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2. LE FONTI PER LA RICERCA

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2. LE FONTI PER LA RICERCA

2.1. Paolo Tronci e la Descrizione.

Paolo Tronci nasce a Pisa nel gennaio del 1585 da Niccolò di Paolo Clemente Tronci e Maria Elisabetta d'Abramo. La sua famiglia, originaria di Radicofani, è in possesso della cittadinanza pisana dal 15201 e, all'epoca della sua nascita, risulta già ben integrata

nell'ambiente nobile di Pisa.2 Si tratta di una famiglia abbiente e determinata a mantenere vivi

i propri interessi nelle questioni cittadine: il padre, notaio e cancelliere della Pia Casa Misericordia e del Collegio Puteano, annovera infatti tra i suoi obiettivi di vita quello di far rivestire ai propri figli cariche pubbliche ed ecclesiastiche.3

Paolo Tronci risulta essere il figlio maschio destinato, appunto, alla carriera ecclesiastica. Nel 1600 si reca a Roma per studiare Retorica e Filosofia presso il Collegio Clementino, dopodiché fa ritorno a Pisa laureandosi presso lo Studium della città in “Utroque iure”. È il 1606, lo stesso anno in cui riceve la tonsura. Torna poi a Roma al servizio di Marcello Lante, Cardinale e Vescovo di Todi, il quale gli impartisce gli ordini sacri minori e si prodiga per primo a dotarlo di un beneficio in Pisa che gli fornisca una rendita: la proposta cade sulla chiesa di S.Salvatore in Porta d'Oro, meglio nota come la Madonna dei Galletti, di libera collazione dell'Ordinario.4

Non si sa se Paolo Tronci, anche per un breve periodo, entri in possesso di questo beneficio,5

ma contestualmente, nel 1610, si apre un'opportunità che non sfugge al padre Niccolò. Il Canonico pluribeneficiato Simone Pietro Pitta, morendo quell'anno, lascia vacanti, fra molti, due benefici ossia l'altare della Natività della Beata Vergine Maria in S.Cristina e la Cappella di S.Giovanni Battista in S.Pietro in Vincoli. Su questi si scatenano subito le mire dei compatroni per trovare nuovi rettori scelti da loro e non, come nel caso del Pitta, insediati direttamente dalla Santa Sede in aperta violazione dei loro diritti di voto. Niccolò Tronci, in veste di procuratore del figlio, riesce a farlo diventare rettore della Cappella di S.Giovanni Battista grazie ad una quota di patronato di questo beneficio legata a S.Lorenzo alla Rivolta, monastero in cui avevano preso i voti due delle sorelle di Paolo.6

Oltre a questo successo, il giovane Paolo, sempre grazie all'intercessione del padre, riesce a diventare rettore anche dell'altare della Natività della B.V.M. in S.Cristina e di un altro

1 GRECO, 1985, p.27. 2 SIMONI, 1985, p.68. 3 Ibid., pp.66-67. 4 GRECO, 1985, p.28.

5 Per approfondimento sul “beneficio” e sul sistema istituzionale della chiesa locale si veda cap.3, pp.44-47. 6 GRECO, 1985, pp.29-33.

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beneficio rimasto vacante, dedicato a S.Alessandro in Ponte. A questo punto l'offerta della Madonna dei Galletti viene definitivamente declinata. Inoltre nel 1611 entra in possesso di un canonicato, aggiungendo un'altra rendita alle tre precedenti e, per poter espletare in regola questo nuovo compito, tra il 1611 e il 1613, ottiene la piena ordinazione sacerdotale.7

Negli stessi anni ottiene anche la dignità di Protonotario Apostolico, nonché facoltà di avvocare e procurare, tutte capacità che gli aprono diverse strade nel campo degli incarichi lavorativi.8 Lo stesso fatto di appartenere al Capitolo dei Canonici gli dà accesso a cariche

interne a questo corpo, a loro volta trampolino di lancio per ulteriori impieghi.9 Sempre negli

stessi anni, per esempio, ricopre il ruolo di Esaminatore Sinodale,10 ossia diventa membro

della giuria di canonici approntata per esaminare i candidati proposti come rettori dai patroni dei benefici fondati dall'Ordinario, per valutarne la preparazione etica e teologica prima di proseguire con la nomina ufficiale.

Inoltre, tra il 1615 e il 1618 Paolo Tronci entra in possesso del beneficio non curato di S.Simone a Porta a Mare, che va a costituire la sua quinta fonte di introito, sia in denaro, sia in natura. Anche in questo caso un aiuto viene dalle monache di S.Lorenzo alla Rivolta, compatrone del beneficio assieme alla famiglia Sancasciani. Nonostante l'impegno profuso dalle monache, le trattative giudiziarie attorno questo beneficio finiscono per durare tre anni, divenendo per il Canonico stesso lunghe e dispendiose.11 I cinque benefici semplici di cui si

trova in possesso gli assicurano una discreta base economica a cui sommare gli stipendi percepiti tramite gli incarichi che la sua laurea e il suo status gli permettono di ricoprire, tra questi anche impieghi non strettamente ecclesiastici, come l'insegnamento presso l'Università pisana.12

Nel 1615 gli viene affidato dall'Arcivescovo il primo incarico gravoso di una forte responsabilità personale: il governo del monastero femminile di S.Giuseppe. Si tratta di un'incombenza di una certa complessità, visto che il monastero, al momento della sua nomina a governatore, versa in una difficile situazione economica e si trova privo delle strutture e delle norme previste dal Concilio di Trento, a partire dal rispetto della “Vita Comune”.13

Di lì a poco, poi, inizia per Paolo Tronci una fase ricca di viaggi, vicini e lontani. Nel 1618 si reca a Lucca per la festa di S.Croce assieme all'Arciduchessa e al Cardinale Carlo de Medici.

