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Capitolo Terzo

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Academic year: 2021

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Capitolo Terzo

3. Analisi traduttologica

Il filosofo e linguista tedesco Wilhelm von Humboldt era solito affermare che ogni lingua è causa e riflesso della Weltanschung, ossia della visione del mondo propria di un popolo, la quale dà corpo e fa da sostegno alla sua cultura. La diversità linguistica, pertanto, si configura come una discordanza di visioni del mondo ed è in questa prospettiva che la traduzione si pone come procedimento fondamentale per cogliere una diversa visione del mondo e, con essa, lo spirito della cultura di cui è intriso il testo originale: «nessuna parola di una lingua è completamente uguale a una di un’altra lingua. Diverse lingue sono sotto quest’aspetto, solo altrettante sinonimie: ognuna esprime il concetto un po’ diversamente, con questa o quella determinazione secondaria, un gradino più alto o più basso sulla scala delle sensazioni»1. Questa idea porta von Humboldt non solo a sostenere che «una traduzione è tanto più deviante quanto più tenta di essere fedele»2, ma anche a esprimere il principio universalistico della capacità di ogni lingua di dire “tutto”. Di conseguenza, il traduttore deve aprirsi al testo, viverlo a fondo, attenendosi, però, alla sua dominante.

The dominant may be defined as the focusing component of a work of art: it rules, determines and transforms the remaining components. It is the dominant which guarantees the integrity of the structure.3

Sulla scia di Jakobson, determinare la dominante dell’atto comunicativo che è il testo da tradurre significa decidere quali elementi trasporre e quali componenti lasciare sullo sfondo. In altre parole, è come se il traduttore facesse una

1 Humboldt citato in Ch. Barone, et al., (a cura di), Dallo stilo allo schermo. Sintesi di teoria della

traduzione, Eidizioni Plus-Pisa University Press, Pisa, 2011, p. 48-49.

2 Ibidem.

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scommessa: assegna una o più funzioni al testo di partenza e cerca di ricrearle nella lingua d’arrivo al fine di ottenere un determinato effetto.

Ed è proprio una scommessa quella che mi sono proposta scegliendo di tradurre Les Hommes qui me parlent di Ananda Devi. Si tratta, infatti, di un racconto autobiografico che, per definizione, pone al centro della narrazione la vita e l’esperienza personale dell’autrice in tutte le sue molteplici sfaccettature. Nel contempo, però, a differenza di tanti altri racconti autobiografici, esso presenta, a livello contenutistico, una riflessione sulla scrittura come forma d’arte che aiuta a comprendere il mondo e consente, all’autrice in questo caso, di comprendere la genesi della sua crisi esistenziale. In sostanza, considerato con attenzione, il racconto si presenta come un’entità stratificata formata da un insieme di rimandi intertestuali e intratestuali. Mi sono soffermata in modo particolare sulla distinzione tra componenti neutre e componenti specifiche. Per determinare la neutralità/specificità di una componente, ho considerato tale componente in relazione al contesto culturale (rimandi intertestuali) e al contesto poetologico dell’autrice (rimandi intratestuali), oltre che in rapporto alle componenti verbali immediatamente precedenti e successive alla componente in questione (co-testo)4. Non perdendo mai di vista il fatto che non esiste un’equivalenza perfetta tra prototesto e metatesto5 né sul piano linguistico né su quello culturale, questo procedimento mi ha permesso di privilegiare alcuni aspetti del romanzo e di determinarne, così, la dominante, che si è rivelata essere di tipo emotivo6, in quanto il messaggio è incentrato sul mittente, sui suoi stati d’animo, le sue volontà; questa funzione è segnalata dalla presenza della prima persona ed esprime l’atteggiamento del mittente che proietta in primo piano informazioni riguardanti se stesso: «La funzione detta “espressiva” o emotiva, si concentra sul

4http://courses.logos.it/IT/1_19.html#4

5 I due termini sono stati coniati dallo studioso slovacco Anton Popovič per sostituire la parola

“testo fonte” e “testo d’arrivo”. Infatti, il prototesto è definito come: « Subject of intertextual continuity. Original text, primary model which is the basis for second-degree textual operations», mentre il metatesto è considerato « Model of the prototext which is the product of a logopoietic activity carried out by the author of the metatext» (A., Popovič, La scienza della traduzione: aspetti metodologici; la comunicazione traduttiva, trad. it. B. Osimo, D. Laudani, Editore Hoepli, Milano, 2006, p. 159-166).

6 In base al modello elaborato da Roman Jakobson in un lavoro del 1960, la comunicazione

verbale può avere sei diverse funzioni denominate, rispettivamente, referenziale, emotiva, conativa, fatica, metalinguistica e poetica, le quali caratterizzano e differenziano tra loro i diversi enunciati. (R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 1966, pp. 181-218).

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mittente, mira ad un’espressione diretta dell’atteggiamento del soggetto riguardo a quello di cui parla. Essa tende a suscitare l’impressione di una emozione determinata»7. Il lettore si trova, così, a dover fare i conti con tematiche e problematiche tipiche del contesto culturale mauriziano.

