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Capitolo 1. Lo stato dell’arte
1.1 Le protesi dentali: cosa sono e come vengono classificate
Si definisce protesi dentale un manufatto, realizzato da un Odontotecnico abilitato, utilizzato per rimpiazzare la dentatura originaria persa o compromessa per motivi funzionali e/o estetici. Tale manufatto deve rispettare i seguenti requisiti:o Funzionalità: riguarda il ristabilimento della corretta masticazione e delle funzioni articolari;
o Resistenza: la protesi deve resistere al carico masticatorio e all'usura dei liquidi boccali;
o Innocuità: la protesi deve essere costruita con materiali che non siano tossici e non deve presentare "angoli vivi" che potrebbero danneggiare i tessuti;
o Estetica: i denti artificiali devono essere il più possibile simili a quelli naturali in modo da non alterare il corretto profilo facciale del paziente.
Si possono distinguere diverse tipologie di protesi dentali. In base alla possibilità di essere rimosse dal cavo orale, si distinguono in:
Protesi fissa: la protesi fissa sostituisce gli elementi dentari naturali con manufatti
definitivi e stabili. Si tratta di protesi cementate a pilastri di sostegno naturali (denti e radici contigui) e perciò non rimovibili dal paziente. Tipici esempi di protesi di questo tipo sono le corone e i ponti. Le prime ricostruiscono la parte coronale dei denti naturali, mentre i secondi sostituiscono uno o più denti mancanti. Il collegamento di queste protesi ai denti naturali viene effettuato tramite particolari materiali denominati cementi dentali.
Le protesi fisse possono essere costituite da un solo tipo di materiale o da due tipi di materiali diversi. Nel primo gruppo si annoverano le protesi in ceramica, le protesi in resina composita e le protesi metalliche. Al secondo gruppo appartengono le protesi in metallo-ceramica, formate da un sottostruttura metallica ricoperta da uno strato ceramico, e le protesi in metallo-resina, formate da una sottostruttura metallica ricoperta da uno strato di resina composita.
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Protesi mobile: la protesi mobile è volta a sostituire una parte o l'intera arcata dentaria e può essere rimossa dal paziente allo scopo di eseguire le ordinarie manovre di igiene quotidiana. La protesi mobile può essere:
- parziale: ancorata per mezzo di ganci ai denti naturali residui. Essa è formata dalle due parti seguenti: un telaio (o scheletro o armatura) metallico che si collega ai denti residui tramite appositi dispositivi denominati ganci, e una o più basi (o selle) in resina collegate al telaio suddetto che portano i denti artificiali.
- totale: in mancanza di denti o radici naturali residui, la protesi totale in resina (dentiera) sostituisce una o entrambe le arcate dentarie poggiando unicamente sulle mucose e sull'osso del paziente. Nonostante la stabilità della protesi sia compromessa dal graduale riassorbimento osseo (tale da richiedere successive "ribasature" da parte del dentista) e la forza masticatoria sia ridotta rispetto ad altre soluzioni protesiche, la protesi totale rappresenta tutt'oggi una soluzione economica e poco complessa per ripristinare le funzioni orali del paziente.
Fig. 1.1 Esempio di protesi mobile
Le protesi sono ulteriormente suddivise in:
Protesi combinata: sono protesi nelle quali una parte rimovibile è combinata con
una o più parti fisse. Esse sono pertanto formate da una o più parti che vengono collegate permanentemente a denti naturali o a radici dentarie residue e da una seconda parte che può essere inserita e disinserita dal paziente. Esistono vari tipi di protesi combinate, che differiscono principalmente per la loro conformazione e per le modalità di collegamento tra le parti rimovibili e quelle fisse. Tale collegamento può infatti essere conseguito mediante attacchi di precisione, accoppiamenti conometrici, barre di ancoraggio ecc. Questo tipo di dispositivo, fissandosi a perni artificiali, offre il vantaggio di non scaricare la propria forza masticatoria sui denti residui, minandone progressivamente la salute e la stabilità, come avviene nel caso della protesi parziale.
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Fig 1.2 Esempio di protesi combinata
Protesi su impianti: Sono protesi che nella cavità orale vengono collegate a particolari dispositivi denominati impianti dentali. Gli impianti vengono realizzati a livello industriale ed essi vengono prescelti dagli odontoiatri a seconda del caso da trattare e vengono inseriti chirurgicamente nelle ossa mascellari o nella mandibola. Il loro scopo è essenzialmente quello di fungere da radici dentarie artificiali, in grado di fornire sostegno ed ancoraggio alle protesi dentarie. Dopo il loro inserimento chirurgico, la loro parte inserita nel tessuto osseo viene da quest'ultimo inglobata tramite un processo noto come osteointegrazione. Gli impianti vengono generalmente realizzati in titanio o in leghe di titanio. Le protesi su impianti possono essere alquanto varie ed possono essere suddivise in fisse e rimovibili. Quelle fisse vengono collegate agli impianti tramite piccole viti o mediante cementazione. Per la realizzazione di quelle rimovibili è in genere prevista la costruzione di una mesostruttura che viene collegata agli impianti in modo stabile e sulla quale si inserisce la parte rimovibile. [1]
Fig 1.3: A sinistra: protesi rimovibili su impianti. A destra: protesi fisse su impianti
1.2 I materiali utilizzati
Il settore odontoiatrico si caratterizza per un’ottima propensione all’innovazione per quanto riguarda i materiali adottati nella produzione di protesi dentali. Dalle originali
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protesi in metallo, si è assistito negli ultimi anni all’avvento di una moltitudine eterogenea di materiali, quali ceramiche, vetroceramiche, resine, protesi in PMMA. Vengono create anche protesi in cera, utilizzate come manufatto transitorio per l’ottenimento di protesi metalliche attraverso il procedimento di colata a cera persa.
1.2.1 Le ceramiche
I materiali ceramici sono costituiti da composti inorganici caratterizzati da frattura fragile. Utilizzati in diversi settori, sono ottenuti con costituenti base quali caolino ≈ 50%, quarzo ≈ 25% e feldspati ≈ 25%. In particolare, i prodotti ceramici impiegati in odontotecnica si diversificano dai suddetti per la percentuale di caolino, che è molto inferiore; infatti la struttura finale delle porcellane dentali è costituita da una matrice vetrosa che ingloba particelle cristalline di varia natura, variabili secondo il tipo di prodotto. Le ceramiche hanno una struttura costituita principalmente da una base di tetraedri silicati, con la presenza di cationi metallici disseminati tra i tetraedri silicatici (K, Na, Li).
Fig 1.4: Polveri ceramiche
Le porcellane sono ampiamente utilizzate in odontoiatria perché sono: Stabili e inalterabili nel cavo orale,
Ben tollerate dai tessuti boccali, Resistenti all'usura,
Con caratteristiche estetiche eccellenti in quanto possiamo impartire loro le più svariate sfumature di colore.
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Tra gli aspetti negativi abbiamo una bassa resistenza alla trazione ed una considerevole fragilità; possiamo però ovviare a questi inconvenienti creando ad esempio delle strutture ibride (metallo-ceramiche).