7 Ibid., p.40. 8 Ivi. 9 Ibid., p.42. 10 Ibid., p.43. 11 Ibid., p.37. 12 Ibid., p.39. 13 Ibid., pp.43-45.

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Nel 1619 va in Maremma come convisitatore durante la Visita Pastorale dell'Arcivescovo e a Loreto, mentre nel 1920 si reca a Monsummano e Pistoia. Nel 1621 ha occasione di visitare diversi luoghi del Nord-Italia nel corso di un viaggio per Milano e ritorno,14 ma è nell'estate

del 1623 che compie il suo viaggio più lungo spingendosi fino a Madrid come maggiordomo di Monsignor Innocenzo Massimi, Vescovo di Bertinoro e Nunzio Apostolico del Re Cattolico.15

Dal 1620 al 1636 la carica di Arcivescovo di Pisa è ricoperta da Giuliano de' Medici, al quale Paolo Tronci si trova molto legato e per il quale svolge altri importanti incarichi. Nel 1623, tornato dalla Spagna, si reca infatti a Roma per prendere parte alla Visita ad limina

Apostolorum presso la Santa Sede e, al suo ritorno a Pisa, viene nominato Luogotenente e

Visitatore Generale. Nel 1627, inoltre, diventa Camarlingo del Seminario dei Chierici,16 però è

il 1629 l'anno in cui raggiunge il più alto gradino della sua carriera ossia la carica di Vicario Generale della Diocesi.17

Quest'ultimo ruolo lo tiene occupato fino al 1636, l'anno della morte di Giuliano de' Medici. Dopodiché il suo successore, l'Arcivescovo Scipione Pannocchieschi d'Elci, lo nomina Vicario Generale delle Monache e dei Monasteri.18 Questa carica viene da lui ricoperta fino al

1648, anno della sua morte, così come il ruolo di governatore del Monastero delle monache di S.Giuseppe. Ricopre invece il ruolo di Camarlingo del Seminario dei Chierici fino al 1643. A queste cariche va aggiunta infine quella di Operaio del Monastero di S.Maria Maddalena alle Convertite, voluta dalla Granduchessa Cristina.19 Alla sua morte, sopravvenuta all'età di

sessantratrè anni, il Canonico viene sepolto presso il monastero di S.Giuseppe.

Paolo Tronci però, oltre ad essere per tutta la vita uno scrupoloso funzionario ecclesiastico,20 è

noto anche per alcune opere manoscritte, autografe o a lui attribuite, che lo inseriscono a ragione nel novero degli eruditi del tempo. I suoi scritti, riferendosi per la maggior parte ad eventi riguardanti la storia di Pisa, sia lontana, sia a lui coeva, lasciano spesso trasparire opinioni personali, assumendo talvolta la forma dello scritto personale, quanto quella del catalogo di nozioni o avvenimenti.21

Tra gli scritti che fanno riferimento alle esperienze vissute da lui in prima persona vi è innanzitutto il Libro dei Ricordi, una sorta di autobiografia contenente notizie relative alla

14 SIMONI, 1985, p.63. 15 Idib., p.57. 16 Ibid., p.60. 17 GRECO, 1985, p.46. 18 Ibid., p.49. 19 Ibid., p.48. 20 Ibid., p.50. 21 SIMONI, 1985, p. 63.

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propria vita e al suo cursus honorum, dal quale emergono anche altri particolari, come la spiccata attitudine della famiglia Tronci al collezionismo artistico.22

Paolo Tronci fornisce inoltre una testimonianza autografa del suo viaggio in Spagna sotto forma di una lettera indirizzata alle due sorelle monache,23 nonché uno spaccato di Pisa

assediata dalla peste intitolato Memorie nel tempo del mal contagio, che non è autografo, ma gli è attribuito.24 Vi è inoltre il diario da lui redatto sulla sua attività come Camarlingo del

Seminario dei Chierici.25

Gli scritti che fanno maggiore riferimento alla storia locale sono invece Le memorie istoriche

di Pisa, divulgato postumo nel 1682, e la Descrizione delle Chiese, Oratori e Monasteri della Città di Pisa, autografo e scritto presumibilmente attorno al 1643. Entrambi si situano

nell'alveo di una produzione letteraria legata alla ricostruzione del passato attraverso documenti ed epigrafi, non immune però da commenti ed interpretazioni arbitrarie.26

L'interesse per la storia locale non è infatti un fenomeno solo pisano, ma investe molte città dell'area italiana. Da una parte si lega alle produzioni di stampo artistico e localistico,27

dall'altra si lega alla generale passione per il collezionismo degli oggetti del passato che nello stesso periodo storico va a rimpinguare le varie raccolte artistico-scientifiche e le

wunderkammeren dei novelli eruditi.28

La Descrizione delle Chiese, Oratori e Monasteri della Città di Pisa assomma in sé le caratteristiche descritte e può essere intesa in parte come un esempio di letteratura periegetica, legata a notizie storiche su elementi di un luogo frammiste all'esperienza personale dell'autore. L'opera, custodita presso l'Archivio Diocesano di Pisa, si presenta come un manoscritto cartaceo di 420 x 290 mm, composto da 289 carte dotate di numerazione coeva alla stesura (da I a CCLXXII). Questo compendio delle chiese, degli oratori e dei monasteri posti all'interno della cinta muraria della città testimonia da parte dell'autore un interesse storico-artistico: i monumenti sono proposti sia come elementi devozionali, sia come parti integranti della memoria storica locale,29 in più sono tutti raffigurati nello stesso manoscritto

per un totale di centoquindici tavole ad acquerello, le quali risultano immediate, ma al contempo sufficientemente dettagliate per essere attendibili. Nella parte finale, agli edifici

22 Ibid., p.58. Si veda anche per un elenco esaustivo dei pittori dei quali i Tronci possedevano opere d'arte. 23 Ibid., p.57.

24 Ibid., p.63. 25 Ibid., p.62. 26 ROSI, 1985, p.11.

27 Gli scritti prodotti nello stesso periodo in ambito artistico per riscattare la pittura non toscana in seguito alla diffusione delle toscano-centriche Vite del Vasari sono un esempio di questa viva produzione a livello locale. 28 Per una disamina sulle pubblicazioni seicentesche riguardanti le celebrazioni si storie patrie locali e simili si veda ROSI, 1985, pp.7-20.

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ecclesiastici si aggiunge anche la descrizione, sempre corredata di immagini, degli Spedali cittadini e di una serie di edifici, di allora recente fondazione, soprattutto connessi con l'Università.

Nei testi descrittivi si ritrova primariamente la volontà di ricostruire la storia di ciascun edificio citato, a partire dalla sua fondazione, spesso con l'ausilio di fonti precise, ma integrate dal commento dell'autore che diventa a volte testimonianza diretta, altre volte deduzione arbitraria. Da questi emergono soprattutto dati come le vicende sommarie legate ai patronati degli edifici descritti, documenti di fondazione o passaggi di proprietà talvolta precisamente citati, la dedicazione degli altari, la presenza di reliquie ed opere d'arte di particolare pregio. Non vi sono solitamente riportate notizie esaustive riguardo alle vicende costruttive degli edifici e il dato architettonico sembra in gran parte delegato alle immagini di corredo.

