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59 C A P I T O L O S E C O N D O

La «Scuola Filosofica di Nevel’» e il periodo a Vitebsk (1915/1916-1920)

2.1 I membri, gli interessi e le attività della «Scuola Filosofica di Nevel‟»

Dopo esser giunto a Nevel‟ intorno al 1915-1916 e dopo aver stretto rapporti con l‟intelligencija cittadina, Pumpjanskij diede vita insieme a Bachtin62 e Kagan alla cosiddetta «Nevel‟skaja škola filosofii» (Scuola Filosofica di Nevel‟) che più che rappresentare una vera e propria «scuola» nel senso stretto del termine – non ricevette, per esempio, alcuna risonanza al di fuori di Nevel‟ – può essere definita come un «circolo aperto» di intellettuali che ravvivò il clima culturale prima della stessa Nevel‟, poi di Vitebsk (1920-1921) e successivamente, negli anni ‟23-‟27, di Leningrado63. Fu infatti negli anni 1923-1927 che si iniziò a parlare di «круг Бахтина» (cerchia di Bachtin) (Machlin 1995a: 359). Il gruppo, cui presto aderì anche Marija Judina, ebbe un notevole ruolo culturale e anche grazie all‟esperienza tedesca di Kagan, allievo di Hermann Cohen, trovò una piattaforma di idee che si ispirava direttamente al neokantismo della Scuola di Marburgo (non a caso i membri sono stati definiti dalla critica dei veri e propri «невельские когенианцы», «coheniani di Nevel‟») (Nikolaev 1992: 226).

Il mentore del gruppo fu decisamente Matvej Isaevič Kagan (1889-1937), studente per otto anni nelle università tedesche di Lipsia, Berlino, Marburgo e allievo di Cohen, Cassirer, Nartop, ma anche di Georg Simmel, Wilhelm Wundt e Alois Riegl (Pul (Poole) 1997: 171, 175). Una volta tornato in Russia nel 1918,

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Sterminata è la bibliografia sul periodo neveliano di Bachtin. Si vedano a titolo d‟esempio il classico Clark, Holquist 1991 (soprattutto il secondo capitolo in cui si danno cenni relativi agli altri membri permanenti e occasionali della cerchia); Konkin, Konkina 1993; Nikolaev 1996a; Pan‟kov 1998; Nikolaev 2003; Nikolaev 2004.

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Per una storia della Scuola di Nevel‟ a Leningrado si vedano Clark, Holquist 1991: 135-194; Pumpjanskij 1992; Pumpjanskij 1992a; Pumpjanskij 1992b; Pumpjanskij 1992c; Pumpjanskij 1992d; Nikolaev 2003c.

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60 Kagan contava al suo attivo già un discreto numero di pubblicazioni in tedesco; nel 1920 scrisse l‟articolo German Cogen (Herman Cohen, pubblicato poi nel 1922), che oltre a essere dedicato alla memoria del suo maestro individuava la «современная потребность исторического пути философии» («necessità contemporanea di un percorso storico della filosofia») (Kagan 2004a: 44). Va inoltre sottolineato che quei concetti chiave che a buon diritto sono considerati dalla critica le idee portanti dell‟opera di Bachtin fra il 1919 e il 1924, (Clark, Holquist 1991: 99; Nikolaev 1992: 226; Pul (Poole) 1997: 165), concetti come «ответственность» (responsabilità), «я» (io), «ты» (tu), «акт» (atto), «поступок» (atto) intese come categorie etiche, nonché le questioni legate alle definizioni di «spazio» e «tempo» e il loro significato all‟interno della storia dell‟estetica, trovano un posto di riguardo negli scritti di Kagan fra il 1915 e il 191964 (Pul (Poole) 1997:165), ovvero prima ancora che Bachtin li postulasse in K filosofii postupka, (Filosofia dell’atto) (Bachtin 2003, I: 7-68) e Avtor i geroj v ėstetičeskoj dejatel’nosti (L’autore e l’eroe nell’attività estetica)65

(Bachtin 2003, I: 69-263).

Attraverso una reinterpretazione kantiana il gruppo di Nevel‟ rifiutava la riduzione della filosofia a mera riflessione sulla scienza, si opponeva alla distinzione fra l‟aspetto psicologico e quello logico-oggettivo della conoscenza, considerava la metafisica, come scrisse nel 1928 lo stesso Pumpjanskij, non come oggetto della filosofia, ma come apparato dell‟estetica («Метафизика происхождения не философского, а эстетического. Самый замысел метафизики – воспроизвести картину мира – никакого отношения не имеет к замыслам чисто философского порядка.»)66 (Pumpjanskij 1928a: 19). In 64

Non ci è possibile in questa sede indagare i rapporti intellettuali fra Kagan e Bachtin. Il tema è stato affrontato per la prima volta nel 1997 dallo studioso canadese Brian Poole, il cui saggio, oltre a tratteggiare il contesto filosofico tedesco del primo quarto del XX secolo, imposta il problema e ricostruisce il percorso accademico di Kagan in Germania, registrando la necessità di pubblicare l‟archivio del filosofo e di procedere alla comparazione dei testi del giovane nevelec con quelli del Bachtin dei primi anni ‟20. Parte dell‟archivio privato di Kagan è stato recentemente pubblicato da Machlin in Kagan 2004.

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La versione italiana del saggio è contenuta in Bachtin 20003: 5-187. 66

«L‟origine della metafisica non è filosofica, bensì estetica. Lo stesso progetto della metafisica è la produzione di una cartina del mondo; [la stessa metafisica] non ha alcuna relazione con i disegni di ordine puramente filosofico.» Per uno studio più approfondito

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61 sostanza, per la cerchia neveliana ogni fenomeno della vita, della cultura, qualsiasi compito artistico e qualsiasi azione aveva come suo epicentro l‟estetica (Nikolaev 1991: 32; Nikolaev 1992: 224; Machlin 1995a). Sulla base di simili costruzioni i membri del gruppo organizzarono una lunga serie di seminari di carattere etico-religioso, filosofico e musicale che, oltre a essere frequentati attivamente dall‟intelligencija locale, aprì a Nevel‟ nuove prospettive culturali: furono organizzati cicli di lezioni gratuite aperte alla platea locale e furono allestiti concerti e rappresentazioni teatrali (Clark, Holquist 1991: 74).

Il 27 novembre 1918 si tenne nella cittadina la prima assemblea pubblica di cui abbiamo testimonianza; in essa intervennero sia Pumpjanskij che Bachtin (Maksimovskaja 2002: 148). L‟evento attrasse un numero incredibile e inaspettato di presenze: già due ore prima dell‟inizio del dibattito circa seicento persone si accalcarono nella sala del Narodnyj dom im. Karla Marksa, nelle stanze adiacenti, nel corridoio e sulle scale (Clark, Holquist 1991: 73). La disputa, così venne definito l‟incontro dai cronisti del quotidiano locale «Molot» («Il martello»), recava il titolo “Religija i socializm” (“Religione e socialismo”) e oltre a Pumpjanskij e Bachtin vi presero parte altri tre oratori: i già citati Gutman e Gurvič, il quale nel 1919 dette alle stampe il periodico «Den‟ iskusstva» (Il giorno dell‟arte) (Clark, Holquist 1991: 75) su cui Bachtin pubblicò Iskusstvo i otvetstvennost’ (Arte e responsabilità), e Dmitrij Dejchman, rappresentante del comitato esecutivo del Dipartimento distrettuale di Nevel‟ per l‟anno 1919 (Maksimovskaja 2002: 147, 148).

Il dibattito fu aperto da Pumpjanskij che esordì definendosi un cristiano ortodosso. Il giorno successivo il suo intervento fu sbeffeggiato sulle colonne de «Il martello» che considerò il discorso del critico talmente colto ed elitario da non essere affatto capito dalla metà della platea presente. Essendo per natura persona di buon cuore – scriveva ironicamente il giornale – Pumpjanskij aveva riconosciuto i meriti delle azioni dei comunisti, anche se si era guardato bene dal condividerne a pieno il loro approccio (Maksimovskaja 2002: 148).

sui capisaldi teorici della Scuola di Nevel‟ e sulle consonanze con il neokantismo di Marburgo si vedano Clark, Holquist 1991: 99-134; Machlin 1995a; Machlin 1996.

