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L'AGENTE SOTTO COPERTURA: evoluzione normativa ed analisi processuale della figura

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Academic year: 2021

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INDICE ANALITICO

CAPITOLO I L'AGENTE PROVOCATORE

A) Origine e prima evoluzione storica pag. 4 B) Dal Codice Rocco agli anni '50 pag. 8 C) Dagli anni '50 agli anni '70 pag. 12 D) Legge 162/1990 e D.P.R. 309/1990 pag. 13 E) Aspetti processuali della figura e responsabilità dell'agente provocatore pag. 18 F) Analisi comparata dell'agente provocatore: Stati Uniti, Spagna, Francia, Germania pag. 24 G) Agente provocatore e CEDU pag. 37

CAPITOLO II L'AGENTE INFILTRATO

A) Dall'agente provocatore all'agente infiltrato pag. 41 B) La Convenzione delle Nazioni Unite di Palermo pag. 49 C) Lo statuto delle operazioni sotto copertura pag. 51 D) Confronto tra D.P.R. 309/1990 e L. 146/2006 pag. 55 E) Disciplina interna e disciplina della Corte Europea pag. 61 F) La figura dell'agente “undercover” pag. 69 G) L'agente undercover nei sistemi di common law pag. 74 H) L'ordinamento elvetico come esempio di legislazione all'avanguardia in tema di agente undercover pag. 80

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CAPITOLO III LE OPERAZIONI SOTTO COPERTURA NELL'AMBITO DELLE INDAGINI DI POLIZIA

A) Rapporti tra polizia ed autorità giudiziaria pag. 85 B) Funzioni delle operazioni undercover pag. 89 C) Gli obblighi di comunicazione pag. 91 D) Omissione e ritardo di atti d'ufficio: articolo 98 D.P.R. 9 ottobre 1990,n.309 pag. 98 E) Servizi di intelligence ed operazioni undercover: endiadi od ossimoro? pag. 106 F) Analisi Legge 3 agosto 2007, n. 124 pag. 115 G) Una particolare operazione controllata: il pagamento simulato del riscatto nel sequestro di persona pag. 124

CAPITOLO IV PROFILI PROCESSUALI DELLA FIGURA

A) La posizione processuale dell'agente sotto copertura: teste o coimputato? pag. 129 B) La tutela dell'identità dell'agente undercover pag. 135 C) Le dichiarazioni rese dall' indagato all' agente

sotto copertura pag. 139 D) Il divieto ex art. 63 c.p.p pag. 146 E) La testimonianza anonima: punto di svolta o nodo insolubile? pag. 149 F) La testimonianza indiretta dell'agente sotto copertura pag. 153 G) Analisi della Legge 10 Agosto 2010, n. 136 pag. 159 H) Analisi dell'art. 147-bis Disposizioni di attuazione del codice di procedura penale pag. 164

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I) La documentazione delle operazioni sotto copertura pag. 165 L) Prove illecite, prove illegittime ed attività sotto copertura pag. 168 M) Utilizzabilità degli elementi di prova acquisiti pag. 174

BIBLIOGRAFIA pag. 187 RINGRAZIAMENTI pag. 194

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CAPITOLO I. L'AGENTE PROVOCATORE Sommario: A) Origine e prima evoluzione storica; B) Dal codice Rocco agli anni '50; C) Dagli anni '50 agli anni '70; D) Legge 162/1990 e D.p.R. 309/1990; E) Aspetti processuali e responsabilità dell'agente provocatore; F) Analisi comparata dell'agente provocatore: Stati Uniti, Spagna, Francia, Germania; G) Agente provocatore e CEDU

A) ORIGINE E PRIMA EVOLUZIONE STORICA

La figura dell'agente provocatore ha origini poco nobili ma ben solide e di spiccata rilevanza nel periodo dell'Assolutismo francese: infatti nei secoli XVII e XVIII il dispotismo di Stato, teso a rafforzare il regime attraverso l'eliminazione degli avversari politici, avrebbe organizzato la classe dei delatori. Questa istituzione sarebbe stata formata da privati cittadini, i quali, per acquisire favori e benemerenze da parte del principe, avrebbero guadagnato la confidenza di individui sospettati di essere contrari alla linea politica della classe dominante e li avrebbero immediatamente denunciati alle autorità.

Col passare del tempo, però, ci si accorge che una mera attività di sorveglianza passiva non sarebbe stata così soddisfacente per individuare e neutralizzare gli oppositori del regime; così si passa dallo spionaggio alla provocazione, alla vera e propria istigazione di individui sospetti in modo da sorprenderli durante l'attività delittuosa (per lo più si trattava dei cd. delitti politici) e denunciarli alle autorità.

Solo nell'Ottocento, ad opera di studiosi tedeschi, viene per la prima volta tratteggiata una figura ampia di agente provocatore, cioè non associata solamente ai reati politici ma caratterizzata dallo scopo che anima il soggetto provocatore: egli non istiga al reato per conseguire un bene materiale od un vantaggio spirituale, egli lo fa perché il fine diretto è la denuncia della persona provocata. Secondo Glaser, è agente provocatore “chiunque

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determina o istiga altri al reato perché vuole che questi venga preso sul fatto e punito”.

Ciò che emerge con chiarezza da questa introduzione al tema è che, alle origni, la categoria non riceve una caratterizzazione peculiare delle condizioni personali né dell'agente provocatore (tanto un privato cittadino quanto un agente di polizia), né del provocato (che può essere tanto un individuo sospetto quanto un incensurato); inoltre viene alla luce anche un secondo dato qualificante la tematica, ossia che qualsiasi delitto, non più solo un delitto politico, può essere oggetto della provocazione.

Con riferimento all'esperienza italiana, dobbiamo tenere presente che la dottrina italiana dell'Ottocento muove dalla nozione ampia di agente provocatore elaborata dagli studiosi tedeschi, poco sopra illustrata: infatti, la scuola classica colloca la figura dell'agente provocatore nell'ambito della compartecipazione morale, ed egli è un tipo di istigatore che determina altri a commettere un delitto “non perché abbia interesse nella consumazione di quel delitto, o nimistà contro la vittima designata; ma perché invece ha interesse che il delitto o si commetta o si tenti al fine che ne avvenga male allo stesso istigato” 1. Inoltre la provocazione può essere dettata da motivi

diversi, che vanno dal “premio che il provocatore spera dal governo col denunziare il delitto da commettersi e far sorprendere in flagrante l'attentatore” al “suo interesse nel far cadere sotto una pena l'istigato, sia con lo amministrare i suoi beni o godersene la moglie durante la carcerazione di lui, sia col lucrare la successione se istigò un congiunto a reato punito di morte” 2. Si nota già da questi pochi esempi l'elemento comune che consente di individuare l'agente provocatore in base al fine particolare cui tende: il delitto provocato rappresenta solo il mezzo attraverso il quale può realizzarsi il reale obiettivo del 1 Carrara, Programma del corso di diritto criminale, 1875

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provocatore: la punizione del provocato.

Questa analisi porta ad escludere dalla nozione tutte quelle attività aventi come scopo non la realizzazione di un nuovo delitto bensì la prova di un reato già commesso, “se un agente di polizia travestito ottiene dal tenente lotteria clandestina una polizza della stessa, egli non ha eccitato al reato, poiché la lotteria clandestina è un'operazione complessa che risulta da molti atti, e la vendita di quella polizza presuppone già l'esistenza del traffico vietato, per modo che non si è altro operato che cogliere le prove dell'esistenza di un fatto punibile. Tutto ciò rientra nel dominio delle investigazioni della polizia giudiziaria, non mai riprovevoli, e sempre nobilitate dal fine cui tendono, che è quello non già di far commettere un reato, ma solo di scoprirlo e farlo punire”3.

Per quanto riguarda, poi, il trattamento sanzionatorio, la dottrina classica è prevalentemente orientata alla punibilità dell'agente provocatore, ritenendo inscindibile il fatto dell'istigatore da quello dell'autore materiale, dal momento che operano entrambi nella medesima direzione.