Ce jeune homme fait partie des interdits que ta société cultive avec tant de ferveur: il n’est pas du bon coloris – ni communautaire, ni raciale, ni religieux, ni social, ni économique et encore moins biologiques. Pas bon teint du tout. Pour cette société dont toutes les composantes sont arrivées là par hasard et qui doivent se bâtir une identité par défaut et par prétexte, une identité fallacieuse et profondément raciste, il porte cette tare qui ne se dissipera pas, même trois siècles après la découverte de l’île. Impensable, il y a trente-huit ans de cela. Ceux qui te connaissent t’en veulent avec une férocité inattendue. Tes amis, tes cousins, des gens que tu crois connaître révèlent soudain un visage moins salubre. Un fiel qui coule encore en surabondance dans les sourires des Mauriciens fiers de leur pluralité : sous la moindre pression, il déborde, avec une odeur d’intestins.8

Quel ragazzo fa parte dei divieti che la tua società coltiva con tanto fervore: non è del colore giusto – né comunitario, né razziale, né religioso, né sociale, né economico e ancor meno biologico. Non è della carnagione giusta. Per questa società i cui componenti tutti sono arrivati lì per caso e devono costruirsi un’identità per mancanza e per pretesto, un’identità fallace e profondamente razzista, lui porta quel peso che non si dissiperà, nemmeno tre secoli dopo la scoperta dell’isola. Impensabile, sono passati trentotto anni. Quelli che ti conoscono ti serbano rancore con una ferocità inaspettata. I tuoi amici, i tuoi cugini, le persone che credi di conoscere rivelano spesso un volto meno salubre. Un fiele che scorre ancora in sovrabbondanza nei sorrisi dei mauriziani fieri della loro comunità: sotto la più piccola pressione, trabocca, insieme a un odore di intestini.

In accordo alla funzione emotiva individuata, lo stile del racconto appare contraddistinto da una sintassi poco complessa, con un uso della subordinazione controllato e mai eccessivo, e da una lingua quasi asciutta, caratterizzata molto spesso da frasi assertive, spezzate, secche e, a volte, da improvvisi cambi di registro che corrispondono sempre al passaggio dal francese all’inglese. Non manca, inoltre, l’uso del turpiloquio. Tutti elementi che dimostrano la voglia di esprimere in modo diretto sentimenti e turbamenti dell’animo.

7 Ibid., p. 186.

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A una sintassi come questa, ovviamente, non può che corrispondere un linguaggio altrettanto asciutto e secco con frasi spezzate che, a volte, non seguono il giusto ordine sintattico. Proprio per la mancanza di uno stile artificioso, sotto questo aspetto non sono state molte le problematicità incontrate.

Le maggiori difficoltà traduttive si riscontrano, allora, a livello di alcune, poche, strutture linguistiche; nella scelta dei termini “chiave”, cioè quelle parole che ricorrono sempre nel testo e che, spesso, hanno più di un traducente in italiano; nei casi di realia e nei riferimenti intertestuali e intratestuali. Iniziamo ad analizzare i riferimenti intertestuali e intratestuali e a seguire i realia, lasciando per ultime le trasformazioni strutturali in quanto meno significative, anche numericamente parlando, rispetto ai primi due aspetti.

3.1. Intertestualità e traduzione

Come già detto nei capitoli precedenti, Les Hommes qui me parlent è un testo che si compone di due parti. La prima parte è di tipo autobiografico, mentre la seconda è ricca di rimandi intertestuali, citazioni di alcune opere importanti di scrittori che hanno fatto parte delle letture, dall’infanzia all’età adulta, di Ananda Devi. Pertanto, più che dal punto di vista stilistico, un importante scoglio traduttivo è rappresentato dai riferimenti intertestuali espliciti. Si è trattato, infatti, di andare alla ricerca delle traduzioni ufficiali già esistenti e di riportarle fedelmente nel testo.

« Le drame pour l'écrivain des livres avortés», dit Gracq, « toujours ressentis par lui moins comme une perte de temps, ce qui n'est rien, que comme un gaspillage de sa substance : le jaillissement de ce qu'il n'a pas su capter». Il dit aussi qu'il y a « une sécheresse de l'écrivain accompli qui frappe [ ... ] chez Goethe, chez Claudel parfois, dans leur vieillesse : ils ont foré d’une main sûre aux bons endroits, leurs eaux profondes se sont taries au bénéfice des jardins qu'ils ont fait fleurir. Non pas "dévorés par leur création" comme on dit sottement ⎯ asséchés plutôt par trop de saignée expertes».9

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«Il dramma per lo scrittore di libri abortiti», dice Gracq, «che egli avverte sempre più che come una perdita di tempo – e questo non sarebbe niente - come uno spreco della propria sostanza: l’ispirazione che non ha saputo catturare». Dice anche che esiste «una certa aridità nella vecchiaia di uno scrittore consumato […] in Goethe e a volte in Claudel: con mano sicura hanno trivellato nei punti giusti e le loro acque profonde si sono seccate a tutto profitto dei giardini che hanno fatto fiorire. Non “divorati delle loro creazioni” come si dice scioccamente – ma piuttosto prosciugati da salassi troppo esperti».10

L'écart glaçant du fou. Le regard glacé du juge. Duras disait encore : « Écrire, c'est ne pas savoir ce qu'on fait, être incapable de le juger, il y a certainement une parcelle de ça dans l'écrivain, un éclat qui aveugle.»11 La differenza raggelante del pazzo. Lo sguardo gelido del giudice. Duras diceva ancora: «Scrivere è anche non sapere quello che si fa, essere incapaci di giudicarlo, sì, vi è certamente un po’ di questo nello scrittore, un fulgore che acceca.»12

A volte, è capitato di trovare parti di testi in cui la scrittrice non fa il nome dell’autore. Si è trattato, quindi, di risalire all’autore e all’opera attraverso la citazione. È questo il caso di Belle du Seigneur di Albert Cohen, di cui Ananda Devi riporta direttamente un estratto, dando per scontato che il lettore conosca il romanzo:

Je n’en ai pas le coeur. Alors j'enfouis mon visage dans la tête d'Ariane, entre les jambes d'Ariane, entre les seins d'Ariane aux « pénombres

succulentes »:

