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Il gallo cedrone CAPITOLO V

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CAPITOLO V

Il gallo cedrone

“ …anch’io riparo, brucio anch’io nel fosso.”191

Il gallo cedrone risulta presente nel solo componimento omonimo, compreso nella terza raccolta poetica La bufera e altro.

L‟urogallo, o gallo cedrone, come viene comunemente chiamato, è un uccello galli-forme della famiglia dei tetraonidi; il maschio, lungo fino a più di un metro e dieci centimetri, ha il piumaggio variegato con colori che vanno dal grigio al marrone al nero e al verde lucente nel petto e sulla gola. La coda, grande e apribile a ventaglio, è nera con macchie bianche. Vive nelle foreste di conifere, ed è ancora presente nelle Alpi orientali, e in Valtellina.192 Il gallo cedrone è particolarmente vulnerabile nel periodo delle lotte con i compagni per la conquista della femmina; di solito pruden-tissimo, in questa occasione è completamente insensibile a quanto gli avviene intor-no193.

Una ricca simbologia è da riferirsi a questo raro volatile, e più in generale al gallo: considerato in passato nella cultura europea, da una parte come animale solare, che con il suo canto annuncia l‟alba e scaccia i demoni notturni, dall‟altra (soprattutto il gallo nero) come un animale magico, vittima sacrificale per le potenze infernali. Ma la simbologia positiva prevalse, e sui cammei degli amuleti, su scudi e lapidi

191 Cfr. Eugenio Montale, Il gallo cedrone, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984, p. 261. 192 Cfr. Laura Barile, Per qualche variante del gallo cedrone, in Montale Londra e la luna, Firenze,

Le Lettere, 1998, pp. 89-106: 99.

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crali, venivano rappresentati galli che dovevano scacciare con il loro canto persino leoni e basilischi. Si diceva che la cresta del gallo proteggesse dagli incubi, che l‟ingestione dei testicoli del gallo avesse un effetto afrodisiaco e che facesse partorire alla donna figli maschi; e inoltre che il gallo dissipasse le tenebre e che vicino a una partoriente facilitasse il parto. Sia per la sua cresta di colore rosso fuoco sia per le sue piume cangianti in molte culture divenne simbolo del fuoco e del Sole; già nell‟arte romanica il gallo veniva posto sui campanili come annunciatore della luce e della preghiera del mattino. La sua aggressività nel combattere per il territorio e una per-manente disponibilità nell‟accoppiamento ne fanno un animale che simboleggia la virilità, ma nell‟interpretazione cristiana il gallo è anche simbolo di Cristo che porta l‟alba del nuovo giorno della fede194

. San Gregorio fa del gallo l‟esempio del buon predicatore, dato che batte i fianchi in segno di penitenza con le ali, prima di innalza-re il suo canto. Il triplice canto del gallo durante il “rinnegamento di Pietro”, una scena rappresentata di frequente sui sarcofagi paleocristiani, indica il monito a non montare in superbia. Come personificazione della lussuria (i giovani vengono incal-zati dai “demoni dei galli”) e della litigiosità, il simbolo del gallo come quello del caprone subì un‟involuzione nel medioevo occidentale. Il gallo divenne contempora-neamente l‟animale araldico della Gallia e di san Gallo; anche san Vito venne rap-presentato assieme a un gallo seduto su un libro, e sempre un gallo, per la sua natura vigile, ornava preziosi orologi. San Pietro, rappresentato insieme al gallo ammonito-re, divenne il patrono degli orologiai. Inoltammonito-re, in antichità, la natura vigile del gallo lo rese ben presto attributo degli dei (Atena, Demetra). La sua disponibilità al combat-timento lo pose accanto al dio della guerra Ares (Marte) e al vincitore della malattia Asclepio; come annunciatore del sole esso appartiene ad Apollo. Si accompagna

194 L‟interpretazione in chiave cristiana del gallo come figura del Cristo sarà utile per la comprensione

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inoltre a Mercurio, protettore dei mercanti, e a Marte, dio della guerra, poiché è stato considerato anche simbolo della vigilanza, una virtù ritenuta indispensabile sia per i mercanti che per i soldati195. Nella tarda antichità il demone dell‟anno sugli amuleti

abraxas è rappresentato come una creatura dalla testa di gallo e zampe di serpente.