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62 Dopo esser stato mobilitato dall‟inverno 1918 alla primavera 1919 per prendere servizio come interprete militare, Pumpjanskij fece ritorno a Nevel‟ nei mesi primaverili del 1919 e il 18 e il 22 maggio dello stesso anno partecipò alla terza assemblea pubblica sul tema “Christianstvo i kritika” (“Cristianesimo e critica”) (nella seconda non prese parte nessuno dei rappresentanti del «gruppo di Bachtin»)67. Al dibattito, ancora una volta gremito di pubblico, intervennero Gutman, Bachtin, Pumpjanskij, Gurvič e Kagan (Maksimovskaja 2002: 149). Come di consueto, fu Pumpjanskij ad aprire la serata, offrendo una panoramica complessiva della critica al cristianesimo dai romani fino ai filosofi e ai filologi tedeschi. Mentre Bachtin si limitò ad alcune annotazioni aggiuntive all‟intervento dell‟amico proponendo un‟analisi del rapporto di Nietzsche con il cristianesimo, Gutman non risparmiò pesanti critiche alla religione e a tutti i fedeli, difendendo le posizioni del materialismo storico (Maksimovskaja 2002: 150).

Altre furono le iniziative culturali organizzate a Nevel‟ fra il 1918 e il 1920 e a molte di queste presero parte sia Pumpjanskij che Bachtin: nel maggio 1919 misero in scena la tragedia di Sofocle Edipo a Colono avvalendosi di una compagnia formata da oltre cinquecento allievi delle scuole locali (Judina scelse le musiche) (Clark, Holquist 1991: 73; Bočarov 1999: 494), ed entrambi parteciparono alla serata dedicata a Leonardo da Vinci nel giugno dello stesso anno, in cui Pumpjanskij intervenne sull‟epoca di Leonardo e Bachtin sulla Weltanschauung del maestro toscano (Maksimovskaja 2002: 150, 152).

Dallo spoglio del quotidiano «Molot» di quegli anni emerge un‟interessante discussione sviluppatasi nell‟assemblea pubblica che ebbe luogo il 10 giugno 1919 presso la consueta Narodnyj Dom im. Karla Marksa. Il dibattito vide protagonisti Pumpjanskij e Dejchman. Il primo presentò un intervento sul significato attribuito all‟amore dagli antichi filosofi greci, in particolar modo da Platone e Aristotele, e sostenne la tesi secondo la quale l‟amore è un rapporto esclusivo degli individui, un vincolo che lega un essere umano con un altro e dalla cui totalità si compie amicizia e indissolubile unità (Maksimovskaja 2002: 150,

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Effettivamente il nome di Pumpjanskij non viene mai menzionato nei numeri di «Molot» dal 3 dicembre 1918 al 28 marzo 1919 (Nikolaev 1997: 115). Negli appunti dal titolo Nečto o 9 vesnach! (Qualcosa sulle 9 primavere!) scrive Pumpjanskij: «Еще более ранней весной я из Риги приезжаю в Невель.» («Nei primi mesi di primavera mi trasferii da Riga a Nevel‟.») (Nikolaev 1997: 115).

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63 151). La lettura dell‟intervento provocò la dura reazione di Dejchman che negò l‟esistenza del sentimento amoroso in favore di uno sviluppato senso di riproduzione tanto nell‟individuo quanto nel mondo vegetale. A differenza dell‟«idealista Pumpjanskij», così fu definito il relatore dal suo opponente, Dejchman si dimostrò fiducioso nella nuova era socialista, l‟unica che avrebbe dato un vero e profondo valore all‟amore (Maksimovskaja 2002: 151).

Nel numero de «Il martello» del 4 agosto 1919 fu annunciata la nascita della Nevel‟skaja naučnaja Associacija (Associazione neveliana di studi), un istituto che fu voluto fortemente da Gurvič, colui che rivestì la funzione di pungolo dialettico per la cerchia di Bachtin. L‟associazione avrebbe incoraggiato lo sviluppo delle attività culturali della cittadina di provincia. All‟inaugurazione furono presenti Bachtin, Kagan e Pumpjanskij che lessero nuovi interventi, di cui però non si conoscono né il titolo né i contenuti. Da parte sua, Pumpjanskij salutò positivamente la costituzione del nuovo gruppo che avrebbe diffuso il sapere e l‟arte «in un luogo assolutamente libero» (Clark, Holquist 1991: 74; Maksimovskaja 2002: 153, 154). E infatti fu questo il compito che si prefissero sia lui che Bachtin, quando sotto gli auspici del Dipartimento cittadino dell‟Istruzione diressero rispettivamente il gruppo di studi sulla Critica della ragion pura di Kant – testo che allora fu considerato «idealistico» e quindi anti-marxista (Clark, Holquist 1991: 74) – e un corso di circa ottanta lezioni sulla storia della cultura spirituale dell‟Europa che inglobava varie branche dello scibile (poesia, filosofia, religione, scienza) (Infra par. 2.2). Gli incontri del corso tenuto da Pumpjanskij avvenivano tre volte a settimana, duravano due ore ciascuno ed erano aperti a chiunque lo desiderasse (Maksimovskaja 2002: 156, 157).

Vediamo ora come si è articolato il contributo teorico apportato da Pumpjanskij durante il periodo a Nevel‟ e a Vitebsk analizzando i contenuti dei suoi sei taccuini conservatisi fino a oggi.

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64 2.2 I sei taccuini di Pumpjanskij: problematiche, caratteristiche e contenuti

I mesi estivi del 1919 e quelli del 1920 furono un momento fondamentale nella storia della «Scuola di Nevel‟», poiché si tennero le lezioni consacrate ai problemi della filosofia etica e della responsabilità, ovvero a due delle questioni più discusse tanto nell‟opera di Bachtin (si vedano in particolare Iskusstvo i otvetstvennost’, K filosofii postupka e Avtor i geroj v ėstetičeskoj dejatel’nosti, L’autore e l’eroe nell’attività estetica) quanto in quella di Pumpjanskij (Nikolaev 1992: 226-229; Nikolaev 1996a: 96; Nikolaev 2003). Per far capire quanto l‟esperienza della responsabilità e dell‟etica fosse totalizzante nella vita quotidiana dei membri del circolo, vale la pena citare i ricordi di Judina e Bachtin circa una memorabile passeggiata al lago a cui presero parte lo stesso Bachtin, la pianista e Pumpjanskij. Fu in quell‟occasione che Bachtin raccontò ai suoi interlocutori la sua idea di filosofia etica. Ecco la testimonianza di Judina rilasciata nel 1969: «И одно из небольших озер называлось меж нами «Озеро нравственной реальности», там Михаил Михаилыч излагал 2-м людям, мне и одному ныне Покойному человеку – некие основы своей философии.»68

(Kuznecov 1997: 15). Nelle conversazioni con Duvakin del febbraio-marzo 1973 il dotto filosofo confermò quanto già l‟amica pianista aveva dichiarato nel 1969:

Мы совершали далекие прогулки, обыкновенно, значит: Мария Вениаминовна, Лев Васильевич, иногда-то кто-нибудь еще, и во время этих прогулок вели беседу. Я помню, я им излагал даже, ну, начатки своей нравственной философии, сидя на берегах озера так в верстах… должно быть, километрах в десятки от Невеля. И даже это озеро мы называли озером нравственной реальности. (Ухмыляется). Оно никакого названия до этого не имело69 . (Bachtin 20022: 269) 68

«E uno di quei piccoli laghi lo chiamavano fra di noi “il lago della realtà etica”; là Michail Michailyč raccontò a due amici, a me e a un‟altra persona oggi scomparsa, alcuni fondamenti della sua filosofia.»

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«Facevamo delle lunghe passeggiate, di solito c‟erano, dunque, Marija Veniaminovna, Lev Vasil‟evič, di tanto in tanto si aggiungeva anche qualcun altro, e durante queste passeggiate tenevamo delle conversazioni. Mi ricordo che raccontai loro perfino dei prodromi della mia… filosofia etica, mentre eravamo seduti sulla riva del lago a verste… dovevano essere decine di chilometri da Nevel‟, e perfino il lago lo soprannominammo “lago della realtà etica”. (Sogghigna) Fino ad allora non aveva alcun nome.»

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65 C‟è ancora un‟altra testimonianza che attesta che quelle passeggiate siano avvenute proprio nel 1919. Si tratta di una fotografia conservatasi nell‟archivio di Judina, oggi custodito nella sezione manoscritti della Biblioteca nazionale di Mosca, in cui sono ritratti quattro giovani ragazzi. Sul retro si legge un‟iscrizione di Pumpjanskij: «Самых дорогих и уважаемых друзей – память лета 1919 г. и всех его атрибутов: прогулок (с дождем и без дождя), костров, нравственной философии (“циники – мегарики – киренаики, полусократики”)70

» (Nikolaev 1996a: 96, 97).

