebrale.

Dei suoi manoscritti: alcune raccolte di poesie e il suo diario intitolato “Illusione e Realtà” si perse ogni traccia. Io sono, forse, uno dei pochi, se non l’unico, ad averne un dolce ricordo. - dice di lui Mario Bevilacqua. Ma forse, da ora, non l’unico ad averne memoria.

UNO SHABBAT SPECIALE

DI ALESSANDRO YOSEF PARFITT

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ONORA IL PADRE…

DI C. YEHUDÀ PAGLIARA

Quando i dialoghi non sono mero esercizio di retorica o la semplice somma di discorsi tra sordi, attenti solo a curare il proprio dire ed incapaci di ascoltare la parola dell’interlocutore accade che, poche ore prima del Santo Shabbat, si possa ricevere un ospite e rendere al medesimo l’accoglienza necessaria. Così facendo si adempie ad una mitzwah che ci è stata, con l’esempio, trasmessa attraverso l’opera del patriarca Avraham. Le

“corse” che compie l’anziano e convalescente tzaddìk da quando vede all’orizzonte e nella calura del giorno le sagome dei tre malachìm e sino a quando non li serve, ospitandoli nella sua tenda danno, da sempre, il senso e la misura della mitzwah dell’accoglienza. Avraham è il primo dei patriarchi del nostro popolo, ma è anche il patriarca di altri popoli, differenti dal nostro. È, in definitiva e come riportato nel suo nome modificato per volontà divina, il “padre di una moltitudine di genti”.

Non possiamo essere gelosi che altri, i non ebrei, possano accostarsi alla figura di Abramo con l’onore che noi ebrei gli tributiamo come padre (“Onora il padre e la madre…”, Es. 21, 12) e, al contempo, con il timore dovuto alla figura genitoriale (“Ognuno sua madre e suo padre temerete…”, Lev. 19, 3). Può capitare, dunque, che poche ore prima di Shabbat Shemòt, Shaykh Abd al-Wahid Pallavicini, Presidente del Coreis (Comunità Religiosa Islamica italiana), accompagnato dal figlio Imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini (Vice-Presidente Coreis), con le proprie famiglie ed un nutrito gruppo di fedeli islamici, in viaggio per la Puglia, abbiano chiesto agli ebrei del posto di poter visitare l’antica sinagoga Scolanova di Trani. Ripercorrendo le orme del Patriarca, nel primo giorno del nuovo anno civile, si sono aperte le porte di Scolanova e si sono accolti

gli ospiti. Il Maestro Francesco Lotoro ha illustrato la storia della presenza ebraica in Trani e in Puglia e l’importanza di Scolanova, restituita al culto, dopo una lunga parentesi di quasi cinquecento anni, soltanto nel 2004; mentre l’Assessore ai Rapporti Istituzionali per il Sud Italia della Comunità Ebraica di Napoli, avv. C. Yehudà Pagliara, dopo i saluti della Presidente Lydia Schapirer e del Rabbino Capo Umberto Piperno, ha -nel nome di Abramo- parlato ai presenti del contenuto e dei profondi significati della Parashà Vayerà. Successivamente, con parole colme di gratitudine e di commozione, lo Shaykh Pallavicini ha salutato gli ebrei ed i musulmani convenuti a Trani, ringraziando tutti per l’ospitalità riservatagli.

A quel punto, così come in precedenza richiesto dagli amici del Coreis e come autorizzato dal Rabbino Capo di Napoli, tutti insieme, ebrei e musulmani, ci si è dati da fare per consentire agli ospiti islamici di poter effettuare la loro preghiera di mezzodì. Davanti all’Aron haCodesh, oltre alla cortina davanti all’armadio che custodisce il Sefer Torah di Trani, si è posta la mechitzà e, nell’area al di qua della medesima, s’è ricavato lo spazio per i tappeti di preghiera.

