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IV. Il gioco del personaggi e la mimesis del dialogo

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IV. Il gioco del personaggi e la mimesis del dialogo

Alla fine di questo percorso si ritorna al nostro Carmide con una diversa prospettiva. La ricerca del vero Crizia ha illuminato alcuni snodi del dialogo che altrimenti ci sarebbero rimasti oscuri e di contro il Carmide ha contribuito ha delineare un profilo di Crizia la cui identità poetica riveste un’importanza primaria. La questione Crizia, come vedremo più in dettaglio, può in sostanza essere risolta se si conferisce priorità all’elemento poetico piuttosto che a quello politico, cosa che soltanto una piccolissima parte della critica ha cominciato a fare447 . Con la coscienza forte di una consonanza tra le diverse maschere di Crizia in Platone e tra il Crizia di Platone e il vero Crizia, possiamo adesso focalizzarci nuovamente sul Carmide, cercando di fornire una spiegazione delle dinamiche interne del dialogo, del gioco dei personaggi, per citare in traduzione il titolo del noto saggio della Blondell448, e della mimesis che da essi si genera. Si vedrà come in queste dinamiche interne il ruolo di Crizia449 sia essenziale per il raggiungimento della funzione drammatica e filosofica del dialogo: vivere l’aporia che la mimesis genera450 .

IV. 1 I Crizia nel Carmide - I Crizia di Platone

Come è facile immaginare, la tormentosa e secolare questione Crizia si trasferisce con tutta la sua intrinseca contraddittorietà nel dibattito che si crea intorno all’interpretazione del

ruolo di Crizia nel Carmide. Innumerevoli le posizioni. Qui ne ricordiamo alcune,

emblematiche. Si passa da coloro, come Dušanić451 , che vedono nel Carmide un’apologia

447

Fondamentali i già citati contributi di Arrighetti 2006; Erler 1998; Tulli 2000, Regali 2006; id. 2012 in linea con i quali si pone il presente lavoro.

448

Blondell R. 2002.

449

Per uno studio focalizzato sull’importanza degli interlocutori di Socrate v. Beversluis 2000 (in particolare pp. 135-159 su Crizia nel Carmide).

450

infra, § IV.I.3.

451

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141 di Crizia, a coloro, come Schmidt452 , che esagera nel credere che il pensiero di Crizia sia il pensiero di Platone stesso. Diversamente Noburu Notomi453 sottolinea il fatto che, sebbene Crizia sia un punto di partenza per la filosofia politica di Platone, egli non possieda la

sophrosyne. Guthrie considera irrisolvibile la questione più generale relativa al rapporto tra

il Crizia platonico e il Crizia storico e al rapporto Crizia-Platone454 . Ad Erler455 va il merito di porre in continuità la caratterizzazione di Crizia nel Carmide e quella dello stesso in

Timeo Crizia. A Tuozzo quello di riconoscere come la fama prevalentemente negativa di

Crizia abbia influenzato la lettura neutrale del Carmide e della sua produzione letteraria456. Sul fronte opposto c’è chi vede nel Crizia del Carmide solo ed esclusivamente il tiranno. Come Press457 secondo cui l’obiettivo dell’elenchos socratico nel Carmide sarebbe quello di rivelare l’ignoranza di Crizia e la sua assenza di sophrosyne. Posizioni come quella recente di Lampert o di Eisenstadt sono un esempio evidente di come la questione sia tuttora aperta e controversa. Per quest’ultimo infatti Crizia nel Carmide mostra esclusivamente delle palesi tendenze tiranniche458 .

I punti essenziali della questione Crizia erano già stati messi ben in evidenza dalla critica più antica. Già Wilamowitz-Moellendorff considerava da un lato come il giudizio sul Crizia di Platone sia tra i moderni più negativo rispetto alla sua rappresentazione da parte di Platone459 : da un lato Crizia non possiede autocontrollo e dunque sophrosyne, dall’altro sarebbe sbagliato appiattire il suo carattere a quello di un Jasager o di un rechthaberich.

Selbsverständlich ist er kein Maßvoller, serbstbeherrschter Mensch, besitzt die Tugend der Sophrosyne nicht, über die Sokrates und Charmides gereden haben, die sie beide besitzen, und die er demnach in seiner Weise auffasst. Aber er ist durchaus kein rechthaberischer, um die Wahrheit unbekümmerten Sophist. Ein bloßer Jasager freilich auch nicht; er passt dem Gegner auf den Dienst und lässt ihm einen

452 Schmidt 1985. 453 Notomi 2000. 454

Gurthie 1969, 298 s. (There is a mystery here which the evidence does not allow us to solve completely, 299)

455

Erler 1998, 5-28.

456

Tuozzo 2011, 6 e 53 ss. a cui rimando per una più approfondita panoramica sulle valutazioni di Crizia nel Carmide.

457

Press 2002, 252-65.

458

Lampert 2010, 147 ss. ; Eisenstadt 2008, 492-95. A causa di queste ambizioni per Eisenstadt si comprende l’iniziale rifiuto da parte di Crizia di riconoscere la paternità della massima del ta eautou prattein. Svelare la paternità sarebbe come svelare le proprie egoistiche ambizioni di governo. Eisenstadt suggerisce il parallelo tra la massima e Leggi IX 875 b 1-7, in cui viene descritto l’autocrate egoista e ambizioso utilizzando il termine idiopragia, hapax la cui relazione con il ta eautou prattein è evidente. Sul carattere tirannico di Crizia v. anche Stern 1999, 399-412.

459

Wilamowitz 19595, 144: Seltsamerweise wirkt das Verdammungsurteil über den Reaktionär auch bei den Modernen noch so weit nach, dass sie den platonische Kritias sehr viel ungünstiger auffassen, als er gemeint ist.

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142 Fechterstreich nicht durch; er hatte ja selbst über ethische Fragen geschrieben, vielleicht sogar in Gesprächsform. Aber um das Suchen der Wahrheit ist es ihm auch ernst (166 a),

Nel restituire dignità al personaggio la posizione di Wilamowitz sembra equilibrata. Ancora di più quella di Nestle460 , a cui va il merito di aver riconosciuto il talento letterario di Crizia e lo sforzo di voler creare un’immagine il più possibile unitaria al di là delle testimonianze stridenti, anche se poi considera la letteratura di Crizia priva di originalità461 .

Dall’apologia ad una totale condanna, la questione parrebbe davvero irrisolvibile. Una cosa salta agli occhi nelle valutazioni sia sul Crizia del Carmide sia sul Crizia storico: nella maggior parte delle interpretazioni si valuta il suo ruolo politico e solo secondariamente e di sfuggita quello intellettuale. Wilamowitz aveva condannato come poco originale e di nessun valore la sua opera letteraria, Nestle ne aveva visto il valore e sottolineato il talento ma l’aveva ugualmente bollata come poco originale. Anche i recenti contributi volti a riabilitare il profilo autentico di Crizia462 non riescono a fare a meno della pesantissima e scura maschera del tiranno. È questa la ragione per cui si guarda con sgomento al Crizia di Platone cercando di venire a capo di una evidente contraddizione. Se si guardasse a Crizia come poeta e solo successivamente, negli ultimi anni della sua vita, come teorico del

regime, la contraddizione scomparirebbe. Qui non si vuole eclissare una parte della vita di

Crizia, cadendo in tentazioni apologetiche. Si tratta di mettere il poeta e l’uomo di lettere, in termini sia cronologici che d’identità, prima del tiranno. In questo modo il nodo si scioglie e i diversi ritratti di Crizia in Platone si legano in un immagine se non perfettamente unitaria almeno consonante. Non sorprende più allora la moderazione di cui si fa portavoce il Crizia del Protagora463 , ma soprattutto non sorprende più il ruolo di poeta di Crizia in Timeo e Crizia, a cui è affidato rispettivamente il racconto di Altlantide e delle antiche gesta di

Atene464. L’importanza che l’elemento poetico assume nella caratterizzazione di Crizia nel

Carmide trova dunque una sua conferma nella caratterizzazione di Crizia nei dialoghi più

tardi come Timeo e Crizia465 . Crizia è poeta e lo è già nel Carmide.

460 Nestle 1948, 253-320. 461 Nestle 1948, 462

Come i più volte citati contributi di Bultrighini 1999 e di Centanni 1997.

463

Cf. Prot. 336 d 7 ss.; supra, § III.2.2.

464

In Tim. 19 e ss. Crizia è annoverato tra coloro che per natura ed educazione partecipano di politica e filosofia. La caratterizzazione positiva trova un fattore di continuità con il Crizia del Carmide nel riferimento a Solone (cf. Tim. 21e-25e). Si crea così una continuità generazionale nel segno della poesia che da Solone, passando per Crizia, arriva fino a Platone. v. Regali 2012, 28.. La mimesis letteraria positiva (mito di Atlantide) è affidata al suo sangue. v. anche Tulli 1994. Erler 1998.