Nella mitologia nordico-germanica il gallo “cresta d‟oro” sorveglia il ponte dell‟arcobaleno che conduce alla dimora degli dei. Anche nell„Asia orientale si trova un‟interpretazione simbolica simile. Invece in Cina il gallo, decimo segno dello zo-diaco, non viene mangiato e inoltre il gallo rosso protegge dal fuoco, quello bianco allontana i demoni. Del gallo non si loda soltanto il coraggio, ma anche il buon carat-tere, dato che invita le galline al cibo, e la sua affidabilità nel provocare il risvegli: ad esempio in Giappone il suo canto fa uscire la dea del Sole dall‟oscurità. La saga in-diana fa posare il re dei galli su un albero nel leggendario paese di Jambudvipa, e il suo canto incita tutti i galli del mondo a cantare a loro volta.

Dal punto di vista della simbologia fonetica cinese il gallo (cung-ci) che canta (ming) significa anche cung-ming, cioè meriti e gloria. Ai funzionari veniva regalato un gal-lo con un‟alta cresta (cuan, anche: funzionario). Il galgal-lo insieme ai pulcini simboleg-giava la premura paterna verso i figli, nell‟accezione ristretta di figli maschi. Nono-stante il divieto ufficiale, il combattimento dei galli è ancora un divertimento popola-re, crudele ma amato nella Cina meridionale; esso degrada l‟aggressività dell‟animale a oggetto di passione competitiva, nonostante l‟importanza che a quest‟animale attribuisce il mito, secondo cui il Sole sarebbe abitato da un gallo ar-dente196.

195 Cfr. Lucia Impelluso, op. cit., p. 313. 196

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Concluso l‟excursus sull‟ampia simbologia relativa a questo volatile, è giusto sof-fermarci sul fatto che il gallo cedrone è forse uno fra gli animali più memorabili di quelli che assediano l‟immaginazione di Montale; come lo definisce la Grignani: “animale insieme araldico e commestibile, simbolico e reale”.197

La poesia Il gallo cedrone198 viene pubblicata da Montale nel 1949, sulla rivista La

fiera letteraria (a. IV, n. 21), ed è presente in tutte le edizioni di La bufera e altro:

Dove t‟abbatti dopo il breve sparo (la tua voce ribolle, rossonero salmì di cielo e terra a lento fuoco) anch‟io riparo, brucio anch‟io nel fosso.

Chiede aiuto il singulto. Era più dolce vivere che affondare in questo magma, più facile disfarsi al vento che

qui nel limo, incrostati sulla fiamma.

Sento nel petto la tua piaga, sotto un grumo d‟ala; il mio pesante volo tenta un muro e di noi solo rimane qualche piuma sull‟ilice brinata.

197 Cfr. Maria Antonietta Grignani, op. cit., p. 113. 198

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Zuffe di rostri, amori, nidi d‟uova marmorate, divine! Ora la gemma delle piante perenni, come il bruco, luccica al buio, Giove è sotterrato199.

Montale ne annuncia la stesura in una lettera a Contini del 4 Maggio 1949: “Ho scrit-to un‟ altra poesia Il gallo cedrone, ma sono troppo giù di corda per copiarla”200

. Mentre nello stralcio di una lettera del 7 giugno 1949, citata dallo stesso Contini in apparato all‟Opera in versi201

, il poeta spedisce all‟amico una versione in inglese

del-la poesia, precisando del-la dedica; “Ti unisco invece il gallo cedrone, dedicato a Guido Peyron pittore e cuoco”:

Where you after the brief shot lower (your voice seethes, black- red salmis of sky and earth at slow heat) also I shelter, I too burn in the gutter.