«Un après-midi, elle enfila une robe de toile écrue, boutonnée devant sur toute la longueur, ferma les volets. Dans la pénombre succulente, elle déboutonna sa robe jusqu'à mi-corps, en agita les pans comme des ailes et déambula, se racontant qu'elle était la Victoire de Samothrace. Ma chérie, tu me plais follement, dit-elle à la glace. Après lui, c'est toi que j'aime le plus.»13

10 J., Gracq, Letterine, trad. it Aldo Pasquali, Edizioni Theoria, Roma-Napoli, 1989. 11 A., Devi, op., cit. p.191.

12 M., Duras, Emily L., trad. it. Laura Guarino, Feltrinelli editore, Milano, 1988. 13 A., Devi, op., cit. p. 195-196.

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Non sono in vena. Allora, nascondo il volto nella testa di Ariane, tra le gambe di Ariane, tra i seni di Ariane dalle «invitanti penombre»:

«Un pomeriggio, indossò un vestito di seta cruda, abbottonato davanti per tutta la sua lunghezza, chiuse le imposte. Nell’invitante penombra, sbottonò l’abito fino a metà corpo, ne agitò le falde come delle ali e camminò su e giù, fingendosi la Vittoria di Samotracia. Mia cara, tu mi piaci alla follia» disse allo specchio. «Dopo di lui, è te che amo di più».14

Nel testo compaiono anche estratti di cui mi è stato impossibile trovare una traduzione italiana attestata. Mi riferisco, in particolar modo, a un bellissimo estratto del poeta e scrittore palestinese Mahmoud Darwich. Verso la fine del racconto, Ananda Devi racconta un episodio accaduto durante il salone del libro a Beirut nel 2009. Si tratta del discorso di un ministro francese che promette al paese un governo al più presto. L’autrice, disgustata da questo discorso, ci descrive la realtà di Beirut, un paese in guerra, con i suoi palazzi bombardati. Il capitolo si chiude con una citazione di Mahmoud Darwich. Si tratta con ogni probabilità di una poesia che fa parte del progetto Une nation en exil realizzato insieme all’artista Rachid Koraïchi, che utilizzerà appunto le poesie di Darwich per le sue incisioni. Nella mia traduzione ho cercato di rispettare la musicalità e la struttura del testo.

Et nous n'avons rien trouvé qui atteste notre identité,

Hormis notre sang escaladant les murs. Et nous chantons en cachette :

Beyrouth est notre tente. Beyrouth est notre étoile.

... Fenêtre ouverte sur le plomb de la mer. [ ... ]

Beyrouth est la forme de l'ombrage.

Plus belle que son poème, plus simple que les ragots,

Elle nous séduit de mille commencements ouverts et d'alphabets nouveaux.

E non abbiamo trovato niente che testimoni la nostra identità,

Se non il nostro sangue che scala i muri. E cantiamo di nascosto:

Beirut è la nostra tenda. Beirut è la nostra stella.

… Finestra aperta sul piombo del mare.

[…]

Beirut ha la forma dell’ombra.

Più bella della sua poesia, più semplice delle maldicenze,

Ci seduce con mille inizi aperti e alfabeti nuovi.

14 A., Cohen, Bella del signore, trad. it. Eugenio Rizzi, «scrittori contemporanei» Bur, Milano,

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Un’altra caratteristica del testo è la presenza di estratti di opere di scrittori inglesi, dei quali l’autrice non riporta la traduzione. In questo caso ho lasciato la citazione in inglese, senza fornire una traduzione in italiano. In altri casi, invece, l’autrice riporta le traduzioni in francese delle opere che cita come, per esempio, alla poesia di Ted Hughes, February 17th, della quale non esiste una traduzione ufficiale in italiano. La particolarità di questa citazione risiede nel fatto che l’autrice alterna parti di poesia a parti in cui parafrasa il contenuto della poesia sostituendolo ai versi originali. Ho confrontato la poesia inglese con la traduzione francese, dopo essermi accertata del fatto che non sono stati apportati cambiamenti significativi, ho proceduto con la mia traduzione dalla versione francese riportata dall’autrice. La poesia narra la nascita agonizzante di un agnellino. La madre, ormai stremata dai dolori e non riuscendo a far nascere il piccolo, inizia a correre velocemente mentre la testa dell’agnello le esce dal corpo.

Nel testo compaiono altre citazioni di tre opere di cui non sono riuscita a trovare la traduzione. Le elencherò di seguito:

Une boule de sang enflée, / Serrée dans sa gangue de feutre noir, la fente de sa gueule / Déformée sous la pression, la langue, noir-pourpre, protubérante, / Étranglé par sa mère. regarda la mère […] Ayant la terre entière pour corps.

suivi du long, du soudain / paquet de vie, couleur jaune d’œufe, /dans un glissement suffoquant de graisses et de glaire et de bouillons / et le corps enfin né se trouva posé à côté /de sa propre tête tranchée.

Una bolla di sangue gonfia, / stretta nella membrana di feltro nero, la fessura della bocca / Deformata per la pressione, la lingua, nero-porpora, sporgente, / strangolato da sua madre.

fissò la madre […] / il suo corpo era tutta la terra.

E dopo il lungo e improvviso / pezzetto di vita, color giallo d’uovo, / in una cascata fumante di grassi, muchi liquidi/ e il corpo nato giaceva accanto / alla sua testa mozzata.

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Francisco de Quevedo con Heures et malheures du trou du cul, citato in francese. Da una ricerca su internet pare che quest’opera sia stata tradotta in italiano, tuttavia non compare alcuna edizione in quanto non è stata mai pubblicata perché considerata oscena. Non sono riuscita a trovare il nome del traduttore, soltanto la traduzione del titolo e parti tradotte un po’ sparse in alcune pagine, non molto attendibili. Quindi sono andata alla ricerca del testo originale, che fortunatamente ho trovato in un sito dedicato ad alcune letture, tra cui questo testo, e curato da José Maria Galán15, e ho cercato la citazione in questione.