Le ceramiche possono subire differenti lavorazioni, ciascuna con peculiari forme: possono presentarsi sotto forma di cialde, quindi come materiale solido e compatto, che ben si presta a lavorazioni automatizzate tramite CAD/CAM; oppure possono essere utilizzate in forma pastosa, con apporto goccia a goccia, prettamente artigianale, per ricreare manualmente la forma del dente da replicare. La sostanziale differenza tra le due lavorazioni è la fase in cui si trova il materiale ceramico, che nella prima è post-cottura, nella seconda, invece, ante-cottura. Ovviamente, tutte le porcellane dentali hanno origine comune e vengono prodotte sotto forma di polveri, le quali, per il loro impiego, vengono impastate con liquidi opportuni. L'impasto ottenuto viene modellato nella forma desiderata (sia essa cialda o ricostruzione dentale), impiegando degli appositi strumenti, e poi posto in cottura. Durante quest’ultima fase abbiamo la sinteri delle particelle che formano le polveri, durante la quale si presenta una contrazione volumetrica, e con il successivo raffreddamento otteniamo una massa rigida e compatta che conserva la forma impartita prima della cottura.
Le ceramiche (o porcellane) possono essere classificate in base alla temperatura alla quale è necessario portare l'impasto per ottenere le migliori caratteristiche fisiche ed estetiche. In base alla temperatura di cottura vengono suddivise in:
1 Porcellane ad alta temperatura di cottura (oltre 1200 °C)
Vengono impiegate per la costruzione di denti artificiali in porcellana anche se il loro impiego è attualmente molto limitato. I componenti base sono: feldspati dal 75% all'85%; quarzo dal 12% al 22%; caolino 4%. A queste sostanze base vengono aggiunti ossidi metallici di diversa natura, come coloranti e opacizzanti, in modo da conferire loro le opportune caratteristiche (opacità, traslucidità, sfumature di colore).
2 Porcellane a media e bassa temperatura di cottura (1200°-1050°C, al di sotto dei
1050°C per basse temperature)
Questo tipo di porcellane in base all'impiego e alla diversa natura e proporzione dei singoli componenti vengono suddivise in:
2.1 Porcellane feldspatiche: Le materie prime di questo tipo di porcellana sono feldspati per il 60%, silice per il 25% e fondenti per il restante 15%
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(aventi lo scopo di abbassare la temperatura). A questi vengono aggiunti alcuni ossidi metallici per conferire loro le dovute caratteristiche. Ad esempio, possono presentare aggiunte di ossido di potassio (K2O) e ossido
di sodio (Na2O), che provocano un aumento del coefficiente di dilatazione
termica lineare, rendendo la porcellana compatibile con le leghe metalliche di eventuali sottostrutture.
2.2 Porcellane alluminose: Vengono utilizzate al posto delle porcellane feldspatiche se si vuole costruire un manufatto più resistente; infatti queste porcellane contengono delle particelle di allumina disseminate nella matrice vetrosa dopo la cottura, che conferiscono la necessaria resistenza. [2]
1.2.1.1 Approfondimento: la Zirconia
La zirconia è un materiale ceramico particolarmente utilizzato per applicazioni odontoiatriche. Il diossido di zirconio (ZrO2), conosciuto come zirconia, è un ossido
cristallino bianco di zirconio. La relativa forma più naturale, con una struttura cristallina monoclina, è il minerale raro, baddeleyite.
Fig. 1.5: A sinistra: Esempio di cialda in Zirconia. A destra: baddeleyite
La Zirconia è una sostanza cristallina polimorfa: fino a 1170°C presenta struttura cristallina monoclina. Da 1170°C a 2370°C presenta struttura cristallina tetragonale. Oltre 2370 °C presenta struttura cristallina cubica. L'espansione di volume causata dalla transizione da cubico a tetragonale e da tetragonale a monoclina induce sforzi molto grandi e quindi lo ZrO2 a fessurarsi durante raffreddamenti bruschi.
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Fig. 1.6: Strutture cristalline della Zirconia
Vari ossidi si aggiungono alla zirconia per stabilizzare le fasi tetragonale e/o cubica: ossido di magnesio (MgO), ossido dell'ittrio (Y2O3), ossido di calcio (CaO) e ossido di
cerio (Ce2O3).
È importante analizzare un beneficio proveniente dalla struttura tetragonale: in alcuni casi, infatti, la fase tetragonale può essere metastabile. Se le quantità della fase tetragonale metastabile è sufficiente, al presentarsi di una cricca può avvenire che, nel passaggio da fase tetragonale a monoclina, con la relativa espansione di volume collegata, si ha una concentrazione di sforzo all’apice
della cricca. Questa trasformazione di fase mette la cricca in compressione, ritardando la relativa propagazione ed aumentando la resistenza a frattura. Questo meccanismo estende l'affidabilità ed il corso della vita dei prodotti fatti con la zirconia stabilizzata. [3]
Fig. 1.7: Meccanismo di compressione della cricca
1.2.1.2 Approfondimento: l’Allumina
Per completezza, si riportano le informazioni relative ad un’altra classe di materiali ceramici estremamente diffusi in ambito odontoiatrico: l’Allumina.
L'ossido di alluminio (o allumina) è l'ossido ceramico dell'alluminio caratterizzato da formula chimica Al2O3. Questo materiale, all'apparenza molto fragile e poco
utilizzabile, risulta invece fondamentale in molteplici campi, per le sue ottime proprietà, quali:
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buona resistenza alla corrosione sia in ambienti acidi che in ambienti alcalini; materiale non soggetto al fenomeno di ossidazione;
ottime proprietà dielettriche;
ottimo grado di durezza: l'allumina ha una durezza di Vickers di 18.000 MPa, mentre per un acciaio rapido è di soli 9.000 MPa;
ottima resistenza all'usura: la durata di un componente costituito da questo materiale ceramico è superiore di circa 10-13 volte (nelle stesse condizioni di impiego) rispetto ad uno stesso componente realizzato in acciaio;
eccellente biocompatibilità: l'allumina viene impiegata per applicazioni biomedicali in quanto, oltre alle proprietà sopra citate, non presenta il fenomeno del rigetto quando è a contatto con i tessuti viventi.
Tra le caratteristiche negative si ha una non elevata resistenza meccanica ed una bassa resistenza agli shock termici. [3]
1.2.2 Le resine composite
Con il termine resina composita si intende una famiglia di materiali compositi, costituiti, in base al tipo di resina, da differenti monomeri. Le resine composite sono generalmente composte di tre, cosiddette, fasi:
1) Resina di base (fase o matrice organica);
2) Riempitivo inorganico minerale (fase dispersa);
3) Agente legante per l'unione della matrice con il riempitivo (fase intermodale). La resina di base, o matrice organica, pesa circa per il 45% sulla massa totale del composito ed è a sua volta costituita dall'unione di due o più monomeri, al fine di ottenere la viscosità che consente l'incorporazione del riempitivo e la manipolazione del composto così ottenuto. I monomeri costituenti la struttura possono conferire diverse caratteristiche al materiale, in base al tipo ed alla percentuale di monomeri presenti. La resina passa dallo stato pastoso allo stato solito grazia alla polimerizzazione. La polimerizzazione è la reazione chimica che determina l'indurimento del materiale, grazie alla quale è possibile ottenere un complesso macro molecolare al termine di una reazione a catena innescata. Tale reazione può essere causata per energia chimica (catalizzatore+iniziatore), oppure per energia luminosa (foto-polimerizzazione). Quest’ultima risulta particolarmente performante e rappresenta il tipo di reazione
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chimica tendenzialmente favorita. Infatti, i compositi foto-polimerizzanti sono caratterizzati da minore contrazione d’indurimento, maggiore stabilità cromatica, maggio durata del materiale e minore porosità (per assenza di bolle d'aria nel loro insieme). [4]
Fig. 1.8 A sinistra: Cialda in resina. A destra: resina pastosa
Come le ceramiche, anche le resine possono essere utilizzate ex-ante o ex-post il processo di solidificazione. Dato che in questa sede si ha lo scopo di confrontare due differenti processi di asportazione di materiale, ci concentreremo principalmente sulle resine compatte sotto forma di cialda. L’utilizzo di dischi in resina comporta, in prima battuta, non pochi vantaggi. I dischi aumentano infatti notevolmente l‘efficienza del materiale, in quanto il materiale di scarto risulta minimo grazie alla possibilità di inserire molteplici manufatti all’interno di uno stesso disco.