Your sigh asks for help. „T was sweeter

199 Dal punto di vista metrico la poesia è costituita da quattro quartine di endecasillabi regolari, ma

prive del consueto schema rimico, sostituito da una fitta rete di richiami fonici alternativi. Nel primo blocco, ad esempio, la compattezza tetrastica è mossa all‟interno della rima sparo: riparo, che antici-pa la chiusura della strofa al primo emistichio dell‟ultimo verso, poi rilanciato nel chiasmo “anch‟io riparo, brucio anch‟io nel fosso”. Questo va sua volta a rimare con il “rosso” del composto “rossone-ro”, in consonanza con “sparo” e assonanza con “cielo”, a emulazione rispettivamente della rima esterna e al mezzo. Leggermente dislocata è anche la rima volo: solo della terza quartina, mentre la trafila lento: vento: Sento garantisce, insieme ad altre consonanze quali quella tra “fiamma” e “gem-ma”, un legame verticale interstrofico. Lo schema richiama quello dell‟ Albatros baudelairiano, che funziona anche da ipotesto tematico, come presto vedremo, riallacciandosi altresì ai lontani Ossi e, per il cesello interno, ai Mottetti.

200 Cfr. Marica Romolini, op. cit., p. 307.

201 Cfr. Eusebio e Trabucco. Carteggio di Eugenio Montale e Gianfranco contini, a cura di Dante

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To live than to sink into this jelly, easier in the wind to undo than

here in the slime, crusted on the flame.

I feel in my chest your sore, beneath the colt of a wing; my burdened flight probes a wall and of us only some feathers upon the hoary ilex remain.

Grapples of rostrums, loves, nests of egges marbled, divine! Now the jemmy sprout of the perennial plants, like the grub sparkles in the gloom, Jupiter is buried202.

Questa traduzione inglese del Gallo cedrone costituisce un piccolo e attraente miste-ro: a chi era dovuta, infatti, tale traduzione?

Laura Barile ne le circostanze: “L‟enigma si è chiarito, a partire dal numero sette del 1950- 51 della rivista londinese Mandrake”203, affermando che non si tratterebbe di

una traduzione d‟autore, bensì, di una traduzione di Elémire Zolla204

; ed è infatti Montale stesso a dichiararlo, inviando il 13 giugno, il medesimo testo205 ad Arthur Boyars, editore della rivista Mandrake, dove effettivamente, come confermato dalla

202 Cfr. Laura Barile, art. cit., pp. 97-98. 203 Cfr. Ivi, p. 89-90.

204

Elèmire Zolla (1926-2002) di origini inglesi, un intellettuale di inquieta religiosità e con un forte senso del sacro. Nell‟agosto del 1959 Montale ne recensì sul Corriere un famoso testo uscito da Bom-piani, “L’eclissi dell’intellettuale”, affermando che Zolla è uno “stoico che onora la ragione umana e che sente la dignità della vita come supremo bene”.

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studiosa nel numero sette del 1950- 1951 usciranno Seven Poems di Montale, tra cui

The Wild Cock, ma nella diversa traduzione di Bernard Wall206. Tale traduzione è coeva a quella mandata a Contini nella lettera del 7 giugno 1949, anche se, stando al-le paroal-le della studiosa, non si tratterebbe della medesima traduzione; che forse in un primo momento era stata affidata a Zolla proprio in vista della pubblicazione inglese, poi invece pubblicata da Wall.

A questo punto una domanda sorge spontanea: perché la traduzione non fu più curata da Zolla, ma da Bernard Wall?

Interessante è il collegamento che la Barile intravede tra questi due primi traduttori inglesi del Gallo cedrone, da lei definiti “due atipici caratteri di cattolici, di quel cat-tolicesimo „in odore di eresia‟ […], da sempre prediletto da Montale”207

, e il loro grado di intendere il significato profondo e latamente religioso della poesia. La stu-diosa osserva fin da subito che la traduzione di Bernard Wall è evidentemente più vi-cina a quella tradizione di poesia religiosa inglese apprezzata da Montale, appare molto più coinvolta nelle implicazioni drammatiche e metafisiche contenute nella condizione della bestia ferita. Zolla “allenta” il testo, dal punto di vista ritmico e se-mantico, mentre Bernard Wall ne coglie e ne accentua il senso sacrificale cristiano della vicenda208.