Citazione francese:

«Le trou du cul est plus nécessaire que les yeux; car sans les yeux on peut vivre, mais sans trou du cul, ni vivre ni mourir».16

Citazione originale:

«Es más necesario el ojo del culo solo que los de la cara; por cuanto uno sin ojos en ella puede vivir, pero sin ojo del culo ni pasar ni vivir».

Traduzione proposta:

«Il buco del culo è più necessario degli occhi, poiché senza occhi si può vivere, ma senza buco del culo non si può né vivere né morire».

Titolo francese:

Heurs et Malheurs du trou du cul

Titolo originale:

Gracias y Desgracias del ojo del culo

Traduzione proposta:

Grazie e disgrazie del buco del culo

Il testo originale mi è servito per comprendere quale relazione ci fosse tra il buco del culo con gli occhi. Nel titolo originale, infatti, c’è “ojo”, “occhio” e tutta

15http://www.sisabianovenia.com/LoLeido/Ficcion/QuevedoGracias.htm 16 A., Devi, op., cit. p. 73.

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l’opera è caratterizzata dal paragone tra gli occhi e il buco del culo. Si tratta di un’immagine particolare che delega a quest’ultimo la stessa funzione degli occhi. Passiamo al secondo autore: Aimé Césaire En vérité, una poesia che appartiene alla raccolta «Ferrements»:

« Du crachat sur la face / et cette histoire parmi laquelle je marche mieux que / durant le jour. »17

«Uno sputo in faccia / e questa storia nella quale cammino meglio che / durante il giorno.»

Romain Gary (Émile Ajar), Pseudo: «J'écrivais dans la peur : les mots ont des oreilles. Ils sont aux écoutes, et il y a du monde derrière. Ils vous entourent, vous cernent, vous prodiguent leurs faveurs et au moment où vous commencez à leur faire confiance, ciac ! Ils vous tombent dessus et vous voilà comme Tonton Macoute, à leur service. À plat ventre devant eux caresseur et domestique, propagateur du pareil au même. On trouve des empreintes digitales de Tonton Macoute18 sur tous les malheurs de l'homme. Il en a fait des succès littéraires.

«Vous n'avez aucune idée de la difficulté de ma situation. Je pourrais, semblerait-il, ne rien écrire et ne rien publier, par refus du genre, mais ce serait là encore un poème, un aveu de secrète poésie. Il y aurait là romantisme, gesticulation, sensiblerie et aspiration, des attitudes et des poses typiquement littéraires. Ne pas écrire, par principe et par dignité, par objection de conscience, il n'y a pas plus livresque et plus bêlant-lyrique, comme mode d'expression et acte de foi.»19

« "Mais les choses vraies, tu sais bien, on n'y

«Scrivevo nella paura: le parole hanno orecchie. Ascoltano, e c’è gente dietro. vi circondano, vi accerchiano, vi prodigano favori e quando iniziate a dar loro fiducia, ciak! Vi cadono addosso ed eccovi come Tonton Macoute, al loro servizio. Pancia a terra davanti a loro, affettuoso, servitore o propagatore non cambia. Si trovano impronte digitali di Tonton Macoute su tutte le disgrazie dell’uomo. Ne ha fatto dei successi letterari.

«Non potete immaginare quanto sia difficile la mia situazione. Potrei, si direbbe, non scrivere e non pubblicare, rifiutando il genere, ma sarebbe comunque una poesia, una confessione di poesia segreta. Ci sarebbe romanticismo, gesticolazione, ipersensibilità e aspirazione, atteggiamenti e pose tipicamente letterari. Non scrivere, per principio e per dignità, per obiezione di coscienza, non c’è modo di espressione e atto di fede più libresco e più belante-lirico.» «“Ma non abbiamo più alcun diritto alle

17 Ibid., p. 157.

18 Tonton Macoute è il nome popolare della milizia dei “Volontaires de la sécurité Nationale”, la

milizia personale creata nel 1959 dal dittatore François Duvalier. (fonte Treccani Enciclopedia).

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a plus droit. C'est tabou. L'amour, l'enfant, la mère, le cœur ... C'est mélo, misérabilisme, sensiblerie, sentiments, médiocrité, ce n'est pas de la littérature, quoi. Et ce n'est pas

nouveau. Ce n'est pas original, ça ne fait pas

défricheur de terres vierges.

« ⎯ Bouffer de la merde, ce n'est pas non plus l’avant-garde.

« ⎯ Plus tu diras la vérité, plus tu la cacheras, Jeannot Lapin. Vas-y. Écris. Publie. Tu ne risqueras pas d’être découvert." »20

cose vere, e lo sai bene. Sono tabù. L’amore, il figlio, la madre, il cuore… È

melodramma, miserabilismo,

ipersensibilità, sentimenti, mediocrità, non è certo letteratura. E non è novità. Non è originale, non ci rende zappatori di terre vergini.

« – Mangiare merda, non è più all’avanguardia.

« – Più dirai la verità, più la nasconderai, Jeannot Lapin. Andiamo. Scrivi. Pubblica. Non ti scoprirà nessuno.“»

Infine, abbiamo casi di intertestualità in cui l’autrice cita alcuni passi dei suoi romanzi passati. Uno in particolare mi ha creato non poca difficoltà, considerato il linguaggio quasi poetico e artificioso, un tratto caratteristico dei romanzi che precedono a Les Hommes qui me parlent. Tuttavia la difficolta non risiede solo nella resa del linguaggio ma anche nella particolarità delle immagini. Si tratta di un estratto di Rue la Podurière che descrive l’orgasmo di Paul, la protagonista, di fronte a una serie di giochi di luce che il sole proietta sul suo letto. Assistiamo a una vera e propria personificazione del sole da parte della protagonista.