Gli anni di Nevel‟ e quelli trascorsi nella cittadina di Vitebsk hanno caratterizzato uno dei più floridi periodi della produzione estetico-letteraria di Pumpjanskij e hanno forgiato la base teorica su cui far poggiare gli sviluppi successivi del suo pensiero critico-letterario.

Proprio a questo spaccato temporale risalgono sei importanti taccuini, a oggi pubblicati solo in parte e custoditi presso l‟archivio privato del filologo a Pietroburgo. Questa straordinaria quantità di materiali propone un‟incredibile varietà di quadri concettuali e rappresenta una miniera di informazioni che getta luce sia su parti della biografia che su alcuni nodi teoretici della concezione di storia della letteratura del nostro. Due sono le caratteristiche principali dei sei quaderni: la parzialità e la frammentarietà dei documenti disponibili e l‟ampio spettro tematico affrontato. Non tutti i saggi dei taccuini sono stati pubblicati e quelli che hanno già visto la luce discutono, sottoforma di appunti, una vasta gamma di questioni che vanno dalla trattazione della tragedia greca alla discussione della tragedia shakespeariana Amleto, dall‟idea di simbolo e mito ai romanzi di Dostoevskij, dal significato della poesia di Puškin a Il Revisore gogoliano.

Al fine di ricostruire alcuni motivi che contengono in nuce le idee di lavori scritti e pubblicati negli anni 1921-1922 (Infra cap. 3) e di dare un quadro complessivo delle problematiche poste fra il 1919 e il 1920, descriveremo in un primo momento la struttura dei sei taccuini e successivamente enucleeremo e presenteremo i principali nodi tematici. Solo successivamente indagheremo le

70

«Gli amici più cari e stimati – in ricordo dell‟estate 1919 e di tutti i suoi attributi: delle passeggiate (con o senza pioggia), dei falò, della filosofia etica (“cinici – megarici – cirenaici – semisocratici”.)»

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66 possibili influenze che determinarono il pensiero estetico enunciato nei materiali che andremo ad analizzare.

2.2.1 Descrizione ragionata

Scritto durante la primavera del 1919, il primo taccuino presenta una serie di materiali editi parzialmente: il piano di un corso intitolato The Deformed Transformed or the town’s Encyclopedy71 (Nikolaev 1997: 115; Nikolaev 1997b: 14) che costituisce la base del corso tenuto a Vitebsk “Istorija idej evropejskoj kul‟tury” (Storia delle idee della cultura europea, 1919-1920); due bozze del piano del corso “Istorija duchovnoj Evropy” (Storia dell‟Europa spirituale) (Nikolaev 1997b: 14), probabilmente lo stesso che il critico realizzò a Nevel‟ grazie al supporto del Dipartimento cittadino dell‟Istruzione; due parti di un lavoro dedicato alla musica, la cui seconda sezione reca la data del 13 aprile 1919 (Nikolaev 1997b: 14); il saggio ancora inedito O Nekrasove (Su Nekrasov) (Nikolaev 1997: 119, 120) e degli appunti filosofici non pubblicati dal titolo Ob otrešenii (Sullo svincolamento), in cui si mostra l‟impostazione delle riflessioni sulla problematica etica (Nikolaev 1997: 117).

Il secondo taccuino, datato giugno 1919 (Nikolaev 1997b: 14, Nikolaev 2000c: 787), s‟intitola or the Religion of Sinner72 ed è fra i sei quello più ricco e più denso, che contribuisce a risolvere alcuni punti nodali riguardanti

71

La prima parte del titolo – The deformed trasformed – riprende l‟omonimo titolo del dramma byroniano incompiuto The deformed trasformed (Il deforme trasformato, 1824), in cui il personaggio principale, Arnold, è un gobbo che pur di diventare simile agli altri è disposto a vendere la propria anima al diavolo (notiamo la variazione del tema faustiano). Vista la mancanza dei testi contenuti nel taccuino, è arduo avanzare in questa sede una qualche ipotesi sul significato del titolo dello stesso quaderno.

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« » significa letteralmente «Nubicuculia», ovvero città dei cuculi sulle nuvole. Si riferisce all‟idea di Pisetero che nella commedia Gli uccelli di Aristofane propone di creare una città fortificata sulle nubi – Nubicuculia, appunto – per poter governare gli uomini e per porsi al di sopra degli stessi dèi. Gli interventi del quaderno pubblicati sono Dostoevskij kak tragičeskij poėt e Kratkij doklad na dispute o

Dostoevskom, in cui i principi cardine da cui muovono le considerazioni su Dostoevskij

sono la responsabilità e l‟eticità. Può darsi che Pumpjanskij intendesse racchiudere in questo taccuino tutti quei lavori consacrati alla costruzione di una dimensione etica e responsabile, una dimensione «altra», di «Nubicuculia». Tale dimensione probabilmente doveva contrapporsi a quella della realtà sensibile dell‟individuo.

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67 tanto la biografia quanto l‟opera critico-letteraria di Pumpjanskij. Il quaderno contiene una serie di brevi componimenti poetici dedicati a Marija Judina (Infra par. 2.2.6), i quali attestano il legame sentimentale che si era stretto fra la pianista e il filologo; la piccola bozza inedita K II-oj (ėrotičeskoj) časti dialoga «O sčast’e» (Per la II parte (erotica) del dialogo «Sulla fortuna»), Doklad: Dostoevskij kak tragičeskij poėt (Intervento: Dostoevskij come poeta tragico) poi pubblicato nel 1997 da Nikolaev con il titolo Dostoevskij kak tragičeskij poėt (Pumpjanskij 1997), e il Kratkij doklad na dispute o Dostoevskom (Breve intervento sulla disputa su Dostoevskij), dato anch‟esso alle stampe nel 1997 (Pumpjanskij 1997a); la lezione inedita Aristotel’ (Aristotele), l‟inedito Doklad o L’ve Tolstom (Intervento su Lev Tolstoj) e la lezione inedita Evripid (Euripide) (Nikolaev 1997: 118).

Il terzo quaderno contiene il saggio Opyt postroenija reljativističeskoj dejstvitel’nosti po «Revizoru» (Esperimento di costruzione di una realtà relativa secondo «Il revisore») (Pumpjanskij 1997b), letto e discusso in una riunione del circolo di Nevel‟ nell‟estate 1919; da esso prese le mosse l‟intervento Postroenie reljativističeskoj dejstvitel’nosti po «Revizoru» (Costruzione di una realtà relativa secondo «Il Revisore»), successivamente proposto in una riunione di «Vol‟fila»73 (Infra cap. 3). In Opyt postroenija reljativističeskoj dejstvitel’nosti po «Revizoru» l‟opera di Gogol‟ viene indagata nei confini del mitologema simbolista dell‟origine sacrale dell‟arte e costituirà la piattaforma teorica per i contenuti del libro incompiuto Gogol’ a cui Pumpjanskij lavorò dal 1922 al 1925 (Nikolaev 1995: 40) (Infra cap. 5.2).

Il quarto quaderno contiene Ėpochi Gamleta (Le epoche di Amleto), preceduto dagli appunti intitolati O nravstvennosti (Sul carattere etico); alcuni frammenti di Ėpochi Gamleta sono stati pubblicati nel 2000 nell‟apparato critico di Klassičeskaja tradicija (Pumpjanskij 2000). Risulta ancora completamente inedito, invece, O nravstvennosti.

73

Il 17 maggio 1921 nella «Vol‟fila» Pumpjanskij presentò anche il contributo

Razmyšlenija o «Revizore» Gogolja (Riflessioni su «Il revisore» di Gogol’), (Belous

2005: II, 192) (Infra cap. 3) che riproponeva, con molta probabilità, i contenuti di Opyt

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68 Il quinto quaderno presenta il saggio O smysle poėzii Puškina (Sul significato della poesia di Puškin), poi pubblicato con il titolo Smysl poėzii Puškina (Pumpjanskij 2000a) e nel sesto quaderno troviamo un trattato non ancora dato alle stampe sulla Fedra di Racine dal titolo Tractatus minor de tragoedia deducenda. Gallici poetae Racini «Phaedrae» tragoediae analysis additur, qua deducta demonstrentur (Nikolaev 1997; Nikolaev 2000c: 792).

Isoliamo adesso i nodi tematici principali che emergono dalla disamina dei sei taccuini in questione e riorganizziamo i concetti chiave che rappresentano il pensiero estetico-letterario di questo periodo.