Per un confronto riporto di seguito la traduzione di Bernard Wall:

206 Bernard Wall (1908- 1974) , intellettuale cattolico inglese, si era laureato in filosofia a Friburgo, e

aveva passato quasi un anno a Roma nel 1939-40. Tornato in Inghilterra si era fatto assumere dal Fo-reign Office, Italian Affairs, per lavorare ad una ricerca. Di fronte all‟imprevisto fenomeno della Resi-stenza, fu incaricato di dare lezioni di lingua, cultura e politica italiana agli ufficiali dell‟esercito in-glese che sarebbero sbarcati in Nord Africa. Ma al momento dello sbarco, impaziente, partì egli stes-so, e giunse a Roma nel 1944, per rimanervi due anni, come addetto alla Section D in via Po. Lì aveva tradotto I promessi sposi. Tornato a Londra, lavorò per la BBC nel programma La voce di Londra, che presentava scrittori inglesi e americani con riferimento alla letteratura italiana e al loro background filosofico: la sua passione per il numinoso e la sua formazione bergsoniana trovarono affinità con il Montale del 1948, teso a scorgere il divino nell‟umano.

207 Cfr. Laura Barile, art. cit., p. 94. 208

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Where you fall hedlong with the brief burst of firing (your cry ferments, red – black

broth of heaven and earth over slow – coals) I too take shelter, I too burn in the ditch. The sob is a cry for help. It was sweeter to be alive than sink into this lava easier to fall to pieces in the wind

than here in the mud, incrusted on the flame.

In your breast I feel your wound, beneath a clot of wing; my dull and ponderous flight attempts a wall and of us there remains only some feathers on the frosted ilex.

Tussles of nests, loves, nests marbled with eggs, ah godlike! Now the jewel

of the perennial plants, like the ribboned trimming sparkles in the darkness, Jove is buried209.

Anche in questo caso, come spesso accade in Montale, lo spunto si trova in uno scrit-to coevo, una prosa dal tiscrit-tolo Sulla strada di Damasco210; dove un accidentale guasto

209 Cfr. Laura Barile, art. cit., p. 98.

210 La prosa, riunita poi in Fuori di casa, è dello stesso anno della lirica: appare, infatti, sul “Corriere

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della macchina costringe il poeta ad una sosta forzata, appunto, sulla strada di Dama-sco. Tale accidente porterà all‟incontro casuale tra il poeta in veste di reporter, e il signor Matoufli “un grosso mercante di tessuti, nativo di Aleppo”, il quale racconterà al poeta che:

Ogni domenica si radunava da lui o presso altri amici un gruppo di gourmets, di buon-gustai non quantitativi, ma qualitativi. Ognuno offriva a turno, di settimana in settima-na, una pietanza cucinata con le proprie mani; poi, alla fine della tornata, il maggiore in-tenditore – il cadì del vicino villaggio druso – designava il vincitore, che per un pezzo mangiava gratis nelle case dei concorrenti sconfitti. Il signor Matoufli […] era impegna-to in una dura partita perché la domenica precedente un gallo cedrone in salmì, stracotimpegna-to e convenientemente imputridito, non troppo asciutto, anzi annegato in una certa bagnet-ta densa e pure coulante, fatbagnet-ta d‟olio di girasole e di olive pesbagnet-tate, era riuscito a disbagnet-tan- distan-ziare di gran lunga tutti gli altri concorrenti. Il cadì non aveva fatto mistero del suo compiacimento. Bisognava battere il rivale sul piano della semplicità211.