L'interesse storico ed erudito alla base della sua stesura rende la Descrizione un'opera di generale – seppur non assoluta – attendibilità, un punto di partenza per varie guide di Pisa redatte successivamente e un buon documento per conoscere la situazione degli edifici ecclesiastici, e non solo, presenti a Pisa alla metà del '600.

2.2. I Libri parrocchiali e gli Atti Straordinari.

Presso l'Archivio Diocesano di Pisa, tra le “Attività degli Arcivescovi”, è possibile consultare i Libri Parrocchiali e gli Atti Straordinari, entrambi contenenti notizie utili ad approfondire la storia delle chiese parrocchiali qui trattate.

I Libri Parrocchiali, usati generalmente per studi relativi a ricerche genealogiche, demografiche e sociologiche, costituiscono la trasposizione scritta di avvenimenti correlati alla vita religiosa della diverse cure, quali battesimi, matrimoni e decessi. I rispettivi libri risultano quindi utili per collocare temporalmente l'attività parrocchiale delle chiese in questione, presentando, talvolta, anche annotazioni d'approfondimento.

Gli Atti Straordinari, invece, sono costituiti da un corpus nutrito ed eterogeneo di documenti, quali decreti, provvedimenti e decisioni dell'Ordinario riguardo gli enti ecclesiastici della diocesi. Si possono qui trovare disposizioni di diversa natura relative alle chiese in questione, come decreti di soppressione, risoluzioni di controversie e cambi nella destinazione d'uso degli edifici.

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2.3. Le Visite Pastorali.

Le Visite Pastorali si rivelano una fonte preziosa per ricavare diverse informazioni sugli edifici ecclesiastici. L'onere di effettuare le Visite è parte integrante dell'attività dei Vescovi. Queste si delineano come una sorta di controllo svolto, dal Vescovo stesso o da una persona delegata, sulle chiese appartenenti alla sua diocesi e riguardante diversi aspetti legati ad esse. Testimonianza diretta della Visita è il risultante verbale, ma se la prima è un'usanza diffusa già nel Medioevo, il secondo inizia a comparire, almeno nel caso di Pisa, dalla metà del '400.30

Rilanciate nel loro scopo soprattutto dopo il Concilio di Trento, le Visite sono legate ad un campo di indagine abbastanza vasto. Vi si possono reperire notizie sul personale ecclesiastico – ad esempio l'identità del rettore – e sullo stato giuridico della chiesa come beneficio, quindi situazioni di patronato o collazione. Inoltre, vi sono informazioni sullo stato economico delle chiese, sulla presenza di confraternite e, nel caso delle parrocchie, sul numero delle anime, sull'istruzione, la condotta e la moralità sia del clero, sia dei fedeli. Oltre a questo, compaiono cenni allo stato dei paramenti, dei libri parrocchiali, degli oli santi e, soprattutto, del Santissimo Sacramento. Il corpus di informazioni più rilevanti in questa sede, però, è costituito dalle notizie sugli stessi edifici sacri, come il loro stato fisico, il numero e la dedicazione degli altari ed eventuali presenze iconografiche.31

Nell'affrontare i verbali delle Visite, bisogna comunque tenere presente alcuni aspetti. Innanzitutto non sempre tutti i campi di indagine sono puntualmente riportati e, nel corso dei secoli, si tende spesso a variare la dose d'attenzione per alcuni aspetti a scapito di altri. Oltre a questo bisogna considerare che i verbali sono per lo più stesi da convisitatori cancellieri della Curia in un secondo tempo rispetto al momento della Visita, usando come base gli appunti presi durante il suo svolgimento. Il risultato è quindi un nutrito insieme di verbali strutturati in determinati modi, diversi tra loro. Infine, è necessario tenere a mente che possono sussistere differenze tra quanto visto, quanto appuntato e quanto scritto nella forma finale.32

Le Visite che qui vengono prese in considerazione sono quelle effettuate alle parrocchie trattate in un lasso di tempo che va dalla seconda metà del '600 agli anni '30 del '900 e sono tutte svolte personalmente degli Arcivescovi in carica, accompagnati a loro volta da una serie di convisitatori.

Nel corso del '600 le Visite sono frequenti e frettolose, espressione di una pratica intesa come pura routine. Francesco de Conti d'Elci (1663-1702) è però uno dei primi a compiere i suoi giri di Visite di persona. Come Arcivescovo egli si trova a gestire il massimo momento di

30 CARRATORI, 1996, p.21.

31 Per un quadro generale sui campi d'indagine delle Visite Pastorali si veda CARRATORI, 1996, pp.40-43. 32 CARRATORI, 1996, pp.30-32.

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tensione con l'Ordine di S.Stefano rispetto alla giurisdizione episcopale, giungendo però ad una risoluzione positiva per l'Ordinario.33 Sono qui presi in considerazione due dei suoi giri di

Visite, effettuati il primo tra gli anni 1672-1674 e il secondo tra gli anni 1681-1687. Sebbene le sue indagini siano più puntuali di quelle di alcuni predecessori, mantengono comunque uno schema basato sulla parte dispositiva dei decreti, tralasciando elementi cari al Concilio di Trento quali la moralità e la religiosità del clero e del popolo, riportando piuttosto informazioni sugli aspetti istituzionali delle chiese, la condizione economica, il rispetto dei divini uffici e il numero di anime.

Le Visite settecentesche acquistano man mano uno schema più articolato rispetto a quelle seicentesche. Le stesse informazioni che vengono riportate sono più complete ed esaustive e la cura nella stesura dei verbali è maggiore. Questa tendenza si può già riscontrare nelle Visite effettuate dall'Arcivescovo Francesco de Conti Guidi (1734-1778) del quale è qui presa in esame la Visita effettuata tra 1736 e 1763. L'apice di questa tipologia di verbalizzazione si raggiunge con Angelo Franceschi (1778-1806)34 che, come Arcivescovo, vive il delicato

momento delle soppressioni leopoldine. Egli non lascia testimonianze di Visite delle parrocchie qui trattate, ma il suo itinerario pastorale viene comunque completato dal suo successore Ranieri Alliata (1806-1837) i cui verbali si basano proprio sui modelli del Franceschi e, per questo, risultano accurati e approfonditi.35 Anch'egli si ritrova inoltre a

vivere un momento difficile ossia quello delle soppressioni napoleoniche, giungendo addirittura a dover subire rimproveri da Napoleone stesso per essersi espresso in modo contrario alle spogliazioni dei beni ecclesiastici.36 In questa sede vengono citati due suoi giri

di Visite. Il primo è quello effettuato tra il 1807 e il 1818 a completamento dell'ultima Visita del Franceschi, mentre il secondo è quello effettuato tra il 1821 e il 1828.