2.2.2 Simbolo, mito e tragedia

All‟idea di simbolo, mito e tragedia sono dedicati, anche se mai in modo sistematico, alcuni frammenti del corso The Deformed Transformed or the town’s Encyclopedy e taluni brani dei saggi Smysl poėzii Puškina, Opyt postroenija reljativističeskoj dejstvitel’nosti po «Revizoru», Dostoevskij kak tragičeskij poėt e Kratkij doklad na dispute o Dostoevskom. Gli stessi concetti ritornano poi negli anni 1921-1922 e 1924, in particolare in quattro testi distinti: nel libretto Dostoevskij i antičnost’ (Dostoevskij e l’antichità), una prolusione letta nell‟incontro della «Vol‟fila» del 2 ottobre 1921 a Pietrogrado (Infra cap. 3) e pubblicata nel 1922, nella prima lezione del corso vitebskiano “Istorija antičnoj kul‟tury” (Storia della cultura antica) (Pumpjanskij 2000d), in una variante del medesimo saggio scritta poco più tardi nel 1924 (Pumpjanskij 2000i), e nel testo incompiuto K istorii russkogo klassicizma (Per una storia del classicismo russo) (Pumpjanskij 2000h) (Infra cap. 4).

Vediamo quali erano i significati attribuiti rispettivamente a simbolo, mito e tragedia.

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69 2.2.2.1 Il simbolo

Negli anni 1919-1920 Pumpjanskij pose l‟accento sul continuo polarizzarsi (o dialettarsi) di due principi, l‟uno organizzativo in grado di mettere in relazione le parti con il tutto – quello che per Nietzsche era il principio apollineo – e l‟altro estatico, il dionisiaco, forza vitale capace di portare allo sconfinamento cosmico. In Pumpjanskij equilibrio e caos, finito e infinito, conscio e inconscio sono percepiti come due facce della stessa medaglia, come due entità che contribuiscono alla rivelazione del simbolo. Il simbolo, nella concezione del critico di Vil‟na, è una realtà sia trascendente che immanente: essa, da una parte, si nutre di valori universali e sovratemporali, e dall‟altra è custode di quella classicità e antichità descritte da Zelinskij (Infra parr. 1.2.3, 4.6.1), una classicità che viene ricreata e rinnovata dal genio dell‟artista. Di converso, tutto ciò che rifiuta l‟esistenza del simbolo è «relativo», non fondato, e quindi non è «classico»: «Вспомним, как возникло безумие релятивизма: из стирания символов… Но символы могут стирать медленнее и быстрее… в зависимости от силы носителя.»74 (Pumpjanskij 1997b: 10); «Литература, находящаяся в известном отношении к не своей абсолютной ценности – классична; не классична релятивированная литература.»75

(Pumpjanskij 2000h: 30) (Infra cap. 4). Il simbolo è sia idea pura giacente in una dimensione trascendente che fenomeno storicamente e culturalmente condizionato specie dalla cultura greca che ha fatto conoscere alla forma simbolica la sua acme. Il riconoscimento del simbolo da parte dell‟artista/poeta può avvenire solo nel momento del dionisiaco «восторг» (entusiasmo) (Pumpjanskij 1922: 9) (Infra par. 4.1.3), dato che solo immergendosi nei simboli il genio riesce a estrapolare la verità (Pumpjanskij 1997b: 10).

In questo sistema un altro contributo notevole da non sottovalutare è quello apportato dalla soggettività, dal poeta/artista che senza fermarsi a contemplare passivamente il simbolo storico riconosce i valori che lo contrassegnano (il tragico, l‟invasamento e la mania provenienti dalle Muse, l‟esaltazione

74

«Ricordiamo com‟è nata la sconsideratezza del relativismo: dalla cancellazione dei simboli… Ma i simboli si possono cancellare più lentamente o più velocemente… dipende dalla forza di chi li veicola.»

75

«È classica quella letteratura che si trova in un noto rapporto con un ideale classico non proprio; non è classica la letteratura relativizzata.»

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70 dell‟impero, la fondazione di una città) (Infra cap. 4), rinnovandone costantemente la forma e lo stile. Artefice della rinascita del simbolo e quindi dell‟antichità sarà, per Pumpjanskij, Lomonosov che con la sua Oda na vzjatie Chotina (Ode per la presa di Chotin, 1739) ha liberato il genio e ha dato vita e forma al simbolo: «“Восторг внезапный ум пленил” – это не «ложноклассицизм», а действительный дионисический восторг, и “пою” – действительное, а не ложноклассическое […] дионисический восторг был началом трагической культуры […]»)76

(Pumpjanskij 1922: 9, Infra cap. 4.1.3). Del resto, come si afferma in Smysl poėzii Puškina, l‟epoca storica che ha fatto rivivere alla Russia i valori universali fu quella dello «zar del mondo simbolico, Pietro» (Pumpjanskij 2000a: 572). Secondo Pumpjanskij, solo se riesce a ricreare il simbolo l‟artista agisce in modo «responsabile» ed «etico»: «На каких путях слуга может быть слугой, не становясь лакеем? На путях Гринева, не Карамазова-отца: на путях ответственности.»77

(Pumpjanskij 1997a). Nella lettura del nostro inoltre il simbolo acquisisce un altro significato: esso è l‟essenza stessa del mito. Al mito, a sua volta, è attribuita una funzione esegetica, poiché solo a partire da esso il simbolo diventa concepibile: «Великие поэты думают мифами, и их мысли суть символы.»78

(Pumpjanskij 1997a).

Vediamo dunque come si articola il concetto di mito.

2.2.2.2 Il mito

Ciò che traduce in narrazione l‟espressività del simbolo è, per Pumpjanskij, il mito. Oltre a permettere la fruizione immediata del simbolo, il mito è concepito dal critico come un prodotto del processo storico: solo nella storia il mito assume

76

«“Un entusiasmo improvviso ha sedotto la mente” non è «pseudoclassicismo», ma vero e proprio entusiasmo dionisiaco, e il “canto” è vero e proprio e non pseudoclassicista. […] l‟entusiasmo dionisiaco è stato l‟inizio della cultura tragica […]». «Восторг внезапный ум пленил» è, com‟è noto, il primo verso dell‟Oda na vzjatie Chotina (1739), mentre «пою» si riferisce al cantare in generale dell‟aedo, anche se è anche l‟incipit del verso «Пою перед тобой в восторге похвалу» del Pis’mo o pol’ze stekla. 77

Si tratta del primo riferimento conservatosi sulla categoria «ответственность» (responsabilità) di cui parlerà anche Bachtin in K filosofiji postupka (Nikolaev 1992: 226-228).

78

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71 un suo chiaro valore (Pumpjanskij 2000a: 751). Il mito, inoltre, conserva le tracce di due importanti fenomeni storico-culturali-religiosi: da una parte, i culti arcaici indoeuropei consacrati alla Grande Madre e, dall‟altra, quella che viene considerata la grande religione greca del «dio sofferente», torturato e ucciso dalla dea madre e sposa (Pumpjanskij 2000d). Sul primo punto, Pumpjanskij non fornisce dettagliate descrizioni; le sue laconiche affermazioni, tuttavia, ci permettono di dire che il richiamo al culto della Grande Madre testimonia la centralità che viene attribuita al principio tellurico nella storia del mito: solo la sua supremazia – che si tradurrà nella supremazia del matriarcato – permetterà di salvare il mondo e di rinnovare il simbolo, dando la possibilità all‟uomo di vivere in una dimensione perfetta e di non cadere nel cosiddetto «relativismo» o «individualismo».

Se, quindi, il dominio matriarcale garantisce una stabilità etico-religiosa alle civiltà, va da sé che il principio uranico, incarnato nella religione greca da Dioniso, porta all‟affermazione del patriarcato e, di conseguenza, alla fine di una società fondata sulla sacralità cosmico-storica; una vittoria di Dioniso cederebbe il passo alla distruzione del simbolo e alla sua «relativizzazione», ovvero al «relativismo» o «individualismo», a quella realtà priva di simboli. Perché il dio maschile non vinca, egli deve essere torturato e ucciso dalla Grande Madre, la quale, quindi, con l‟assassinio compirà una tragedia. Il principio tragico che, secondo Pumpjanskij, anima la tragedia parte proprio da questo assunto, ovvero dal compimento di un omicidio o, per meglio dire, dal compimento dell‟omicidio per antonomasia: l‟assassinio del dio da parte della dea, la morte del personaggio maschile per opera di quello femminile (Pumpjanskij 1922: 12). Guardiamo ora come tutta questa struttura trova sviluppo nella trattazione dell‟idea di tragedia.