Il collegamento con la prosa si comprende soprattutto in relazione alla scena del “sa-crificio” del gallo cedrone, che acquista una particolare evidenza con la dedica a Pey-ron “pittore e cuoco”, il pittore fiorentino che viveva in via degli Artisti e che inse-gnò la pittura a Montale212. Difatti nel Gallo cedrone la tela montaliana oscilla conti-nuamente fra i due poli della pittura e della cucina: l‟abbattersi della preda ferita do-po il coldo-po secco, e do-poi il ribollire, il gorgoglio della sua voce, con la apdo-posizione co-loristico- culinaria “rossonero salmì”. Ma la notazione coco-loristico- culinaria è anche mistica, perché il salmì, la cottura a lento fuoco fino ad amalgamare gli ingredienti, è qui un amalgama di “cielo e terra”, i colori del cielo e della terra mischiati. Vista questa mescolanza di terrestre con il divino si potrebbe ipotizzare una parentela con

211 Cfr. Sulla strada di Damasco (FC) in Prose e racconti, a c. e con introduzione di Marco Forti.

No-te ai No-testi e varianti a c. di Luisa PreviNo-tera, Milano, Mondadori, 1995, pp. 292-297.

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il gallo silvestre leopardiano213, caratterizzato proprio dal suo partecipare insieme del divino e del terrestre e la cui caratteristica, anche iconografica, sono i piedi conficcati nel suolo e la testa che raggiunge il cielo: “affermano alcuni maestri e scrittori ebrei, che tra il cielo e la terra, o vogliamo dire mezzo nell‟uno e mezzo nell‟altra, vive un certo gallo selvatico; il quale sta in sulla terra coi piedi, e tocca colla cresta e col bec-co il cielo”.214 La seconda quartina, dopo il passaggio culinario che culmina nel pro-cesso di auto- identificazione nella sofferenza, e nel sacrificio sul fuoco, del poeta con l‟uccello- angelo (o Cristo) ferito, torna alla scena di caccia e al “singulto” della “voce” del gallo, che tuttavia non è più solo ferito, ma anche incrostato di sangue rappreso sulla fiamma in una lenta e dolorosa cottura, opposta al libero “disfarsi al vento”, della sua condizione precedente.

Nella seconda parte, il processo penoso e doloroso dell‟identificazione e dell‟assunzione su di sé della “piaga” è avvenuto, all‟io si sostituisce un “noi”: il vo-lo del poeta- uccelvo-lo ferito, incrostato di sangue e di fango, si è fatto pesante, il luogo topico del muro resta invalicabile. Espressivi i versi 11-12: “…e di noi solo rimane / qualche piuma sull‟ilice brinata.”, dove un elemento freddo (la brina sull‟elce) e “qualche piuma” testimoniano l‟avvenuto passaggio- volo dell‟uccello ferito. L‟amore e la fecondazione, faticoso fine ultimo nel processo d‟interramento e risalita dell‟Anguilla, anche essa figura del mistero e dell‟Incarnazione, che in questa poesia sono espressi invece dalle zuffe amorose di becchi e di nidi, che producono uova va-riegate: segno dell‟essere divino, variegato, delle cose e della natura, come nel sonet-to La bellezza cangiante che Montale aveva tradotsonet-to da Hopkins e pubblicasonet-to nel

213 Ci si riferisce al Cantico del gallo silvestre, composto a Recanati tra il 10 e il 16 novembre 1824. Il

cantico è l‟ultima Operetta Morale scritta nel 1824 da Giacomo Leopardi, e ha il carattere di una con-clusione della raccolta. Ne esprime, infatti, i temi centrali: il senso angoscioso della vita come priva-zione e come nulla; la fatale infelicità dell‟uomo. È giustamente considerata il cantico della morte in-tesa come unica possibile conclusione dell‟esistenza dolorosa e assurda dell‟uomo e di tutte le cose.