L'ultima Visita ottocentesca ad essere citata è svolta dall'Arcivescovo Cosimo Corsi (1853-1870), nominato anche Cardinale nel 1852.37 La Visita in questione si svolge tra il 1855 e il

1867 e ha la particolarità di essere strutturata come un questionario, pratica caduta in disuso da almeno tre secoli. I questionari proposti dal Corsi si presentano però differenti da quelli utilizzati nel passato, intendendo essere più articolati al fine di soddisfare quanti più punti possibili previsti dall'inchiesta. Si sa infatti che tali questionari vengono recapitati ai rettori due settimane prima del giro di Visite, così che tutte le informazioni richieste possano essere

33 BURGALASSI, 2002, p.28. 34 CARRATORI, 1996, p.60. 35 Ibid., p.63.

36 BURGALASSI, 2002, pp.31-32. 37 BURGALASSI, 1996, p.32.

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raccolte per tempo.38

Nelle Visite della prima metà del '900 vengono seguite le orme del Corsi e, sia Pietro Maffi, sia Gabriele Vettori, in qualità di Arcivescovi, articolano i verbali delle proprie Visite secondo lo schema delle domande e delle risposte. L'Arcivescovo e Cardinale Pietro Maffi (1904-1931) è, dal canto suo, una celebre personalità, nota anche per i suoi studi nel campo delle scienze fisiche e naturali e per le moltissime attività culturali nelle quali è protagonista. Infine, Gabriele Vettori (1932-1947) è l'ultimo Arcivescovo del quale vengono considerate le Visite dal momento che vive la difficile fase della guerra e delle distruzioni da essa portate.39 Il giro

di Visite del Maffi qui citato è quello effettuato tra il 1905 e il 1908, mentre quello del Vettori si svolge nel corso del 1932.

2.4. Le Visite del Priore dell'Ordine di S.Stefano.

Dalla sua fondazione l'Ordine di S.Stefano, la cui genesi e il cui ruolo sono stati precedentemente spiegati,40 oltre ad essere espressione del potere granducale, è a tutti gli

effetti una di quelle forze centrifughe presenti in città che finiscono per minare l'autorità e la giurisdizione dell'Ordinario. L'abbazia di S.Paolo all'Orto diventa commenda dell'Ordine di S.Stefano subito dopo la fondazione di quest'ultimo, e così le chiese a loro volta affiliate ad essa, la cappella di S.Agata, il monastero di S.Benedetto e tre delle parrocchie di Chinzica ad oggi scomparse: S.Egidio, SS.Ippolito e Cassiano e S.Sebastiano.

Stando agli statuti dell'Ordine, le chiese ad esso affiliate devono essere visitate da un esponente dell'Ordine stesso. Fino al 1590 il visitatore è solitamente un cavaliere deputato dal Capitolo Generale, mentre la Visita in sé si configura come un atto di giurisdizione soprattutto economica. Con la revisione degli statuti del 1590 invece la situazione subisce un netto cambiamento. Viene sancito infatti che il Visitatore debba essere una persona insignita degli ordini sacri maggiori, elemento che indirizza l'Ordine verso un tipo di giurisdizione non solo esclusivamente economica, ma anche religiosa.41 È proprio il Priore dell'Ordine ad avere in

seguito il diritto di Visita sulle chiese filiali e la situazione, dal punto di vista dei rapporti con l'Ordinario, si aggrava ulteriormente nel 1686 quando il granduca Cosimo III designa il Priore stesso come Luogotenente del Gran Maestro. A seguito di questa decisione, il Priore è inoltre tenuto, durante le Visite, ad officiare in abiti pontificali seguendo lo stesso cerimoniale dei Vescovi.42 38 CARRATORI, 1996, p.63. 39 BURGALASSI, 2002, pp.34-37. 40 Si veda cap.1, p.17. 41 GRECO, 1984, p.97. 42 Ibid., p.107.

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Il momento di massima tensione con l'Ordinario vede il suo culmine quando nel 1688 emerge in famiglia Medici l'idea di dotare l'Ordine di S.Stefano di una territorialità specifica in Piazza dei Cavalieri e sulle sue chiese filiali, come una sorta di diocesi dentro la diocesi. Il progetto, appoggiato tra l'altro dal fratello di Cosimo III, il cardinale Francesco Maria Medici, non viene infine approvato,43 benché la giurisdizione quasi episcopale dell'Ordine venga, nei

secoli, ribadita.

Tornando alle Visite dell'Ordine di S.Stefano, qui sono considerate quelle avvenute tra la seconda metà del '600 e la seconda metà del '700, eseguite sotto i priorati di Felice Marchetti, Gaspare Cerati e Angelo Fabroni.

Felice Marchetti, originario di Pistoia e Priore dal 1670 al 1685, vive l'inizio della crisi tra l'Ordine e l'Ordinario, la cui degenerazione lo porta a rassegnare le sue dimissioni adducendo problemi di salute come motivo ufficiale.44 La sua Visita ha luogo nel 1684, l'ultimo anno del

suo priorato. Non è compilata da lui stesso, ma da tale Lionardo Lionardi, canonico della collegiata d'Empoli, dottore in Sacra Teologia e Cavaliere Sacerdote d'ubbidienza. La stessa stesura del verbale risulta molto ordinata e dettagliata, benché il documento sia a tratti lacunoso e illeggibile poiché rovinatosi col tempo.

Gaspare Cerati, originario di Parma, è Priore dal 1733 al 1769. Riceve la nomina prima di affrontare il processo delle provanze di nobiltà45 (solitamente inteso come conditio sine qua

non per rivestire questo ruolo) e, addirittura, ancor prima di essere regolarmente ammesso

nell'Ordine. Durante il suo priorato rimedia però alle sue lacune.46 Svolge inoltre, in prima

persona, due giri di Visite, uno nel corso dei primi anni '30 e il secondo nel corso dei primi anni '50. Questi però si presentano meno particolareggiati di quelli effettuati da Lionardi, assumendo talvolta le fattezze di semplici inventari.

Angelo Fabroni è il successore di Cerati. Il suo priorato inizia quindi nel 1769 e si conclude nel 1803. Originario della Romagna granducale, viene nominato Priore da Pietro Leopoldo tramite motuproprio, senza che sia prima nominato cavaliere sacerdote nobile, sebbene affronti successivamente l'esame delle provanze di nobiltà.47 Anch'egli compie in prima

persona due giri di Visite, uno nel biennio 1770-1772 e uno nel 1778. I verbali che ne vengono stilati risultano dotati di uno stile organico e di una maggiore dovizia di particolari

43 Ibid., pp.111-112 e pp.125-127.

44 La fase critica comunque non si spegne con le dimissioni del Marchetti, poiché continua anche sotto il breve priorato di Francesco Maria Sergrifi (1685-1688) il quale si trova a dover lasciare l'incarico esattamente come il suo predecessore.