Fig. 1.9 Dischi contenenti molteplici manufatti
Permettono inoltre una lavorazione di precisione estrema, fino ad ottenere anche margini sottilissimi. Infine, i prodotti ottenuti necessitano di minime operazioni
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aggiuntive, limitandosi a perfezionare la finitura. L’output è quindi assimilabile al vero e proprio prodotto finito.
La KaVo Dental Excellence, leader nel campo della tecnologia CAD/CAM odontotecnica, suddivide così le resine dentali:
1- Resina composita priva di metilmetacrilato: Si tratta di un polimero di origine acrilica, con riempitivi in microparticelle. Questo tipo di resina presenta straordinarie proprietà di fresatura, una scarsa affinità alla placca, lunga stabilità cromatica ed eccellenti caratteristiche di lucidatura. È un composito privo di metilmetacrilato e ciò assicura l’assenza di qualsiasi potenziale fenomeno irritante della gengiva e della polpa per effetto di monomeri residui. Inoltre, tale materiale presenta un’ottima resistenza all’abrasione e una naturale fluorescenza e traslucenza.
2- Calcinabile senza residuo
3- Resina polimerica ad alte prestazioni rinforzata con fibre: Tale materiale è composto da catene molecolari senza fine, che causano un incremento della resistenza del polimero oltre i 500 MPa ed un modulo a flessione di 2000 MPa. Viene tipicamente utilizzata per la creazione di cappette o ponti, anche per lunghezze considerevoli (massimo 14 elementi), capaci di resistere come provvisori di lunga durata.
1.2.3 Il PMMA
Il polimetilmetacrilato (in forma abbreviata PMMA) è un materiale plastico formato da polimeri del metacrilato di metile, estere dell'acido metacrilico. Nel linguaggio comune il termine metacrilato si riferisce generalmente a questi polimeri. È noto anche con i nomi commerciali di Acrivill, Altuglas, Deglas, Limacryl, Lucite, Oroglas, Perclax, Perspex, Plexiglass,Resartglass, Vitroflex, Trespex e Setacryl.
Oggigiorno sono disponibili diversi materiali PMMA per la realizzazione di denti:
1- Classici denti PMMA, in cui un polimero lineare non reticolato viene impastato con
un monomero contenente reticolante;
2- Denti in PMMA riempiti inorganicamente, i quali si basano su polimetilmetacrilati
ai quali vengono aggiunti riempitivi inorganici;
3- Denti in PMMA altamente reticolato: IPN. L’IPN (reticolo di polimero
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processi di rigonfiamento (maturazione), i polimeri di diversa natura chimica e fisica compenetrino a vicenda e si intreccino;
4- Denti in PMMA altamente reticolato: DCL, nei quali sia il polimero che la matrice
sono reticolate uniformemente. Grazie alla doppia reticolazione, si elimina l’esposizione di perle di polimero solubili. Ciò porta anche maggiore resistenza all’abrasione e ottima resistenza ai solventi, nonché stabilità cromatica, resistenza alla placca, elevata resistenza alla rifinitura, eccellenti caratteristiche di lucidità, buona adesione con i materiali per protesi. Infine, non risulta irritante per i tessuti. [6]
Fig 1.10: Microfotografie. In alto a sx: classici denti in PMMA. In alto a dx: denti in PMMA riempiti inorganicamente. In basso a sx: IPN. In basso a dx: DCL
1.2.4 La cera
Le cere sono sostanze ampiamente utilizzate nei laboratori. Il loro uso non è legato alla realizzazione della protesi finale, ma alla creazione di un manufatto transitorio che poi dovrà essere soggetto alla fusione a cera persa per creare la protesi metallica che effettivamente verrà inserita nella bocca del paziente.
La proprietà che le rende indispensabili è la termoplasticità, la possibilità cioè di passare dallo stato rigido allo stato plastico con un modesto apporto di calore, e viceversa, recuperando rigidità durante il raffreddamento. Ovviamente questa proprietà non esclude la possibilità di poter lavorare la cera anche tramite asportazione di truciolo. È difatti di uso comune lavorare la cera anche su macchinari CAM, tipicamente fresatrici, per poter ricreare, tramite un processo di sottrazione, la forma della protesi desiderata.
Le cere ad uso dentale sono per la maggior parte composte da cere naturali e in misura inferiore da cere sintetiche e da diversi e molteplici additivi. Le cere naturali
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sono di origine animale, vegetale e minerale e dal punto di vista chimico sono definibili come esteri di grassi superiori e alcoli.
Tra le cere animali, la più nota è sicuramente la cera d’api. La cera purificata ha un intervallo di rammollimento sui 40°-45°C ed un intervallo di fusione compreso tra i 62° e i 65°C. Risulta friabile a freddo e non molto dura a temperatura ambiente.
Per quanto concerne le cere vegetali, la più nota è la cera carnaùba derivata da una palma. Più dura e fragile della cera d’api, presentando un intervallo di fusione compreso fra gli 83° e i 91°C. È impiegata per aumentare l’intervallo di fusione e la durezza di altre cere. Un altro tipo di cera vegetale è la candelilla, la quale presenta un intervallo di fusione tra 65° e 69°C e viene miscelata in genere con la paraffina per aumentarne la durezza e l’intervallo di fusione.
Successivamente, tra le cere minerali, la più nota è sicuramente la paraffina, costituita da un miscuglio di diversi idrocarburi, ottenuta per raffreddamento dei residui della distillazione dei petroli greggi. Presenta un intervallo di fusione tra i 40° e i 70°C. Per aumentarne la durezza e l’intervallo di fusione, possono venirle miscelate la ceresina (derivata per raffinazione dell’ozecherite) e la montana, cera minerale estratta da alcuni tipi di lignite.
Relativamente alle cere sintetiche, presenti in percentuali piuttosto limitate nelle cere per uso dentale, va specificato che si tratta di composti organici complessi di varia composizione, che presentano un elevato grado di purezza e proprietà controllate. In questa trattazione non verranno particolarmente analizzate in quanto trattasi di composti utilizzati principalmente per la modellazione di protesi in via artigianale.
Citiamo infine le cere speciali, un’ampia gamma di cere utilizzate per particolari operazioni di ceratura. Tra queste, rientrano le “cere cervicali”, particolarmente scorrevoli ed atte ad ottenere chiusure con spessori sottilissimi; le “cere per fresaggio”, che devono essere molto dure, per avere superfici estremamente lisce; o le “cere adesive”, per unire fa loro parti in cera. In generale, possono definirsi speciali le cere con caratteristiche di assenza di residui carbonosi, atte cioè a non produrre danno dovuti all’accumulazione di calore. [7]
1.2.5 Confronto delle proprietà dei materiali
Nella tabella sotto riportata (Tab. 1.1), vengono posti a confronto i principali materiali appena analizzati. Questi saranno poi i materiali impiegati in fase sperimentale; è
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importante dunque conoscere le caratteristiche di ognuno. Vengono riportate le informazioni ritenute significative per la fresatura e per la lavorazione laser: per la prima, si analizza la durezza. Per la seconda, sono invece state analizzate per ogni materiale le variabili che influenzano il Material Removal Rate, e quindi l’energia specifica (H), ovvero la temperatura di fusione, la temperatura di vaporizzazione, il calore specifico e la densità. Per ogni variabile sono state riportate due voci: media dei valori trovati e range riportante il valore minimo e il valore massimo di tutti i dati trovati.