214 Cfr. Giacomo Leopardi, Cantico del gallo silvestre, in Poesie e prose, a cura di Rolando Damiani,

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1948. Il trascolorare di un colore nell‟altro e di una sostanza nell‟altra, il coesistere nella natura di segni diversi o anche opposti, indica, nel sonetto del poeta mistico in-glese, la natura divina che si è incarnata, l‟impronta di Dio nel mondo215

.

Il grande uccello immaginato da Montale, come ricorda Filiberto Borio, realizza nell‟ordine della natura la sintesi degli estremi. La sua vita rappresenta lo spegnimen-to eroico del vitale. Il soggetspegnimen-to non ha ricevuspegnimen-to una fucilata, bensì si è lanciaspegnimen-to lui stesso a superare un ostacolo ed è caduto a far compagnia all‟uccello, e lì, “nel fos-so”, ne condivide il destino: “Sento nel petto la tua piaga”; espressione chiara e pro-fonda dell‟identificazione tra il soggetto e il volatile. Borio, inoltre, suggerisce che la cottura, “il lento fuoco”, la “fiamma” rappresentano la condizione di sensualità chiu-sa e affogata, che non può spiegarsi liberamente come la vitalità degli dei; secondo lo studioso la cottura a fuoco lento rappresenterebbe sostanzialmente la “cottura” reli-giosa216. Infatti il sottofondo della lirica è latamente religioso, soprattutto se si identi-fica il sacrificio del gallo con quello di Cristo, e non mancano di certo gli indizi a fa-vore di questa tesi, uno fra i quali la “piaga” nel costato del gallo- Cristo.

La mediazione in questo senso può essere stata fornita a Montale dall‟albatros- ani-ma, empiamente ucciso dal protagonista di The Rime of the Ancient Mariner di Cole-ridge, già citato come possibile modello da Lonardi217, che oltre ad ergerlo a simbolo del sacro uccello ucciso, lo lega alla fine dell‟innocenza e al relativo senso di colpa del passaggio all‟età adulta. Quindi l‟uccello sofferente diventa, da emblema della donna angelo, un alter ego del poeta, che vi si identifica, allineandosi a un immagina-rio collaudato che va dal passero solitaimmagina-rio di Leopardi all‟usignolo di Keats, fino

215 Cfr. Laura Barile, art. cit., p. 95-97. 216

Cfr. Filiberto Borio, Il fiocco della vita. Parabola dell’Io nella poesia di Eugenio Montale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1997, pp. 158-160.

217 Cfr. Gilberto Lonardi, La lunga scia della cometa: il Leopardi di Montale, “Resine”, n. s., 84

(2000), pp. 23-45, poi in Winston Churchill e il bulldog. La “Ballata” e altri saggi montaliani, Vene-zia, Marsilio 2011, pp. 19-48: 41.

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all‟albatros di Baudelaire, con il quale ha in comune anche la sorte di re scoronato, umiliato, ridotto in cattività. Lonardi inoltre pone l‟accento su come Montale sia de-bitore soprattutto a Leopardi, per il rapporto particolare che si stabilisce fra il poeta e l‟uccello ferito. Del resto non è una coincidenza che proprio nel 1949, stesso anno dell‟uscita del Gallo cedrone, Montale scriva un intervento leopardiano sul passero solitario, dal titolo In regola il passaporto del “Passero solitario”. Guardandolo da questa prospettiva il testo montaliano ripropone il complicato rapporto io- tu del

Pas-sero solitario ma spingendosi ben oltre, fino alla confusione dell‟io con la fine stessa

del tu- cedrone; fino al “noi” e fino a un allucinata morte insieme. Ma come ricorda Lonardi, è solo nella chiave dell‟uccisione e del connesso senso di colpa e di perdita d‟anima, e dunque di perdita di innocenza e giovinezza, che Montale può ritrovarsi nella memoria del passero solitario, e così facendo sembra dirci che l‟innocenza dell‟io è morta con Leopardi stesso218

. A questo proposito bisogna sottolineare che il mondo e gli anni della fanciullezza nel Gallo cedrone vengono solo accennati nel momento del loro sacrificio, tramite la riattivazione di alcuni moduli degli Ossi come “volo” e “muro” strettamente collegati al mondo dell‟infanzia e della giovinezza.