465

In questo modo la stessa dibattuta questione dell’identità del Crizia di Timeo e Crizia riceve degli stimoli forti a favore dell’identità di questa figura nel corpus. A proposito Rosenmeyer 1949, 404-410; Tulli 1994, 95 n. 1; Regali 2012, 61-2.

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143 Non sorprende, infine, il ritratto che di Crizia si dà nel dialogo spurio dell’Erissia, testimonianza preziosa in quanto espressione di un’opinione condivisa nell’Accademia466

.

IV.2 Il gioco dei personaggi

Ritorniamo al Carmide con l’occhio di uno spettatore a teatro467 . Osserveremo le dinamiche interne dei tre personaggi, il loro caratterizzarsi vicendevolmente. Cercheremo, per quanto possibile, di cogliere il gioco fittissimo di richiami interni, da affiancare al gioco di richiami alla letteratura di Crizia, le manovre socratiche nel pilotare la conversazione verso un orizzonte politico, l’ironia fresca di Carmide nel provocare Crizia fino a suscitarne l’ingresso collerico, la dialettica di Crizia, l’orizzonte letterario della sua attività, i suoi punti di forza e il limite verso il quale cerca di spingerlo Socrate. Vedremo come le tensioni interne al testo porteranno alla fine del dialogo ad un ribaltamento dei ruoli e ad una ridefinizione del triangolo Carmide-Crizia-Socrate. È in queste dinamiche interne che è possibile cogliere la caratterizzazione di Crizia nel Carmide: la sua azione scenica, disegnata con elementi di forte teatralità, da sola non basta. Crizia non si capisce soltanto attraverso Crizia. Crizia si capisce attraverso Carmide, la cui azione è tutta un tentativo di imitazione del maestro, e soprattutto attraverso Socrate che nel manovrare la dialettica riesce a far venir fuori le principali caratteristiche della sua persona: limiti e punti di forza. Entrambi, come in un frastagliato gioco di specchi, ne riflettono l’immagine.

Dal punto di vista del gioco dei caratteri, il dialogo si può suddividere in tre grandi blocchi. Il primo è quello introduttivo che precede la dialettica, in cui i personaggi fanno il loro ingresso sulla scena definendo le loro relazioni. Il secondo blocco è quello della dialettica Carmide-Socrate, che segue la vivace scena introduttiva, mentre il terzo è quello della densa dialettica Crizia-Socrate, che si spinge quasi fino alla fine del dialogo, fino al

466

Per l’ Erissia v. Centanni 1997, ; Donato 2013. Si tratta di un’ operetta spuria compilata nell’Accademia, che riprende e ricapitola il pensiero platonico sull’essenza della saggezza. In questo dialogo il ruolo di Crizia è accostabile a quello che svolge nel Carmide (p.85). Il dialogo sarebbe una conferma di una tradizione benevola sulla figura di Crizia. Egli marca una distanza del saggio nei confronti della ricchezza e non bisogna dimenticare che proprio l’avidità di possesso di ricchezze costituiva una delle accuse principali rivolte da Senofonte e Lisia contro i Trenta. L’immagine che viene fuori risulta tanto dissonante rispetto a quella della vulgata storiografica, quanto armonizzabile con l’immagine complessiva di Crizia in Platone. Per la caratterizzazione di Crizia nell’Erissia v. Gartmann 1949, 57 ss. ; Donato 2013, 183 ss. (in particolare n. 87). Alcuni paralleli con il Carmide: in Erissia, 403 d8, assistiamo ad un ingresso spaccone di Crizia (v. Donato M. 2013, 169); Erissia, come Carmide, vanta una parentela con Crizia (cf. Erissia 396d2); il Crizia dell’Erissia, come quello del Carmide, presenta tratti caricaturali; ma soprattutto centrale l’elemento poetico per il Crizia dell’Erissia (a proposito Donato 185 ss.). Si riscontra lo stesso uso spregiudicato del mezzo poetico, a metà tra tradizione ad innovazione. Per una diversa interpretazione v. Laurenti 1969, 7-52. Per una recente edizione dei dialoghi spuri v. Aronadio 2008. Per il personaggio di Erissia v. Nails 2002, 142-43.

467

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144 punto cruciale in cui Carmide rompe il silenzio portando, come vedremo, ad un ribaltamento dei ruoli.

IV.2.1 Prima della dialettica, la cornice drammatica

Il dialogo si apre con una scena che pullula di personaggi nella cornice della palestra Taurea (153 a). L’ingresso di Socrate ἐξ ἀπροσδοκήτου (153 b 1) agita tutti i personaggi, i quali cominciano improvvisamente a salutare Socrate, chi da una parte chi dall’altra468

. Da questo blocco indistinto di caratteri senza volto spicca Cherefonte, in uno stato di evidente stravolgimento, μανικὸς ὤν, per l’emozione che la vista di Socrate gli aveva procurato. Gli prende la mano e comincia ad interrogarlo sugli esiti della battaglia mentre lo accompagna a sedere, invitandolo a prendere posto vicino Crizia che fa così il suo ingresso nella scena (153 c). Dopo aver parlato della battaglia, fino a quando ne avemmo abbastanza (153 d), Socrate interroga Crizia sulla presenza di bei giovani ad Atene. Crizia, prima di rispondere, rivolge lo sguardo in direzione della porta notando un fitto gruppo di ragazzi che s’insultano vicendevolmente, in un atteggiamento di agitazione. Non sono altro che πρόδρομοί καὶ ἐρασταὶ (154 a 4 - 5) di colui che è il più bello in assoluto e che ormai sta per entrare. A differenza dell’ingresso ex abrupto di Socrate, mentre Crizia è già sulla scena, l’ingresso di Carmide è preceduto da una forte suspance. Si crea un’aura di attesa che agita il gruppo di giovani amanti in lotta, forse, per le attenzioni del più bello. Socrate da parte sua si definisce λευκὴ στάθμη (154 b 9), corda bianca nei confronti dei belli: tutti i giovani gli sembrano tali. Carmide appare come un’epifania divina quasi nello stesso momento in cui Socrate pronuncia queste parole rivolto a Crizia. L’ingresso di Carmide ha infatti qualcosa di straordinario.

(…) ἀτὰρ οὖν δὴ καὶ τότε ἐκεῖνος ἐμοὶ θαυμαστὸς ἐφάνη τό τε μέγεθος καὶ τὸ κάλλος, οἱ δὲ δὴ ἄλλοι πάντες ἐρᾶν ἔμοιγε ἐδόκουν αὐτοῦ (Ch. 154 b 10 - 2).

Il carattere straordinario della sua statura e della sua bellezza crea una sorta di incantamento collettivo (οὕτως ἐκπεπληγμένοι τε καὶ τεθορυβημένοι ἦσαν, ἡνίκ᾽ εἰσῄε 154 c 3) . Impossibile non amarlo e non restare colpiti e turbati al suo ingresso. Giovani e meno giovani indirizzano a lui lo sguardo, davvero tutti, anche il più piccolo, contemplandolo

468

Ch. 153 b (…) καί με ὡς εἶδον εἰσιόντα ἐξ ἀπροσδοκήτου, εὐθὺς πόρρωθεν ἠσπάζοντο ἄλλος ἄλλοθεν (…).

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145 ὥσπερ ἄγαλμα. Al momento dell’ingresso tutta la tensione dei personaggi (insieme a quella degli spettatori-lettori) si focalizza sul personaggio di Carmide che riceve i connotati della straordinarietà. Socrate, corda bianca, non può non ricevere il fascino di questa straordinaria bellezza. A partire da questo momento le numerose comparse che affollano la palestra scompaiono. I riflettori restano puntati solo sui tre personaggi principali. Socrate comincia a porre le basi della dialettica ponendo la questione della bellezza dell’anima che, combinata a quella del corpo, renderebbe il giovane ἄμαχον (154 d 7). Ma il confronto Carmide-Socrate è preceduto da alcuni elementi essenziali per la comprensione del ruolo di Crizia. La stessa dialettica, in un secondo tempo, fornirà, come vedremo, significativi elementi di caratterizzazione preparando il terreno per la seconda dialettica. Seguiamo il testo con ordine. In 155 e 8 - a 1 Crizia caratterizza Carmide:

(…) καὶ πάνυ γε, ἔφη ὁ Κριτίας, ἐπεί τοι καὶ ἔστιν φιλόσοφός τε καί, ὡς δοκεῖ ἄλλοις τε καὶ ἑαυτῷ, πάνυ ποιητικός.