La soluzione a favore della punibilità dell'agente provocatore è inoltre enfatizzata da considerazioni etiche che tendono a stigmatizzare il ruolo: “satanica nel privato” la figura dell'agente provocatore, e “infamia esecrabile” la provocazione per scopi politici.

Alla tendenza dominante, tra gli autori classici, verso una concezione ampia

di agente provocatore fa eccezione la posizione di Brusa: egli tratteggia e predilige una figura più ristretta di agente, selezionando un fine particolare, interpretabile in termini di utilità sociale, che qualifica il provocatore distinguendolo da ogni altra figura di compartecipe; per Brusa è agente provocatore “chi spinge un temuto malfattore al furto per dare modo alla polizia di arrestarlo; la guardia di polizia travestita che, entrando nella 3 cit. Impallomeni

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bottega del droghiere, per sorprenderlo in trasgressione, ve lo eccita a venderle e ne ottiene quelle medicine la cui detenzione e il cui spaccio è permesso ai soli farmacisti”, insomma la sua adesione a valori altruistici lo inducono a ritenere questa figura un “finto istigatore”.

Inoltre, Brusa, giunge alla soluzione del'impunità dell'agente provocatore riconoscendo sì la compartecipazione morale, ma escludendone il dolo: “tutto quello che potrei al più imputare all'istigatore sarebbe una semplice trasgressione di polizia nei casi di lesioni di danno reparabile, o di conato semplice non costituente un delitto consumato di danno irreparabile; negli altri casi in cui il danno già recato fosse grave, irreparabile, imputerei, se il medesimo era prevedibile, un delitto colposo”.

Anche il privato dunque, non solo l'appartenente alle forze di polizia, in questa prospettiva dovrà andare impunito poiché il suo comportamento è dettato da ragioni che sono ritenute altamente apprezzabili per l'interesse generale.

Con l'avvento del Novecento la tematica resta legata all'impostazione della dottrina di fine Ottocento, perciò si parla di agente provocatore come compartecipe morale punibile. A questa impostazione fa eccezione la posizione di Alimena, il quale pone un particolare accento sulla finalità di utilità sociale che muove il soggetto: “per avere la prova d'altri reati precedentemente commessi”, essa rappresenta solo una delle possibili finalità perseguite dal soggetto ma è quella che fa dedurre l'appartenenza alle forze pubbliche del provocatore.

LA SVOLTA MANZINIANA: Una vera e propria svolta nella storia dogmatica dell'agente provocatore si registra col pensiero di Manzini, il quale nel 1920 riformula completamente la nozione di agente provocatore, tratteggiando di questo tòpos una figura dilatatissima e piena di sfaccettature.

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modo esplicito alla condotta di chi partecipa materialmente alla realizzazione del reato, la quale specificazione non viene più di tanto enfatizzata poiché ritenuta come semplice evoluzione dei fenomeni criminosi; dipoi, si giunge a ricomprendere nella figura anche ipotesi in cui il soggetto non ha esercitato alcun influsso causale sul reato, ma si è limitato ad un'attività di accertamento di un reato già in precedenza commesso.

Infine fa il suo ingresso nella nozione anche la problematica della predisposizione della forza pubblica, che si apposti nel luogo ove si progetta di realizzare il reato e ne impedisca perciò la consumazione.

B) DAL CODICE ROCCO AGLI ANNI '50

Successivamente all'introduzione del codice Rocco e fino agli anni '50 abbiamo uno sviluppo della problematica che si condensa in tre momenti fondamentali:

1. l'emergere di una giurisprudenza dedicata espressamente all'agente provocatore

2. il focalizzarsi dell'interesse su di una tipologia specifica di agente provocatore, individuato nel fictus emptor o finta vittima 3. l'affermarsi di una collocazione sistematica della figura, ricostruita secondo i parametri della scuola classica, nell'ambito dell'elemento psicologico della fattispecie plurisoggettiva

Per quanto riguarda l'emergere di una giurisprudenza dedicata, a partire dal 1941 troviamo un nucleo di sentenze che affronta ex professo la questione giuridica dell'agente provocatore e sono tutte decisioni che presentano la caratteristica di offrire un criterio volto ad individuare come tipiche della nozione di agente provocatore alcune condotte delittuose al fine di deciderne l'inquadramento giuridico ed il trattamento sanzionatorio: si consideri anzitutto la sentenza della Cassazione che, giudicando un caso di frode nelle pubbliche forniture, definisce agente provocatore “la persona che, su incarico della pubblica amministrazione, aveva richiesto ad un farmacista cose diverse

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da quelle segnate dalle rispettive ricette e delle quali avrebbe dovuto il farmacista eseguire la fornitura allo scopo di comprovare la proclività alla frode dei farmacisti fornitori e la loro capacità di avvalersi dell'inganno nei confronti dell'Istituto”4; si prenda in esame un altro esempio in cui la

Cassazione, con riguardo ad un caso di vendita vietata di preziosi, individua nella nozione di agente provocatore la condotta di “colui che si camuffa da delinquente per accertare od impedire il crimine in itinere” 5.

Passando al secondo momento fondamentale, è da sottolineare come in questi decenni vediamo la riduzione da svariate e differenti figure di agente provocatore ad una figura monotipica, quella del fictus emptor: la dottrina infatti, incentra il dibattito sulla provocazione nei reati-contratto, cui viene talora affiancata ed assimilata la condotta provocatoria relativa ad alcuni delitti di relazione, come la concussione: il che consente di enucleare, quale figura parallela al fictus emptor, la figura criminologica della finta vittima.

Con riferimento al fictus emptor bisogna registrare alcune divergenze in dottrina, sia per quanto riguarda il suo inquadramento definitorio nella categoria di agente provocatore, sia per la collocazione sistematico-sanzionatoria della condotta, una volta che sia identificata come provocatoria: per quanto riguarda il tema della qualificazione giuridica abbiamo diversi filoni in dottrina il primo dei quali incentra l'attenzione sui reati-contratto, in cui il fictus emptor viene individuato come una specifica problematica del tipo criminologico dei reati considerati ma non viene ricondotto alla nozione di agente provocatore; un altro orientamento dottrinale segue le orme di Manzini adottandone la nozione di agente provocatore, anche se risulta opportuno evidenziare la posizione di Carnelutti, il quale ritiene 4 Cass. Sez. III 23 Gennaio 1941

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che “la questione riguarda proprio la figura dell'agente provocatore, o, diciamo pure senza aggettivi, l'agente di polizia. Che questi sia un fictus emptor il Tribunale ha l'aria di ammettere e come potrebbe aver negato?” 6: egli etichetta come ipotesi di agente provocatore il comportamento del finto acquirente, ma importante diviene la 'soave opposizione' di Carnelutti in quanto dimostra come la dottrina del tempo cominci silenziosamente a soffocare la tendenza giurisprudenziale che vuole mantenere circoscritta la nozione di agente provocatore. Parlando invece della collocazione sistematico-sanzionatoria della condotta, l'emersione del fictus emptor come peculiare tipo di agente fa registrare un ulteriore intorbidimento della tematica: viene infatti meno la sequenzialità logica nozione-collocazione sistematica-trattamento sanzionatorio, infatti non sempre abbiamo risposte univoche sull'argomento: da segnalare che una parte minoritaria della giurisprudenza e nella dottrina il solo Scarano, ritengono che debba rispondere di tentativo di concussione il pubblico ufficiale che abbia cercato di indurre il soggetto passivo a consegnargli del denaro con il pretesto di una inesistente contravvenzione, anche se il soggetto passivo era tale solo in apparenza perché fingeva di farsi costringere: si vuole evitare l'applicazione del reato impossibile e quindi ci si disinteressa del trattamento giuridico del provocatore.

Per quanto riguarda i reati-contratto, in cui l'agente di polizia riveste il ruolo di fictus emptor, la giurisprudenza prevalente ricorre alla soluzione del reato consumato.

Invece la dottrina di questo periodo propende per l'applicabilità del reato impossibile, sia nelle ipotesi in cui l'agente di polizia Il finga soggetto passivo sia quando operi come fictus emptor nei reati-contratto aventi ad oggetti compravendite vietate.