Poi una bella passeggiata (durante la quale ci si è imbattuti in famiglie di ebrei romani in vacanza, con una coincidenza che, se voluta, probabilmente non avrebbe trovato tanto puntuale sincronismo!) per l’antica giudecca tranese affacciata sul caratteristico porto, ha coronato una bella mattina all’insegna dell’amicizia, del dialogo e del rispetto reciproco. Infine, dopo i saluti e gli abbracci, di corsa a prepararsi per lo Shabbat, puntualmente accolto, qualche ora dopo, con l’accensione dei lumi e kabbalat Shabbat.

Probabilmente era dai tempi di Federico II che in Puglia non accadeva qualcosa di simile…

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CELEBRATING HANUKAH AT SCOLANOVA

This year’s Hanukah was a particularly joyous time for Puglia’s small Jewish community.

For the congregation of the Scolanova synagogue in Trani was honoured on the second night of this time-honored Festival of Light by two visitations.

The Chief Rabbi of Naples, Rav Umberto Piperno conducted the service and performed the candle- lighting ceremony.

And 47 fellow-Jews mainly from the north of Italy but also from as far afield as Sydney, Australia, joined in the celebration at what is thought to be Europe’s oldest functioning shul. Part of the organisation, Kesher, they were on a five-day Jewish history tour of Puglia.

Our photograph shows Rav Umberto Piperno performing the candle-lighting honor.

Ecco un’immagine della bella festa di Channukà, organizzata anche a Napoli, in Piazza dei Martiri (ph. Luca Canzanella)

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SENTIERO DI VITA E RISENTIMENTO

DI ANTONIO CARDELLICCHIO

Il numero 10/2015 di Limes, rivista di geopolitica, è dedicato a “Israele e il Libro”. L’editoriale conferma la caratteristica non scientifica ma di semplice doxa della rivista, subordinata all’ideologia del politicamente corretto. Con l’incomprensione in radice delle ragioni profonde dell’esistenza dello Stato di Israele, e dunque del diritto all’indipendenza e alla libertà politiche degli Ebrei.

Ragioni certo complesse, originali, eccezionali, Più volte la linea editoriale di Limes ha mostrato incomprensione e ostilità. Un esempio: il numero uno del 2010 è intitolato

“Israele senza Palestina” proprio quando propaganda e attività delle organizzazioni negazioniste erano e sono per una Palestina senza Israele, con l’eliminazione anche della prospettiva dei due Stati per due popoli.

Una geopolitica di buon livello dovrebbe aver compreso che le principali storie di fondazioni di civiltà istituzionali sono eccezionali, eccezionaliste: le poleis della Grecia classica verso gli imperi orientali, i Comuni e le città libere dal Medioevo al Rinascimento che conquistarono la loro autonomia nella lotta tra papato e impero, la costituzione britannica non scritta come rivoluzione liberale (libertà individuali, limitazione del potere, regina che regna ma non governa), la confederazione svizzera, la nascita rivoluzionaria degli Stati Uniti d’America nel modello biblico del Patto d’Israele) verso gli stati assolutisti d’Europa. Inoltre, la magistrale politologia e geopolitica di Carl Schmitt trova il suo centro nella tesi dello “stato d’eccezione” costituente.

Più di tutte è eccezionalista la nascita della democrazia ebraica. Su di essa una vasta letteratura a cui si dovrebbe rimandare Limes, nella cui mente contabile la realtà di Israele non rientra. Ancora maggiore incomprensione-

negazione per il Libro. Per il loro dogma secolarista con annesso materialismo storico è inconcepibile la realtà ebraica del popolo del Libro, nel legame eccezionale di un popolo disperso ed esiliato con la Terra di Israele, attraverso la plurimillenaria esistenza ebraica guidata dalla Torah. Per loro la Torah è un archivio storico, le religioni destinate ad una marginalità privata. Ora la vivente esistenza religiosa nel bene (potenza etica, infinito della verità, civiltà della persona creata a immagine di Dio, prossimità, potenzialità di pace) e nel male (islamismo radicale che fonde in se stesso strumentalizzazione secolare di una religione con una guerra di religione) smentiscono la loro supponenza intellettuale.