Nel descrivere Carmide Crizia applica al giovane le sue categorie. Carmide incarna il perfetto allievo di Crizia. Le qualità degne di lode riguardano l’attività filosofica e quella poetica. Non trascurabile l’uso da parte di Crizia del riflessivo ἑαυτῷ (155 a 1), che implica una consapevolezza da parte di Carmide del proprio valore poetico. Sia le qualità poetiche che l’autoconsapevolezza sono caratteristiche fondanti dell’identità di Crizia che lo stesso riflette sul giovane. Socrate fa eco a Crizia nel sottolineare la centralità della competenza poetica e nel farlo mette in gioco le radici genealogiche, ciò che lega la famiglia di Crizia-Carmide-Platone a Solone469 . Dalla συγγένεια con Solone discende un legame con l’elemento poetico, nucleo intorno al quale si disegna l’identità della famiglia. La centralità della poesia si lega alla centralità del motivo encomiastico: Crizia elogia Carmide, Socrate elogia la famiglia di Crizia e Carmide, che a sua volta è stata encomiata da Solone, Anacreonte ed altri poeti470 . La funzione dell’elogio in Ch. 155 a è dunque duplice: da un lato serve a caratterizzare la maschera di Crizia, dall’altro fa di Carmide un riflesso di questa maschera, un prodotto dell’educazione criziana. Socrate per il momento non esercita alcuna influenza, ma al contrario è soggiogato dal fascino di Carmide, come un cervo

469

Ch. 155 a 2-3 τοῦτο μέν, ἦν δ᾽ ἐγώ, ὦ φίλε Κριτία, πόρρωθεν ὑμῖν τὸ καλὸν ὑπάρχει ἀπὸ τῆς Σόλωνος συγγενείας.

470

v. § III.2.2 per la centralità dell’encomio. Queste riflessioni si pongono sulla scia del contributo di Tulli 2000.

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146

davanti ad un leone471 . Si tratta di un fascino dettato dalla bellezza esteriore. Socrate si

sente eroticamente attratto al punto da essere gettato in aporia alla vista di ciò che Carmide ha sotto il mantello472. Qualcosa di simile avviene in Symp. 222 c ss: inizialmente Socrate è amante di Alcibiade, ma la situazione poi si ribalta.

Anche se a stento, μόγις (155 e 3), Socrate riesce a trovare la forza per superare il momento di confusione introducendo il motivo dell’incantesimo da associare al φάρμακον contro l’emicrania del giovane, secondo una concezione olistica della medicina di derivazione orientale, che associa il corpo all’anima473 . L’entusiasmo di Carmide nell’approvare il ragionamento di Socrate dà a quest’ultimo coraggio:

κἀγὼ ἀκούσας αὐτοῦ ἐπαινέσαντος ἀνεθάρρησά τε, καί μοι κατὰ σμικρὸν πάλιν ἡ θρασύτης συνηγείρετο, καὶ ἀνεζωπυρούμην (156 d 1-3)

È l’epainos la ragione del recupero del controllo di sé da parte di Socrate, a conferma della centralità della lode in questa prima parte del dialogo. Il motivo dell’epode che qui s’introduce è centrale nel dialogo e non trascurabile. Più volte compare nei dialoghi l’incantesimo come φάρμακον del corpo e dell’anima474

. Più avanti (157 a 3-5) veniamo a scoprire come l’epode di fatto consista nei bei discorsi475

. Da tali discorsi, dall’incanto che

producono, si genera nell’anima la sophrosyne e da questa la salute nel resto del corpo:

(…) ἐκ δὲ τῶν τοιούτων λόγων ἐν ταῖς ψυχαῖς σωφροσύνην ἐγγίγνεσθαι, ἧς ἐγγενομένης καὶ παρούσης ῥᾴδιον ἤδη εἶναι τὴν ὑγίειαν καὶ τῇ κεφαλῇ καὶ τῷ ἄλλῳ σώματι πορίζειν (Ch. 157 a 5-6).

La comparsa dell’incantesimo poco prima dell’avvio della dialettica non è casuale. Szlezák476 associa l’epode del Carmide alla stessa dialettica, mentre il pharmakon sarebbe metafora per la conoscenza. Senza la dialettica ogni insegnamento sarebbe vano. La dialettica abilita in altre parole, alla ricezione del sapere.

471

Il parallelo è tratto da una citazione del poeta Cidia di cui possediamo solo questo frammento: εὐλαβεῖσθαι μὴ κατέναντα λέοντος νεβρὸν ἐλθόντα μοῖραν αἱρεῖσθαι κρεῶν (Ch. 155 d 6-7).

472

Ch. 155 d.

473

Su Zalmossi e la medicina nel Carmide v. Brisson 2000, 278-286.

474

Ch. 176a;176b; Tht 149d; Men. 80a; Rep X (v. a proposito Halliwell 2011a, 199 n. 95); Phaedo 77e.

475

Anche Antifonte, secondo la testimonianza dello Ps.Plutarco, avrebbe scritto un’ alypia techne basata sulla credenza nel potere curativo del logos. v. supra, § III.2.2.

476

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147 Lesen wir im Charmides (…) dass die Vergabe eines „Heilmittels“ ( der Ausdruck steht metaphorisch für „Erkenntiss“) ohne inreichende Vorbereitung „keinen Nutzen“ für den Rezipienten brächte477 .

Il merito di Szlezák sta nel riconoscere all’interno dell’incantesimo un’esortazione ad un

logos filosofico478 . L’incanto è una caratteristica legata alla produzione letteraria fin dai tempi di Omero, come giustamente sottolinea la Blondell479 .

Nel Protagora, ad esempio, Socrate è incantato a seguito del discorso di Protagora, al punto da restare, dopo la fine del discorso, in uno stato contemplativo, desideroso di ascoltarlo ancora.

Protagora, dopo aver pronunciato un così eloquente discorso, tacque. Ed io, incantato (kekelemenos), rimasi ancora a lungo a contemplarlo come se ancora parlasse e desideroso di ascoltarlo (Prot. 328 d 3-6. Trad. F. Andorno) .

La malia che l’arte produce ha un potere talmente forte da portare gli uomini a trascurare tutto il resto, come avvenne alle cicale, prima uomini, il cui mito viene raccontato nel

Fedro480 . Ma rispetto all’incanto di cui è vittima Socrate dopo l’ascolto di Protagora, le cicale hanno la funzione di esortare al dialegein e di vegliare affinchè non si ceda alla loro malia lasciando la mente immobile ( δι᾽ ἀργίαν τῆς διανοίας, Phaedr. 259 a 3). Ugualmente positivo risulta l’epode del Carmide, in quanto avente la peculiarità di generare sophrosyne nell’animo. Esso ha un potere curativo e salvifico481

. L’incanto a cui spinge Socrate si traduce in un invito ad entrare in una dimensione mimetica, di ricettività estrema, una dimensione appunto di incantamento, unica possibilità per sperimentare gli effetti positivi della dialettica.

Ora, dal punto di vista di Crizia, Carmide è già in possesso della sophrosyne e dunque, implicitamente, non bisognoso dell’incantesimo. Interrogato da Socrate (158 c) Carmide

477

Szlezák 2004, 186. Lo stesso invita ad un confronto con Ep. VII 341 d-e.

478

Szlezák riconosce inoltre l’importanza della rappresentazione drammatica, mettendola in rapporto con la mimesis e con il carattere fortemente mimetico del dialogo: il contenuto non può prescindere dalla forma. Ma in Szlezák la dimensione dell’oralità diventa preponderante rispetto a quella letteraria. La scrittura, in altre parole, è solo un mezzo per condurre ad un insegnamento il cui nucleo è comunicabile solo per via orale. Così facendo l’elemento letterario assume una posizione subordinata. Qui si sostiene diversamente la centralità dell’elemento letterario, centrale nella filosofia platonica.

479

Blondell 2002, 80 ss. conia a proposito il termine di mimetic pedagogy, in quanto lo scopo ultimo della mimesis è di natura paideutica, fin dalle origini (si pensi al ruolo dei cantori nei poemi omerici, come Femio e Demodoco). Su incantamento e catarsi come conseguenza dell’ascolto dell’aulos v. Provenza 2009, 280-301.

480

Phedr. 259 a 1 e sgg. v. Ferrari 1987.

481

Platone stesso mette in guardia dai rischi della mimesis. Nota la condanna della mimesis nel III della Repubblica per cui v. Halliwell 2011b. Sempre nella Repubblica Platone arriva a riabilitare una forma di mimesis, il cui impatto paideutico sia positivo: quella che si genera dagli inni e dagli encomi (Rp. X 607 a). Sulla mimesis si veda inoltre Halliwell 2002; id. 2005.

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148 risponde di non riuscire a valutare se sia o meno in possesso di questa virtù, rischiando o di essere superbo, nel caso in cui se ne dichiari in possesso, o di negare l’ammissione di Crizia, nel caso in cui affermi di non possederla. Il non sapere del giovane, il suo aporein, consente l’avvio della prima dialettica.