Voici mon lit. Et voici cet immense soleil qui s'y déverse, en quête du couchant. À peine s'il se bat encore, ici et là, une petite ombre obstinée, pleine de rancune. Il s'y agglomère un essaim de mouches noires. Le soleil s'est allongé dans mon lit, lui faisant un pagne d'or. Une tiédeur s'en échappe, une invitation privilégiée, comme s'il n'était là que pour moi, comme s'il m'attendait avec patience, mon roi-couchant, mon invisible amant, son

Ecco il mio letto. Ed ecco questo immenso sole che si è riversato sopra, alla ricerca del tramonto. Picchia ancora, appena, qua e là, una piccola ombra ostinata, piena di rancore. Uno sciame di mosche nere vi si agglomera sopra. Il sole si è disteso sul mio letto, facendogli un pareo d’oro. Un tepore scappa, invito privilegiato, come se lui fosse lì solo per me, come se mi attendesse con pazienza, il mio re calante, il mio amante invisibile, con i muscoli del corpo

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corps tout en muscles tendu dans l'attente. L'anticipation me surexcite. Je m'élance en avant, vertigineuse. Lancée sur ma voie effrénée, palpitante, les seins balbutiants, le ventre orgastique, je m'enchaîne au tourment de mon lit, je m'y déploie comme une algue aux tentacules fureteurs. Je cherche, au centre de mon soleil que je lape d'une langue tendue, une autre moi presque oubliée, presque suspendue, presque étrangère, qui avait connu les mêmes moments de turbulence et d'extase, la même avidité à tout connaître et tout goûter, la même férocité, la même témérité.21

tirati nell’attesa. L’anticipazione mi sovreccita. Mi slancio in avanti, vertiginosa. Lanciata sul mio cammino sfrenata, palpitante, i seni balbettanti, il ventre orgastico, mi concateno al tormento del mio letto, mi spiego come un’alga dai tentacoli curiosi. Cerco, al centro del mio sole che lappo con la lingua tesa, un’altra me quasi dimenticata, quasi sospesa, estranea, che aveva conosciuto gli stessi momenti di agitazione e di estasi, la stessa avidità di conoscere e assaggiare tutto, la stessa ferocia, la stessa temerarietà.

3.2. Realia

Nel testo sono presenti anche casi di realia, vale a dire elementi culturo-specifici riferiti alla cultura indiana, quali cibo, edifici sacri e piante, che, nella maggior parte dei casi, ho deciso di non tradurre, né “normalizzare”. Pertanto, sono stati pochi i casi in cui ho affiancato al termine in questione una piccola informazione utile al lettore italiano, e i casi di effettiva traduzione del termine.

Molto spesso, nella descrizione paesaggistica, l’autrice nomina alberi e piante in generale, tipiche della sua cultura e quindi estranee a un lettore italiano. Uno fra questi, il “baniano”, ha un significato particolarmente importante per Ananda. Esso, infatti, si trova in tutti i romanzi passati e fa la sua prima apparizione in Pagli. Ananda Devi afferma di essere molto affascinata da quest’albero sin da piccola, e di considerarlo un luogo sacro dove poter raccogliersi in solitudine, una specie di rifugio.22

Or donc, pas de ciels bleus ni de mers bleues depuis ce temps, et ce qui reste est un lieu gris et noir, d’une beauté stupéfiante et létale, des forêts d’arbres

21 A, Devi, op., cit., p. 53.

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longtemps morts ou des forêts de ciment, des banians23 qui accueillent les amours adultères.24

Or dunque, niente cieli blu né mari blu da quella volta, e ciò che resta è un luogo grigio e nero, di una bellezza stupefacente e letale, foreste di alberi morti da tanto o foreste di cemento, baniani, alberi sacri che accolgono gli amori adulteri.

Un termine intraducibile perché portatore di un significato particolare e inesistente nella cultura d’arrivo. Pertanto ho deciso di tradurlo usando il nome dei commercianti indù25 che tenevano mercato sotto questi alberi, e di “scioglierlo” attraverso una piccolissima spiegazione (alberi sacri) subito dopo, preceduta da una virgola, di modo da farla sembrare parte del testo. Ho preferito evitare la nota a piè di pagina che avrebbe distolto l’attenzione del lettore.

Altra pianta, jambosier, che l’autrice vede dalla soffitta di casa sua. In questo caso ho sostituito il realia di partenza con un altro della cultura di arrivo, il melarosa26, aggiungendo nel testo una piccola spiegazione per far capire che si tratta di una pianta.

Et puis le jour bleu et vert à la fenêtre, sur le jardin potager où siégeait un superbe jambosier qui donnait une abondance de gros fruits pas très sucrés mais d'une croustillante fraîcheur.27

E poi il giorno azzurro e verde alla finestra, sull’orto dove si ergeva un sontuoso melarosa, la pianta che abbondava di grossi frutti non molto dolci, ma di una croccante freschezza.