Famiglie Materiale Temperatura di fusione [K] Temperatura di vaporizzazione [K] Calore Specifico [J/kg*K] Densità (·10-3) [g/mm3] Durezza [MPa]
Media Range Media Range Media Range Media Range Media Range
Ce ra m ic he Zirconia 2806,12 2173,15-2988,15 4573 4573 425 400-450 5,757 5,5-6,07 1250 1200-1300 Allumina 2328,72 2318-2345,15 3258,77 3250,15-3273,15 847,5 795-900 3,87 3,65-3,97 1833,3 1600-2100 PM M A PMMA / / 406 373-433 1465 1460-1470 1,183 1,16-1,2 195 190-200 Ce ra Cera 340,358 326-365,15 573 573 1800 1800 0,925 0,90-0,95
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1.3 Il processo di fabbricazione delle protesi dentali
La fabbricazione di protesi dentali prevede una successione di passaggi, rappresentati nello schema sottostante:
La creazione della protesi finale necessita di un processo a monte, qui denominato “Acquisizione dati”, che consiste nella raccolta delle informazioni personali del paziente, quali la rilevazione del calco dentale sul quale costruire la protesi ed eventuali dati aggiuntivi relativi alle ossa del paziente ed alle parti anatomiche non visibili direttamente, denominati “dati DICOM” (par. 1.4.2.2). I dati ottenuti vengono dunque
Acquisizione dati Calco dentale del paziente
+
Eventuali dati della morfologia della bocca del
paziente
Progettazione della protesi
Impronte Classiche o digitali Dati DICOM Info sui material i
Fabbricazione delle protesi Tecniche di lavorazione: Fusione a cera persa Fresatura Saldatura Prototipazione Rapida CAD Utilizza le impronte dentali digitali (e i dati DICOM) Artigianale Utilizza le impronte dentali classiche
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aggiunti alle informazioni relative alle caratteristiche dei diversi materiali (par. 1.2), potendo dare così inizio alla fase di progettazione della protesi finale. Nel caso di produzione automatizzata, viene utilizzato un software CAD per la costruzione assistita del manufatto; con l’ausilio informatico è possibile utilizzare le informazioni dei dati .STL delle impronte digitali, combinandole con i dati DICOM, per ottenere una progettazione della protesi accurata e costruita ad hoc sulla morfologia della bocca del paziente. In un sistema non automatizzato, la progettazione praticamente coincide con la produzione (Fig.1.11), grazie al know-how ed alle competenze possedute dall’odontotecnico.
Fig.1.11 Un odontotecnico costruisce una protesi dentale parziale in cera
La fase della produzione può essere eseguita con diverse tecniche di lavorazione, come verrà meglio approfondito nei capitoli successivi. In questa tesi verranno riportate quelle più diffuse, ovvero la fusione a cera persa, la fresatura, la saldatura e la prototipazione rapida.
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Fig.1.12 Da sinistra: Scanner; Software CAD; Frasatrice CAM
1.4 Acquisizione dati
L’acquisizione dei dati relativi al calco dentale del paziente può avvenire attraverso due differenti modi: o tramite il metodo classico con cucchiaio porta-impronte o con l’ausilio informatico tramite impronte digitali.
1.4.1 Impronte dentali tradizionali
La presa delle impronte dentali classica prevede l’utilizzo di un cucchiaio porta-impronte di metallo o di silicone/plastica anatomico a forma di arcata o semi-arcata a seconda dell’impronta da rilevare. Il cucchiaio viene riempito di una speciale pasta morbida ed inserito nella bocca del paziente in modo tale che i denti affondino nella pasta e viene tenuto in tale posizione fino a quando la pasta stessa non sarà completamente indurita; si tratta di pochi minuti. Il cucchiaio viene quindi sfilato dalla bocca con estrema cura per evitare che il calco ottenuto subisca alterazioni. Al termine dell’operazione descritta, l’odontotecnico riceve il calco che è l’esatto negativo della forma di denti e gengive del paziente. Per ottenere il modello (in positivo), non serve altro che effettuare la colata del gesso o della resina all’interno delle impronte dentali ed attenderne l’indurimento.
I materiali utilizzati per la pasta morbida vengono divisi in reversibili e irreversibili a seconda del fatto di poter essere riutilizzati. I materiali reversibili sono:
Idrocolloidi: Sono composti da tre sostanze base: l'agar agar (gelatina estratta da
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altre sostanze che fungono da mezzo legante e vengono inglobate in fibre di cotone. Vengono riscaldate, prima dell'uso, con vapore fino ad una temperatura di 40° - 45°C. Sono impiegati principalmente per la duplicazione dei modelli nella costruzione di scheletrati.
Paste termo-plastiche: Sono costituite da guttaperca, gomma, talco, cera, coloranti e
altri materiali. Rammolliscono facilmente e una volta raggiunto lo stato plastico (dai 45° ai 75°C secondo i tipi) vengono collocate nel porta impronte. Quindi, se riscaldate, si liquefanno. Una volta raffreddate si risolidificano.
Tra i materiali irreversibili abbiamo:
Alginato per impronte, la classica pasta rosa. Le caratteristiche principali
dell’alginato sono: economicità, praticità (basta miscelare la polvere venduta in sacchetti con acqua), discreta precisione, indurisce in meno di un minuto riducendo i fastidi al paziente. A causa della tendenza dell’alginato a disidratarsi velocemente e quindi a cambiare forma, è necessario procedere con la colata del gesso il più rapidamente possibile.
Materiali al silicone: Composti da due paste differenti che vengono vendute
separatamente e devono essere tenute separate fino al momento del loro utilizzo. E’ molto più preciso e tende meno alla disidratazione quindi cambia forma meno velocemente. Tra gli svantaggi c’è il maggior costo ed il fatto che indurisce meno velocemente.
Una volta rilevata l’impronta negativa del paziente, le fasi per l’ottenimento del modello sono le seguenti [8]:
1- Disinfezione delle impronte;
2- Analisi delle impronte, per verificarne la bontà; 3- Allestimento dei modelli (in gesso o in resina);
4- Impianto di lacche sigillanti (per chiudere le porosità del gesso aumentandone la resistenza all’abrasione), di lacche spaziatrici (al fine di creare lo spazio per il futuro cemento) e isolanti (che aumentano la scorrevolezza della cera liquida sul gesso solido);
5- Ceratura dei modelli: con opportune tecniche, per apposizione di cera si procede con la modellazione del dente. Il manufatto in cera costituisce il modello in positivo della protesi che si andrà a realizzare;
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Ovviamente questa tecnica non prevede l’ausilio di tecnologie CAD/CAM. Si tratta di un approccio più artigianale che poco si presta a processi innovativi.
1.4.2 Impronte dentali digitali [11]
Le impronte dentali digitali rappresentano la ricostruzione virtuale (su file digitali computerizzati) dell’arcata dentale, parte di essa o entrambe e sono utilizzate in implantologia per la produzioni di protesi fisse, in ortodonzia per lo studio e la costruzione di apparecchi ortodontici, in odontoiatria protesica per la costruzione della classica dentiera o protesi mobile totale.
Per ottenere un modello tradizionale, abbiamo visto che la tecnica fondamentale è quella di rilevarne l’impronta nel cavo orale. Per ottenere un modello virtuale sono invece possibili diverse soluzioni, spesso in combinazione tra loro, tra le quali le principali sono la scansione e l’acquisizione di dati DICOM.