Il titolo stesso dell’editoriale “Una giungla nella villa?”

ribalta un’espressione di Ehud Barak che rappresentava Israele come una villa nella giungla. Nel contesto la giungla dei coltelli assassini a Gerusalemme viene in un certo senso compresa, al limite di un’ambiguità giustificazionista.

Viene denigrato proprio per i suoi riferimenti biblici il discorso di Netanyahu (agosto 2015) all’ Assemblea Generale dell’ONU:

“Io sono qui a rappresentare Israele, un paese di 67 anni, ma lo Stato nazionale di un popolo vecchio di quasi 4mila anni. Eppure gli imperi di Babilonia e Roma non sono rappresentati in questa sala delle nazioni. Né lo è il Reich millenario. Quegli imperi apparentemente invincibili sono spariti da un pezzo. Ma Israele vive. Il popolo di Israele vive”.

L’autodifesa militare e popolare, da Tel Aviv a Gerusalemme, di fronte al terrore all’arma bianca che Maurizio Molinari con coraggio civile ha indicato ne “La Stampa” come esemplarità democratica per la difesa degli europei

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dall’Isis, diventa per Limes il caos dei vigilantes, con il solito luogo comune del Far West. Un lettore potrebbe intendere che sarebbe normale se gli ebrei israeliani si facessero gentilmente accoltellare. In conclusione si cita Amos Oz, scrittore di talento, figlio della libertà di Israele, sulla continuità storica esistenziale dell’ebraismo, interpretandolo al contrario: “La nostra è una linea- scrive Oz-non di sangue ma di testo. Noi che non siamo credenti restiamo ebrei anche leggendo (…) siamo gli atei del Libro”. Lo scrittore ci dice che la storia identitaria del popolo ebraico vive nella Torah e nei libri di un’infinita interpretazione plurale e che questa lettura vale anche per gli ebrei che sono liberi non credenti. Nel segno della Torah è il primato dell’etica per tutti gli ebrei, dove conta il fare, l’agire. Limes non sospetta neppure, rinchiuso nel misero schema italico di una contrapposizione tra una religione storica clericale e un laicismo integralista avversario della libertà religiosa, fino a che punto religione e nazione per l’ebraismo siano entrambi particolari e originali e quindi la distinzione sacro-profano abbia un senso relativo e molto diverso dalle altre religioni e laicismi. In particolare, alla geopolitica opinionista di Limes sfugge che il conflitto israelo-palestinese non sia più definibile come centrale, come il pericolo massimo per la pace, ora dislocato nel presente dall’offensiva dell’Isis al cuore dell’Europa e dell’Occidente. Tuttavia questo numero monografico contiene diversi articoli e saggi validi di ebrei ed ebraisti, o significativi e utili sul piano documentale. Testi che smentiscono in larga parte il maligno editoriale.

L’insigne ebraista Massimo Giuliani in “Israele e il Libro”

esprime bene il pathos dell’intenso legame Israele-Torah:

“. È inimmaginabile (pensare) l’Occidente senza la Bibbia.

È inimmaginabile (pensare) la Bibbia senza Israele. Anche nella modernità, anche oggi…”. Un testo che ha “forgiato, per secoli, l’ethos individuale e comunitario di intere nazioni” e che continua “a sfornare paradigmi di pensiero

teologico politico per molte democrazie occidentali”.

L’identità ebraica è talmente radicata nel testo sacro degli ebrei che la stessa idea di Israele nasce e “si consolida in virtù di questa narrativa nazionale che ha al suo centro il mito di un’elezione divina e di una liberazione epica”.