IV.2.2 Dialegesthai Socrate-Carmide (158 c 5 – 162 b 11)

Carmide agisce sulla scena cercando di essere voce di Crizia. La sua giovane parola si ferma in superficie: le definizioni di Carmide riguardano le manifestazioni esteriori della

sophrosyne. In linea con la sua parola sarà la sua azione scenica. Di seguito gli snodi

fondamentali.

Poco prima dell’inizio della dialettica Carmide arrossisce (ἀνερυθριάσας οὖν ὁ Χαρμίδης … , 158 c 5). Il rossore anticipa con le azioni la sua parola, ovvero la seconda definizione: sophrosyne come aidos (160 e 3-5). Per prima cosa Carmide definisce la

sophrosyne come un’agire kosmios kai hesyche (159 b). Dopo aver dimostrato che nella

maggioranza delle azioni la velocità è preferibile alla lentezza, Socrate invita Carmide a guardare dentro di sé.

πάλιν τοίνυν, ἦν δ᾽ ἐγώ, ὦ Χαρμίδη, μᾶλλον προσέχων τὸν νοῦν καὶ εἰς σεαυτὸν ἐμβλέψας, ἐννοήσας ὁποῖόν τινά σε ποιεῖ ἡ σωφροσύνη παροῦσα καὶ ποία τις οὖσα τοιοῦτον ἀπεργάζοιτο ἄν (Ch. 160 d 5-8)

Quest’esortazione ci aiuta a comprendere a pieno la caratterizzazione di Socrate come

corda bianca, le cui parole sono plasmate sull’orizzonte dell’interlocutore, riflettendone

caratteristiche e limiti. Se infatti nel confronto con Carmide Socrate spinge ad un’indagine orientata verso l’interiorità, nella dialettica con Crizia la tendenza di Socrate sarà esattamente contraria. Egli cercherà di condurre il dialogo in una dimensione esteriore e politica, contrapponendosi al tentativo di Crizia di definire la sophrosyne esclusivamente come autoconoscenza. Nella prima dialettica spinge dunque verso l’interno, diversamente a quello che avverrà nella seconda dialettica. Carmide prova a compiere uno sforzo in direzione dell’interiorità, generando la seconda definizione (160 e 3-5). Nonostante la manifesta volontà di scendere ad un livello più profondo, Carmide non riuscirà a superare il livello superficiale. Il repertorio a cui il giovane attinge è quello tradizionale, familiare al lettore appartenente allo stesso ambiente di Crizia. La sostanza delle definizioni, unita alla

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149 teatralità del suo ingresso e al carattere soprannaturale della sua bellezza, sono tutti elementi che orientano l’immedesimazione del lettore verso Carmide.

Nella seconda parte della dialettica Carmide-Socrate si comprende come essa abbia qualcosa di fittizio. Una sorta di teatro nel teatro. Carmide imita, non riuscendo alla fine nel suo intento, il più anziano parente, mentre Socrate utilizza per questa seconda confutazione l’autorità di Omero, prendendo Od. XVII 347 e decontestualizzando il verso. L’utilizzo di Omero da parte di Socrate richiama quello di Esiodo da parte di Crizia. L’argomentazione di Crizia però, rispetto a quella socratica, risulta molto più articolata e intimamente coerente482 . Curioso notare che dinanzi all’utilizzo del verso di Esiodo e dalla diairesis di matrice prodicea da parte di Crizia, Socrate assumerà un atteggiamento confutatorio483 . Inoltre in questa prima parte della dialettica sono del tutto assenti indicazioni di metodo da parte di Socrate, al contrario frequenti nel dialegesthai con Crizia484 . Questa significativa assenza, unita alla natura superficiale della confutazione socratica, farebbe pensare ad una teatralità di questo primo blocco del dialogo.Ciò non implica un carattere di finzione da parte di Socrate, quanto piuttosto un adeguamento di Socrate al livello di Carmide e al carattere teatrale della presenza scenica di Carmide. Che qui il giovane stia recitando un ruolo non suo diventa palese nel momemento in cui assumerà, come un attore, le parole sentite da qualcun altro.

ἄρτι γὰρ ἀνεμνήσθην - ὃ ἤδη του ἤκουσα λέγοντος - ὅτι σωφροσύνη ἂν εἴη τὸ τὰ ἑαυτοῦ πράττειν. σκόπει οὖν τοῦτο εἰ ὀρθῶς σοι δοκεῖ λέγειν ὁ λέγων.

καὶ ἐγώ, ὦ μιαρέ, ἔφην, Κριτίου τοῦδε ἀκήκοας αὐτὸ ἢ ἄλλου του τῶν σοφῶν (Ch. 161 b 5-c 1).

Ironicamente Carmide afferma di aver sentito da qualcuno questa definizione, non svelandone l’identità. Il carattere fittizio e teatrale della prima dialettica – teatro nel teatro - comincia a svelarsi nel momento in cui Carmide prende in prestito una definizione appartenente a Crizia. Se prima aveva cercato di imitare Crizia adesso tradisce la sua operazione: le sue parole diventano una copia delle parole del maestro. Inizialmente Crizia nega la paternità della massima (161 c), cercando di mantenere ancora il silenzio e tradendo così la sua volontà di eclissarsi lasciando parlare Carmide, riflesso dei suoi insegnamenti.

482

supra, § III.2.2.

483

Anche nel Protagora (347 b 8) Socrate contesta l’utilizzo strumentale della poesia ed invita Protagora a lasciare canti e versi e tornare all’indagine.

484

(11)

150 Ma Carmide è pur sempre un allievo di un grande poeta. Forse il migliore, ma pur sempre subordinato. Il gioco teatrale tocca il suo momento estremo in 162 b 9- 11. Non riuscendo a spiegare il senso profondo della massima, Carmide rompe definitivamente la finzione con una provocazione: nulla impedisce che colui che ha detto queste parole non ne sapesse il significato. Dicendo questo ridacchiava guardando verso Crizia. Diventa impossibile mantenere la finzione e Crizia rompe il silenzio485, svelando il gioco di maschere. La sua reazione vale come conferma:

(…) ὁ δ᾽ οὐκ ἠνέσχετο, ἀλλά μοι ἔδοξεν ὀργισθῆναι αὐτῷ ὥσπερ ποιητὴς ὑποκριτῇ κακῶς διατιθέντι τὰ ἑαυτοῦ ποιήματα (Ch. 162 d 2-3)

La reazione di Crizia è quella di un poeta nel confronti di un cattivo interprete. Riceviamo una conferma della mimesis di Carmide, che si era sforzato di divenire Crizia fino ad assumerne le stesse parole. Carmide come ὑποκριτής , interprete di Crizia che a sua volta è interprete della poesia più antica. Ma l’utilizzo della metafora tratta dal mondo letterario ha una doppia valenza. Carmide è attore, ma è anche interprete. Questa seconda sfumatura del termine si connette con la caratterizzazione di Crizia come poeta, la cui sostanza degli insegnamenti è quella, come si comprende bene da ciò che segue, inerente la produzione e la critica letteraria. Dal punto di vista di Crizia Carmide deve ancora acquisire le sottili tecniche di interpretazione letteraria. Ciò che segue (162 e) non è altro che un assaggio avente funzione paradigmatica dell’attività prevalente di Crizia ai tempi dell’ambientazione del dialogo, una prova dell’epimeleia486

che Crizia ha dedicato alla letteratura.

L’ingresso di Crizia segna una svolta e viene a coincidere con il silenzio di Carmide. Carmide si eclissa: da cattivo attore - cattivo interprete, diventa spettatore. L’eclissarsi di Carmide ha un effetto forte da un punto di vista mimetico. Il lettore, che era stato portato a identificarsi con Carmide per tutta una serie di espedienti letterari (ingresso teatrale, straordinaria bellezza, pudore, equilibrio), adesso è portato a ritirarsi nello stesso silenzio ricettivo in cui si trova il giovane. Carmide, in altre parole, invita il lettore ad assistere alla dialettica tra due grandi, sospendendo il giudizio.

485

Anche Nicia nel Lachete subentra in un secondo momento (194 c 7).

486

supra, § III.1.4. Il termine compare un’altra volta nel dialogo (156 e) a proposito dei medici greci che trascurerebbero, a differenza dei Traci, l’anima nel curare il corpo. La cura dell’anima si ottieni con i kaloi logoi. Nonostante il passaggio non sia immediato anche qui l’epimeleia è connessa al logos filosofico-letterario.

(12)

151

IV.2.3 Dialegesthai Crizia-Socrate (162 d 7-175 a 7)

E la dialettica comincia proprio come ci si aspettava dalla ricostruzione delle precedenti dinamiche. Crizia in veste di maestro dà un assaggio della sua attività, quella in cui investe il suo tempo: la critica e la rielaborazione letteraria. Carmide lo si immagina proteso a cogliere gli insegnamenti di Crizia. Attraverso l’articolazione della seconda dialettica sarà possibile trovare conferme ulteriori della tesi di Crizia poeta. In particolare è la maschera di Socrate, nella sua neutralità, lo strumento primario per la comprensione di Crizia. Nell’articolazione del testo diventerà chiaro come Socrate tenti di spingere Crizia verso il suo limite, portandolo faccia a faccia, in un gioco di tensioni, con ciò che a lui manca. Il secondo strumento per la comprensione di Crizia sulla scena è l’azione stessa di Crizia, che troverà un suo momento culminante nella scena dell’aporia, dalle tinte fortemente teatrali. Di seguito, gli snodi principali della seconda dialettica.