1.4.2.1 Scansione
La scansione è il metodo principale per la realizzazione dei modelli virtuali utilizzati nella tecnica CAD. Può essere suddivisa in tre categorie:
1- Scansione dell’impronta. In questo caso lo scanner “legge” l’impronta e realizza un modello virtuale (cioè un disegno 3D) nello stesso modo in cui lo farebbe il gesso, cioè riproducendo in positivo ciò che l’impronta ha “letto” in negativo nel cavo orale. Questo sistema sta sviluppandosi velocemente anche perché permette agli operatori di saltare diverse fasi operative, soprattutto la colatura del modello, risparmiando non solo sui passaggi di lavoro e sui materiali, ma spesso evitando il tragitto studio-laboratorio nei casi in cui essi siano situati in luoghi diversi. L’impronta può infatti essere scansionata dal clinico e, tramite Internet, spedita immediatamente come file ad un centro di fresatura lontano anche migliaia di chilometri. Resta indispensabile che, soprattutto nei casi delle impronte per protesi fissa, l’impronta stessa risulti precisa e perfettamente detersa e asciutta, poiché in caso contrario il modello virtuale risulterebbe impreciso
2- Scansione del modello. È la tecnica più tradizionale di acquisizione delle immagini. Con questo sistema ad entrare nello scanner è un modello (in gesso o altro materiale) ottenuto da un’impronta tradizionale. Il vantaggio, rispetto alle altre tecniche è che il tecnico, disponendo di un modello reale, può intervenire prima
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della scansione per correggerne le imprecisioni. Inoltre, l’impiego di sistemi di scomposizione (monconi sfilabili, sistemi pindex ecc.), gli permette di procedere alla scansione anche di singole parti, che possono così essere rilevate con maggiore precisione dallo scanner. Per contro, il passaggio aggiuntivo (impronta - modello - modello virtuale) può anche essere esso stesso causa di imprecisioni, in funzione delle alterazioni volumetriche dei materiali coinvolti (contrazione del materiale da impronta, espansione del gesso).
Gli scanner più diffusi attualmente per la scansione dell’impronta o del modello sono:
o
Scanner laser 3D. Sfruttano l’emissione di impulsi elettromagnetici (laser) dei quali si ricevono i segnali riflessi. Misurando l’intervallo di tempo trascorso tra trasmissione e ricevimento del segnale, e quindi la distanza tra lo strumento e il punto rilevato, creano una “nuvola di punti” che una volta interpretati dal software CAD vengono elaborati come la forma virtuale del modello scansionato.o
Scanner a luce strutturata: sfruttano un sistema di luce strutturata, proiettando un pattern luminoso sull’oggetto da scansionare ed interpretando tramite telecamere la deformazione che l’oggetto determina sul pattern. Il calcolo delle coordinate tridimensionali così ottenute permette di ricostruire la forma virtuale da utilizzare poi con il software CAD. Questo tipo di scanner consente la digitalizzazione non di un solo punto per volta (come nel caso degli scanner laser), ma di centinaia di migliaia di punti alla volta (Fig. 1.13).24
3- Scansione del cavo orale. È questo il modello più rapido ed innovativo. Prevede l’ausilio di un peculiare strumento denominato “Dental Scan”. Il Dental Scan CB è il nome che comunemente si utilizza per intendere la Tomografia Computerizzata a raggi conici (CBCT). Esso rappresenta l’ultima innovazione nella tecnica di acquisizione di immagini mediante raggi X.
Fig. 1.14 Macchinario Dental Scan
Già in precedenza si era provato ad applicare i raggi X per l’elaborazione della planimetria dentale, ma il raggio generato dal tubo radiogeno era assimilabile ad uno strato che, ripetuto più volte, tagliava il corpo a fette. In questa tecnologia, invece, il raggio è un vero e proprio cono di raggi X che attraversa il corpo in maniera tridimensionale. Questa fondamentale differenza fa si che la quantità di raggi X utilizzati per analizzare una data porzione di corpo risulti significativamente ridotta, in quanto nella vecchia tecnologia la tridimensionalità dell’immagine era data dall’accostamento di centinaia di strati (fette) che uniti tra loro permettevano al software di generare in maniera virtuale la terza dimensione (profondità). Nel nostro caso invece la terza dimensione viene acquisita immediatamente grazie al fatto che il corpo viene attraversato da un raggio conico e quindi tridimensionale già all’origine. In questo modo oltre a ridurre (da 10 a 60 volte) la quantità di raggi X generati (e quindi assorbiti dal paziente) riusciamo ad ottenere immagini molto più nitide e precise, perché il software di visualizzazione non deve più lavorare in maniera virtuale per generare la terza dimensione, ma la acquisisce direttamente dalla fonte.
Il diametro del cono (FOV) è la discriminante per la purezza dell’esame: più esso è ampio e più l’immagine risulterà sgranata, più è piccolo e più l’immagine sarà
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nitida. Per questo motivo la CBCT mal si adopera per essere utilizzata nell’acquisizione di grandi porzioni corporee, per trovare invece il suo perfetto utilizzo proprio nella pratica odontoiatrica, dove le aree di interesse sono relativamente piccole e le immagini risultano quindi pressoché perfette (dai 3 a massimo 15mm).
Tale tecnica comporta non pochi vantaggi:
Procedura mininvasiva per il paziente: Il paziente non è più costretto a subire la
“tortura” di tenere in bocca, seppur per pochi minuti, il cucchiaio per impronte colmo di pasta. In questo modo vengono eliminate le spiacevoli situazioni di conati di vomito o senso di soffocamento;
Eliminazione di materiali di consumo: Non è più necessario produrre ed
acquistare materiali quali: gesso, alginati, siliconi;
Tempistiche accorciate: Le impronte dentali digitali eliminano le procedure
intermedie di fabbricazione del modello in gesso poiché i dati acquisiti a mezzo dello scanner sono subito utilizzabili dallo studio odontoiatrico per la progettazione della protesi utilizzando anche la tecnologia CAD\CAM;
Maggiore produttività e velocità: Grazie alla parallelizzazione dei processi di
scansione, modellazione e produzione si ha una riduzione dei tempi morti; Materiali nuovi: Aumenta la possibilità di utilizzo di materiali nuovi che possono
essere lavorati per addizione o per sottrazione e comunque non tramite tecniche di lavoro tradizionali. [10]
Formato .STL binario standard: Esportazione dati in formato .STL binario
standard, ovvero in un formato comune ed utilizzato da tutti i centri di lavorazione, oltre che compatibile con tutti gli strumenti di progettazione di ultima generazione. L'esportazione in formato libero si traduce anche nella maggiore manutenibilità nel tempo della strumentazione, poiché in qualunque momento è possibile aggiornarla con nuovi moduli hardware o software, prodotti anche da terzi, che interfacciandosi tramite il formato standard consentono di potenziare il processo produttivo. [12]
Funzionamento DentalScan [13]
Nella prima fase si procede all’acquisizione delle immagini: viene chiesto al paziente di sedersi all’interno del macchinario e in pochi secondi vengono rilevati i dati necessari.
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Successivamente viene lanciato il software “DentalScan”. Si seleziona quindi l’immagine assiale che servirà da riferimento e su questa viene definita la zona che si vuole rappresentare (panorex, Fig 1.15).
A questo punto il computer crea altre ricostruzioni perpendicolari chiamati “parassali” (Fig 1.16). Il numero dei parassali è dipendente dalla lunghezza della ricostruzione e possono essere distanziate minimo 1 mm. Nella routine si preferisce ricostruire a distanze di 2 mm, si scende a 1 mm solo qualora si necessiti di un’accuratezza maggiore, anche perché a maggior numero di parassiali corrisponde un maggior numero di pellicole.