Gli ebrei non la chiamano Bibbia ma Torah o Tanakh e

“preferiscono non chiamarlo un libro, poiché è un etz chayyim, un albero di vita”. La Torah scritta non basta, il giudaismo come sistema di prassi e di fede comprende la Torah orale “ossia la lunga catena di interpretazioni da parte dei maestri che l’hanno tramandata, spiegata e applicata”. Una sterminata creazione culturale “che ha quasi elevato per dignità “le case di studio al di sopra delle stesse sinagoghe e porta il nome di Talmud e di Torah e la porta che introduce sia al concetto ebraico di Bibbia sia al concetto storico, a un tempo teologico e politico di Israele”. In tal senso si comprende la frase paradossale di Emmanuel Levinas, eminente pensatore ebreo: “Amare la Torah più di Dio”.

Anche l’ebreo “laico” ama il fondamento biblico. L’esempio di Ben Gurion che non andava in sinagoga, che diceva di se “sono l’ebreo che mangia prosciutto” ma in quanto ebreo e primo ministro studiava ogni giorno una pagina del Tanakh, che valutava essere “il Libro più significativo non solo per il popolo ebraico ma per l’intera umanità e un condensato dei più alti valori umani”. Ogni settimana si riuniva a casa sua con un gruppo di studiosi della Torah.

Dan Bahat, professore di Archeologia dell’Università Bar Ilan di Gerusalemme in “L’archeologia conferma: la Bibbia ha ragione e questa è terra nostra” evidenzia quanto gli scavi documentino la presenza permanente ebraica in Terra di Israele, in un momento in cui Unesco e autorità palestinesi la negano e distruggono reperti. Fondamentale importanza ha la scoperta nel 1928 della Sinagoga di Bet Alfa, che risale al 540, al tempo dell’imperatore Giustiniano. Accadde durante i lavori per la costruzione del

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Sullam | 13 Kibbutz Chefzi-ba. Una scoperta che dimostra l’ininterrotta

presenza ebraica in Eretz Israel e che “fa cadere l’idea dei 2000 anni di lontananza degli ebrei dalla propria terra.

L’archeologia israeliana ha smesso dal 1967 di essere strumento geopolitico dello Stato ebraico e in buona misura del sionismo” perché le prove della permanenza ebraica sono ora visibili a tutti e le nuove scoperte saranno le benvenute ma non c’è più niente da dimostrare”.

In “I confini di Israele secondo la Bibbia” rav. Pierpaolo Pinchas Punturello (che è stato ministro di culto nella nostra comunità) mostra la complessità di due, diverse definizioni dello spazio israeliano dalle dimensioni completamente diverse e la diversità tra yerushah che denota la conquista e achuzah, possesso. “Yerushah e achuzah, parole ebraiche che rimandano al senso dell’eredità, ma con sfumature diverse, sono due concetti chiave per descrivere il rapporto tra testo biblico, popolo ebraico e terra di Israele.

La parola yerushah denota conquista e sovranità, controllo militare e possesso del territorio. Di conseguenza colui che controlla un territorio secondo la visione della yerushah può cedere o vendere un territorio secondo il suo proprio potere decisionale. La achuzah è invece l’espressione di un contesto ereditario, non sottoposto a conquiste ma ricevuto per linea familiare e parentale.

Nell’incontro interpretativo tra yerushah e achuzah possiamo comprendere il conflitto tra le due definizioni di confine della Terra d’Israele e l’enorme distanza tra gli stessi”. L’origine e il senso teologico dei diversi spazi delle due parole chiave si prestano a diversi usi geopolitici.