È stato già più volte notato nel corso del lavoro l’importanza di Ch. 163 a ss. Il saggio di critica letteraria dal valore paradigmatico è perfetta espressione dell’identità di Crizia e del gioco di relazioni dell’intellettuale con la realtà del suo tempo. In particolare: il carattere enigmatico e quasi oracolare della massima rinvia ad Antifonte e alle sue interpretazioni dei sogni e al contempo rinvia al vero Crizia che interpreta massime della tradizione sapienziale487 ; la presenza del piccolo catalogo dei mestieri rimanda all’elenco di mestieri umili tramandatoci da Polluce e contemporaneamente ce ne fornisce un background altamente verosimile488 ; le divisioni, le diaireseis, attraverso l’utilizzo strumentale di Esiodo, marcano e confermano il legame con Prodico, reso palese dalla stessa voce di Socrate e che trova conferme ulteriori sia nel Protagora sia nella lettura dell’Eracle al

bivio489 .

Nel passaggio dalla prima alla seconda definizione Crizia risulta estremamente coerente. Avendo dimostrato il valore positivo dell’ergon, la sophrosyne diventa praxis ton

agathon (163 e 10), ovvero il kalon ergon di cui parla Prodico490 . A questo punto, come nota Beversluis491 , Socrate manipola la conversazione, mettendo in bocca a Crizia parole che non sono di Crizia492 . Nel farlo Socrate insegue uno scopo ben preciso. In 164 a introduce infatti la delicata questione della consapevolezza di sapere da parte di chi è saggio

487

Per Antifonte § III.2.2. Per l’interpretazione di Crizia delle massime della tradizione sapienziale § III.1.4.

488 supra, § III.1.4. 489 supra, § III.2.2. 490 supra, § III.2.2. 491

Beversluis 2000, 144 (…) Socrates abruptly changes the subject (…).

492

(13)

152 e agisce saggiamente493 . Crizia non si rende conto del pericolo delle parole di Socrate e della direzione che egli vuole far prendere alla dialettica nel mettere in gioco il problema della consapevolezza. Precedentemente abbiamo messo in evidenza come questo tema fosse particolarmente caro a Crizia. La conferma si avrebbe da un frammento tramandatoci da Stobeo tratto da una imprecisata tragedia494 . Parte essenziale dell’etica criziana è la conoscenza di se stesso da parte di chi è saggio. L’importanza di questi temi si riflette nel Crizia del Carmide conferendogli grande autenticità. In particolare in 164 c 7 ss. Crizia è disposto a ritrattare qualcuna delle affermazioni dette in precedenza piuttosto che convenire che un uomo che ignori se stesso sia saggio.

L’importanza di questo concetto viene ribadita dalla III definizione: la sophrosyne come τὸ γιγνώσκειν ἑαυτόν (164 d 4). Di seguito Crizia ci fornisce un ulteriore prezioso esempio di critica letteraria, ulteriore indizio nel segno dell’autenticità della maschera495

. Il modo in cui si recupera l’oracolo di Delfi e lo si reinterpreta chiarisce, infatti, l’approccio di Crizia con la tradizione. Un approccio critico, che non teme l’innovazione e la forte provocazione. Crizia non teme di mettere la sua opinione sullo stesso piano di quella della sapienza più antica (165 a 1) e non teme di ipotizzare senza riserve la mancata comprensione da parte dei saggi del saluto del dio. Coloro che apposero le successive iscrizioni presso Delfi credettero erroneamente che lo Gnothi seauton fosse un saluto del dio e non un consiglio: καὶ γὰρ οὗτοι συμβουλὴν ᾠήθησαν εἶναι τὸ Γνῶθι σαυτόν, ἀλλ᾽ οὐ τῶν εἰσιόντων ἕνεκεν ὑπὸ τοῦ θεοῦ πρόσρησιν, Ch. 165 a 4-6. Le successive interpretazioni, infatti, sarebbero per Crizia frutto di un fraintendimento.

Socrate non assente né dissente, affermando di non sapere (165 b 5-c 1). L’indicazione prettamente socratica segnala che qui, a differenza del confronto con Carmide, la maschera di Socrate sia autentica. Nell’indagine che segue s’introduce il concetto di episteme e dell’utile che l’episteme produce. In altre parole Socrate cerca di effettuare un parallelismo tra technai come medicina ed architettura, ognuna delle quali è una scienza avente un utile ben preciso, e la sophrosyne, scienza di se stessa (concetto implicato dalla definizione precedente). Anche qui Crizia si dimostra all’altezza della situazione, in quanto perfettamente consapevole della differenza che intercorre tra le altre scienze e la scienza in questione. Da 165 e 2-5 si coglie lo spessore del personaggio.

493

Cf. anche Ch. 166 d..

494

Stob. III 23,1 (terribile quando chi non ha senno sembra saggio). v. supra, § III.2.2.

495

Questa sezione riflette un atteggiamento di Crizia nel segno dell’autenticità. È possibile infatti trovare un riscontro dei temi trattati nei frammenti di Crizia (supra, § III.1.4; § III.2). Per l’autenticità e la coerenza delle argomentazioni di Crizia v. Tuozzo 2000, 296-305. Come Crizia, anche Protagora presenta nell’omonimo dialogo un’azione improntata all’autenticità. Si veda a proposito Bertagna 2012, 91-100.

(14)

153 ἀλλ᾽, ὦ Σώκρατες, ἔφη, οὐκ ὀρθῶς ζητεῖς. οὐ γὰρ ὁμοία αὕτη πέφυκεν ταῖς ἄλλαις ἐπιστήμαις, οὐδέ γε αἱ ἄλλαι ἀλλήλαις: σὺ δ᾽ ὡς ὁμοίων οὐσῶν ποιῇ τὴν ζήτησιν.

L’errore di Socrate sta nel fare la ricerca come se fossero le stesse.. Caratteristica della

sophrosyne è l’essere, essa sola, scienza di se stessa e delle altre scienze. La caratteristica

predominante è proprio quella della riflessività. Crizia è perfettamente in grado di smascherare l’operazione della dialettica socratica fino al punto da affermare:

καὶ ταῦτά σε πολλοῦ δεῖ λεληθέναι, ἀλλὰ γὰρ οἶμαι ὃ ἄρτι οὐκ ἔφησθα ποιεῖν, τοῦτο ποιεῖς: ἐμὲ γὰρ ἐπιχειρεῖς ἐλέγχειν, ἐάσας περὶ οὗ ὁ λόγος ἐστίν (Ch. 166 c 3-6)

Socrate ha realmente finora cercato di confutare Crizia, pur condividendone gli argomenti, e realmente sta cercando di portare la conversazione verso una ben precisa direzione. Davanti all’evidenza Socrate riconosce di star facendo così, ma aggiunge che la ragione che lo spinge a farlo è il timore di credere di sapere, pur non sapendo. Anche qui si riprende puntualmente il frammento di Stobeo.

οἷον, ἦν δ᾽ ἐγώ, ποιεῖς ἡγούμενος, εἰ ὅτι μάλιστα σὲ ἐλέγχω, ἄλλου τινὸς ἕνεκα ἐλέγχειν ἢ οὗπερ ἕνεκα κἂν ἐμαυτὸν διερευνῴμην τί λέγω, φοβούμενος μή ποτε λάθω οἰόμενος μέν τι εἰδέναι, εἰδὼς δὲ μή (Ch. 166 c 7-d 2)

Beversluis496 , a proposito di questo passo in cui Socrate cerca di giustificare il suo atteggiamento confutatorio, parla di mancanza di serietà da parte di Socrate. Al contrario si sostiene che qui Socrate agisca in maniera conforme alla sua caratterizzazione, ovvero modellando le sue parole sulla base dell’interlocutore che ha di fronte. Subito dopo Socrate esorta a ritornare all’indagine, focalizzandosi sul logos (166 e 1-2). La vicinanza delle parole di Socrate all’etica criziana, unita all’importanza che per lo stesso Crizia aveva il

logos497 , ci lascia credere che qui Crizia acconsenta sinceramente e con convinzione ad

assecondare le complesse e geniali manipolazioni socratiche. La sua risposta, ancora una volta, ci fornisce un elemento di caratterizzazione:

496

Beversluis 2000, 149.