Infine, analizzando il terzo momento fondamentale di questa epoca storica, abbiamo un filone dottrinale che tende ad avere un 6 Carnelutti, Forma del delitto di alienazione di oggetti preziosi, 1942

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atteggiamento teorico più tradizionale, ricalcando i parametri della scuola classica nel tentare di ricostruire la nozione, mentre esplora il settore della colpevolezza per ricercare la soluzione sistematico-sanzionatoria: in questo ambito si torna a rispettare rigorosamente la sequenza nozione-collocazione-trattamento sanzionatorio, ed è in questo filone dottrinale che si ricomprendono Delogu, Vannini e Florian.

Delogu estromette dalla nozione di agente provocatore tutte le ipotesi di mera occasionalità della commissione del reato in presenza dell'agente provocatore: riporta quindi questa figura nel suo alveo originario. Per quanto riguarda il profilo della collocazione dogmatica egli segue una strada propria, in parte riconducibile alla tesi di Brusa: infatti afferma che l'atteggiamento psicologico dell'agente non è riconducibile al dolo quanto piuttosto alla colpa cosciente, cosicché, in caso di mancato arresto dell'attività criminosa provocata e di conseguente consumazione del reato, Delogu propende per la punibilità a titolo di colpa dell'agente provocatore “incauto”.

Vannini dal canto suo sposa una nozione ampia ma non latissima di agente provocatore accompagnata da una soluzione sanzionatoria agganciata alla teoria del dolo.

Florian infine ha una posizione oscillante nel corso dell'evoluzione del proprio pensiero: inizialmente egli afferma che il fine ultimo ed il suo eventuale valore non entrano strutturalmente nel contenuto del dolo e non sono quindi in grado di elargire l'impunità: perciò l'agente potrà rispondere anche del delitto tentato; col passare del tempo, però, Florian stesso abbandonerà questa posizione per passare ad una quasi certa impunità dell'agente provocatore, escludendone il dolo “dal momento che il vero proposito dell'agente dell'autorità è di impedire non di agevolare il delitto”.

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C) DAGLI ANNI '50 AGLI ANNI '70

Durante gli anni '50 si individuano 3 tendenze principali:

➔ impostazione classica: ripropone la nozione ampia di agente provocatore

➔ impostazione innovativa: propone una nozione per un verso più ristretta ma per altri versi ampliata, in quanto per lo più avulsa dal piano del concorso di persone

➔ impostazione che trae origine dal tema del fictus emptor: la quale è monotipica ed esclusivamente incentrata sul problema di trovare fondamento alla non punibilità del comportamento provocatorio

Analizzando l'impostazione classica vediamo che ricompare la sequenza nozione-collocazione sistematica-trattamento sanzionatorio: unica voce fuori coro è quella di Malinverni il quale afferma “l'esistenza di attività criminose “promosse da grandi interessi economici o politici, quali il commercio di stupefacenti o lo spionaggio politico/militare”, perciò affronta la problematica in termini rigorosamente utilitaristici, nel senso che l'agente è qui uno strumento di cui lo Stato si serve per ottenere dei risultati che altrimenti non riuscirebbe a raggiungere.

L'impostazione innovativa, e più ristretta, di agente provocatore è da ascrivere principalmente a Pannain: il quale estromette dal concetto la figura del privato che agisca allo scopo di far condannare il provocato, per lui di regola l'agente provocatore è “agente della polizia giudiziaria che si camuffa da delinquente e provoca un'attività criminosa per potere sorprendere un'organizzazione criminosa”.

Infine, per quanto riguarda la terza impostazione, dobbiamo dire che con la legislazione bellica, di leggi speciali miranti ad impedire il commercio di determinati oggetti e con l'uso di un agente provocatore in veste di fictus emptor, ha fornito lo spunto per l'elaborazione della teoria che vede nella tematica dell'agente provocatore “il punto di emersione del reato apparente”7: egli

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intende apparenza nel reato come la “mancanza normalmente predisposta o del soggetto attivo proprio o dell'oggetto o del soggetto passivo del reato, o di più elementi fra questi, con la sostituzione ad essi di altri che sembrano corrispondere ma in realtà non corrispondono a quelli richiesti dalla fattispecie legale”8, cioè sono casi in cui la lesione del bene giuridico è soltanto apparente per la sostanziale incompletezza della fattispecie.

Dagli anni '60 in poi la tematica ha subito un'ulteriore evoluzione, che si articola in 4 diversi momenti: assistiamo infatti alla disintegrazione della nozione di agente provocatore, alla vis attractiva esercitata dall'agente provocatore nei confronti della predisposizione della forza pubblica, alla massima tipizzazione dei singoli modelli di agente provocatore ed infine alla perdita totale del collegamento obbligato nozione-collocazione sistematica- trattamento sanzionatorio.

Anzitutto, per quanto riguarda la disintegrazione della nozione, bisogna dire che la dispersione nozionale in questi anni arriva al suo massimo, anche grazie all'inserimento del c.d. Infiltrato tra le figure specifiche di agente provocatore, tale che porta ad un'esplicita scelta di rinuncia tout court a definire l'agente provocatore. Ciò avviene in particolare modo a metà degli anni '70 nello studio di Neppi Modona.

D) LEGGE 162/1990 E D.P.R 309/1990

Nel 1990 assistiamo ad una svolta importantissima nella tematica: infatti abbiamo la comparsa di un modello legislativo, nella nuova legge sugli stupefacenti, che sulle orme di altre normative europee ha disciplinato specificatamente un'ipotesi di agente provocatore: la figura del fictus emptor di sostanze stupefacenti contemplata dall'art. 25 L.162/1990 introduttivo dell'art. 84-bis nella L.685/1975.

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Art. 25 (Aquisto simulato di droga)“Fermo il disposto dell'articolo 51 del codice penale, non sono punibili gli ufficiali di polizia giudiziairia addetti alle unita' specializzate antidroga, i quali, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dalla presente legge ed in esecuzione di operazioni anti-crimine specificatamente disposte dal Servizio centrale antidroga o, d'intesa con questo, dal questore o dal comandante del gruppo dei Carabinieri o della Guardia di finanza o dal comandante del nucleo di polizia tributaria, procedono all'acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope.

2. Dell'acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope e' data immediata e dettagliata comunicazione al Servizio centrale antidroga ed all'autorita' giudiziaria. Questa, se richiesta dalla polizia giudiziaria, puo' con decreto motivato, differire il sequestro fino alla conclusione delle indagini.”

Esso porta alla luce tre importanti fattori di novità:

– la creazione di una fattispecie ad hoc che disciplina l'attività provocatoria, nonché la collocazione extra codicem della nuova fattispecie: la tematica non è più soltanto di parte generale ma si cristallizza in una previsione di parte speciale, riferita ad un numero chiuso di ipotesi di reato.

– Il legislatore dimostra di considerare la provocazione al reato come un metodo (lecito) di accertamento dei delitti commessi in materia di stupefacenti

– la totale sottoposizione, ab initio, dell'attività provocatoria all'autorità giudiziaria

Poco dopo, assistiamo all'introduzione del D.P.R 309/1990 il cd. “Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”, il quale riformerà la disciplina degli stupefacenti: nel tentativo di reprimere il traffico illecito di tali sostanze, il legislatore ha dettato numerose norme concernenti la disciplina di un'attività investigativa di polizia giudiziaria

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maggiormente incisiva.

Nello specifico, l'art. 97 del D.P.R 309/1990 ha autorizzato la polizia giudiziaria all'acquisto simulato di droga: prima dell'emanazione di tale disposizione la possibilità di ricorrere all'agente provocatore, sia pubblico che privato, andava incontro ai limiti derivanti dall'interpretazione dell'art. 51 c.p: era rivolta a circoscrivere l'ambito di liceità della condotta scriminata alla sola attività di mero controllo ed osservazione. Inoltre, se è vero che la causa di giustificazione generale prevista dall'art. 51 c.p, per quanto riguarda il funzionario della polizia giudiziaria, può essere letta in relazione alla norma dell'art. 55 c.p.p, che obbliga la polizia giudiziaria ad assicurare le prove dei reati ed a ricercarne i colpevoli, qualora l'agente provocatore sia un privato è necessario, per l'esclusione della punibilità ai sensi della scriminante contenuta nell'art. 51 c.p, che il suo intervento sia giustificato da un ordine della pubblica autorità. Tale scriminante non opera quando il proposito criminoso sia suscitato e determinato dal provocatore unicamente ai fini di vendetta o di lucro, ovvero nella prospettiva di fruizione di un premio9.