Punturello ci fornisce due esempi significativi: il parere favorevole alla restituzione dei territori del Sinai all’Egitto da parte del rabbino Ovadya Yosef nel 1979, motivata dall’idea pikuach nefesh, salvezza della vita, “che supera ogni altro divieto”; e l’opposizione religiosa e sionista nel 2005 alla cessione unilaterale di Gaza da parte del governo di Ariel Sharon “perché non vi era nessuna garanza di pace,

quindi nessun caso di pikuach nefesh”. Secondo l’autore

“alla luce delle scritture appare chiara la possibilità di un’interpretazione intima e contingente dei confini di Erets Yisrael qualora essi servissero come elementi di scambio in un sincero e garantito percorso di pace”.

Un contributo questo molto significativo e meritorio che proprio per questo andrebbe in seguito approfondito con un esame dei testi talmudici sulla complessa questione dei confini di Israele.

Qui è possibile solo segnalare altri interventi interessanti, dall’accorato discorso del presidente dello stato Reuven Rivlin “Le 4 tribù di Israele” all’ultima Conferenza di Herzliya, all’importante testo di Sergio Della Pergola “Ebrei di tutto il mondo contatevi” sulla cruciale questione demografica ebraica ed israeliana.

Sara Ferrari in “La Letteratura israeliana e la Bibbia”

ci dice che il modello biblico continua ad informare la prosa e la poesia di diversi autori israeliani. Stilemi e narrazioni derivanti dai sacri testi mescolano passato e presente, secolare e religioso. La lingua ebraica moderna assorbì dal testo biblico “Motti e modi di dire, immagini e associazioni proprio come l’inglese aveva fatto con Shakespeare e il russo con Puskin”. Esempio luminoso sono i capolavori di Shemuel Yosef Agnon, premio Nobel del 1966 in una lingua narrativa eccezionale, espressione del grande patrimonio spirituale ebraico.

Diversi testi del fascicolo scavalcano il contenitore Limes e si consegnano a lettori aperti e sensibili. Essi mostrano che passato-presente-futuro di Israele non hanno la scansione convenzionale, lineare del tempo storicista, ma, misurati sull’Eterno, hanno un carattere di simultaneità ed esemplarità che costituisce la radice potente di un’onda di speranza indistruttibile, di fede- fiducia nelle ragioni e regioni di una giustizia e di una pace capaci oggi di una resistenza esemplare ai nuovi mostri dell’odio e del terrore.

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LASCIA

UN BUON SEGNO

Giliana Ruth Malki - Cell. 335 59 00891

Responsabile della Divisione Testamenti Lasciti KEREN HAYESOD

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nelle vite degli altri.

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com o telefonando allo 081 7643480. Una non risposta, invece, varrà come consenso al prosieguo della spedizione della nostra Newsletter.

Questo numero di SULLAM è stato realizzato grazie al lavoro svolto da Claudia Campagnano, Roberto Modiano, Giulia Gallichi Punturello e Simone Figalli, con la supervisione speciale di Deborah Curiel Coordinatrice e Direttrice responsabile del suddetto bollettino.

UMORISMO

A CURA DI ROBERTO MODIANO

Il piccolo Moishele torna a casa da scuola ed annuncia alla mamma: “mamma, mi hanno dato la parte

del marito nella recita di fine anno!” e la mamma:

“Domani, quando torni a scuola dici alla tua maestra che non sei d’accordo e che vuoi un ruolo parlante”

Ingredienti

- le foglie di un cavolo nero lavate asciugate e tagliate in pezzi piccoli

- 1 cipolla affettata - 2 carote a rondelle

- 1 bicchiere di passata di pomodoro

IN CUCINA

con Giulia

CAVOLO NERO

STUFATO

Preparazione

In una pentola antiaderente mettere tutti gli ingredienti insieme.

Mescolare ogni tanto per controllare che gli ingredienti non si secchino, nel caso aggiungere acqua bollente un poco alla volta.

Lo stufato è pronto quando le carote sono cotte.

Potete mangiarlo con delle buone fette di pane o come contorno alla carne.

Non vi consiglio di aggiungere troppo sale perchè il cavolo è abbastanza amaro.

Riferimenti

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