497

(15)

154 ἀλλά, ἔφη, ποιήσω οὕτω: δοκεῖς γάρ μοι μέτρια λέγειν (Ch. 166 e 3)

Crizia riesce fino ad un certo livello a far fronte a Socrate, restando saldamente ancorato alle proprie convinzioni. Nell’approvare le parole di Socrate, infatti, applica le proprie categorie498 : il termine μέτρια rimanda alla moderazione, concetto insito nella sophrosyne e presente nei frammenti. La metriotes è centrale nell’orizzonte culturale di Crizia (elegia agli spartani) e rientra nell’ideale di matrice teognidea del buon simposio499

.

Dallo scambio di battute è venuto fuori come Crizia fino a questo momento ponga delle definizioni in linea con il suo pensiero, estremamente coerenti e legate l’una all’altra. Questo avviene fino a 166 e 4-6, momento in cui viene ripresa ed espressa in termini chiari la IV definizione della sophrosyne: scienza di se stessa e delle altre scienze. La risposta di Socrate conduce al cuore del dialogo:

οὐκοῦν, ἦν δ᾽ ἐγώ, καὶ ἀνεπιστημοσύνης ἐπιστήμη ἂν εἴη, εἴπερ καὶ ἐπιστήμης; (Ch. 166 e 7-8)

Nel riprendere la definizione di Crizia, Socrate aggiunge consapevolmente una piccola variante: il motivo del sapere negativo. Il saggio non è solo cosciente di ciò che sa, ma

anche di ciò che non sa. A partire dalla coscienza del limite del suo sapere egli è in grado di

giudicare anche il limite del sapere altrui500 . La sophrosyne non è soltanto conoscenza riflessiva, ma legittima anche a giudicare gli altri. Si colgono qui le implicazioni politiche della virtù in esame. Socrate spinge intenzionalmente il dialogo in questa direzione facendo della sophrosyne (167 c) una scienza delle altre scienze e della non scienza. Ora, sarà l’aggiunta della dimensione negativa del sapere a mandare Crizia in aporia. Siamo in presenza di un punto di svolta, come ci conferma l’invocazione a Zeus soter, spia del carattere cruciale di ciò che segue501 . Fino a questo momento Crizia è perfettamente in piedi, ma pur nella sua lucidità non riesce a dare il giusto peso all’aggiunta di Socrate. Non è consapevole di star cadendo in una metaforica trappola. Fino a questo momento le

498

Petrucci (2013, 389-393) vede un gioco di caratterizzazione di Socrate da parte di Alcibiade alla fine nel Simposio, parlando a proposito di gioco di specchi. Sebbene nel Carmide non sia possibile trovare una sezione singola in cui si compie una caratterizzazione, è possibile tuttavia ravvisare lo stesso gioco di specchi tra Crizia e Socrate. Il passo in questione ne è un esempio.

499

Del simposio paradigmatico si discute in rapporto al componimento esametrico per Anacreonte v. supra, § III.2.1.

500

Per il contributo del frammento di Antifonte alla comprensione di questa sezione del dialogo v. supra, § III.2.2.

501

(16)

155 relazioni tra i personaggi non sono mutate: Crizia ha spinto il dialogo verso una dimensione interiore di autoconoscenza, mentre Socrate ha mostrato di voler indirizzare il discorso verso una dimensione esteriore, quella del vantaggio, dell’utile sociale della scienza in esame. All’interno di questo gioco di tensioni Carmide, nel suo silenzio ricettivo, resta ancora sotto l’orbita del suo tutore, apparentemente inattaccabile. Da qui a poco le dinamiche muteranno.

Il metodo utilizzato da Socrate per far cadere Crizia è ancora quello dell’analogia. Se prima aveva posto sullo stesso piano la sophrosyne e le altre scienze, adesso effettua degli azzardati parallelismi tra la sophrosyne e le sensazioni-affezioni, incurante dell’avvertimento di Crizia di porre questo sapere su un piano differente. In altre parole si mette in pratica l’equazione: se la sophrosyne è scienza di se stessa e delle altre scienze allora anche la vista l’udito e le sensazioni tutte possono essere sensazioni di loro stesse e delle altre sensazioni.

Sophrosyne = scienza di se stessa delle altre scienza e della non scienza =>

vista = vista di se stessa delle altre viste e delle non viste =>

lo stesso per l’udito, le sensazioni in generale, e poi desiderio volontà amore paura502

Dalle sensazioni si passa dunque alle affezioni e da queste alle grandezze fino ad arrivare all’impasse. Soltanto un megalos aner sarebbe in grado di operare le opportune distinzioni

502

La critica ha sempre messo in evidenza la difficoltà di far fronte a questo passo e in effetti è innegabile una certa concettosità. Lo sguardo alla produzione di Crizia e al gioco di relazioni che Crizia intesse con i suoi contemporanei ha fatto venire alla luce dei collegamenti che ci hanno permesso di carpire il senso di questa sezione del dialogo. Il problema della riflessività cessa di apparire incomprensiibile se si tiene e mente: 1. la testimonianza di Antifonte che Socrate calca precedentemente, inerente alla facoltà del saggio di conoscere se stesso e gli altri. Attraverso la tecnica dell’analogia questa testimonianza viene trasposta su differenti piani. Questa necessità nasce dalle tensioni interne al testo. Socrate fin dalla dialettica con Carmide, spinge il dialogo ad una dimensione esteriore, la dimensione collettiva dell’ophelia, che la sophrosyne comporta. Essendo una virtù politica la sophrosyne, a differenza delle altre virtù, contiene in se stessa questa doppia dimensione. Se Crizia si concentra su ciò che caratterizza l’io del sophron, ovvero la conoscenza di sé stessi (dimensione interiore), Socrate compie uno spostamento dalla conoscenza di sé stessi alla conoscenza degli altri, per poi compiere un ulteriore passo in avanti: dalla conoscenza di sé e degli altri alla non conoscenza, a ciò che non si sa. Al sapere positivo, viene affiancato il sapere negativo di Socrate, il classico sapere di non sapere; 2. la testimonianza di Galeno (88 B40 DK; supra, § III.2.2) sulle distinzioni che Crizia nelle Conversazioni avrebbe compiuto tra le aistheseis e la gnome. L’impasse è infatti generata da un’evidente incapacità di operare distinzioni. Solo un megalos aner è in grado di distinguere quale episteme abbia la propria facoltà ascrivibile a se stessa e quale invece no. Ora, Crizia in qualche momento della sua carriera si occupato di queste distinzioni e Platone doveva esserne sicuramente a conoscenza nel momento in cui scrive il Carmide. Alludendo a queste distinzioni Socrate allude probabilmente ad una questione di cui Crizia si era direttamente occupato.

(17)

156 (169 a), arrivando a capire quale delle scienze-sensazioni-affezioni abbia la propria facoltà ascrivibile a se stessa e quale no.

L’aporia di Socrate, per un gioco di riflessi, diventa aporia di Crizia503 .

καὶ ὁ Κριτίας ἀκούσας ταῦτα καὶ ἰδών με ἀποροῦντα, ὥσπερ οἱ τοὺς χασμωμένους καταντικρὺ ὁρῶντες ταὐτὸν τοῦτο συμπάσχουσιν, κἀκεῖνος ἔδοξέ μοι ὑπ᾽ ἐμοῦ ἀποροῦντος ἀναγκασθῆναι καὶ αὐτὸς ἁλῶναι ὑπὸ ἀπορίας. (Ch. 169 c 3-6)

Il parallelo con lo sbadiglio diventa una metafora per la mimesis che si riflette nell’altro,

allo stesso modo di coloro che vedendo sbadigliare coloro che sono di fronte, sbadigliano a loro volta. Quello che succede a Socrate e a Crizia succede parallelamente a Carmide, nel

suo silenzio, e anche al lettore, che lentamente, insieme a Carmide, comincia a distaccarsi dall’orbita di Crizia per avvicinarsi a quella di Socrate. Questo passaggio e la reazione che ne segue è il più importante per la caratterizzazione del personaggio. Ora, bisogna chiedersi: cosa impedisce a Crizia di rispondere con la sicurezza che lo contraddistingue? Questo quesito ne implica un altro: cosa desidera Socrate da Crizia? La risposta a questa seconda domanda la si trova in 169 b 5 ss.

σὺ οὖν, ὦ παῖ Καλλαίσχρου - τίθεσαι γὰρ σωφροσύνην τοῦτ᾽ εἶναι, ἐπιστήμην ἐπιστήμης καὶ δὴ καὶ ἀνεπιστημοσύνης - πρῶτον μὲν τοῦτο ἔνδειξαι, ὅτι δυνατὸν ἀποδεῖξαί σε ὃ νυνδὴ ἔλεγον, ἔπειτα πρὸς τῷ δυνατῷ ὅτι καὶ ὠφέλιμον: κἀμὲ τάχ᾽ ἂν ἀποπληρώσαις ὡς ὀρθῶς λέγεις περὶ σωφροσύνης ὃ ἔστιν.