L'art. 97 del Testo Unico Stupefacenti autorizza la polizia giudiziaria ad infiltrarsi nei gruppi criminosi per procedere all'acquisto simulato di sostanze stupefacenti e, per fare in modo che l'acquirente non sia punibile, prevede l'osservanza delle condizioni e delle finalità indicate dalla norma in esame. Sotto il profilo soggettivo, dobbiamo subito considerare che tale attività è rimessa esclusivamente agli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti alle unità specializzate antidroga. Le operazioni possono essere disposte dalla Direzione centrale dei servizi antidroga o, d'intesa con quest'ultima, dal questore o dal comandante del gruppo dei Carabinieri o della Guardia di Finanza, o dal nucleo di polizia tributaria o dalla Direzione investigativa antimafia. Ne risultano così escluse le azioni eventualmente compiute da stazioni dei carabinieri, commissariati 9 G. Barrocu, Le indagini sotto copertura, Jovene editore, 2011, pag. 32

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ed altri ufficiali di polizia non elevati in grado e, da singoli ufficiali di polizia giudiziaria. La ratio di una tale attribuzione alla Direzione centrale per i servizi antidroga della competenza a decidere sull'attivazione delle operazioni anticrimine, trova il proprio fondamento nel ruolo di controllore su scala nazionale e internazionale delle operazioni antidroga di cui è investita, di conseguenza, anche al fine di evitare inutili duplicazioni o intersecazioni di filoni di indagine già in atto fra le diverse forze di polizia.

La causa esimente non trova applicazione nei confronti del semplice agente di polizia giudiziaria, atteso che la disposizione fa espressamente riferimento all'ufficiale. Potrà eventualmente operare, in tale ultimo caso, la scriminante di cui all'art. 51 c.p, avendo l'agente agito nell'adempimento di un dovere di polizia giudiziaria. Nel caso in cui si tratti di un privato cittadino “il suo comportamento è giustificato dall'ordine legittimo dell'autorità solo nel caso in cui egli, adempiendo fedelmente all'ordine ricevuto per tutto il tempo in cui si protrae l'attività degli esecutori materiali, si adoperi in maniera da impedire il reato o farne cessare le conseguenze e da determinare l'arresto dei complici”10.

Quanto al profilo oggettivo, l'art. 97 scrimina la sola condotta dell'acquisto simulato, relegando nell'area della illiceità la cessione simulata e ogni altra condotta sanzionata dall'art. 73 Testo Unico Stupefacenti: tale limitazione oggettiva è stata fin da subito criticata, in quanto, limitando le potenzialità dell'agente sotto copertura, non sarebbe stato possibile acquisire le prove fondamentali senza che l'agente fosse incriminato a titolo di concorrente nei reati. Proprio al fine di evitare una drastica riduzione del ruolo dell'agente sotto copertura, dottrina e giurisprudenza hanno raggiunto un'interpretazione estensiva dell'art. 97 T.U.S. In un arresto, il giudice di legittimità ha ritenuto che la scriminante non possa essere confinata alle sole 10 Minna – Sardo, Agente Provocatore profili sostanziali e processuali, 2003

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condotte di acquisto di droga, ma ricomprenda tutte le condotte che costituiscono il presupposto ed il naturale seguito dell'acquisto di sostanza stupefacente. Si rileva che “la norma in questione, invero, discrimina l'attività dell'ufficiale di p.g. che proceda all'acquisto di sostanze stupefacenti al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dalla presente legge: questi sono indicati nell'art. 73 T.U.S. che prevede un'articolata e vasta gamma di condotte delittuose. Essendo, perciò, l'acquisto di stupefacente finalizzato ad acquisire elementi di prova in ordine ad una delle varie condotte contemplate dalla norma incriminatrice, non può ritenersi discriminato il solo acquisto (che rileverebbe solo in riferimento ad una soltanto delle condotte delittuose ipotizzate), ma anche le successive, consequenziali attività dell'ufficiale di p.g. tese ad addivenire all'accertamento dei destinatari e successivi recettori della medesima sostanza” 11.

Sono risultati così scriminati, oltre all'acquisto simulato, le attività ad esso strumentali, ossia quelle che precedono (es. sollecitazione a vendere o a cedere) e seguono (es. detenzione, trasporto, esportazione, importazione) l'atto di acquisto dello stupefacente. L'iter argomentativo seguito dalla Suprema corte non è condiviso da chi ritiene che non possano essere poste sullo stesso piano la norma scriminante, che contempla il solo acquisto di droga, e la norma incriminatrice di cui all'art. 73. Il disvalore delle diverse condotte, di acquisto e di vendita di sostanze stupefacenti, è differente non solo sul piano sociale ma anche penale.

Il comma 2 dell'art. 97 impone l'obbligo di comunicare l'avvenuto acquisto di sostanza stupefacente, da parte dell'ufficiale di p.g., sia al servizio antidroga che all'autorità giudiziaria competente per le indagini. La norma ha il compito di disciplinare i rapporti fra organi amministrativi e autorità giudiziaria, infatti questo ulteriore adempimento non è richiesto ai fini dell'operatività della 11 Cass. Pen. 29 Maggio 2001, n° 33561

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scriminante; si ritiene che, nel caso in cui tale obbligo sia disatteso, possano emergere soltanto responsabilità di natura disciplinare a carico della polizia giudiziaria.

E) ASPETTI PROCESSUALI E RESPONSABILITÀ DELL'AGENTE PROVOCATORE

L'art. 97 del D.P.R. 309/1990 dispone che “dell'acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope è data immediata e dettagliata comunicazione al Servizio Centrale antidroga ed all'autorità giudiziaria. Questa, se richiesta dalla polizia giudiziaria, può, con decreto motivato, differire il sequestro fino alla conclusione delle indagini”: dunque, è previsto l'obbligo di immediata e dettagliata comunicazione dell'avvenuto acquisto all'autorità giudiziaria e, nel caso specifico, alla Direzione Centrali per i Servizi Antidroga. Che portata ha pertanto questa prescrizione? Secondo alcuni, la comunicazione farebbe parte integrante del complesso delle condizioni che forniscono efficacia scriminante all'acquisto e rivestirebbe un ruolo essenziale proprio per verificare la correttezza di tutta l'operazione: con la conseguenza che la mancata comunicazione all'autorità giudiziaria verrebbe a togliere ogni legittimità all'attività esplicata, con la concreta possibilità inoltre, nel caso di mancato rispetto dela procedura, di integrare, a carico dell'agente provocatore, gli estremi del delitto di omissione di atti d'ufficio12.

Secondo altri, invece, la mera inosservanza della procedura di cui all'art. 97 non inciderebbe sulla struttura della fattispecie poiché prevista in un comma distinto rispetto a quello dedicato al problema della responsabilità dell'agente provocatore13: l'eventuale omessa comunicazione potrebbe far scattare soltanto una responsabilità disciplinare e non anche una “responsabilità penale per illecita detenzione di stupefacenti a seguito di intempestiva e dettagliata comunicazione dell'avvenuto acquisto

12 Ambrosini, La riforma della legge sugli stupefacenti, 1999 13 Di Gennaro – La Greca, La droga: traffico, abusi e controlli, 1992

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simulato di droga oppure per omissione di atti d'ufficio”14.

Il meccanismo della comunicazione all'autorità giudiziaria degli acquisti simulati in atto od in itinere permette di affrontare la questione relativa ai rapporti tra gli organismi espressamente richiamati dal legislatore come legittimati ad intraprendere l'operazione e l'autorità giudiziaria. Sul punto Palazzo afferma che due possono essere le strade percorribili: la prima prevede un'attività svolta di iniziativa dalla polizia giudiziaria competente ad operare in relazione al tipo di acquisto da compiere; la seconda, presuppone, invece, che il p.m ex art. 370 c.p.p investa la polizia giudiziaria con una delega apposita.