2.2.2.3 La tragedia

Suprema fra le forme d‟arte greca, la tragedia viene intesa strutturalmente da Pumpjanskij come la sintesi sia delle due polarità conflittuali riconosciute da

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72 Nietzsche (dionisiaco e apollineo) che dello sdoppiamento natura-storia (nonché della dualità coro-eroe tragico che però viene solo accennata):

Как же возможна чистая трагедия? В н у т р и мира, сплошь обоснованного. Трагедией называется недвусмысленное зрелище, развивающееся из столкновения двух достаточно обоснованных воль и потому подвластное року, как последнему достаточному основанию79 . (Pumpjanskij 1997b: 7) Очевидно, основной миф есть миф о роковых судьбах человеческого рода и того, что в природе ему союзно: истории. Проблема природы и истории, т.е. проблема трагедии; будущий актер и будущий хор – т.е. сексуальный характер всей будущей поэзии80 . (Pumpjanskij 2000d: 759)

Da un punto di vista contenutistico, nel genere tragico vengono individuate alcune peculiarità essenziali: il fato, l‟interpretazione etica delle vicende mitiche, l‟acquisizione della coscienza attraverso la sofferenza, il delitto e il giudizio. Alcuni di questi caratteri sono ben sintetizzati nel seguente frammento tratto da Dostoevskij kak tragičeskij poėt:

В трагедии нравственная действительность (или попросту реальность) торжествует вечную победу над вечным кризисом. Точная цель трагедии: показать бессмертие реальности… […] Наибольшее из препятствий есть враждебный рок, т.е. слово, реченное о гибели реальности… И вот трагедия есть торжество над этим роком: рок может сгубить и выжечь все, он властен над всем. […] Эпоха трагической культуры есть эпоха нравственности…81 (Pumpjanskij 1997: 3, 4)

Nella sua accezione di , il fato si pone nella tragedia come una necessità che sovrasta ogni umana razionalità («необходимое условие трагедии есть

79

«Come è possibile la tragedia? All‟i n t e r n o di un mondo completamente motivato. Si definisce tragedia uno spettacolo inequivocabile che si sviluppa dallo scontro di due libertà sufficientemente fondate e per questo uno spettacolo dipendente dal fato come ultima sufficiente base.»

80

«È evidente che il mito fondamentale sia il mito dei destini fatali del genere umano e di ciò che in natura gli è alleato: la storia. Il problema della natura e della storia, ovvero il problema della tragedia; il futuro attore e il futuro coro ovvero il carattere sessuale di tutta la futura poesia.»

81

«Nella tragedia la realtà etica (o semplicemente la realtà) celebra la vittoria eterna sulla crisi eterna. Il compito preciso della tragedia: mostrare l‟immortalità della realtà… […] L‟ostacolo principale è il fato nemico, ovvero la parola pronunciata sulla tomba della realtà… Ed ecco che la tragedia è il trionfo su questo fato: il fato può distruggere e incenerire tutto, esso impera su tutto. […] L‟epoca della cultura tragica è l‟epoca dell‟eticità…»

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73 неслучайность жизненного явления»82

) (Pumpjanskij 1997: 4), che porta al dolore e alla sofferenza, di fronte alla quale la capacità umana si interroga sulla giustizia delle proprie azioni: è questo il momento che Pumpjanskij definisce «религиозно-нравственный сюжет отцеубийства»83 (Pumpjanskij 1997a) e che lacera l‟eroe tragico fino a renderlo consapevole che la caducità e il dolore sono realtà inevitabili del divenire umano: accade a Edipo dopo essersi scoperto l‟assassino del padre, a Oreste di fronte al matricidio e, secoli più tardi, ad Amleto dopo l‟omicidio dello zio Claudio (Pumpjanskij 1997a) (Infra par. 3.3.4). Altro elemento fondamentale, su cui adesso non ci soffermeremo vista l‟attenzione particolare che riceverà nel paragrafo 3.3.3, è il giudizio, ovvero il momento in cui l‟atto dell‟eroe tragico viene riconosciuto, «qualificato» (Infra par. 5.4.2) e sentenziato dall‟Areopago, il tribunale che ad Atene giudicava principalmente i delitti di sangue commessi con premeditazione.

Prima di proseguire nella nostra trattazione ci sembrano doverose alcune considerazioni sul problema legato alla ricezione delle idee sinora esposte (simbolo, mito, tragedia), una ricezione che contribuì alla formulazione dei tre concetti chiave nell‟estetica del nostro.

2.2.2.4 Il problema della ricezione: cenni

Il presente paragrafo si propone di fornire alcuni cenni sulla ricezione della triade simbolo-mito-tragedia, di cui tenne conto Pumpjanskij nell‟elaborare i propri concetti. In questa sede ci limiteremo ad alcune stilizzazioni delle possibili ricezioni con l‟auspicio di approfondire la problematica in un prossimo futuro. Come abbiamo visto, la contrapposizione fra «simbolo» e sua «relativizzazione», dionisiaco e apollineo, trascendente e immanente occupa in Pumpjanskij un posto di prim‟ordine. Proprio in questa costante dualità di principi il critico si dimostra debitore tanto dell‟impostazione filosofica schellinghiana quanto dei contenuti innovativi de La nascita della tragedia.

82

«condizione indispensabile della tragedia è la non casualità del fenomeno vitale.» 83

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74 Il tributo a Schelling risale al 1921, quando Pumpjanskij scrisse l‟ancora inedita Istorija ėstetiki (Storia dell’estetica) che comprendeva la trattazione dell‟estetica schellinghiana, un testo oggi custodito nell‟archivio privato del filologo (Nikolaev 2000c: 747); alla naturphilosophie del filosofo tedesco, inoltre, fu dedicato un corso nel 1922 (Infra p. 113).

Nella formulazione schellinghiana si parla di «Assoluto», intendendo con questa definizione l‟essenza metafisica in cui si supera l‟opposizione tra Infinito e finito, soggetto e oggetto. Per Schelling questa essenza può essere colta da un‟intuizione intellettuale, da quella conoscenza razionale pura che è propria solo del genio dell‟artista. Sulla base di tale interpretazione Pumpjanskij individua in Lomonosov il primo poeta russo che ha dato voce al proprio genio e ha di conseguenza raggiunto e riprodotto il simbolo.

Per arrivare alla dimensione simbolica Lomonosov è riuscito, secondo Pumpjanskij, a farsi prendere da quella frenesia, da quel furore smisurato che viene definito «entusiasmo dionisiaco» e che si rivela un chiaro rimando – non sarà difficile riconoscerlo – al principio dionisiaco nietzschiano. È ne La nascita della tragedia, infatti, che Nietzsche per la prima volta postula la contrapposizione fra l‟elemento apollineo e quello dionisiaco, applicando queste due forze alla duplicità dell‟istinto artistico greco. Aderendo quindi alla costruzione nietzschiana, Pumpjanskij si avvale del concetto di estasi dionisiaca per definire l‟operazione estetico-letteraria compiuta da Lomonosov, ovvero rinnovare i principi del mondo classico, primo fra tutti l‟invasamento del poeta da parte delle Muse.

Come descritto nel paragrafo 2.2.2.1, il simbolo mostra dunque una doppia identità: intelligibile, perché esso permette di raggiungere quelle idee trascendenti, e sensibile, giacché ha acquisito molteplici e diversi significati nella storia etnografica soprattutto delle popolazioni indoeuropee. Le considerazioni sull‟intelligibilità e la sensibilità del simbolo si dimostrano molto affini all‟itinerario cassireriano anticipato in Sostanza e funzione (1910) e poi sviluppato nella Filosofia delle forme simboliche (1923-1929). Qui Cassirer giustificava l‟esistenza del simbolo solo attraverso la doppia dimensione sensibile-intelligibile, poiché a esso è riconosciuta sia una fisicità che una valenza gnoseologica:

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75

Esso [il simbolo] non serve soltanto allo scopo di comunicare un contenuto concettuale già bello e pronto ma è lo strumento in virtù del quale questo stesso contenuto si costituisce e acquista la sua compiuta determinatezza. L‟atto della determinazione concettuale di un contenuto procede di pari passo con l‟atto del suo fissarsi in qualche simbolo caratteristico. (Cassirer 1961: I, 20)

A queste osservazioni dobbiamo aggiungerne un‟altra. L‟importanza attribuita al processo storico di formazione del simbolo sembra richiamare un‟ulteriore costruzione filosofica, quella di Bachofen, autore che compare nell‟elenco dei libri studiati, letti e consultati da Pumpjanskij (Spisok). Seguendo la linea sacrale-religiosa della filosofia romantica di matrice herderiana, Bachofen aveva assegnato al simbolo, e successivamente al mito (Bachofen 1989: 146-149), una sua importanza storica e aveva individuato nello stadio matriarcale la conciliazione fra principio tellurico e quello uranico. Tale conciliazione era resa possibile grazie al predominio del materiale (la terra) sull‟immateriale (il cosmo). Scrive Bachofen:

Il puro diritto naturale non-coniugale è il principio tellurico, il puro patriarcato è il principio solare. In mezzo ai due sta la luna, il limite, il confine tra la religione tellurica e quella solare, il più puro corpo della regione materiale, caduca, e il più impuro di quella immateriale, del mondo non sottoposto ad alcun cambiamento; la luna, questa altra terra celeste, è androgina, è Luna e Lunus allo stesso tempo, femminile dinanzi al sole, maschile, invece, dinanzi alla terra. Maschile è, però, solo in seconda linea: innanzitutto essa è donna, successivamente anche uomo. Essa condivide inoltre, con la terra, il fatto di venir fecondata dal sole. Ottiene in questo modo che l‟universo diventi comunità, è l‟intermediaria tra l‟immortale e il mortale. Mediante tale duplice natura, essa corrisponde allo stadio in cui il matrimonio è unito alla ginecocrazia: al matrimonio perché in essa si uniscono uomo e donna; alla ginecocrazia perché essa è prima donna e poi uomo, e innalza quindi il principio femminile al di sopra dell‟uomo. Questa concezione sta alla base di tutto il sistema religioso del mondo antico e ha lasciato echi anche nel cristianesimo. La luna tuttavia domina la notte come il sole domina il giorno. Il matriarcato può perciò aver ascritto, con egual verità, alla luna e alla notte, così come il patriarcato al sole e al giorno (Bachofen 2003: 28).

Non va esclusa, tuttavia, la possibilità dell‟influenza della filologia romantica di Creuzer che nel suo Symbolik und Mythologie der alten Völker besonders der Griechen (1821) aveva fornito una sorta di storia etnografica del simbolo, partendo dall‟assunto che il simbolo, in virtù del suo significato etimologico

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76 (σύμβολον), è un segno utilizzato prima di tutto per regolare i rapporti umani (Creuzer 1983: 23-28, 46-51).

Potremmo registrare nelle affermazioni di Pumpjanskij anche un‟ascendenza ivanoviana che, partendo dall‟insegnamento di Creuzer e soprattutto rielaborando il dettato di Nietzsche (Carpi 1994: 27, 37, 55), aveva attribuito al simbolo una funzione «magico-divinatoria» (Carpi 2010: 615-617)84 («Слово-символ делается магическим внушением, п р и о б щ а ю щ и м слушателя к мистериям поэзии»85

(Ivanov 1974: II, 593), se non fosse che la visione di simbolo di Pumpjanskij è spoglia dell‟accezione divina che invece ritroviamo in Ivanov. In Pumpjanskij il simbolo è inteso in accezione trascendente.

Sull‟attenzione alla dimensione storica del mito occorre inoltre ricordare la sensibilità che Pumpjanskij manifestò nei confronti del saggio O chode istorii (Sul fluire della storia) di M.I. Kagan, un intervento che il filosofo scrisse nel febbraio-marzo 1920 a Nevel‟86 (Nikolaev 2000c: 748) e che Pumpjanskij sicuramente conosceva visto quanto scrisse, come abbiamo visto, in una lettera a Kagan del 23 marzo 1923 (Infra par. 1.3.1, pp. 33, 34).

In O chode istorii viene affidata al mito una funzione essenzialmente storica:

Напрасно думают, что миф и колдовство связаны непосредственно только с искусством или даже с религией. Эти явления прежде всего исторические. Только исторически они входят в искусство, религию и культуру. Исторически мы без мифа жить не можем. Мы не можем жить без мифов, не прекращая вместе с тем и нашего исторического существования87 . (Kagan 2004: 250) 84

Per una chiarificazione sul rapporto che lega simbolo – mito – tragedia in Vjačeslav Ivanov si vedano Böhmig 1985-1989; Terras 1990; Dioletta Siclari 1993; Carpi 1994; Ghidini 1997; Bird 2006; Bërd (Bird) 2009.

85

«La parola-simbolo ha origine da una suggestione magica che conduce l‟ascoltatore verso i misteri della poesia.»

86

Del testo esistono tre versioni: una datata Nevel‟, 28 febbraio 1920; la seconda Nevel‟, 3 marzo 1920, e la terza fu terminata a Nevel‟ intorno al 20 marzo 1920 (Machlin 2004: 688). È indubbio il fatto che Pumpjanskij conoscesse il saggio di Kagan vista la loro esperienza comune a Nevel‟ e la profonda amicizia e stima reciproca che li legava. Si veda la già citata lettera del 23 marzo 1923 che Pumpjanskij indirizzò al filosofo (Infra par. 1.3.1, pp. 33, 34).

87

«Si pensa vanamente che il simbolo e l‟ammaliamento siano legati direttamente solo all‟arte o persino alla religione. Tali fenomeni sono principalmente storici. Essi si inseriscono nell‟arte, nella religione e nella cultura solo storicamente. Storicamente noi non possiamo vivere senza il mito. Non possiamo vivere senza miti senza trasformare

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77 Occorre quindi ribadire che per Pumpjanskij la determinazione di simbolo e mito non prescinde mai dal passato storico e da quell‟ideale di antichità universale che viene definito in Per una storia del classicismo russo nel 1923-1924; è l‟antichità, secondo le parole del critico, ad aver espresso quei generi, quelle forme e quegli stili che poi sono stati ripresi e rielaborati da tutta la letteratura successiva (Infra cap. 4).

Da qui, potrebbe partire un altro interessante spunto riflessivo che in questa sede ci limitiamo a richiamare e tiene conto dei principî cardine della poetica storica di Veselovskij. Com‟è noto, l‟autore di Istoričeskaja poėtika aveva individuato nella storia della letteratura delle formule e degli schemi che si reiteravano nel tempo; a mutare, secondo il critico, sono solo le immagini e le sensazioni che quelle formule e quegli schemi suscitano (Veselovskij 20083: 493)88. Parimenti, anche Pumpjanskij rintraccia nell‟antichità situazioni tipiche che si rigenerano continuamente. Nel quaderno dal titolo inglese Latin Studies che risale al 1920 e a oggi pubblicato in parte, lo studioso di Vil‟na infatti offre paralleli e analogie fra la letteratura classica (specie latina) e quella europea (Pumpjanskij 2000c). Fra le altre, nel taccuino troviamo un‟interessante isomorfia che vale la pena segnalare. Pumpjanskij mette in relazione due diversi momenti della storia letteraria: il discorso di Anchise al figlio Enea, quando nel V libro saluta il figlio dopo averlo esortato a seguire il consiglio di Naute (la partenza per la futura Acesta), e le parole dello spettro del padre di Amleto, quando nel primo atto accomiata il figlio dopo avergli rivelato l‟assassinio compiuto da Claudio. Vediamo i due testi a confronto:

Iamque vale; torquet medios Nox umida cursus et me saevos equis Oriens adflavit anhelis (V. 738-739, Paratore 19955)

Ghost: […] Fare thee well at once.

The glown-worm shows the matin to be near, And gins to pale his uneffectual fire.

Adieu, adieu, Hamlet. Remember me.

contemporaneamente anche la nostra esistenza storica.» Sulla natura e il significato del mito in Kagan si veda anche Kagan 2004: 251-253.

88

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78

(Act I, Scene V, Shakespeare 19983: 662).

Secondo Pumpjanskij, la struttura che si ripete in entrambi i casi è la stessa: i due padri si presentano agli occhi dei rispettivi figli sottoforma di ombra/spettro ed entrambi i padri salutano i figli, perché è giunto il tempo della loro separazione (Pumpjanskij 2000c: 683). Nel caso di Anchise sono «l‟umida Notte» e «il crudele Oriente» a segnare il momento del distacco e nel caso dello Spettro è la lucciola che sancisce l‟arrivo dell‟alba e il definitivo allontanamento dal figlio. Il rapporto costante che la letteratura moderna intesse con l‟antichità è testimoniato da un‟altra analogia che lo studioso individua e che noi analizzeremo più nel dettaglio nel capitolo quarto: si tratta del legame che unisce il Mednyj vsadnik e la dizione epica. Nel poema puškiniano, specie nel Vstuplenie, ritroviamo lo stesso fenomeno che contraddistingue il poema epico, ovvero l‟utilizzo del repertorio formulare che nell‟antichità aiutava la memoria dell‟aedo (Infra cap. 4). Secondo Pumpjanskij, anche Puškin alla stessa maniera di Omero ripete formule come «Где прежде… ныне там…» (Pumpjanskij 1939: 94, 95, 96; Pumpjanskij 1983: 44) (Infra cap. 4).