Socrate chiede a Crizia di dimostrare: 1. l’esistenza di un sapere che, oltre ad essere riflessivo, sia anche negativo; 2. una volta appurata l’esistenza di un tale sapere, di dimostrarne l’utilità per la società (πρὸς τῷ δυνατῷ ὅτι καὶ ὠφέλιμον). Cosa impedisce allora a Crizia di adempiere a questa richiesta? A nostro avviso la risposta la si trova nella rappresentazione drammatica dell’aporia che segue.

(…) Crizia, abituato a distinguersi in ogni occasione, si vergognava di fronte ai presenti e non voleva riconoscere di non essere in grado di compiere le divisioni che gli avevo chiesto, né disse nulla di chiaro, nascondendo l’aporia (Ch,166 c 6-d 2) .

503

(18)

157

Crizia non è in grado di fornire una soluzione all’aporia di Socrate, applicando il metodo della diairesis. Al contempo non è in grado di ammettere di non sapere. La caratterizzazione drammatica dell’aporia ci mostra il limite di Crizia. Socrate gli aveva chiesto una dimostrazione (quesito 1) di un’episteme anapistemosynes. Dimostrare un sapere negativo significa essere in grado di riconoscere di non sapere sia dinanzi a se stesso, sia dinanzi agli altri. Crizia non è in grado di compiere questo passo e di ammettere il limite della sua conoscenza. Attraverso la rappresentazione di Crizia sulla scena diventa allora chiaro cosa manca a Crizia per superare l’aporia: una limitazione del sapere, un riconoscimento della propria anepistemosynes504 . Riconoscendo questo si aprirebbe anche la possibilità di

risolvere il quesito n. 2: l’utile sociale di un tale sapere. È la capacita di porsi e porre un limite al sapere proprio e altrui la chiave per l’utilità sociale e collettiva della sophrosyne505

.

In Socrate la coscienza dell’utilità è forte anche se non può arrivare ad una certezza razionale, dimostrata attraverso la dialettica. La convinzione diventa perciò presagio veritiero (τὴν γὰρ οὖν δὴ σωφροσύνην ὠφέλιμόν τι καὶ ἀγαθὸν μαντεύομαι εἶναι, 169 b 4-5).

Il presagio assumerà i contorni di un sogno (173 a) che non a caso è incentrato sulla capacità di giudicare il limite del sapere altrui, la capacità di valutare la competenza dei vari saperi evitando l’inganno. Da dove si genera l’inganno? Dal voler superare i confini del proprio sapere, dall’incapacità di giudicare ciò che si sa e ciò che non si sa e di agire con la coscienza di questo limite. Nella stessa direzione l’utopia del buon governo (171 d 1 ss.). Il possesso della sophrosyne libera dall’errore e questo avviene per la seguente ragione:

504

Sui pericoli di questo tipo d’ignoranza e sui rischi connessi cf. Filebo 48 c ss. si tratta della c.d. ignoranza del terzo tipo, che caratterizza le persone convinte di possedere una conoscenza di sé pur essendone prive. In particolare odiosa risulta questo tipo di ignoranza se caratterizza personaggi forti e capaci di agire (Phil. 49 b 7-c 5), odiosa per coloro che ne subiscono l’effetto. Dietro questi personaggi la Nightingale (1995, 88-89) riconosce i caratteri tragici. Potenzialemente Crizia potrebbe generare una mimesis negativa (Blondell, op.cit. ). La pericolosità intrinseca al personaggio Crizia è attenuata da strumenti letterari come l’ironia (sull’ironia come mezzo per scongiurare una mimesis negativa v. Blundell 1992, 166. Qui si aggiunge che i rischi di una potenziale mimesis negativa sono annullati favorendo l’identificazione del lettore con Carmide v. infra, .

505

Palese questa accezione nel IV della Repubblica. Per cui supra, § II.2.1 (55-62).

Rappresentazione drammatica dell’aporia di Crizia (169 c 3 - d 2) => fornisce elementi di caratterizzazione

(19)

158 γὰρ ἂν αὐτοὶ ἐπεχειροῦμεν πράττειν ἃ μὴ ἠπιστάμεθα, ἀλλ᾽ ἐξευρίσκοντες τοὺς ἐπισταμένους ἐκείνοις ἂν παρεδίδομεν, οὔτε τοῖς ἄλλοις ἐπετρέπομεν, ὧν ἤρχομεν, ἄλλο τι πράττειν ἢ ὅτι πράττοντες ὀρθῶς ἔμελλον πράξειν ( … ) Ch. 171 e 1-4

Si tratta ancora di riconoscere il proprio limite, non intraprendendo azioni di cui non si ha competenza, e di riconoscere il limite altrui, affidando gli incarichi in rapporto alle diverse competenze. In questa seconda parte della dialettica Socrate mette continuamente l’accento sul sapere negativo, da affiancare a quello positivo, mentre Crizia sembra non essere più in grado di smascherare, come prima aveva fatto, l’operazione socratica.

La conferma di questa interpretazione, che vede il limite di Crizia nell’incapacità di riconoscere il limite del suo sapere, ci viene dal primo scambio di battute successivo alla drammatizzazione dell’aporia. Concedendo l’esistenza di una scienza della scienza, per

quale motivo dovrebbe essere maggiormente possibile sapere ciò che uno sa e ciò che uno non sa? Questo infatti, prosegue Socrate, dicevamo essere il conoscere sé stessi e l’esser saggio. O no? (169 d 5 - 8). Di seguito la risposta di Crizia:

πάνυ γε, ἦ δ᾽ ὅς, καὶ συμβαίνει γέ που, ὦ Σώκρατες. εἰ γάρ τις ἔχει ἐπιστήμην ἣ αὐτὴ αὑτὴν γιγνώσκει, τοιοῦτος ἂν αὐτὸς εἴη οἷόνπερ ἐστὶν ὃ ἔχει: ὥσπερ ὅταν τάχος τις ἔχῃ, ταχύς, καὶ ὅταν κάλλος, καλός, καὶ ὅταν γνῶσιν, γιγνώσκων, ὅταν δὲ δὴ γνῶσιν αὐτὴν αὑτῆς τις ἔχῃ, γιγνώσκων που αὐτὸς ἑαυτὸν τότε ἔσται. (169 d 9 - e 5).

Se una scienza è scienza di se stessa allora ne consegue che chi possiede questa scienza conoscerà se stesso. Allo stesso modo di chi possiede la velocità ed è veloce, la bellezza ed è bello. In questa argomentazione Crizia non inserisce il sapere negativo, dimostrando di non aver colto le allusioni socratiche ad un sapere di non sapere. Il sapere di Crizia non è capace di essere circoscritto e pertanto non può essere vantaggioso. Sebbene Socrate torni più volte sull’argomento, Crizia non arriva a compiere il passo che vada nel segno della divisione delle competenze.

Un ulteriore esempio lo si trova alla fine del dialogo. Crizia è approdato (174 b) alla V ed ultima definizione, la sophrosyne come scienza del bene e del male506 . Socrate incalza

sulla questione dell’utilità della sophrosyne come scienza del bene e del male e Crizia risponde:

506

(20)

159 τί δ᾽, ἦ δ᾽ ὅς, οὐκ ἂν αὕτη ὠφελοῖ; εἰ γὰρ ὅτι μάλιστα ἐστὶν ἡ σωφροσύνη, ἐπιστατεῖ δὲ καὶ ταῖς ἄλλαις ἐπιστήμαις, καὶ ταύτης δήπου ἂν ἄρχουσα τῆς περὶ τἀγαθὸν ἐπιστήμης ὠφελοῖ ἂν ἡμᾶς (Ch. 174 d 8 - e 3)

Il vantaggio deriva dunque dalla superiorità della scienza delle scienze, τῶν ἐπιστημῶν ἐπιστήμη. Essendo in una posizione privilegiata è naturale per Crizia che essa presieda alla scienza del bene (ἄρχουσα τῆς περὶ τἀγαθὸν ἐπιστήμης). Da ciò l’utilità. Anche nelle battute finali del dialogo è del tutto assente dalle parole di Crizia il sapere negativo, unico sapere da cui discende il vero utile. Non a caso Socrate risponde:

ἦ κἂν ὑγιαίνειν ποιοῖ, ἦν δ᾽ ἐγώ, αὕτη, ἀλλ᾽ οὐχ ἡ ἰατρική; καὶ τἆλλα τὰ τῶν τεχνῶν αὕτη ἂν ποιοῖ, καὶ οὐχ αἱ ἄλλαι τὸ αὑτῆς ἔργον ἑκάστη; ἢ οὐ πάλαι διεμαρτυρόμεθα ὅτι ἐπιστήμης μόνον ἐστὶν καὶ, ἄλλου δὲ οὐδενός: οὐχ οὕτω; (Ch. 174 e ).