23 Il banians è un albero sempreverde originario dell’India, dove è anche coltivato come albero

sacro. Presenta un tronco molto grosso e rami quasi orizzontali, dai quali scendono numerose radici. (treccani)

24 Ibid., p. 36.

25 Fonte Treccani enciclopedia.

26Melaròṡa (o méla ròṡa) s. f. [comp. di mela e rosa] (pl. melaròse o méle ròse). – Pianta arbustiva

delle mirtacee (Syzygium jambos), coltivata nelle regioni temperato-calde e tropicali, con fogliame simile a quello dell’eucalipto e frutti mangerecci (detti anche essi melarosa) grandi come una nespola, di color giallo carico, con polpa delicatamente profumata di rosa, usati anche per fare marmellate e canditi (treccani)

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Per quanto riguarda in nomi delle pietanze ho preferito non tradurle in quanto tipiche del mondo indiano o comunque orientale. Non ho potuto aggiungere direttamente nel testo piccole informazioni per aiutare il lettore, perché i piatti sono tutti elencati nello stesso periodo e quindi avrei appesantito la lettura. Ananda Devi sta descrivendo uno squarcio di Port-Louis che era solita osservare durante le passeggiate in auto con il padre:

La place de la cathédrale. Les cafés de Port-Louis. Les trottoirs, les magasins chinois, l'odeur du snoek, la grouillante populace, vive, de toutes les teintes possibles, physionomies et expressions des plus variées, nourritures terrestres et spirituelles, temples, nouilles frites, pagodes, dhalpuris, mosquées, halim, cathédrales, samoussas.28

La piazza della cattedrale. I caffè di Port-Louis. I marciapiedi, i negozi cinesi, l’odore di pesce, la folla che brulica, vivace, di ogni carnagione possibile, fisionomie ed espressioni tra le più varie, cibi terrestri e spirituali, templi, vermicelli fritti, pagode, dhalpuris, moschee, halim, cattedrali, samosa.

Thyrsites atun o più comunemente snoek in inglese è un pesce che si trova nelle coste del sud America, sud Africa e Australia meridionale. Ho preferito normalizzare il termine usando il suo nome comune, poiché snoek sarebbe poco immediato per un lettore italiano. Inoltre, non stravolge totalmente la tipologia di cibo in quanto si tratta soltanto di un pesce specifico di alcune zone, informazione che il lettore può acquisire dal contesto. Nouilles frites è un tipo di pasta dalla forma simile ai nostri vermicelli. Il Dhalpuris è un tipo di pane azimo tipico dell’Asia, pertanto ho scelto di non tradurre il termine in quanto “pane azimo” mi sembrava troppo generico, visto che è tipico di più nazioni, mentre questo viene consumato specificamente in India e Pakistan. L’Halim, anch’esso non tradotto, è una specie di zuppa mista di carne e legumi. E la samosa è un antipasto tipico Pakistano simile alla nostra pasta fritta ripiena. Infine, sempre nello stesso passaggio, all’inizio del paragrafo, Ananda menziona la Volkswagen Beetle di suo padre che ho tradotto con “maggiolino Volkswagen”, nome corrispondente in Italia.

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3.3.Trasposizione delle parti del discorso

3.3.1.Trasposizione avverbio/nome/aggettivo

Per trasposizione, Podeur, intende «quel procedimento traduttivo che consiste nel sostituire una parte del discorso, o una categoria grammaticale, con un’altra».29 Nel testo sono stati necessari interventi di trasposizione delle parti del discorso. Uno dei casi più frequenti è quello della trasposizione avverbio/nome/aggettivo, vista la presenza di numerosi avverbi, di cui elencherò giusto qualche esempio. Sia l’italiano che il francese fanno largo uso di avverbi e di locuzioni avverbiali. Traducendo da una lingua all’altra accade spesso che si renda un avverbio con una locuzione avverbiale o con un aggettivo. Si ha in questo caso una semplice trasposizione locale per dirla con Podeur. Questa è legata da una parte alla tendenza del francese a creare e usare gli avverbi in “-ment”, dall’altra alla tendenza dell’italiano a evitare tali avverbi perché spesso appesantiscono la frase.

29 J. Podeur, La pratica della traduzione. Dal francese in italiano e dall’italiano in francese,

Liguori Editore, Napoli, 1993. Travail d'insecte qui devait

résolument atteindre un lieu de paix où il pourrait dormir ou mourir.

Lavoro di insetto che doveva, con fermezza, raggiungere un luogo di pace, in cui poter dormire o morire. Larmes qui donnent l’impression de

bien souffrir et d’être suffisamment châtie.

Lacrime che danno l’impressione di soffrire molto e di essere castigata a sufficienza.

Si J’avais continué tranquillement Se avessi continuato con tranquillità. J’essaie de protester de me justifier,

de me rapiécer dignement.

Provo a contestare, a giustificare, a rattopparmi con dignità.

(16)

3.3.2. Trasposizione nome/aggettivo

Un altro caso di trasposizione delle parti del discorso è quello nome/aggettivo. Il francese si mostra alquanto sobrio nell’uso dell’aggettivo e non esita a sostituirlo con delle parti del discorso che non svolgono tradizionalmente un ruolo caratterizzante. Podeur afferma che la reticenza riguardo all’aggettivo si esprime nell’uso preferenziale del nome. L’italiano, invece, mantiene di norma un atteggiamento contrario. Di seguito un esempio di trasposizione nome/aggettivo.

Mes jours étaient remplis d’écriture et mes nuits d’insomnies.

Trascorrevo giorni pieni di scrittura e notti insonni.

Ho eliminato gli aggettivi possessivi francesi poco utili in italiano e che avrebbero reso il testo pesante e molto calcato sul francese, (è chiaro che l’autrice parla delle sue giornate e delle sue notti essendo un testo in prima persona, non c’è bisogno di specificarlo); inoltre, in italiano è più normale dire “notti insonni” e quindi usare l’aggettivo, anziché “notti piene di insonnie” poiché il sostantivo “insonnia” è usato, ma spesso al singolare; raramente si sente usare il plurale, fatta eccezione per i casi clinici. Tradurre con “pieno di insonnie”, sarebbe stato straniante nella lingua d’arrivo proprio perché implica la questione della numerabilità dei nomi.