Figg. 1.15 e 1.16: A sinistra: Panorex. A destra: Ricostruzioni parassali
A corredo delle panorex e delle parassiali è utile affiancare anche ricostruzioni 3D con lo scopo di favorire una migliore localizzazione spaziale dei siti di interesse (Fig. 1.17).
Fig 1.17 Ricostruzione 3D
Come limiti del DentalScan vanno specificati l’impossibilità a mantenere l’assoluta immobilità da parte del paziente (anche un piccolo movimento pregiudica l’affidabilità dell’esame) e l’impossibilità di poter visualizzare intere porzioni di osso qualora siano presenti estese protesi ed impianti metallici.
1.4.2.2 Dati DICOM
Con l’avvento delle protesi a supporto implantare, la cui sede naturale sono le ossa mascellari, i sistemi CAD/CAM si sono rivelati molto importanti per la definizione dei siti
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in cui inserire gli impianti. Risulta quindi fondamentale inserire a sistema anche i dati DICOM provenienti da una TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) o un altro esame analogo (TC spirale, TC Cone Beam), attraverso i quali ottenere una riproduzione virtuale anche delle ossa del paziente e di parti anatomiche non visibili direttamente. Se a questo si aggiunge la possibilità di articolare e simulare l’occlusione e i movimenti dei due antagonisti, si può immaginare a quale grado di simulazione si sia arrivati. La chiave di questa relazione sono dei dispositivi-guida conosciuti dal software. In pratica, sia il paziente che il modello devono indossare questi dispositivi rispettivamente durante la TAC e la scansione, in modo che il software possa poi metterli in perfetta relazione reciproca utilizzando come chiave la forma e la posizione del dispositivo-guida di riferimento. Sul modello si prepara una dima radiologica munita di un dispositivo-guida di forma e misure note al software.
Fig.1.18 Posizionamento della dima sul modello
La stessa operazione viene eseguita sul modello antagonista, poi le due dime vengono messe in relazione reciproca con una masticazione rilevata sul paziente.
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L’esame radiologico viene eseguito sul paziente con le dime in posizione. Durante l’esame il paziente dovrà indossa il dispositivo-guida.
Fig 1.20 TAC del paziente con dima
Grazie alla presenza, in ogni rilevamento, dello stesso dispositivo-guida (di forma e misure note al software), è possibile mettere in relazione reciproca tutte le varie scansioni e i dati DICOM provenienti dall’esame radiologico, ottenendo una riproduzione virtuale molto precisa del paziente.
Fig 1.21 Riproduzione virtuale
1.5 Programmazione CAD/CAM
La tecnologia CAD/CAM è una tecnica computerizzata che permette di ottenere un oggetto tridimensionale a partire da un disegno vettoriale eseguito al computer. I due acronimi CAD e CAM stanno, rispettivamente, per Computer Aided Design e Computer Aided Manufactoring, ovvero disegno assistito dal computer e produzione assistita dal computer. Nata negli anni ’60 del secolo scorso, questa tecnologia è oggi utilizzata nell’industria per la produzione di un’infinità di oggetti ed è prepotentemente entrata
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anche nel campo dentale, nel quale è probabile che in brevissimo tempo diventi uno degli standard più diffusi.
Le informazioni in ingresso nel software CAD possono provenire o dal DentalScan o dalle scansioni tramite scanner (laser 3D o a luce strutturata). Nel primo caso la fase di progettazione e rielaborazione dei dati avviene all’interno dello stesso software “dentalscan”. Nel secondo caso si ha invece la registrazione di una nuvola di punti, che va opportunamente rielaborata. Risulta quindi necessario che la nube di punti si trasformi in una superficie. Per farlo, il software provvede quindi a collegare i singoli punti secondo una formula matematica, misurando le distanze che li dividono e ricostruendo un reticolo formato da una serie di minuscoli poligoni (generalmente triangoli). Disponendo della serie di poligoni offerta dal wireframe, il software può calcolare l’area dei singoli triangoli e definirne il riempimento. Si è così ottenuta la figura solida che costituisce il modello virtuale (shade), la cui fedeltà della riproduzione dipenderà principalmente dalla dimensione e dal numero di triangoli e, quindi, dal numero di punti di riferimento inizialmente registrati dallo scanner. Quanto più precisa sarà la scansione, tanto più pesante risulterà il file di uscita.
Fig 1.22 Dalla nuvola di punti alla creazione del reticolo tra i punti, fino al riempimento (shade).
Una volta ottenuto il modello virtuale, la protesi viene progettata al computer utilizzando un software di disegno CAD. Il lavoro viene svolto interamente al computer, definendo tipo, rapporti volumetrici, morfologia, dimensione delle connessioni ecc. tramite il programma CAD. È un procedimento di disegno virtuale che negli anni ha visto avvicendarsi software sempre più precisi e dalle possibilità sempre più ampie. Grazie ai dati DICOM, è possibile mettere in masticazione i modelli virtuali e simularne i movimenti e l’occlusione attraverso un articolatore anch’esso virtuale.
Le differenze tra i vari sistemi di elaborazione CAD sono notevoli, e il loro continuo sviluppo non permette di definirne caratteristiche comuni. Tuttavia, alcune funzioni possono ormai essere considerate un requisito imprescindibile di ogni sistema: Archivio, Parametri personalizzati, Modellazione, Librerie.
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1.6 Tecniche di lavorazione
Vengono di seguito analizzate le principali tecniche di lavorazione per la realizzazione di protesi dentali.
1.6.1 Fusione a cera persa
La fusione a cera persa permette di riempire la forma in negativo ottenuta dalla presa del materiale attorno all’originale manufatto in cera con del materiale metallico, creando un prodotto esattamente uguale al pezzo originale in cera, ma di materiale differente. Si inizia attaccando il perno di colata nella parte più spessa del modellato del dente. Tale perno permetterà il passaggio della lega sino al raggiungimento del modellato. Il perno ha anche il ruolo di riserva di lega fluida: quando la lega fluida solidifica, infatti, subisce un ritiro dimensionale. Il perno di colata ha la funzione di fornire ulteriore lega liquida per riempire i vuoti lasciati da tale ritiro. Le dimensioni del perno devono essere tali che il perno sia l’ultimo a solidificare durante l’intero processo, assumendo una funzione simile a quella della materozza nella fusione di leghe metalliche.
Viene dunque preparato un cilindro in metallo che sarà il contenitore dello stampo di cera. Tale cilindro viene ricoperto con un foglio di cellulosa per facilitare la fuoriuscita dello stampo ad operazione ultimata. Viene quindi inserito il perno di colata con il manufatto all’interno del cilindro. A questo punto avviene la messa di rivestimento: il manufatto viene inglobato nel cilindro con la colatura sottovuoto del materiale da rivestimento legante fosfatico.
Dopo la presa del rivestimento, la forma refrattaria viene preriscaldata alla temperatura più indicata per ricevere la lega liquida. La fase del preriscaldamento risulta molto importante perché porta alla completa espansione di presa, ovvero ad un accrescimento dei cristalli in fase di indurimento della massa da rivestimento con conseguente aumento delle dimensioni. Il preriscaldamento dà origine anche ad un’espansione termica (dilatazione della materia al calore). L’insieme di questi due tipi di espansione a cui è soggetto il materiale di presa si chiama “espansione totale”. Tale espansione deve essere tale che l’aumento di dimensione della massa da rivestimento compensi esattamente il ritiro delle dimensioni della lega che solidifica.