Una lettura complessiva dell'articolo ha portato alcuni, in particolare Landolfi 15, a ritenere non necessaria una preesistente notizia di reato che farebbe scattare in questo caso l'obbligo di riferire al pubblico ministero, potendo, dunque, il singolo organo di polizia indicato dal legislatore procedere all'acquisto simulato senza che il p.m ne sia preventivamente informato.

Una volta ricevuta notizia dell'attività sotto copertura, il p.m ha l'obbligo sia di informare tempestivamente gli altri pubblici ministeri nei cui territori di rispettiva competenza deve svolgersi parte dell'attività stessa, sia di comunicare, ai fini di un più generale coordinamento, l'inizio dell'attività anche alla Direzione Nazionale Antimafia qualora si tratti di reati rientranti nella competenza della stessa; a differenza di quanto accade in altri paesi europei, però, il legislatore italiano non ha inserito tra le condizioni necessarie per far scattare l'operazione, la specifica autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria.

Parlando invece del tema della responsabilità dell'agente provocatore, è bene sempre ricordare il cd. modello 'a macchie di leopardo' elaborato da De Maglie: designato in questo modo

14 Ricciotti, Gli stupefacenti: comme al Testo Unico 309/1990, 1993, pag. 245 15 Landolfi, L'acquisto simulato di stupefacente, Cass. Pen. 1994

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poiché la situazione che nel nostro ordinamento definitivamente viene delineata dà l'immediata impressione di un disegno, appunto, a macchie di leopardo: il fondo, uniforme, è rappresentato dalla regola della punibilità dell'agente provocatore: su tale sfondo risaltano, alquanto sporadiche, alcune “macchie di impunità”, di ampiezza diversa, fondate su schemi di soluzione (l'adempimento di un dovere art 51 c.p, il difetto di dolo, la scriminante speciale per l'acquisto di droga) che di volta in volta escludono la responsabilità penale dell'agente provocatore sul terreno dell'antigiuridicità, della colpevolezza o della stessa struttura del fatto; sono relativamente più numerose quando a provocare è un pubblico ufficiale, di estrema rarità quando il provocatore è un privato.

Il quadro delle soluzioni offerte dal nostro ordinamento al problema della responsabilità del provocatore sembra improntato a grande rigore ed a modelli restrittivi di interpretazione: molto esigui sono i margini di immunità concessi all'operare del provocatore, anche quando sia un pubblico ufficiale.

Come ragionamento conclusivo sul tema, bisogna ricordare come sia cospicuo il novero delle apprensioni circa l'intrinseca illiceità della tecnica provocatoria quando provenga dal seno stesso di uno stato sociale di diritto e leda i suoi stessi principi costitutivi: come l'intrinseca pericolosità della provocazione per i diritti inviolabili del cittadino; i possibili inquinamenti, per personali motivi del funzionario, della ratio pubblica della provocazione; le perverse contaminazioni tra polizia e milieu criminale: queste e molte altre ragioni consentono, come sembra avvenire nel nostro ordinamento, solo spazi ristrettissimi di liceità alla condotta, di per sé e di regola penalmente rilevante, nonché antigiuridica, dell'agente provocatore.

Infine, non deve sembrare contraddittorio che, in definitiva, la provocazione del pubblico ufficiale trovi spazi di liceità maggiori di quella del privato: la ratio è solo politico-criminale, nel senso che viene in gioco la miglior controllabilità del funzionario, il

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quale – in quanto inserito in un'organizzazione gerarchica – rappresenta in questo caso, di per sé, una seria garanzia ulteriore. Secondo la soluzione universale fondata sulla colpevolezza – considerata la prevalente in dottrina – l'agente provocatore non sarebbe punibile per il difetto dell'elemento soggettivo del dolo16. Sul punto – posto che, secondo le regole generali del concorso di persone nel reato, oltre all'elemento oggettivo della partecipazione materiale o morale, il fatto che ogni partecipe per essere punibile deve possedere altresì quello soggettivo – valutare la punibilità a titolo di concorso sulla base della sola rilevanza eziologica della condotta dell'agente, prescindendo dall'indagine successiva sulla sua colpevolezza, significherebbe trascurare che il nostro ordinamento conferisce, a livello costituzionale con l'art. 27, nonché a livello penale con l'art. 133 c.p, pari importanza sia all'elemento materiale, sia a quello psicologico17.

Pertanto, la verifica da parte del giudicere del ricorrere di un fatto, oltre che tipico ed antigiuridico, anche colpevole (secondo la teoria tripartita del reato) rappresenta l'unica via in grado di scongiurare la punibilità dell'agente provocatore sulla base del mero rapporto di causalità materiale; evitando, così, lo spettro di una responsabilità oggettiva occulta, nel pieno rispetto del principio di colpevolezza.

Il dolo nell'agente provocatore dovrebbe, perciò, essere escluso ogniqualvolta questi non abbia accettato il rischio dell'effettiva commissione del reato ed abbia agito con la convinzione che il reato non si sarebbe verificato. In particolare, tale soggetto, pur avendo istigato alla commissione di un reato consumato, vuole comunque che l'attività criminosa si fermi in itinere; e questo, considerando che il dolo del delitto tentato è il medesimo del reato che Il vuole consumare, determina che l'agente provocatore,

16 Delogu, La responsabilità, pag. 34; Mantovani, Diritto penale, pag. 541; Romano, Commentario al codice penale, vol. 2, pag. 197-198, 2012

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agendo con un mero “dolo di tentativo”, non sia punibile per difetto della volontà dolosa stessa: al riguardo, nella dottrina tedesca, la fattispecie istigatoria viene a caratterizzarsi, da un punto di vista soggettivo, per la presenza di un doppio dolo, integrante una progressione, dove l'istigatore deve anzitutto voler determinare l'istigato alla commissione del reato; poi, volere ulteriormente contribuire in modo che quel reato effettivamente si realizzi. L'assenza di uno od entrambi i momenti soggettivi così scanditi renderebbe l'istigatore non punibile per carenza dell'elemento psicologico. Si è osservto che tale distinzione, se appare ridondante nelle ipotesi di istigazione comune, di contro, diviene estremamente utile alla causa dell'agente provocatore: ed invero, se l'essenza della provocazione risiede nella sola finalità di istigare soltanto la scissione nell'agente provocatore tra il momento di approccio all'istigato ed il momento volitivo avente ad oggetto la realizzazione del reato può consentire di individuare la causa che spieghi, da un punto di vista giuridico, le ragioni dell'esclusione della punibilità del provocatore18.

Ex adverso, qualora il provocato abbia comunque portato a consumazione il reato, la punibilità di quest'ultimo sarebbe affermata a titolo di colpa solo ove sia in concreto ravvisabile la violazione di una regola cautelare e ricorra la relativa fattispecie colposa causalmente orientata; qualora invece l'agente provocatore abbia accettato il rischio della consumazione del reato, lo stato di dubbio non eliminando la possibilità di muovergli un rimprovero, determina una responsabilità penale di natura dolosa, in concorso con il provocato, ancorché nella forma meno intensa del dolo eventuale.

È indubbio che nel caso del confidente, più che di motivi che lo hanno animato, è maggiormente opportuno parlare di una concreta divergenza ab origine tra la volontà dell'informatore e quella del trafficante, che fa venire meno quella comunanza di

18 Bellagamba, I problematici confini della categoria delle scriminanti, 2007, pag. 146

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intenti che normalmente guida i concorrenti verso il medesimo fine. Ecco perché il confidente che opera un acquisto simulato per il solo fine di collaborare con la polizia giudiziaria nell'assicurare il reo alla giustizia, deve necessariamente considerarsi non punibile, per difetto del dolo di partecipazione nel reato del trafficante: occorre altresì segnalare l'orientamento che non ritiene possibile escludere la responsabilità dell'agente provocatore per difetto del dolo nel caso di reati di pericolo astratto, come quelli in materia di stupefacenti, nei quali la condotta conforme al modello legale combacia perfettamente con la situazione di pericolo. In particolare, l'agente provocatore vuole che il provocato compia quella determinata condotta, al ricorrere della quale entrambi risponderanno necessariamente in concorso, posto che, qualunque siano i motivi che guidano l'istigatore questi non potrà mai aver voluto meno di quello che è stato realmente realizzato19.