45 La provanza di nobiltà è volta a provare che il candidato in questione abbia la cosiddetta “nobiltà dei quarti”, cioè sia nobile per almeno quattro delle cinque generazioni antecedenti alla sua.

46 PANICUCCI, 1999, pp.179-191. 47 SIMONINI, 1999, pp.192-203.

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rispetto a quello del predecessore, pur rimanendo fedeli ad una trasposizione sintetica delle informazioni ricavate.

2.5. Le piante di Pisa.

In questa sede vengono prese in considerazione una serie di piante della città tracciate dalla fine del '600 agli inizi del '900 nelle quali è possibile verificare la posizione esatta delle chiese in questione nel tessuto cittadino e vedere quando queste iniziano ad essere sostituite dagli interventi urbanistici effettuati. Bisogna però precisare che le piante tracciate non sono sempre attendibili al massimo grado e, talvolta, possono riportare degli errori come rimandi a strutture non più esistenti o non ancora del tutto costruite, oppure possono vedere la presenza di elementi inventati. Molto dipende dalla funzione per la quale queste piante vengono prodotte e dal rapporto che, negli anni, può intercorrere tra di esse.

Non è qui presa in considerazione gran parte della cartografia seicentesca la quale è costituita da una serie di piante prospettiche in cui gli edifici principali sono rappresentati come emergenze tridimensionali. Queste piante sono accomunate dalla presenza di una serie di elementi pittorici, come la cuspide sulla Torre Pendente, i cannoni nella Fortezza che puntano alla città e le barche in Arno. Anche la strutturazione degli isolati resta quasi sempre la solita, ma del resto Pisa nella seconda metà del '600 non vede particolari innovazioni urbanistiche.48

Se si cercano dettagli precisi queste piante non si rivelano uno strumento adatto: le chiese qui prese in considerazione, per esempio, seppure già tutte presenti nel '600, a vedere queste piante sembrano essere inesistenti, salvo, forse, scarne eccezioni.49

Cronologicamente, la prima pianta che qui viene usata per rintracciare le chiese a partire dalla

Descrizione del Tronci è la pianta Pezzini, chiamata così dal nome dell'autore: Giovanni

Domenico Pezzini. Non si conosce la data esatta di realizzazione ma si tende a datarla alla seconda metà del '600. Nonostante questo, non è una pianta prospettica, bensì è planimetrica. Realizzata come disegno a penna e acquerello su carta, misura 540 x 640 mm, presenta in tutto novanta rimandi numerici e si trova a Pisa, presso collezione privata.50

La seconda è la cosiddetta pianta Scorzi. Non si conoscono né l'autore (indicato solo dalle lettere M.Z.), né l'anno esatto della sua realizzazione, ma grazie a diversi studi compiuti sui suoi dettagli e rimandi ad oggi la si colloca in un lasso di tempo che va dal 1689 al 1739. Conservata a Pisa presso il Museo di S.Matteo come dono di Giuseppe Finocchietti, erede a sua volta del cavalier Donato Scorzi, misura 840 x 1140 mm ed è realizzata a inchiostro e

48 Le piante seicentesche qui solo genericamente indicate sono consultabili sul sito http://asict.arte.unipi.it . 49 Si veda cap.9, p.130.

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acquerello. È planimetrica e, seppur non completamente esatta, può essere considerata molto più accurata di quelle precedenti e dunque una buona base per successive piante ancora più precise ed esaurienti. La sua accuratezza deriva anche dal gran numero di rimandi alfanumerici, in tutto 138. Ai primi nel '900 Livio Luperini ne realizza un lucido per fini di studio e da allora risulta essere una delle piante più usate a questo scopo.51

La terza pianta presa in considerazione è la cosiddetta pianta Ricci, realizzata nel 1735 da Giovanni Giuseppe Ricci e conservata a Roma presso l'Istituto Storico di Cultura dell'Arma del Genio. Si presenta come un disegno a penna e acquerello su carta e misura 970 x 753 mm. È anch'essa planimetrica e riporta un numero ancora maggiore di riferimenti toponomastici: due gruppi di rimandi alfabetici (costituiti rispettivamente da 21 e 16 riferimenti) e 162 rimandi numerici.52

Tra le altre piante di grande formato viene qui citata anche la pianta Lorenzi, realizzata nel 1777 dall'incisore Lorenzo Lorenzi. La pianta è un'incisione su rame ad acquaforte e misura 662 x 447 mm. I rimandi numerici sono in tutto 178 e sono spartiti fra i tre terzieri della città, tant'è che la stessa pianta reca il titolo Pianta della Città di Pisa divisa in tre terzieri. Vi sono inoltre 39 rimandi alfabetici. Il riferimento base per l'impianto generale è la pianta Scorzi, ma la Lorenzi si rivela più precisa. Questa pianta, come già le precedenti, concorre a sancire il definitivo abbandono della raffigurazione prospettica a favore della rappresentazione planimetrica, infatti gli unici elementi di tridimensionalità presenti al suo interno sono le ombreggiature dei bastioni.53

Nel 1787 e nel 1793 vengono poi eseguite altre due piante di Pisa le quali vengono inserite, rispettivamente, alla fine del primo e del terzo tomo della Pisa Illustrata nelle Arti del

Disegno di Alessandro Da Morrona. Questo elemento è sintomo di un cambiamento nella

destinazione d'uso della cartografia: a Pisa questa inizia ad essere edita proprio alla fine del '700.54 Entrambe le piante sono incisioni su rame ad acquaforte, sono anonime e vengono

pubblicate anche separatamente dall'opera del Da Morrona. Essendo prodotte a pochi anni di distanza l'una dall'altra, ed essendo la seconda una sorta di revisione della prima, queste due piante presentano poche differenze nei propri rimandi. La prima misura 436 x 494 mm ed è costituita da 52 rimandi numerici, 22 alfabetici e 11 in numeri romani.55 La seconda invece 51 TOLAINI, 1967, pp.119-136 e http://asict.arte.unipi.it/index.html/scheda_indice.php? loc=Pisa&op_s=572&page=2 52 http://asict.arte.unipi.it/index.html/scheda_indice.php?loc=Pisa&op_s=983&page=2# 53 ZAMPIERI, 2002, p.275 e http://asict.arte.unipi.it/index.html/scheda_indice.php? loc=Pisa&op_s=571&page=3# 54 Ibid., p.277 e p.280. 55 http://asict.arte.unipi.it/index.html/scheda_indice.php?loc=Pisa&op_s=502&page=3