Durante il preriscaldamento della forma refrattaria avviene anche un altro fenomeno fondamentale: la cera dapprima fonde ed in parte viene assorbita dal rivestimento poroso. La successiva combustione (sempre all’interno della fase di preriscaldamento)
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della cera liquida lascia dei depositi di carbonio nelle porosità del rivestimento che gradualmente scompaiono con il proseguire della loro combustione. È importante che questa fase di calcificazione sia completa per fare in modo che i pori della massa da rivestimento non siano coperti di cera. I pori della massa da rivestimento devono essere liberi perché in fase di entrata del getto della lega fluida i gas presenti all’interno della massa da rivestimento possano fluire attraverso i pori. Il preriscaldamento fa in modo, inoltre, che il cilindro di massa di rivestimento venga preparato ad accogliere la lega calda.
Dopo che la lega fluida è stata inserita all’interno della forma, si raffredda e si solidifica. Durante questa solidificazione, come già accennato, c’è un ritiro del dente, compensato dal materiale presente all’interno del perno (riserva di lega fluida).
Quando il cilindro è completamente freddo si può rompere il rivestimento ed estrarre il dente in metallo. Le fasi successivi a tale estrazione sono la rifinitura e la lucidatura. In laboratorio ci sono delle apposite spazzole rotanti che contribuiscono a eliminare ogni residuo di massa refrattaria. Durante tali fasi, bisogna stare attenti a non deformare il dente in metallo ottenuto. Infine, il dente in metallo viene provato sul moncone.
1.6.2 Fresatura
È un procedimento per asportazione di truciolo che in passato veniva impiegato principalmente per operazioni di rifinitura delle parti metalliche ottenute tramite fusione a cera persa. Con l'introduzione delle tecniche CAD/CAM questo tipo di lavorazione si è esteso anche alla realizzazione di varie parti delle protesi in diversi materiali, utilizzando i dati di progettazione provenienti dalla fase CAD ed ottenendo come output il manufatto finito.
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In ambito odontoiatrico, al fine di permettere il raggiungimento della porzione da lavorare da tutte le angolazioni, vengono tipicamente utilizzate fresatrici a 4 o 5 assi. Queste macchine risultano pienamente versatili e permettono di lavorare una moltitudine di materiali quali Zirconia, PMMA, cera, resine, peek, fibra di vetro e compositi ceramici. È possibile ottenere manufatti molto eterogenei: cappette, inlay\onlay, faccette, corone, ponti, abutment, protesi fisse e provvisorie, bite, mascherine ortodontiche ecc. (Fig. 1.23)
Le frese dipendono dalla fresatrice scelta. Ovviamente il diametro della fresa determina la risoluzione del processo. Diametri ridotti determinano una migliore qualità, tuttavia limitano in contemporanea i parametri di processo (soprattutto l’avanzamento), rendendo il processo poco efficiente. In Fig 1.24 sono riportati alcuni esempi di frese.
Fig. 1.24 Da sinistra a destra: fresa per bordo incisale D 0,65; fresa per sgrossatura D 2,5; microfresa D 0,5
Alla fresatura possono seguire le seguenti lavorazioni [16]: Fase di colorazione.
Per ottenere il colore della ricostruzione desiderato, vi sono diverse procedure: alcune aziende forniscono cialde pre-sinterizzate dove i pigmenti sono stati inseriti nella struttura in fase di produzione. Quindi, prima di eseguire la fresatura, si sceglierà una cialda del colore desiderato. La scelta però si limita tra cinque o sei colori, con risultati estetici ridotti. I risultati migliori dal punto di vista estetico si ottengono con la tecnica di colorazione a pennello: dopo aver eseguito la fresatura con una cialda non pigmentata, la corona viene colorata con pigmenti dedicati diluiti ad acqua. La tecnica è simile a quella dell'acquerello, con la quale è possibile simulare colore, intensità cromatica e sfumature di smalto del dente da riprodurre.
Fase di adattamento e rifinitura.
È possibile apportare delle modifiche di adattamento al fine di far calzare perfettamente la protesi sul modello, ma è consigliabile eseguire tale operazione con cautela, in quanto
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l'innalzamento eccessivo della temperatura durante la rifinitura potrebbe indurre un surriscaldamento localizzato provocando delle imprecisioni. È consigliabile adoperare frese diamantate raffreddate ad acqua, per evitare danneggiamenti dovuti all'eccessivo surriscaldamento.
Fase di lucidatura.
Dopo la rifinitura, la corona viene sabbiata con ossido di alluminio a 50 micron, e detersa con un getto di vapore. L'ultima fase prevede la lucidatura con glasure e l'eventuale apporto di pigmenti di superfice. Le zone di contatto occlusale vanno lucidate a specchio. E' possibile eseguire minimi ritocchi intraorali, usando frese diamantate a grana fine con raffreddamento ad acqua, successivamente le superfici trattate vanno lucidate a specchio con gommini al silicone per ceramica.
Al fine di valutare l’effetto del processo di colorazione e di lucidatura sulla qualità superficiale del manufatto ottenuto, si riportano alcuni risultati provenienti dagli studi di M. Alfanoa, F. Inchingolob, C. Malettaa, M. Marrellic [15], che hanno esaminato quattro differenti tipologie di provini di zirconia (ZrO2). I provini sono tutti costituiti da blocchi
di zirconia pre-sinterizzato (Bio ZS Blank, Kavo Everest®), identificati in Tab 1.2 come Tipo A, B, C e D. Presentano tutti una lavorazione base di fresatura, a cui può sommarsi la fase di colorazione e/o lucidatura. In particolare, i provini Tipo A e C risultano non colorati, mentre i provini Tipo B e D sono stati colorati utilizzando un liquido colorante commerciale (Color Liquid, Zirkon Zahn®); inoltre la finitura superficiale dei provini Tipo C e D è stata modificata mediante un processo di lucidatura meccanica. La rugosità superficiale (Ra) dei provini testati è stata misurata con un rugosimetro a contatto.
Tipologia di provino Descrizione Rugosità
superficiale Ra (μm)
Tipo A Fresatura base 1.75 ±0.47
Tipo B Fresatura + colorazione 1.27±0.36
Tipo C Fresatura + lucidatura 0.13±0.03
Tipo D Fresatura + colorazione +
lucidatura
0.12±0.03
Tab 1.2 Rugosità superficiale con fresatura
Appare interessante cercare di capire il legame esistente fra parametri base, come raggio dell’utensile di lavorazione, passo di scansione e profondità di passata, e finitura
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superficiale finale. Con questo scopo, Bouzakis, Aichouh e Efstathiuo [19] hanno creato un algoritmo denominato “BALLMILL”. Tale algoritmo permette, tramite una semplice interfaccia grafica, di inserire i parametri con i quali si sta lavorando: informazioni sull’utensile, quali numero di taglienti, raggio ed angolo di inclinazione; informazioni sul taglio, fra cui la velocità di taglio con la quale si sta lavorando, la lunghezza della zona da fresare, in direzione sia assiale che radiale, la velocità di avanzamento; la rugosità teorica stimata e le dimensioni della superficie totale da lavorare. Il software calcolerà in automatico la rugosità reale ed il tempo di taglio normalizzato rispetto ad un range di differenti velocità di avanzamento. Un esempio dell’uso di questo algoritmo è riportato in Fig. 1.25.
Fig. 1.25 In alto: Inserimento dei dati in input nel programma BALLMILL. In basso: Informazioni in output nel programma BALLMILL
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1.6.3 Saldatura
La saldatura è un procedimento di collegamento permanente di parti metalliche. In campo dentale i principali sistemi impiegati sono la brasatura e la saldatura laser. La prima, impiegata da molto tempo, viene eseguita tramite il riscaldamento delle parti da unire e la successiva infiltrazione capillare tra di esse di un altro metallo allo stato liquido (metallo d'apporto) che con il raffreddamento solidifica e genera il collegamento. La seconda, introdotta molto più recentemente, si basa sulla fusione localizzata dei lembi da unire tramite un fascio laser, con l'impiego o meno di un metallo d'apporto della stessa natura delle parti che vengono collegate.