3.3.3.Trasposizione nome/verbo

Sin dall’ottocento la frase francese risulta invasa dalla costruzione nominale. Al sostantivo viene chiesto di sostituire il verbo, l’aggettivo, a volte l’avverbio. In italiano, tale fenomeno è molto più recente e più limitato. «La costruzione nominale, secondo Cressot e James, esprime sfumature che il verbo non è in grado di rendere: presentando il fatto “sans date, sans mode, peut-être sans aspect, sans

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le rattacher à un sujet, à un objet”, lo fa emergere in modo più diretto, “permette di esprimere sinteticamente le informazioni presenti in un’intera frase”»30

3.3.4.Trasposizione preposizione/avverbio

La propensione francese all’uso delle preposizione, in italiano, si risolve spesso con l’uso di un avverbio.

Moi qui sui née avec dans les yeux les couleurs jouissives d’un lagon.32

Proprio io, che quando sono nata avevo negli occhi i colori allegri di una laguna.

3.3.5.Trasposizione e organizzazione frastica

Il “c’est… que” o “c’est… qui” è per eccellenza il procedimento usato dal francese per la messa in rilievo ed è una delle caratteristiche tipiche di Les Hommes qui me parlent. Podeur afferma che il costrutto – possibile, benché meno frequente, anche in italiano – serve ad attirare l’attenzione su uno degli elementi dell’enunciato. Ho preferito rendere l’enfasi del “c’est… que” con l’inversione e con l’aggiunta di elementi che danno l’idea di rafforzare il concetto ( per esempio: “proprio così” oppure l’uso del pronomi personali complemento oggetto) piuttosto che con il costrutto omonimo, per evitare di cadere nel “francesismo”.

Visto che il testo è ricco di messe in rilievo, ne elencherò soltanto qualcuna:

30 J. Podeur, op., cit. p. 37. 31 A., Devi, op., cit. p. 15. 32 A., Devi, op., cit. p. 13.

Un visage nu, des yeux rougis d'avoir

pleuré.31

Un volto nudo, gli occhi arrossati per

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La personne qui avait parlé ne ressentait rien.

C'était elle qui écrivait ces poèmes minutieux. Elle

me regardait pleurer comme un cobaye.33

La persona che aveva parlato non provava niente. Erano sue quelle poesie minuziose. Mi guardava piangere come una cavia.

C'est là que j'ai vu courir cette fille aux longs

cheveux rouges et fous.34

Proprio lì ho visto correre quella

ragazza dai lunghi capelli rossi e spettinati.

Mais tout écrivain pense à un moment donné à la publication. Et c'est là que cette mise à nu de soi, cette confession, ce déballage livresque devient terrifiant ou grotesque.35

Ma ogni scrittore pensa a un certo punto alla pubblicazione.

Allora, il mettersi a nudo e la

confessione liberatrice diventano terrificanti o addirittura grotteschi.

On se ploie jusqu'à l'indécence et on se complaît dans l'impuissance. Je dis « on ». Je devrais dire «je», puisque c'est moi qui ai ainsi tailladé dans ma chair ce tatouage de femme soumise.36

Ci si piega fino all’indecenza e ci si compiace nell’impotenza. Dico «ci si». Dovrei dire «io», perché

proprio io ho inciso nella mia

carne il tatuaggio di donna sottomessa.

Plus que le ciel très bleu, c’est le vert de la canne, avec son chant de sucre et le noir de la pierre extraite des champs qui seront mes couleurs.37

Più che l’azzurro intenso del cielo, il verde della canna, con il suo canto di zucchero, e il nero della pietra estratta dai campi saranno i miei colori.

33 Ibid., p. 31. 34 Ibid., p. 35. 35 Ibid., p. 65. 36 Ibid., p. 71. 37 Ibid., p. 36.

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3.4. Modulazione

Se la trasposizione è un’operazione che avviene a livello della morfosintassi, la modulazione, invece, implica variazioni non soltanto nella forma, ma anche nel discorso. Mi limiterò a trattare il caso della modulazione in rapporto alla metafora. All’inizio del racconto, Ananda Devi usa una metafora molto forte per indicare la potenza delle parole rivoltele dal figlio, scrive:

«La charge de ses mots est un lâcher de taureaux».38

Forte, diretta, ma come renderla in italiano? Sono parole pesanti, cariche, proprio come un branco di tori che, liberati, iniziano a correre veloce.

La metafora è uno spostamento di senso per similarità, e cioè come similitudine abbreviata.39

A questo proposito risulta interessante la descrizione dei passaggi, che portano dalla similitudine alla metafora, di O. Reboul citato da Podeur. Sono così schematizzabili40:

1. La similitudine esplicita, del tipo: “la carica delle sue parole è pari alla forza dei tori liberati”.

2. La similitudine che non esplicita le proprie ragioni, del tipo: “la carica delle sue parole è come i tori liberati”.

3. La metafora in praesentia: “le sue parole sono tori”, in cui i due termini del paragone sono presenti nell’enunciato.

4. La metafora in absentia, in cui scompare il primo termine: “sono tori”.

Ho riportato queste variazioni perché sono interessanti ai fini del ragionamento che ho seguito per arrivare alla mia traduzione:

38 Ibid., p. 13.

39 J. Podeur, op. cit., p. 77.

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«Le sue parole caricano come tori liberati»

Per formulare questa traduzione sono partita da charge (carico). Successivamente ho trovato che un lâcher in quanto infinito sostantivato sarebbe stato troppo pesante in italiano : « è un caricare di tori ». Credo che lâcher porti in sé il significato di charge, perché ho immaginato un branco di tori che improvvisamente viene liberato; i tori “caricano” e poi corrono. Pertanto ho proceduto per esclusione: tradurre letteralmente con “la carica delle sue parole è un liberare i tori”, era, oltre che troppo letterale, troppo pesante, poco soddisfacente e non rendeva la bella immagine della metafora francese. Tradurre con “la carica delle sue parole è pari a quella dei tori liberati” avrebbe allungato e forse spiegato troppo; la bellezza della metafora, in fin dei conti, risiede proprio nella sua non immediatezza. Scioglierla così sarebbe stato troppo semplicistico. Fatto questo ragionamento ed escluse queste due possibilità ho optato per uno spostamento all’interno della frase. Dato che il fulcro della metafora è rappresentato dal peso delle parole, ho spostato mots a inizio frase, e ciò che rappresentava una caratteristica, la charge, è diventata una vera e propria azione che ha sostituito l’unico verbo, l’infinito sostantivato, spostando così il punto di vista, l’azione dai tori alle parole. «Le sue parole caricano come tori liberati» mi è sembrato il modo più appropriato per rendere la giusta immagine di ciò che l’autrice vuole dire.