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misura 390 x 494 mm ed è costituita da 53 rimandi numerici, 22 alfabetici e 13 in numeri romani.56

Una posizione particolare in quanto a precisione figurativa è costituita dalla pianta Van Lint, incisa da Carlo Rancini nel 1846. Questa pianta, di grande formato, viene edita come stampa singola. Le vie e le piazze sono indicate direttamente sui rispettivi tracciati,57 poiché essa

deriva dai rilievi effettuati per eseguire le mappe del catasto particellare. Proprio per questo motivo la pianta, che registra addirittura le divisioni particellari degli edifici, restituisce un'immagine curata ed oggettiva della città.58 I rimandi, a loro volta, sono suddivisi in una

macrostruttura che tiene distinta la parte settentrionale della città da quella meridionale. Le due parti, a loro volta, sono ulteriormente suddivise nei quartieri e ciascun quartiere presenta l'elenco delle proprie vie dove sono collocati i rimandi numerici, 105 in tutto.

A parte alcune eccezioni, la collocazione privilegiata delle piante ottocentesche è all'interno delle guide locali. Per questo motivo le piante della città iniziano ad assumere un ruolo sempre più importante nell'incremento turistico e, quelle atte esclusivamente a questo scopo, non presentano una specifica dovizia di particolari, ma si configurano come uno strumento integrativo alle guide. Una maggiore corrispondenza tra guida e pianta si ha però laddove l'autore è la stessa persona. È il caso di Ranieri Grassi che realizza due piante della città datate 1831 e 1851 e allegate rispettivamente a due sue pubblicazioni: Le fabbriche principali di

Pisa e Pisa e le sue adiacenze.59 La prima è raffigurata inserita in cerchio tangente i lati del

quadrato di stampa. I rimandi sono divisi per generi (ossia chiese, piazze, edifici pubblici ecc...) a loro volta inseriti nella scansione in terzieri. Questa organizzazione, pur non essendo coerente con l'articolazione della guida, permette una pratica localizzazione dell'oggetto cercato.60 La pianta è inoltre corredata da alcuni cenni storici assenti invece nella versione del

1851.61 Questa è sempre raffigurata in un cerchio, ma non più inscritta in esso. Presenta

inoltre un numero maggiore di rimandi, sempre scanditi per terzieri, ma non più suddivisi in generi.62

L'ultima pianta qui presa in considerazione è quella allegata alla guida inglese di Janet Ross e Nell Erichsen pubblicata nel 1909. Questa non è una pianta particolarmente attenta ai dettagli, né completamente attendibile per quanto riguarda i cambiamenti urbani. Ciò nonostante, può

56 http://asict.arte.unipi.it/index.html/scheda_indice.php?loc=Pisa&op_s=499&page=3 57 ZAMPIERI, 2002, p.289. 58 NUTI, 1982, p.57. 59 Ibid., pp.51-54. 60 Ibid., pp.54-56. 61 ZAMPIERI, 2002, p. 286. 62 NUTI, 1982, pp.56-57.

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ancora configurarsi come testimonianza per le chiese in questione ancora esistenti all'inizio del '900. Oltre a questo, costituisce un esempio ancora diverso di pianta. Semplificata nei tratti, presenta le indicazioni grafiche direttamente in corrispondenza dei vuoti lasciati dalle strade, dalle piazze e in ogni altro punto dove è possibile scrivere, così da creare una situazione di sovraffollamento grafico sull'immagine della città. Gli altri edifici, tra cui le chiese, sono segnati nella legenda dei rimandi, per questo motivo molto diminuiti nel numero (40 numerici e 11 alfabetici).63

2.6. L'elenco dei possidenti e Il catasto particellare.

Uno strumento preesistente al catasto particellare utile per individuare i nominativi dei proprietari di immobili a Pisa è l' “Elenco dei Possidenti in Pisa al 23 aprile 1783”, custodito presso l'Archivio di Stato della città nel fondo “Ufficio Fiumi e Fossi”. Privo di qualsiasi supporto visivo, questo testo si configura come una descrizione degli stabili della città collegati ai nomi dei proprietari, seguendo le vie che compongono il tessuto urbano. Uno stesso stabile può quindi apparire citato più volte, in virtù degli affacci che può avere su diverse vie.

Non subendo Pisa particolari cambiamenti urbanistici a cavallo tra il '700 e l'800, l'elenco degli stabili e dei possidenti del 1783 può trovare una traduzione visiva nel catasto particellare64 del 1830 circa benché, nel lasso di tempo che separa le due realizzazioni, i

proprietari si rivelino per la maggior parte diversi.

Il progetto volto a dotare la Toscana di un catasto particellare ha inizio durante la dominazione francese. Le misurazioni infatti cominciano nel 1810, ma subiscono un arresto appena quattro anni dopo con la deposizione di Napoleone. Con il ritorno dei Lorena, però, l'idea del catasto viene presa nuovamente in considerazione a partire dal 1817. Riprendono così i lavori e tra il 1819 e il 1827 vengono realizzate tutte le mappe utilizzando come unità di misura il braccio fiorentino. L'intera realizzazione è fondata su rilevamenti topografici volti a misurare distintamente le singole proprietà: da qui deriva l'aggettivo “particellare”, il quale fa riferimento alla “particella” quale singolo appezzamento inteso come “unità immobiliare minima e omogenea”. Il catasto viene attivato tra 1832 e 1835 e fissa la situazione al momento della sua entrata in vigore. È inoltre corredato di mappe consultabili sia presso l'Archivio di Stato di Pisa, sia, in modo più pratico, sul sito web dei catasti storici regionali.65

Ogni edificio risulta essere individuato da un numero di particella collegato al nome del

63 Ibid., p.58.

64 D'AMICO, “Catasto dei Fabbricati del distretto di Pisa”, ASP. 65 http://web.rete.toscana.it/castoreapp/

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proprietario che, a sua volta, è appuntato, assieme alla destinazione d'uso del fabbricato, nella Tavola Indicativa del catasto, consultabile anch'essa presso l'Archivio di Stato di Pisa nel fondo “Catasto Terreni”. Inoltre, compaiono sulle stesse mappe i nomi delle strade e delle piazze.