1.6.4 Prototipazione rapida [17]
Molte della tecniche ritenuti migliori nella produzione dei manufatti in materiale ceramico appartengono al ramo della prototipazione rapida. Secondo Shyh-Yuan Lee e Cho-Pei Jiang, la prototipazione rapida è addirittura il metodo più rapido per la fabbricazione di protesi in materiale ceramico. Essa comprende una grande varietà di tecniche attraverso cui può avvenire il processo di accrescimento. Verranno qui citati la Stereolitografia, il Selective Laser Sintering, il Fused Deposition Modeling, l’Ink-Jet Printing e il Three-Dimensional Slurry Printing.
Tra le applicazioni con materiale polimerico, la più diffusa è la stereolitografia (SL), nella quale, per la creazione di materiali come la zirconia, le polveri ceramiche sono sospese in fotopolimeri. I fotopolimeri sono sostanze chimiche sensibili alle radiazioni elettromagnetiche di particolare lunghezza d’onda. Nel caso di lavorazione con materiali ceramici si parla si ceramic SL (CSL). Fondamentalmente, questa tecnica prevede la creazione dell’oggetto finale tramite un processo di “accrescimento”, ovvero tramite la sovrapposizione di strati di materiali polimerizzati, posti l’uno sull’altro fino a creare la forma desiderata del prodotto finale. La creazione di ciascuno strato è ottenuta focalizzando e spostando un fascio laser sulla superficie libera di una soluzione di polimero fotosensibile, che, solidificatosi, crea lo strato desiderato.
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Fig 1.26 Stereolitografia [“Sistemi Integrati di Produzione”, Gino Dini]
Con “Selective Laser Sintering” (SLS) si intende invece una tecnica di prototipazione rapida che consiste nella realizzazione del manufatto finale tramite la sinterizzazione di grani di materiale termoplastico per mezzo del calore prodotto da un fascio laser che emette nell’infrarosso.
Il principale vantaggio del Selective Laser Sintering (SLS) è la possibilità di poter ottenere oggetti in materiali non trattabili con il processo di SL quali PVC, cera, nylon, ABS ecc. Possono essere utilizzati differenti materiali: dalle ceramiche ai metalli, alle polveri di polimeri.
Tuttavia, i pezzi prodotti presentano una superficie porosa a causa del materiale in grani; inoltre l’accuratezza è limitata da fattori quali dimensioni delle polveri, dimensioni dello spot del laser e velocità di scansione. Infine, durante la deposizione dello strato di materiale, le sezioni sottostanti possono muoversi causando imperfezioni nel pezzo.
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Il Fused Deposition Modeling (FDM) o Fused Deposition of Ceramic (FDC) utilizza un ugello di deposizione per estrudere un polimero termoplastico contenente una sospensione di polveri ceramiche. Sebbene con il FDM sia possibile creare pezzi dalle forme complesse senza una pre-definizione delle superfici, tale lavorazione non permette la deposizione del materiale fuso a pressioni prefissate. Questo a causa delle diverse velocità di estrusione delle varie particelle: infatti il mix di materiali può presentare disomogeneità, soprattutto quando le particelle sono più piccole di 100 μm.
Fig 1.28 Fused Deposition Modeling[“Sistemi Integrati di Produzione”, Gino Dini]
L’Ink-Jet Printing (IJP), ovvero la stampa a getto d’inchiostro, è un processo da poco utilizzato nella creazione di green part che prevede l’utilizzo di un legante colorato, capace di fungere in contemporanea sia da collante che da colorante delle polveri. La creazione del modello avviene grazie all’assorbimento dell’inchiostro nelle polveri, con successiva infiltrazione per capillarità attraverso i pori. Una volta terminata la costruzione dell’ultimo strato, l’oggetto viene estratto dalle polveri non incollate e l’indurimento viene completato all’interno di un forno di post-trattamento. Questo comporta delle contrazioni a seguito della bruciatura del legante e della sinterizzazione. Il processo inoltre conferisce al prodotto una bassa qualità superficiale ed una ridotta robustezza della struttura.
Fig. 1.29 Ink-Jet Printing [“Sistemi Integrati di Produzione”, Gino Dini]
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Infine, si analizza un processo a cavallo tra i tradizionali metodi di prototipazione rapida e la ricerca dell’innovazione. Il Three-Dimensional Slurry Printing (3DSP) è un metodo che unisce la sinterizzazione tramite maschere dinamiche (Dynamic Mask Projection Curing, DMPC) con l’utilizzo di specchi (Digital Micro-mirror Devices, DMDs) per la creazione delle più differenti forme. Il processo comporta vantaggi quali l’elevata risoluzione e i costi bassi, oltre ovviamente ad un ridotto tempo di fabbricazione (infatti, grazie all’utilizzo di maschere, vengono esposti al fascio laser solo i layer interessati). Il 3DSP utilizza il DMPC ed un impasto liquido per fabbricare le green part per gli impianti dentali. L’impasto liquido è costituito da particelle ceramiche, resina fotoindurente ed un solvente. Un esempio di fotopolimero utilizzato come legante è la miscela costituita da TEGMA (triethylene glycol dimethacrylate, Sigma-Aldrich, USA) e UDMA (urethane dimethacrylate, Sigma-Aldrich, USA). A tale miscela sono aggiunti degli agenti velocizzanti, come CQ (camphorquinone, Sigma-Aldrich, USA) e DMAEMA (N,N-dimethyl-aminoethylmethacrylate, Sigma-Aldrich, USA).
La Fig. 1.30 mostra tutte le fasi del processo di fabbricazione.
Fig 1.30 Processo di fabbricazione della green part utilizzando il Three-Dimensional Slurry Printing
Le fasi sono le seguenti:
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b) La piattaforma viene abbassata di un’altezza pari allo spessore del layer e viene steso un sottile layer di impasto usando un rullo spalmatore;
c) Lo strato viene esposto ad una ventola affinché si formi uno strato di layer asciutto;
d) Si utilizza una maschera per la creazione di un layer utilizzando un DMD (chiamato anche mask generator), cosicché le parti esposte si solidifichino e quelle nascoste creino un supporto inerte;
e) Vengono ripetiti gli step dal punto b) al d) finché l’apposizione di un layer alla volta non crei l’intera forma 3D della green part;
f) La green part viene inserita in un solvente (metanolo) per rimuovere le parti contenente materiale inerte tramite vibrazioni ad ultrasuoni;
g) Il pezzo viene inserito in forno. Si assiste alla bruciatura del legante e alla sinterizzazione del pezzo;
h) Il risultato del processo è il pezzo finale in ceramica sinterizzato.
In Fig 1.31(a) è riportato un pezzo sinterizzato per uso dentale analizzato al SEM. Il layer ha spessore di 10μm e tempo di fabbricazione della green part di 3,5 ore. La Fig. 1.31(b) mostra come le filettature siano ben eseguite. Confrontando il cerchio ideale tratteggiato in Fig. 1.31(c) con il risultato ottenuto, si può affermare che il lavoro finale risulta accettabile; dunque gli impianti dentali in zirconia possono essere fabbricati con successo.
Tale processo può essere facilmente personalizzabile in base alle esigenze del cliente per la costruzione di corone e ponti dentali, risultando una valida alternativa alle tecnologie CAD/CAM.
Fig 1.31: Immagini al SEM di: (a) Pezzo sinterizzato tramite 3DSP. (b) Particolare: filettature eseguite tramite 3DSP (c) Confronto tra un pezzo circolare eseguito con 3DSP ed una circonferenza geometrica