Interpretando diversamente, il rischio che si corre sarebbe quello di “confondere l'aspetto esteriore del fatto con la reale intenzione del soggetto” 20, perché lo scopo dichiarato in sede di contrattazione, se confliggente con la riserva mentale, integrerebbe un mero aspetto apparente del fatto, privo di reale contenuto offensivo, portando ad un ingiustificato impoverimento della materialità del fatto medesimo.

Così, concludendo, possiamo affermare che il difetto del dolo rappresenta in realtà l'unica vera clausola di salvezza per l'agente provocatore, la sola in grado di garantire concretamente l'esclusione della responsabilità penale del medesimo in concorso col provocato. Non punibilità che non sarebbe certa, di contro, se ci si affidasse alla mera clausola di salvezza dell'art. 51 c.p, che difficilmente tornerebbe utile alla causa dell'agente provocatore, la cui azione raramente rimane entro tali limiti stretti, sconfinando 19 C. De Maglie, L'agente provocatore, 1991, pag. 372

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in vera attività di istigazione dell'illecito altrui. Perciò il difetto del dolo non solo garantisce la non punibilità di tali soggetti, ma altresì la diversificazione tra il trattamento sanzionatorio dell'agente provocatore (non punibile) e del provocato (certamente punibile) preservando così l'utilità di ricorrere allo strumento delle operazioni sotto copertura del tutto vano qualora non si giungesse alla condanna del reo.

F) ANALISI COMPARATA DELL'AGENTE

PROVOCATORE

Stati Uniti d'America.

Su questo tema il diritto penale statunitense presenta un modello di disciplina di spiccato rilievo, non solo all'interno dei sistemi di common law, ma in assoluto.

Una caratteristica fondamentale va preliminarmente messa in luce: infatti, se negli ordinamenti di civil law il fulcro attorno al quale ruota ogni costellazione dogmatica ed interpretatitva è sempre rappresentato dalla figura dell'agente provocatore, il sistema nordamericano realizza in proposito un'evoluzione di centottanta gradi ed impernia la questione interamente sul provocato, tutta l'attenzione si concentra sul trattamento giuridico del provocato.

In tale ordinamento giuridico l'azione dell'agente provocatore è semanticamente connotata da una formula peculiare: cd. “entrapment”, che tradotto significa “intrappolamento” (il carattere malignamente tentatorio è confermato dal frequente ricorso alla metafora de “il serpente e la mela” per titolare saggi dedicati al tema, es. Parker “The Serpent beguiled me and I did eat”, The Constitutional Status of the Entrapment Defense, Yale 1964).

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relativamente recente, infatti non data da più di un sessantennio21: alcuni casi sporadici di entrapment si possono rintracciare nell'esperienza giudiziaria nordamericana di fine Ottocento-inizio Novecento, es. caso Whittier 1878, in cui il protagonista non è un poliziotto ma un agente del comitato per la lotta al vizio; es. caso Woo Wai 1915, concernente un episodio di immigrazione clandestina. Ma la storia ufficiale della categoria fu data solo dal 1932, con il caso Sorrells, destinato a divenire il caso-guida statunitense sul tema in oggetto: sul finire del proibizionismo, un agente governativo, fingendosi un turista, contatta un certo Sorrells e intrattiene con lui una conversazione sulle comuni esperienze di guerra. Una volta accaparratasene la confidenza, il provocatore chiede a Sorrells del liquore, e solo al terzo tentativo, facendo leva sulla solidarietà di corpo fondata su di una presunta commilitanza nella stessa divisione, ottiene finalmente mezzo gallone di whisky e può procedere all'incriminazione; tuttavia, la Corte Suprema assolve l'imputato riconoscendgli l'esimente della provocazione (cd. entrapment defense) in base alla considerazione che l'agente provocatore “ha adescato un soggetto altrimenti innocente inducendolo alla commissione di un reato con ripetute e persistenti sollecitazioni, abusando della confidenza instauratasi per il fatto di essere compagni di guerra”, inoltre, per la Corte, risulta determinante il fatto che “il disegno criminoso sia stato originato dall'ufficiale del governo che ha instillato nell'animo di una persona non incline al delitto l'idea di commettere un reato, per riuscire a prenderla in trappola”22.

L'opinione dissenziente arriva ad un identico dispositivo, ma fondandolo su una motivazione differente: infatti, per essa la ratio dell'esimente viene ravvisata “nella protezione della purezza delle Istituzioni e nella lealtà processuale, in quanto le Istituzioni

21 Seidman, The Supreme Court, Entrapment and our Criminal Justice dilemma, 1981

22 Sorrells vs Usa, Michael-Wechsler Criminal Law and its Administration, Chicago 1940

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devono essere protette da questa forma di prostituzione della legge penale”23.

Dai lineamenti essenziali di questo caso emergono già gli aspetti fondamentali che la problematica avrebbe assunto negli anni successivi; anzitutto, l'origine squisitamente giurisprudenziale tanto dell'istituto, quanto della relativa teorizzazione, infatti sarà teorizzata ex professo solo in seguito, come commento al caso Sorrells.

Inoltre, la casistica giurisprudenziale, divenuta cospicua negli anni '50-'70, è stata razionalizzata ex post dalla dottrina, essenzialmente, in due schemi teorici assai più articolati ma che nella sostanza sono ispirati alla ratio della Corte ed alla ratio dell'opinione dissenziente del caso Sorrells.

Infine, il carattere controverso, e sostanzialmente estraneo alla tradizione di common law, di questa peculiare defense ha spinto verso una positivizzazione legislativa dell'esimente, che ha avuto un primo importante riscontro nella norma specificamente dedicata all'entrapment dal Model Penal Code.

La provocazione al reato, dunque, nel sistema nordamericano ha alcune caratteristiche strutturali di fondo:

1. l'entrapment paralizza la pretesa punitiva e conduce al proscioglimento, per l'impossibilità di procedere sulla base di una prova di reità raggiunta soltanto con mezzi investigativi sleali ed illeciti

2. rigorosa limitazione del campo applicativo dell'entrapmente alla “provocazione al delitto da parte di un agente della forza pubblica”24: non si estende agli atti di induzine da parte di un privato

cittadino che non sia un ufficiale della legge

3. l'inequivoca delimitazione della tipologia delittuosa cui l'entrapment afferisce, e cioè, ai reati senza vittima i cd. victimless consensual 23 Sorrells vs Usa, Michael-Wechsler Criminal Law and its Administration, Chicago

1940

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crimes (prostituzione, gioco d'azzardo, traffico di stupefacenti, commercio di alcolici durante il proibizionismo: la cd. criminalità da vizio). L'unica escursione della problematica su un terreno diverso è rappresentata da un reato anch'esso consensuale, ma, a stretto rigore, non privo di vittima: la corruzione (es. caso ABSCAM 1978, l'FBI ha creato la Abdul Enterprises Ltd, fittizia società mediorientale, per scoprire i comportamenti di corruzione politica posti in essere dai membri del Congresso).

L'esclusivo orientamento sul provocato che, come abbiamo già anticipato, caratterizza il modello americano: è sempre l'intrappolato ad emergere come protagonista nella fase giudiziaria, il provocatore invece non ha né volto né voce nel processo, compare soltanto attraverso i suoi atti obiettivizzati come 'strumenti di intrappolamento'.

Spagna.

Nel sistema penale spagnolo assistiamo ad un'imbarazzante constatazione: la dottrina non cita quasi mai le sentenze sull'argomento, e la giurisprudenza non recepisce alcuna delle tesi avanzate in dottrina; si fronteggiano dunque due tecniche di indagine, che illuminano due versanti antipodici della problematica, il che di per sé non è uno svantaggio se la distanza del cnfronto non fosse così ampia da non lasciar ravvisare un influsso della dottrina sulla giurisprudenza.