Questi strumenti si rivelano entrambi utili per individuare la destinazione d'uso delle chiese in questione una volta soppresse e il nome dei proprietari a cui sono associate.

2.7. Il catasto dei fabbricati.

Dopo l'Unità d'Italia, con una legge varata il 26 gennaio 1865 e riguardante l'unificazione delle imposte sulle costruzioni stabili, viene istituito il catasto dei fabbricati sulla base dello schema particellare del catasto lorenese. Il catasto dei fabbricati viene realizzato nel corso degli anni '70 dell'800 ed entra in vigore il 16 gennaio 1879. Esso è leggibile tramite tre strumenti differenti conservati presso l'Archivio di Stato di Pisa nel fondo “Catasto dei Fabbricati del distretto di Pisa”: le tavole censuarie, i registri delle partite e le matricole dei possessori.

Le tavole censuarie costituiscono un inventario generale dei fabbricati, identificati tramite un numero progressivo. I registri delle partite indicano invece i nomi dei proprietari, fissando la situazione al momento dell'entrata in vigore del catasto dei fabbricati, ossia il 1879. Le partite, intese come “intestazione del bene censito”, sono indicate anch'esse tramite numero progressivo e collegate ai numeri di particella espressi nel catasto lorenese. In questi registri, inoltre, sono contenute informazioni dettagliate sugli stessi fabbricati, quali il loro indirizzo, la divisione interna in piani e vani, la loro tipologia e destinazione d'uso, il reddito imponibile ed eventuali volture, ossia variazioni nell'intestazione. Le matricole dei possessori, infine, costituiscono un indice alfabetico delle partite, ossia di tutte le persone che figurano come intestatarie di fabbricati.66

Ricordando che già al tempo gli edifici religiosi risultano esenti da imposte, gli strumenti di corredo del catasto dei fabbricati arricchiscono il quadro fornito dal catasto particellare per ricostruire la storia dei passaggi di proprietà delle chiese soppresse e destinate a nuovi usi, includendone anche il valore monetario.

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2.8. Le guide.

Già a partire dal XVI secolo Pisa, in virtù della sua posizione alle porte della Toscana e della sua storia gloriosa, è meta di visitatori.67 Quando nel corso del '700 inizia a diffondersi tra gli

eruditi europei la moda dei Grands Tours in Italia, Pisa si inserisce quindi direttamente tra le mete meritevoli di una visita. È proprio nell'ambito del viaggio settecentesco che ha inizio la produzione di guide cittadine, inizialmente scritte, per lo più, in italiano.68 Pandolfo Titi è

individuato come primo autore di una guida della città propriamente detta, redatta nel 1752 e diretta al “passeggere dilettante di Belle Arti”, in realtà poco maneggevole e destinata quindi ad una circolazione limitata e ad un pubblico elitario.69

La prima guida a cui si fa riferimento qui è però la Pisa Illustrata nelle arti del disegno di Alessandro Da Morrona nella sua seconda edizione datata 1812. Quest'opera si inserisce nel filone inaugurato dal Titi, costituendone il punto più alto d'arrivo. La prima edizione copre gli anni tra il 1787 e il 1793 e si presenta già dotata di un apparato iconografico che non si configura come mera appendice estetica, bensì come documentazione storico-critica.70 Tra le

immagini finali sono inserite anche due piante della città, anonime, realizzate una nel 1787 e una nel 1793, collocate rispettivamente alla fine del primo e del terzo tomo. Per il resto nelle pagine della Pisa Illustrata, specie quelle del terzo tomo dedicato alla “istoria dei pubblici edifizi”, la città è presentata come una sorta di contenitore di opere d'arte quali, soprattutto, edifici religiosi o di particolare importanza storica.71 È quindi la prima guida a contenere una

breve ed esaustiva descrizione delle chiese cittadine, incluse quelle prese qui in considerazione, contrariamente al Titi che lascia “molte chiese da parte, le quali hanno il suo merito per l'antichità loro, ma non racchiudono in sé opere degne da muovere la curiosità del forestiero per vederle”.72

Pregi di Pisa è l'altra opera di Alessandro Da Morrona qui citata, edita nel 1816. Concepita

dall'autore come una sorta di filiazione della Pisa Illustrata, è scritta però con “amor di brevità”73 coprendo lo spazio di un solo volume privo di apparato iconografico. Lo schema in

cui si articola è sempre quello statico dell'elenco di monumenti e informazioni raccolte su di essi. Ad una concisa narrazione della storia di Pisa seguono quattro parti distinte che trattano rispettivamente gli edifici di Piazza dei Miracoli, le chiese e le pubbliche fabbriche di

67 SICCA, 1990, p.207. 68 NUTI, 1982, p. 36. 69 Ivi. 70 TONGIORGI, TOSI, p.322. 71 NUTI, 1982, p.39. 72 TONGIORGI, TOSI, 1990, p.304. 73 DA MORRONA, 1816, p. VI.

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Tramontana, le chiese e le pubbliche fabbriche di Mezzogiorno e, infine, gli edifici pubblici suburbani. Le chiese, anche qui, giocano un ruolo fondamentale, e, visto il periodo particolarmente frenetico che intercorre tra le edizioni della Pisa Illustrata e i Pregi di Pisa, è possibile qui trovare informazioni nuove e diverse da quanto scritto nella precedente opera, anche riguardo le parrocchie di Chinzica considerate in questa sede.

Il XIX secolo vede, contestualmente, un cambiamento nell'approccio all'idea di viaggio. I viaggiatori colti, eruditi o aristocratici che avevano affollato i Grands Tours settecenteschi iniziano a cedere il posto ad un tipo di turismo più massivo,74 incentivato anche dal

miglioramento delle vie di comunicazione e dalla progressiva costruzione delle reti ferroviarie. Visto il diverso bacino d'utenza, anche le guide cittadine subiscono un graduale cambiamento nella loro impostazione.

Tra le guide principali redatte nell'800 e qui citate vi è la Descrizione storica e artistica della

città di Pisa e dei suoi contorni di Ranieri Grassi, dotata di tavole iconografiche e divisa in tre

volumi, pubblicati uno all'anno tra il 1836 e il 1838.75 La guida del Grassi si fa portavoce del

momento di transizione vissuto da questo tipo di produzioni editoriali. Da un lato, infatti, non costituisce ancora quel tipo di guida maneggevole più diffusa nella seconda metà del secolo. Dall'altro, però, si apre maggiormente al turista curioso, articolando nelle sue pagine una sorta di itinerario che, partendo da Piazza dei Miracoli, si snoda attraverso i tre terzieri della città, superando la struttura scandita dal semplice elenco dei monumenti.76 La descrizione delle

chiese riveste comunque ancora un ruolo notevole all'interno della guida e per la parte storico-artistica, tra l'altro, l'autore si avvale delle informazioni per la maggior parte tramandate dal Tronci e dal Da Morrona.