Il gallo cedrone si chiude sul famoso tema della “luce-in tenebra”, ovvero Clizia

ri-condotta al luccichio del bruco nel buio, e il sotterramento di Giove219. La lirica sembra suggerire che la speranza di un riscatto può ormai essere affidata solo al mondo di quaggiù, a un‟esistenza che non disdegni di compromettersi con il “limo” e con il “magma”. Solo abbassandosi e accettando il reale, il poeta e la sua poesia pos-sono continuare a vivere. Tramontato il grande sogno nel nome di Clizia, constatata definitivamente l‟inattuabilità di quell‟ideale messianico e universale, non resta che

218 Cfr. Gilberto Lonardi, La lunga scia della cometa, cit., pp. 39-42. 219

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conservare la luce, il “tenue bagliore” residuo nel “buio” della terra, finché non potrà riaccendersi, ma restando stavolta in un ambito del tutto privato e quotidiano220.

Interessante è il fatto che la lirica si chiuda con l‟allusione a un famoso verso carduc-ciano, “Muor Giove, e l‟inno del poeta resta”221, che Montale rovescerà completa-mente chiosando ne L‟élan vital, del Diario del ’72, “Muore Giove, Eccellenze, e l‟inno del Poeta NON resta” dove chiara è l‟autodiminuzione dell‟io e della sua fun-zione di poeta. Nel Gallo cedrone si compie dunque il sacrificio dell‟io- Giove, men-tre l‟“inno” vacilla sul crinale, come sostiene la Romolini, tra la sorte che avrà poi appunto nel Diario del ’72 e la sopravvivenza di una labile traccia, pronta all‟occorrenza a riemergere dal fango, sebbene in tutt‟altra veste. L‟interramento del-la poesia alta non è infatti che un preludio aldel-la sua rinascita222. La morte del soggetto celebrata nel Gallo cedrone e la delega della resurrezione a una vitalità naturale, esterna e tutta terrestre, si chiariscono solo tenendo conto della nuova passione per Volpe223, incarnata da quella gemma che sul finire luccica al buio “come il bruco” in attesa di divenire farfalla. Come dichiara la Grignani224: “da un poeta che ha sempre dichiarato di non saper cavare nulla dalla pura invenzione, i dati ambientali rispon-dono sempre alla cornice biografica effettiva, spesso con parole – tema che appaiono selezionate proprio a partire dalle lettere”. Proprio nel Fondo Spaziani, sono state ri-trovate due copie de Il gallo cedrone, una dattiloscritta e una manoscritta. A riprova dell‟attrazione della lirica nella sfera d‟influenza di Volpe troviamo un‟ulteriore let-tera inviata alla Spaziani datata 18 giugno 1949, dove Montale dedica alla donna i seguenti versi: “You are my Goddess leaving the bathroom, / you are my fireworm

220 Cfr. Marica Romolini, op. cit., p. 309. 221

Cfr. Giosue Carducci, Dante, in Rime Nuove (Giosuè Carducci, Tutte le poesie, a c. di Pietro Gibel-lini, note di Marina Salvini, Roma, Newton Compton, 1998).

222 Cfr. Marica Romolini, op. cit., p. 310. 223 Cfr. Ivi, p. 308.

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shining in the gloom, / my life, my strife, my Doom”, dove la lucciola che brilla al buio “my fireworm shining in the gloom” ha il suo precedente proprio nel “bruco” che “luccica al buio” del Gallo cedrone.

L‟estremo messaggio che sembra consegnarci Il gallo cedrone è che non solo Clizia, non solo la poesia stessa, ma anche il poeta deve inabissarsi ed esperire in prima per-sona gli inferi; la via del riscatto arriverà solo con Volpe, l‟unica, come sembra sus-surrare il poeta, con la quale verranno “espiate le mie colpe.”225.

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