Questa incomunicabilità tra dottrina e giurisprudenza viene alla luce su un terreno particolarmente scabroso dal punto di vista sistematico per alcuni motivi: anzitutto, il concorso di persone nel reato è caratterizzato nel sistema penale spagnolo da una disciplina frammentaria e macchinosa; inoltre, il dibattito spagnolo sull'agente provocatore è caratterizzato dalla punibilità del delitto impossibile prevista all'art. 52 comma 2 cod. pen: si tratta di una norma estensiva della punibilità alle ipotesi di inidoneità determate “dall'autore, dai mezzi e dall'oggetto” che

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emerge “come per magia”25 nell'ambito delle disposizioni

relative alla commisurazione della pena.

Questo inquietante sfondo sistematico su cui si staglia la figura dell'agente provocatore non aiuta certo la ricerca di soluzioni criminalpoliticamente accettabili: è evidente, infatti, che la prevista punibilità sia dei meri atti preparatori, sia del delitto impossibile, chiude in partenza ogni spazio a soluzioni su cui fondare l'impunità dell'agente provocatore.

La posizione della dottrina, a partire dalla nozione stessa di agente provocatore, appare per così dire platonica, ossia toccante 'il cielo dei concetti', dove non vivono i casi della vita né i tradizionali casi di scuola; l'effetto di questa astrazione dalla realtà è quasi scontato: la massima dilatazione della categoria. Infatti, agente provocatore può essere chiunque, non un soggetto qualificato che operi per conto di un organismo posto a tutela della legalità: “il problema dell'agente provocatore non deve essere limitato alle azioni della polizia, ma qualunque soggetto che attua in determinate condizioni e circostanze può essere considerato tale”26.

All'interno di questa nozione ampia adottata all'unanimità dalla dottrina spagnola, sono individuabili due impostazioni tendenti l'una ad estendere, l'altra a restringere la sfera di azione dell'agente provocatora: la prima, volta ad allargare, o quantomeno a non limitare, la già ampia nozione, è sostenuta da Oneca: egli pone l'accento sulla finalità qualificante la condotta dell'agente provocatore che consisterebbe nella “denuncia del provocato”, quindi non indica l'iter criminis che l'agente deve percorrere né fino a che punto dell'esecuzione gli sia consentito pervenire: così facendo l'autore lascia ampia libertà di manovra, concedendo all'agente stesso tutte le iniziative necessarie perché si giunga alla denuncia del provocato, e perciò Oneca accetta 25 Quintano, Comentarios al Codigo Penal

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anche l'eventualità che il reato provocato giunga a consumazione. La seconda impostazione, invece tesa a limitare l'ampiezza della nozione, pone l'accento sulla non volontà della consumazione che animerebbe il provocatore.

A questo punto bisogna affrontare la questione della responsabilità del provocatore: in caso di consumazione del delitto che avvenga contro la volontà esteriorizzata dall'agente provocatore, non potrà venire in considerazione neppure una responsabilità colposa, essendoci una contraddizione logica tra induccion e responsabilità per imprudenza; così, due sono le soluzioni prospettabili: ci potremmo trovare di fronte ad un'ipotesi di “imputazione oggettiva del risultato”, oppure, potrebbe configurarsi un'ipotesi di “autoria accessoria colposa”, che si realizza quando “più soggetti che non afiscono in regime di autoria, contribuiscono congiuntamente alla verificazione del risultato delittuoso”27, ciò che nel nostro sistema farebbe pensare

alla cooperazione colposa.

Se passiamo ad analizzare la giurisprudenza, vediamo che le conclusioni sono diverse: anzitutto, dobbiamo premettere che è l'analisi delle decisioni emesse dal Tribunal Supremo a partire dagli anni '50 che ci immette direttamente nella modellistica che è utile acquisire; per la giurisprudenza spagnola, i reati commessi con l'intervento di un agente provocatore sono riconducibili a due modelli distinti, il cd. “delito provocado” e la “provocacion policial”28.

Il 'delitto provocato' è concepito dal Tribunal Supremo come il prodotto della sinergia di due soggetti: l'agente provocatore ed il provocato: il primo può essere chiunque, sia un privato sia un soggetto appartenente alla polizia: inoltre, per aversi tale delitto, il fatto non deve essere frutto dell'iniziativa del provocato, bensì 27 Ruiz Anton, El agente provocador, 1982, pag. 284

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deve essere determinato dal messaggio istigatorio dell'agente provocatore, “è necessario che si stimoli e si induca alla commissione di un atto punibile perché il delitto provocato richiede, per la sua esistenza, l'induzione sufficiente a condizionare la volontà del provocato, affinché realizzi un'attività penalmente illecita”29. Inoltre, in una serie di decisioni, il

Tribunal Supremo considera il delitto provocato come un'ipotesi carente in assoluto di disvalore e pertanto non meritevole di sanzione penale.

Negli anni '70 però il Tribunal Supremo inverte la rotta, e sposta l'attenzione sul cd. “provocazione poliziesca”, ritenendo degne di riprovazione penale alcune specifiche fattispecie concrete, pure realizzate con l'intervento di un agente provocatore.

Le decisioni del Tribunal che riguardano questa inversione di rotta sono tutte accomunate dalla stessa fenomenologia: l'acquisto di stupefacenti realizzato da un fictus emptor. Una prima considerazione è subito da farsi: questa tecnica di ricerca del colpevole viene utilizzata specificamente per i reati-contratto, e nasce per i reati in materia di stupefacenti.

Per quanto riguarda le specifiche caratteristiche della provocacion policial, anzitutto l'agente provocatore può essere soltanto un “poliziotto”, perciò un soggetto formalmente legittimato dallo Stato a svolgere attività di prevenzione e di controllo dei fatti costituenti reato; per quanto riguarda la condotta tenuta dal poliziotto, “l'attività non è diretta a promuovere il delitto bensì a rendere manifeste e a scoprire situazioni od attività criminose fino a quel momento nascoste, e però presenti..sicché al momento dell'intervento della polizia il delitto già esisteva..ed il provocato era omnimodo facturus”30. Infine, per quanto attiene il

trattamento sanzionatorio la soluzione è scontata e rappresenta la ratio di tale impostazione: avremo, infatti, la punibilità del provocato e l'impunità del provocatore-poliziotto.

29 Trib. Sup. 27 Giugno 1967 30 Trib. Sup. 14 Giugno 1975

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Per completezza è da segnalare una sentenza del Tribunal Supremo del 1980 che si distacca da questa tendenza dominante: infatti arriva all'assoluzione degli imputati per vendita di hashish in secondo grado: in quanto la sentenza di condanna “non precisa gli antecedenti del caso, i dettagli dell'esecuzione, le circostanze del fatto ed in generale tutti i dati che potevano servire per avvalorare giuridicamente i fatti perseguiti...alla base della condanna c'è un'operazione fittizia, in cui mancano le condizioni basilari della tipicità per inquadrare tali fatti nella fattispecie penale”31, tuttavia questa decisione è rimasta un caso isolato e

non è riuscita ad invertire la tendenza in materia di provocacion policial.

Francia.

“Niente di ciò che succede a Parigi, è sconosciuto alla polizia”32: questa frase del luogotenente Lenoir evoca l'origine

del moderno controllo di polizia e dell'agente provocatore che nascono e si sviluppano inscindibilmente connessi: nel 1667, durante l'Ancien Regime, il re istituisce il primo luogotenente di polizia con il compito specifico di mantenere l'ordine pubblico e la sicurezza sociale e di occuparsi dell'amministrazione della città: nell'opera di prevenzione e perseguimento dei reati il luogotenente si avvale di organi subordinati, quali gli ispettori ed i commissari; gli ispettori, creati nel 1708, non svolgono i loro compiti da soli, infatti, si avvalgono di collaboratori che agiscono per loro conto: questi assistenti sono i primi agenti provocatori della storia europea; la polizia, invece, divide questi collaboratori in due categorie: gli 'observateurs' che lavorano clandestinamente per gli ispettori, e i 'mouches' che lavorano apertamente per gli ispettori ed a cui vengono affidati compiti delicati.