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3.5. Altre osservazioni

Nel testo sono presenti altri elementi particolari che hanno implicato scelte traduttive altrettanto particolari. Ad esempio le iniziali puntate del nome dell’autrice: A.D.N, Ananda Devi Nirsimloo.

L'empathie est inscrite dans mon A.D.N., mais je lutterai contre. L'écriture est peut-être aussi inscrite dans mon A.D.N. et je m'en ferai une arme. Je réagencerai mon A.D.N. afin de n'être plus celle que j'ai été. Je serai une mutante. Une hybride, comme je l'ai toujours revendiqué. Enfin.41

L’empatia è iscritta nel mio D.N.A., ma lotterò contro di essa. Probabilmente anche la scrittura è iscritta nel mio D.N.A. e ne farò un’arma. Risistemerò il mio D.N.A. per non essere più quella che sono stata. Sarò una mutante. Un ibrido, come l’ho sempre rivendicato. E basta.

È un puro caso se le iniziali del nome e cognome dell’autrice abbreviate diano proprio l’acronimo del DNA. Tuttavia Ananda Devi è riuscita a trasmettere un’immagine bellissima utilizzandole, e non possiamo nemmeno essere sicuri del fatto che il riferimento al DNA sia intenzionale. Lo capiamo subito dopo, quando Ananda usa l’acronimo parlando del suo alter ego42:

Mes mains parlent seules, je ne réfléchis pas. A.D.N. me guide. Mes yeux passent sur tout ce qui m'entoure et rien ne m'attache. A.D.N. pose la main sur mon bras et caresse ma peau. A.D.N. me mord les lèvres et m'en arrache un morceau. 43

Tuttavia, il verbo inscrire rimanda inequivocabilmente al DNA.

DNA o ADN fa parte della categoria degli acronimi internazionali e in quanto tali vanno sempre tradotti dal momento che vi è generalmente un acronimo equivalente in ogni lingua. Questo fenomeno deve richiamare l’attenzione del traduttore in quanto l’italiano adotta con più disinvoltura il termine inglese,

41 A. Devi, op. cit., p. 77.

42 Per la prima volta, l’autrice usa il suo cognome Nirsimloo e lo fa proprio nel momento in cui si

riferisce all’altra lei, la ragazza adolescente.

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mentre il francese preferisce tradurre nella propria lingua. Per questo motivo, approfittando del fatto che spesso in italiano il cognome viene anteposto al nome, ho tradotto l’acronimo riuscendo a mantenere il “gioco” nome/dna.

Altro esempio. Parlando di suo marito, l’autrice afferma:

Attirée par cet homme de dix ans mon aîné, qui avait connu une tout autre vie que moi. (Attirée? Non, prise et éprise, sous sa tutelle et sous sa coupe.) Attratta da quest’uomo di dieci anni più grande, che aveva conosciuto tutt’altra vita dalla mia. (Attratta? No, presa e persa, sotto la sua tutela e la sua dipendenza.)

La traduzione letterale di éprise è “invaghita”. La mia scelta di tradurre con “persa” deriva dalla volontà di non perdere l’allitterazione prise éprise.

Se avessi tradotto con “presa e invaghita”, non avrei potuto riprodurre quella ripetizione di suoni non casuale di suoni. Così ho pensato alle sensazioni che prova una persona invaghita: accesa d’amore, coinvolta in tutti i sensi; proprio per questo, “persa” mi è sembrato il termine più adatto e che riproduce, allo stesso tempo, l’allitterazione.

Alla fine di questa analisi, è possibile affermare che il tessuto linguistico-sintattico non costituisce il nodo problematico traduttivo del racconto in quanto le complessità più grandi emergono, lo sottolineiamo, a livello del contenuto intertestuale. Nel tentativo di proporre una traduzione il più possibile soddisfacente ho svolto un lavoro di ricerca assiduo e, a volte, non semplice: ho consultato circa quattordici traduzioni ufficiali dei testi citati dall’autrice: ho cercato un metodo per rintracciare velocemente gli estratti e capire a quale autore appartenessero e a quale opera, visto che non sempre l’autrice dà queste

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informazioni nel testo. Dopodiché, ho cercato le edizioni digitalizzate, che mi avrebbero facilitato a individuare l’estratto citato attraverso la funzione di “riceca parola”. Non tutti i testi sono reperibili in versione digitale, pertanto ho lavorato su supporto cartaceo con tutte le difficoltà che implica trovare una citazione di due righe, a volte, in un testo di trecento pagine e anche di più. Un’altra difficoltà è data dall’intertestualità interna all’opera dell’autrice. Non avevo ancora letto nulla di Ananda Devi quando ho iniziato a tradurre il libro e subito mi sono trovata a contatto con nomi di personaggi passati. La scelta migliore è stata quella di leggere anche i romanzi più citati nel testo: Pagli, Le voile de Draupadi e le Sari Vert. Dei primi due ho letto la traduzione italiana ufficiale, che mi è servita anche per vedere come i traduttori italiani avevano reso alcuni termini che ritornano spesso in Les Hommes qui me parlent.

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