Un ultimo caso cui dedicheremo particolare attenzione nel capitolo quinto, e che dimostra ancora una volta l‟importanza attribuita all‟antichità in particolar modo ai generi letterari coniati durante l‟antichità, è rappresentato dall‟analisi di Taras Bul’ba nel saggio Gogol’ (1924-1925), in cui vengono ripetutamente segnalate le differenze fra la povest’ gogoliana e l‟epos omerico (Pumpjanskij 2000f: 287, Infra par. 5.2.1). Qui, al contrario di quanto accade per l‟Amleto e Il cavaliere di bronzo, sono messe in risalto non tanto le analogie, quanto le differenze strutturali che contraddistinguono il racconto gogoliano dalla tecnica epica di Omero.

Ciò che risulta evidente da questi esempi è che l‟antichità viene considerata da Pumpjanskij il parametro costante che permette di comprendere e valutare lo sviluppo dei g e n e r i letterari nel corso dei secoli: è l‟antichità che ha dato dignità letteraria a tutti quei fenomeni artistici che hanno rifatto la loro comparsa successivamente ed è sempre l‟antichità che in temperie culturali diverse ha permesso l‟evolversi di dinamiche costanti e perpetue.

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79 Passiamo ora a discutere una questione nodale nell‟opera di questi anni che si affianca allo studio di simbolo, mito e tragedia. Vediamo come si articolò la vivace critica al saggio di Vjačeslav Ivanov Dostoevskij i roman-tragedija (1911).

2.2.3 Perché Dostoevskij non è un artista tragico: la polemica „a distanza‟ con Vjačeslav Ivanov

Nel 1902 nel suo L. Tolstoj i Dostoevskij Merežkovskij aveva comparato l‟arte di creare di Dostoevskij, soprattutto la sua capacità di rappresentare situazioni catastrofiche, alle caratteristiche dell‟arte tragica (Merežkovskij 2000: 144, 146). Tali affermazioni rispondevano perfettamente alla tendenza di studi di Dostoevskij che aveva caratterizzato il pensiero estetico dei primi decenni del Novecento: l‟autore de I fratelli Karamazov fu scoperto in qualità di artista e pensatore (Šiškin 1994: 10-21). Sulla scorta delle considerazioni di Merežkovskij, nel 1911 Vjačeslav Ivanov pubblicò sulle pagine di «Russkaja mysl‟» (Il pensiero russo) il saggio Dostoevskij i roman-tragedija – poi rielaborato nel 1932 in Dostoevskij. Tragedija. Mif. Mistika (Dostoevskij. Tragedia. Mito. Mistica) – in cui il teorico simbolista rintracciava il principio tragico nei romanzi dello scrittore russo: «Роман Достоевского есть роман катастрофический, потому что все его развитие спешит к трагической катастрофе.»89

(Ivanov 1987: IV, 411). Ivanov, tuttavia, non mancò di notare due sostanziali differenze contenutistiche che distinguevano i romanzi dostoevskiani dalla tragedia greca: la forma narrativa al posto della rappresentazione scenica e lo sviluppo ulteriore dell‟intreccio rispetto a un‟unica trama principale (Ibidem).

Le reazioni di Pumpjanskij a tale concezione si fecero sentire nel 1919 nei due già citati interventi Dostoevskij kak tragičeskij poėt e Kratkij doklad na dispute o Dostoevskom in cui l‟autore prendeva nettamente le distanze dalla tesi enunciate dall‟intellettuale simbolista. Certo, a Ivanov Pumpjanskij riconobbe il merito di

89

Utilizziamo qui la traduzione italiana di Dostoevskij. Tragedia. Mito. Mistica in cui il frammento in questione corrisponde al testo del 1911: «Il romanzo di Dostoevskij è un romanzo catastrofico, giacché in tutta la sua impostazione è rivolta ad una catastrofe tragica.» (Ivanov 1994: 40).

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80 aver avviato un nuovo studio dell‟opera dostoevskiana, ma non accettò le sue affermazioni sulla «tragedia russa»: «С Вячеслава Иванова началась новая эпоха изучения Достоевского, но сразу же было произнесено ошибочное слово – “трагедия”, “русская трагедия”, т.е. не понято было видовое отличие русского Ренессанса среди общего рода трагической культуры.»90 (Pumpjanskij 1922: 8).

Al contrario di quanto affermato da Ivanov, Pumpjanskij sosteneva che i romanzi di Dostoevskij non fossero affatto imparentati con il genere tragico. L‟autore di Delitto e castigo, a giudizio del critico, rielabora due delle caratteristiche precipue della tragedia greca, i l d e l i t t o e i l g i u d i z i o (Ibidem: 11), ma non attribuisce alcun valore all‟elemento per eccellenza della tragedia: il fato. È il fato che stabilisce la necessità e l‟ineluttabilità di alcuni eventi ed è solo grazie alla presenza del fato che l‟eroe riflette sulle sorti della propria conditio humana. È questo l‟elemento che più interessa a Pumpjanskij. L‟ , proseguiva lo studioso, è sostituito nei romanzi dostoevskiani, e soprattutto ne I fratelli Karamazov, da due diversi protagonisti: l‟amore – l‟amore di Katerina Ivanovna per Ivan, l‟amore di Dmitrij per Grušen‟ka, a sua volta amata da Fëdor – e il denaro a cui è legato il tema del «napoleonismo». Sono queste le uniche due ragioni che modulano e regolano le azioni dei personaggi (Pumpjanskij 1997: 4; Pumpjanskij 1997a) (Infra cap. 3).

Pumpjanskij individua inoltre due successivi tratti che distinguono i romanzi di Dostoevskij dalla tragedia greca: la comparsa di un impostore – tema che lega Dostoevskij alla pratica di Puškin (ma anche di Gogol‟) – e l‟elemento politico, accennato in Dostoevskij kak tragičeskij poėt e meglio indagato, come vedremo successivamente, in Dostoevskij i antičnost’ («Достоевский получил в наследие глубоко политическую тему»)91

(Pumpjanskij 1922: 11) (Infra par. 3.3).

Se nell‟ottica ivanoviana Smerdjakov recava i tratti del figlio che uccide il padre, aderendo così alla struttura consueta della tragedia greca, per Pumpjanskij egli è il servo che si ribella al padrone uccidendolo, perché istigato dalle teorie nichiliste

90

«A partire da Vjačeslav Ivanov è iniziata una nuova epoca di studio di Dostoevskij, ma è stata subito pronunciata erroneamente la parola “tragedia”, “tragedia russa”, ovvero non è stata compresa l‟evidente differenza del Rinascimento russo all‟interno della tipologia generale della cultura tragica.»

91

(23)

81 del fratellastro Ivan («– Об том, как это было сделано-с? – вздохнул Смердяков. – Самым естественным манером сделано было-с, с ваших тех самых слов…» Dostoevskij 1976: XV, 61)92

. Non solo. Secondo Pumpjanskij, visto che l‟identità di Smerdjakov viene svelata alla fine, il lettore assiste a un vero e proprio rovesciamento, a un colpo di scena: Smerdjakov è un impostore, perché da servo si trasforma in figlio illegittimo fine (Pumpjanskij 1997a; Pumpjanskij 1997b: 9).

L‟impostore per Pumpjanskij rappresenta una figura che Dostoevskij ha ereditato completamente da Puškin (guardiamo a Dmitrij, Pugačëv, al cavaliere avaro, Salieri). Nella lettura del nostro, Puškin infatti ha scelto di non cantare la storia universale (il mito), ha messo in scena la reale (e «relativa») storia russa attraverso la descrizione delle azioni di personaggi realmente esistiti (Boris Godunov, Mozart, Salieri) o di realtà storicamente determinate (la Moscovia di inizio XVII secolo, l‟Austria del Settecento, l‟Inghilterra medievale percorsa dalla peste, la Spagna del secolo d‟oro) (Infra cap. 4). Questa pratica, come indagheremo meglio nel prossimo paragrafo, verrà tramandata a Gogol‟ e cesserà di esistere con l‟affermazione del romanzo storico:

Три последствия: поэма – лирика – роман… О пушкинских темах: Дмитрий, Пугачев, скупой рыцарь, Сальери – они самозванцы. Вот почему трагедия не удалась: русский миф нечист: его герой самозванец! 6. Эти темы перешли к Достоевскому. И он мифа не унаследовал: должен был черпать из своих сил… Но что же он нашел в своей душе? Все виды самозванства!93 (Pumpjanskij 1997: 4)

Vediamo ora come si sviluppa il discorso estetico sull‟altro elemento distintivo che viene individuato in Dostoevskij, il carattere politico dei suoi romanzi.

Come abbiamo visto, Pumpjanskij aveva sostenuto che per Edipo, Oreste e Amleto il momento dell‟assassinio del genitore/zio (o il momento della presa di

92

«Parlare del modo con cui la cosa fu fatta? – sospirò Smerdjakov. – Fu fatta nella più naturale delle maniere, per servirvi: conforme alle stesse parole che voi avevate dette.» (Dostoevskij 200615: 820).