Gli 'espions de police' sono comunemente chiamati dal popolo 31 Trib. Sup. 8 Luglio 1980

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“mouches o mouchards”, l'espressione proviene da un inquisitore della fede che, sotto Federico II, si chiamava Mouchy dal nome di un villaggio della Picardia dove era nato: si faceva chiamare Antoine Demochares e le spie che impiegava, col nome di mouches, a causa del suo soprannome 'mouchy' furono chiamate 'mouchards Demochares'33.

La mouche è il più delle volte un soggetto che si trova in stato di detenzione e che ottiene la libertà in cambio della collaborazione, ed inoltre, provenendo di solito dagli strati sociali più bassi della popolazione può insinuarsi facilmente negli ambienti dei sovversivi e dei malfattori con il compito di seguire, ascoltare, informare ma anche provocare ed arrestare.

A differenza delle 'mouches' gli 'observateurs' non provengono tutti dalle classi più povere della società: infatti vengono scelti in base all'ambiente in cui devono infiltrarsi.

Nonostante questi precedenti, è stupefacente che nell'epoca contemporanea la figura dell'agente provocatore venga sostanzialmente ignorata dalla dottrina e dalla giurisprudenza francesi, almeno fino alla seconda guerra mondiale, scrive infatti Bornet in un saggio del 1948 “la provocazione poliziesca al delitto non è una novità, essa è stata oggetto, specialmente in Germania ed Italia, di studi dottrinali numerosi, ma in Francia, fino all'ultima guerra mondiale né la giurisprudenza né gli autori se ne sono occupati molto”34. Si deve alla giurisprudenza della

Francia di Vichy il merito di aver riportato alla ribalta la figura del provocateur de police.

Venendo ora ad esaminare le caratteristiche assunte dalla figura dell'agente provocatore, va innanzitutto evidenziato come sia dottrina che giurisprudenza ne adottino sempre una nozione ristretta: infatti, non può essere chiunque, è sempre un soggetto qualificato “un ufficiale di polizia giudiziaria, quale un commissario di polizia o un agente di una specifica

33 Peuchet, Memoires: citato da Buisson in La police

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amministrazione (doganiere, ispettore servizio di repressione frodi etc.)”35.

Per quanto riguarda la tipologia delittuosa, in un primo momento, ossia in alcune sentenze degli anni '40 notiamo come ci si trovi sempre di fronte ad ipotesi di reati contratto, in cui l'agente provocatore poliziotto agisce in veste di fictus emptor.

Più recentemente, invece, si assiste ad una modifica della tipologia dei reati in cui interviene l'agente provocatore: Legal e Colombini, due commentatori di alcune decisioni emesse dalla Corte di Cassazione, fanno rientrare la figura del pentito-informatore in quella dell'agente provocatore36, così la nozione viene ad estendersi fino a comprendere la figura del vero e proprio infiltrato.

Introducendo l'argomento della responsabilità dell'agente provocatore bisogna iniziare la nostra analisi dalla ricerca di criteri che indichino con sicurezza la linea di distinzione tra provocazione lecita ed illecita: il criterio fondamentale è definibile come principio di sussidiarietà, e cioè che la provocazione deve essere esercitata solo “eccezionalmente, in caso di forza maggiore, allorché non sia realmente possibile ricorrere ad altri mezzi..devono in ogni caso essere strettamente limitate alle operazioni preliminari dell'inchiesta officiosa e non possono essere estese, una volta aperte le indagini, agli atti propriamente detti dell'istruzione”37 .

Seguendo il criterio della sussidiarietà possiamo percorrere due strade diverse:

• l'intensità della provocazione: la provocazione è semplice, quindi rispettosa dei canoni di 'deontologia poliziesca' quando essa rappresenta esclusivamente l'occasione che viene offerta al delinquente di commettere un reato che si sarebbe comunque 35 Donnedieu de Vabres, Note, 1942

36 Colombini, Observations a Cass. 7 Maggio 1951 37 Lambert, Traitè

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verificato; quando invece per trarre in arresto i colpevoli, la polizia deve utilizzare degli strumenti che esercitano una pressione (istigatoria) sulla volontà del prevenuto “riducendone la libertà morale”38 allora la provocazione deve ritenersi inammissibile.

• criterio elaborato da Parra: egli, allineandosi con la dottrina dominante negli anni '70 nel qualificare la provocazione come inammissibile, detta un nuovo criterio per individuare le ipotesi di provocazione ammissibile, descritte come “forme attenuate di provocazione”; il criterio si basa sul rapporto umano che deve, o non deve, instaurarsi tra agente provocatore e provocato: infatti, la provocazione ammissibile “suppone un dialogo, un contatto o un insieme di dialoghi e contatti tra il provocatore e la sua vittima, che si realizza prima della commissione del reato poiché questa commissione sarà determinata dal dialogo, dal contatto”39, ma

l'autore vuole che siano considerate illecite tutte le ipotesi in cui sia ravvisabile la, anche minima, possibilità di un'influenza psicologica dell'agente sul provocato: solo dall'incomunicabilità tra i due soggetti scaturisce la certezza della liceità di certe astuzie predisposte dalla polizia.

Individuati i possibili criteri di distinzione tra provocazione ammissibile ed inammissibile, la dottrina rivolge la sua attenzione su come sanzionare il superamento dei limiti di liceità, così abbiamo l'emersione di due distinti strumenti: un primo strumento, sostanziale, è l'introduzione di un'incriminazione ad hoc che possa punire “l'eccesso di zelo o l'interesse personale”40,

un secondo strumento, processuale, si concretizza sul terreno delle prove, infatti qualora venga raggiunta la prova di un reato con mezzi inammissibili occorrerà annullare il procedimento dal momento che “gli elementi di convincimento così recuperati non potranno validamente essere considerati”41.

Germania. 38 Bornet, v. idem 39 Parra, traitè, pag. 436 40 cit. Bornet, v. idem

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Con riguardo al diritto penale tedesco bisogna iniziare la nostra analisi dalla nozione di agente provocatore: al riguardo possiamo dire che l'espressione ricorrente è quella originaria di “agent provocateur”, cui si affianca talvolta l'autoctona 'Lockspitzel' (lett. 'spia che adesca'), distinzione terminologica che al massimo riflette la diversa ampiezza qualitativa della figura: infatti agent provocateur può essere chiunque, senza distinzione di qualifica, mentre Lockspitzel può essere solo un pubblico funzionario. Un paradigma autonomo e complesso di provocazione è indicato con il termine V-Mann: si tratta di una formula emersa specialmente negli anni '80 all'interno della giurisprudenza tedesca, per designare un insieme complesso di attività provocatorie, attuate da soggetti direttamente appartenenti o comunque controllati dalla polizia e destinate ad acquisire prove di colpevolezza per il processo, ma al di fuori dei formalizzati canali istruttori. Di tale figura esiste una definizione ufficiale, emessa dall'organo giudiziario corrispondente alle nostre SS. UU. della Corte di Cassazione: “è definibile come V-Mann una persona la quale, per diversi motivi, sia di aiuto non solo in un caso isolato nel chiarimento di reati, dia indicazioni, sia utile all'impedimento ed al chiarimento di reati e la cui identità sia mantenuta segreta a discrezione delle autorità istruttorie alle cui dipendenze tale persona operi”42.

Introdotta la nozione di agente provocatore, bisogna vedere quale sia l'inquadramento legislativo all'interno dell'ordinamento, ed al riguardo bisogna distinguere 3 momenti fondamentali:

1. la dottrina classica: dalle origini fino al secondo dopoguerra 2. la dottrina moderna: dal secondo dopoguerra agli anni '80

3. La rottura con il modello tradizionale e la rielaborazione nell'ambito della figura del “V-Mann”

Analizzando la dottrina classica vediamo che l'agente provocatore si inquadra esclusivamente nell'istituto del concorso di persone 42 Bundesgerichtshof, 17-10-1983

Riferimenti

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