È chiaro che la sophrosyne, pur essendo scienza delle altre scienze, non può acquisire il sapere tecnico e specializzato delle singole technai, come quella medica. In altre parole, il

sophron non è colui che pretende di essere medico, ma colui che riconosca per prima cosa la

sua incompetenza in medicina (ἀνεπιστημοσύνης ἐπιστήμη) poi, in un secondo tempo, riconosca la competenza del medico e affidi ad esso il compito di curare, da cui l’utile507

. Alla fine del dialogo la situazione è la seguente: Crizia, pur essendo in aporia, non lo ammette. Socrate addossa su di sé la colpa della direzione paradossale in cui è approdata la dialettica: arrivare a considerare la sophrosyne qualcosa di svantaggioso 175 d. Sebbene il limite sia di Crizia, Socrate lo attribuisce a se stesso, secondo un procedimento comune a molti dialoghi508 . Nella prima parte della dialettica Crizia ha agito in maniera coerente al suo profilo autentico di poeta, mostrando le sue acute capacità di critica letteraria, il suo approccio con la tradizione, la lucidità del pensiero che lo porta a smascherare l’operazione di confutazione socratica, l’interesse per l’individuo ed una conoscenza riflessiva di matrice aristocratica. La dialettica assume una direzione diversa, come abbiamo visto, nel momento il cui Socrate introduce il concetto del sapere di non sapere, l’episteme anepistemosyne. Nonostante le numerose allusioni, Crizia non si mostrerà all’altezza di operare le dovute

diaireseis. Non a caso Socrate indirizza la conversazione verso questa direzione. La scelta

degli argomenti infatti, fin dalla prima dialettica con Carmide è legata all’interlocutore.

507

Cf. Ch. 171 e.

508

(21)

160 Socrate pone a Crizia temi che erano di Crizia. Socrate è uno specchio. Mette in luce le caratteristiche di chi gli sta di fronte, ma anche i limiti. Crizia viene portato a confrontarsi con se stesso e con il suo limite, ovvero l’incapacità di riconoscere il limite del suo sapere e di dominare la sua azione. Come già detto, la rappresentazione drammatica dell’aporia di Crizia è il punto in cui si coglie al meglio la sua caratterizzazione e il suo ruolo nella dinamica del dialogo. Ma limite di Crizia non sta solo nel non saper disinguere ciò che non

sa da ciò che non sa, ma anche nell’incapacità di porsi un autocontrollo, come si nota nella

scena della sostituzione dell’interlocutore, anch’essa dai toni fortemente drammatici509 . Non riuscendo a contenere la sua ira e a delimitare il suo sapere, non può incarnare

pienamente l’ideale di cui i ritiene in possesso.

IV.2.4 Rottura del silenzio: ridefinizione dei ruoli (176 a 6-d 5)

Quando Carmide riprende la parola la situazione è profondamente mutata. I ruoli non sono più gli stessi. Il punto di sospensione in cui è arrivata la conversazione provoca un ridisegnamento dei ruoli. Ciò che cambia è la posizione di Carmide in rapporto ai due grandi. Prima Carmide era una maschera di Crizia, ne imitava i gesti e le parole. Adesso, dopo il silenzio ricettivo in cui lo ha rilegato la dialettica, Carmide non è più dipendente da Crizia, ma diventa dipendente da Socrate. Ritorna l’incantesimo a disegnare il motivo della

Ringkomposition. Carmide non è in grado di valutare se possieda o meno la sophrosyne. Come potrei infatti sapere ciò che nemmeno voi siete stati capaci di scoprire cosa mai sia?

(176 a 6-8). E poi continua:

ἐγὼ μέντοι οὐ πάνυ σοι πείθομαι, καὶ ἐμαυτόν, ὦ Σώκρατες, πάνυ οἶμαι δεῖσθαι τῆς ἐπῳδῆς, καὶ τό γ᾽ ἐμὸν οὐδὲν κωλύει ἐπᾴδεσθαι ὑπὸ σοῦ ὅσαι ἡμέραι, ἕως ἂν φῇς σὺ ἱκανῶς ἔχειν (Ch. 176 b 1-4)

Carmide coglie il gioco ironico di Socrate e contemporaneamente dichiara di avere assolutamente bisogno dell’incantesimo. Quel πάνυ tradisce un grande entusiasmo. Carmide è perfettamente all’interno dell’aporia, ma a differenza di Crizia vive a fondo l’aporia. Vivere l’aporia, dichiarare di aver bisogno dell’incantesimo, significa aprirsi all’incanto che la letteratura filosofica di Platone genera510 . Carmide compie un significativo spostamento dall’orbita di Crizia a quella di Socrate. Adesso si trova perfettamente in mezzo. Da un lato

509

supra, 147.

510

(22)

161 è legato al vincolo di ubbidienza nei confronti dei Crizia, dall’altro ha subito il fascino che la dialettica Crizia - Socrate, piccolo assaggio di incantesimo, ha generato. Carmide diventa amante di Socrate nella misura in si dichiara disposto a seguirlo giorno per giorno fino a quando sia necessario. Socrate, da amante e vittima della straordinaria bellezza di Carmide, diventa amato. Con Carmide e come Carmide anche il lettore, la cui identificazione con il giovane è stata favorita da alcuni strumenti letterari511 , dovrebbe manifestare la sua intenzione di fruire della dialettica, incantesimo che si compie attraverso il logos.

Alla fine del dialogo avviene quella che si potrebbe definire una biforcazione che solo la letteratura rende possibile. Alla ricerca filosofica nel suo stadio potenziale si contrappone il peso della dimensione storica nella sua tragicità. Il Carmide storico non si allontanerà mai del tutto dall’orbita del maestro (176 b 9-c 2), mentre il Crizia storico non resterà il grande poeta apragmonos focalizzato sulla propria interiorità. Le cose, com’è noto, andranno diversamente e la direzione che prenderanno gli eventi sarà quella della violenza, come segnala, in maniera allarmante la presenza delle tre forme verbali in chiusura connesse alla violenza (βιάσῃ, 176 c7; βιασομένου, 176 c 8; βιαζομένῳ, 176 d 2). La violenza è anche quella della costrizione nei confronti di Socrate a cui, per citare il Carmide, non resta

nessuna decisione, come ci testimonia il Platone della VII Lettera512 . Ma se da un lato c’è la

storia, immodificabile nella sua tragicità, dall’altro c’è la letteratura. Essa sola consente di far diventare Carmide modello e paradigma per il lettore. Le speranze nel giovane Carmide sono vane, ma, attraverso lo strumento letterario, le speranze di un incantesimo si estendono a tutti coloro che, come Carmide, sono disposti a vivere l’aporia.

IV.2.5 Un tentativo di interpretazione del Carmide: mimesis ed aporia

Carmide insieme al lettore sperimenta in prima persona l’aporia, intesa come stadio iniziale della ricerca filosofica, che porta il personaggio, in genere il fruitore di un dialogo, a liberarsi della struttura cristallizzata che costituisce il bagaglio culturale, i valori della tradizione e le posizioni politiche. Dopo aver assistito al duello, Carmide compie ciò che Platone chiede al lettore. Sospendendo il giudizio diviene terreno fertile della ricerca filosofica, metaforicamente espressa attraverso l’incantesimo letterario. L’incantesimo è metafora, come si è visto513 , della mimesis. L’invito all’incantesimo è l’invito a lasciarsi conquistare dai bei discorsi. In un’interpretazione del dialogo che mette l’accento

511

Non ultime le allusioni ad un anonimo interlocutore in lui lampert 2010 riconosce lo stesso Platone.

512

Plat. Ep. VII, 324 e 1 ss. supra, § II.2.2.

513

(23)

162 sull’elemento mimetico intrinseco al logos letterario-filosofico trova spiegazione anche l’aporia. Un approccio mimetico al dialogo consente di vivere l’aporia, ovvero di sperimentarne la sua funzione, che coincide con la funzione dell’intero dialogo. Per vivere l’aporia bisogna immergersi nel testo, entrare, come abbiamo cercato di fare, all’interno delle dinamiche dei personaggi e all’interno delle loro tensioni. Queste dinamiche conducono a Carmide. Specchio letterario di uno stadio del pensiero, il giovane parente di Platone, nella sua incorrotta e pura bellezza, nella sua indole nobile e poetica, è la caratterizzazione drammatica dell’aporia, specchio su cui riflettere l’alchimia interiore che dall’aporia si genera514

.

514

Cf. Phaedr. 276 b (Socrate pone un contrasto tra giardino di Adone, i cui frutti vengono gettati nell’acqua, e un terreno adatto, ovvero - come si legge più avanti, 276 e 4 ss, - un’anima disposta a farsi impiantare i semi di discorsi dotati d’episteme da cui germoglieranno, in altre indoli, altri discorsi ancora, facendo in modo che il seme sia immortale e che chi lo possieda sia felice.

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