La guida del Grassi si configura come una sorta di exemplum su cui si modellano le successive guide ottocentesche, almeno per quanto riguarda le informazioni di natura storico-artistica. Queste guide però iniziano ad essere più pratiche: ridotte a un solo volume di formato più piccolo, e quindi più economiche, contengono talvolta alcune indicazioni utili per i viaggiatori, mentre le informazioni di più ampio respiro subiscono una maggiore standardizzazione.77 Nonostante questi siano anni di profondi cambiamenti per Pisa, in questa

serie di guide la città risulta cristallizzata in un immaginario che fa riferimento più che altro al passato e l'unica vera attenzione al contemporaneo è costituita dall'insieme di indicazioni pratiche per il turista.

74 ZAMPIERI,2002, p.259. 75 Ibid., p.263.

76 NUTI, 1982, pp.41-42. 77 Ibid., 1982, pp.43-45.

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La Nuova guida di Pisa del Nistri, edita per la prima volta nel 1852, è qui citata nella sua terza edizione del 1863.78 I cenni storici e una descrizione della topografia cittadina fanno

sempre da introduzione. Uno degli elementi interessanti di questa guida è che il punto d'ingresso alla città è definitivamente cambiato: “il viaggiatore che arrivato con la Via Ferrata vuol condursi a visitare questa antica Regina dei mari”79 è introdotto nella città lungo la

direttrice dell'attuale Corso Italia. L'intera guida si configura come un itinerario volto a portare il turista prima a Piazza dei Miracoli e, successivamente, a raggiungere gli altri edifici notabili. L'itinerario, che spazia poi da Tramontana a Mezzogiorno attraverso strade e ponti, non è sempre articolato come un continuum e talvolta viene interrotto per riprendere in altre zone di Pisa non ancora percorse nei tragitti descritti nelle pagine precedenti. Per quanto riguarda la qualità delle informazioni, per le chiese qua prese in considerazione viene fondamentalmente ricalcato quanto scritto dal Grassi senza particolari aggiunte.

La stessa cosa si può dire per la Nuova guida di Pisa storica, artistica e commerciale redatta da Francesco Da Scorno e corredata di una piccola pianta urbana semplicemente finalizzata all'orientamento del fruitore.80 In questa sede si fa riferimento alla prima edizione del 1874,

ma ne esistono anche altre due datate 1882 e 1886.81 La parte riguardante le chiese è ridotta ad

un elenco poco innovativo di quelle strutture definite “principali”. Inoltre, il titolo lascia già intendere la particolare natura di questa guida che ha, appunto, una nutrita appendice riguardante i più disparati negozi, alberghi e ristoranti, tutti annotati con l'indirizzo preciso. Sebbene dal punto di vista storico-artistico la guida non introduca particolari novità, l'elenco degli esercenti, tra le righe, restituisce preziose informazioni rispetto alla diversa destinazione d'uso di varie zone della città, talvolta vicine alle parrocchie qui trattate.

L'elenco delle “chiese principali” privo di nuove notizie a riguardo trova spazio fino alle porte del '900, come si può ancora vedere nella Nuova guida storica ed artistica di Pisa e dintorni, pubblicata nel 1909 da Antonio Pizzanelli. Questa si configura nuovamente come una guida statica dove allo schema dell'itinerario è privilegiata una descrizione sintetica e quasi “da inventario” degli edifici più importanti senza particolari approfondimenti.

È qui citata però un'altra guida del 1909, The Story of Pisa di Janet Ross e Nell Erichsen, prodotta in ambito inglese e dotata di una schematica pianta della città. Questa guida ha la

78 ZAMPIERI, 2002, p.290. 79 NISTRI, 1863, p.43.

80 Gli elementi della contemporaneità talvolta si riscontrano più facilmente nelle piante allegate alle guide. Se in quella della guida di Da Scorno, datata 1874, il profilo dei Lungarni appare ancora frastagliato ed è ancora presente il Campo al Canapaio, nella pianta allegata alla Breve Fermata in Pisa di Eve Destantins-Anthony (1878), i Lungarni risultano rettificati e al posto del Campo al Canapaio c'è la nuova Via S.Cassiano.

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peculiarità di non ricalcare pedissequamente le informazioni sugli edifici religiosi ormai tramandate identiche da mezzo secolo: seppure un po' carente dal punto di vista della precisione storica, risulta essere globalmente più originale e attenta ad aspetti fino a questo momento non considerati, arricchita inoltre da osservazioni di stampo soggettivo.

La vera svolta nella produzione italiana di guide pisane si ha però con la Guida di Pisa di Augusto Bellini Pietri, pubblicata nel 1913. A questa seguono altre due edizioni pubblicate rispettivamente nel 1922 e nel 1932, le quali però non mostrano grandi differenze rispetto alla prima. Il modello dell'itinerario è quello vincente e dà un'idea delle vie della città nel loro complesso, tra elementi del passato e della modernità. Questo si articola per zone: i Lungarni, Borgo Stretto, Borgo Largo e i diversi quartieri, fino a giungere ai sobborghi e ai dintorni. I cenni storici costituiscono sempre la parte introduttiva, mentre l'inserimento di immagini vede la sostituzione delle incisioni con le più moderne fotografie. La parte riguardante la descrizione delle chiese scalza, dopo tanto tempo, il modello del Grassi per fornire un insieme di notizie più approfondite, sintomo di un più preciso studio sulla materia. Non è infatti raro che nella sua guida il Bellini, forte di una maggiore conoscenza storica rispetto ad alcuni suoi predecessori, vada a smentire vecchie informazioni o credenze errate e tramandate da tempo come certe e inattaccabili. C'è inoltre una grande attenzione per l'interno delle chiese, motivo per cui questa guida diventa preziosa anche per conoscere i soggetti dei dipinti e delle tavole presenti in esse a quel tempo.

A queste fonti, che costituiscono le principali linee guida della ricerca, si affiancano infine una serie di altri documenti, cercati in modo specifico per completare il quadro della storia relativa alle singole parrocchie. Si tratta per lo più di carte conservate presso l'Archivio di Stato di Pisa e relative a diversi fondi, quali Comune di Pisa divisione F, divisione E e “sezione separata”, Franceschi-Galletti, Genio Civile, Governatore e Prefettura.

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