93

«Tre sono le conseguenze: poema – lirica – romanzo… Sui temi puškiniani: Dmitrij, Pugačëv, il cavaliere avaro, Salieri – essi sono impostori. Ecco perché la tragedia non è riuscita: il mito russo non è puro, il suo eroe è un impostore! 6. Questi temi sono passati a Dostoevskij. Ed egli il mito non lo ha ereditato: doveva attingere alle sue forze… Ma cosa ha trovato nella sua anima? Tutti i tipi di impostura!»

(24)

82 coscienza dell‟assassinio del genitore) era stato costitutivo per la loro moralità. Ciò che accade per Smerdjakov, scrive Pumpjanskij, è completamente diverso: per il fratello Karamazov, a differenza di quanto accade per gli altri tre eroi, l‟omicidio del patrigno non ha niente a che fare con la responsabilità, non risponde ad alcun valore etico («Поступки самозванца несерьезны, иначе – безответственны, вдохновение мгновения руководит им […]»94

(Pumpjanskij 1997b: 9) (Infra cap. 3). Anzi, essendo Smerdjakov un servo, il suo assassinio è giustificato storicamente, perché mette in scena la lotta politica del servo contro il padrone, una lotta condotta in nome della libertà dello schiavo95. Ma la libertà di Smerdjakov, scrive Pumpjanskij, è «parziale», poiché egli uccide un padrone per riconoscerne un altro, Ivan: «Слуга – тот, кто “живет почтительно”. Слуга и лакей; опасность лакея, если он найдет нового барина и поверит авторитету нового.»96

(Pumpjanskij 1997a).

Tutte queste ragioni – lo svelamento, la presenza di un impostore e l‟elemento politico – allontanano la trama e la struttura dei romanzi dostoevskiani dal modello tragico, relativizzano i contenuti, abbandonano il mito come rivelazione del simbolo, scavano esclusivamente una dimensione storica, reale e soprattutto circoscritta alla storia di un popolo che non potrà mai essere assunta come modello universale: «Но где же самая трагедия? Она неполна… Почти миф, но неполный, потому что тенеобразность уже есть, но… Обидный конец «Преступления и наказания»97 (Pumpjanskij 1997: 4).

In virtù di tutti questi motivi, Dostoevskij, nella concezione di Pumpjanskij, non può essere definito un artista tragico, anzi, egli è piuttosto uno scrittore c o m i c o così come meglio esemplifica l‟esperienza narrativa di Selo Stepančikovo e di Skvernyj anekdot che, secondo la lettura di Pumpjanskij, fa

94

«Le azioni dell‟impostore non sono serie, anzi sono irresponsabili, l‟ispirazione del momento lo guida.»

95

Sulle note circa il rapporto servo-padrone ci sembra opportuno segnalare le considerazioni hegeliane contenute nella Fenomenologia dello Spirito, le quali rovesciano il rapporto di subordinazione che lega, appunto, servo e padrone. La complessità del tema non ci permette di affrontarne i contenuti in questa sede.

96

«Il servo è colui che “vive con deferenza”. Il servo e il lacchè; la pericolosità del lacchè se trova un nuovo padrone e crede all‟autorità del nuovo.»

97

«Ma dov‟è la stessa tragedia? Essa non è completa… C‟è un quasi mito, ma non è completo, perché c‟è già la vicinanza alla morte, ma… La fine ingiuriosa di “Delitto e castigo”.»

(25)

83 pienamente parte del genere della commedia più di quanto non lo siano I fratelli Karamazov (Pumpjanskij 1922: 31, 32).

Occorre precisare che Pumpjanskij non conobbe mai Ivanov. L‟allievo originario di Vil‟na che Pumpjanskij seguì durante il ginnasio, Efim Izrailevič Šapiro (1899-1977), al quale fra l‟altro si deve la pubblicazione di Dostoevskij i antičnost’ (Nikolaev 2000: 743) (Infra par. 3.3), apprezzò moltissimo le capacità analitiche e l‟erudizione del suo maestro, che poi incontrò di nuovo nel 1921 a Pietrogrado in una riunione della «Vol‟fila», quando Pumpjanskij presentò il suo contributo su S. Agostino. Emigrato nel 1922 in Germania e successivamente in Italia negli anni „30, Šapiro raccontò nel 1976 di aver frequentato Ivanov quando questi era docente-lettore a Pavia; fu in tale occasione che gli chiese di Pumpjanskij. Purtroppo il poeta simbolista non ricordava chi fosse (Nikolaev 2003b: 289). Da parte sua, Bachtin ammise di aver conosciuto Ivanov a Pietrogrado e riconobbe la forte influenza che il teorico aveva esercitato sul suo gruppo, ivi compresa l‟influenza sui membri del circolo dei giovani omfalitici (Infra par. 1.2.2). Bachtin, tuttavia, non raccontò di aver accennato a Ivanov la discussione sul saggio Dostoevskij i roman-tragedija che aveva occupato un posto di rilievo negli incontri dei nevel’cy (Bachtin 20022: 88-90).

Nonostante Ivanov non fosse mai venuto a conoscenza del vivo dibattito che si era consumato a Nevel‟ e lo vedeva proprio protagonista, i suoi scritti su Dostoevskij furono di fondamentale importanza tanto per l‟opera di Bachtin – specie per il suo Problemy tvorčestva Dostoevskogo – quanto per quella di Pumpjanskij che sull‟autore di Delitto e castigo ritornò anche più tardi durante gli anni a Leningrado (Infra par. 5.3).

Soffermiamoci adesso sul carattere «relativo» su cui Pumpjanskij torna a più riprese e cerchiamo di capire come egli abbia definito questa nuova categoria e come i nuclei tematici sul «relativismo», successivamente ripresi nel 1922-1925 (Infra par. 5.2), abbiano trovato già nel periodo neveliano un loro notevole sviluppo.

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84 2.2.4 Il «relativo»

Gli studi neveliani in cui più si discute nel dettaglio l‟idea di «relativo» sono Opyt postroenija reljativističeskoj dejstvitel’nosti po «Revizoru» (Pumpjanskij 1997b), scritto con tutta probabilità alla fine di giugno-inizio luglio 1919 e presentato prima dell‟uscita di Iskusstvo i otvetstvennost’ di Bachtin, che sicuramente ne subì l‟ascendenza (Nikolaev 1992: 228), e Smysl poėzii Puškina (Il significato della poesia di Puškin), presentato nell‟estate 1919 come ben dimostra il Vstuplenie (Introduzione) che Pumpjanskij vergò prima del 13 settembre 1919 (Pumpjanskij 2000a).

L‟Opyt postroenija fu sicuramente letto in uno degli incontri tenuti nell‟estate 1919 e costituisce uno dei primi lavori del ciclo di interventi preparati da Pumpjanskij dopo la lettura del saggio di Bachtin sull‟epoca monumentale dei simboli, un saggio che, purtroppo, è andato perduto. Vale la pena notare, tuttavia, che i contenuti del saggio di Bachtin possono essere ricostruiti attraverso i contributi scritti da Pumpjanskij nel luglio 1919 su Gogol‟, Shakespeare, Puškin e Racine. Secondo alcune considerazioni del critico, l‟intervento di Bachtin rappresentava una serie di variazioni sul tema degli articoli di Vjačeslav Ivanov Kop’e Afiny (La lancia di Atena, 1904) e Dve stichii v sovremennom simvolizme (Due essenze nel simbolismo contemporaneo, 1908), in cui si enunciano i due caratteri del simbolismo: quello «realističeskij» (realistico) e quello «idealističeskij» (idealistico). Nello scritto di Bachtin, come ricorda Nikolaev, il simbolismo monumentale riguarda la realtà etica definita dal concetto di «responsabilità» (Nikolaev 2003: 349, 350).

Alla fine del 1920, una volta trovatosi a Vitebsk, Pumpjanskij ritornò sul tema del «relativo». In quei mesi tenne una lezione pubblica dal titolo Postroenie simvoličeskoj dejstvitel’nosti v žizni Puškina (Costruzione di un’attività simbolica nella vita di Puškin) che poi confluì nel contributo Smysl poėzii Puškina, a sua volta molto legato all‟Opyt. Evidentemente Pumpjanskij considerò indispensabile il testo dell‟Opyt per la comprensione di alcune dinamiche della letteratura russa, visto che lo ripropose in un‟altra lezione pubblica tenuta il 24 novembre 1919 a Vitebsk (Nikolaev 2000c: 806).

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