• Non ci sono risultati.

N A R RAT I VA 7 8 7

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "N A R RAT I VA 7 8 7"

Copied!
478
0
0

Testo completo

(1)
(2)

Presentazione

I venti di guerra sferzano più violenti che mai. Tra i fuochi della rivolta, una nuova minaccia sorge all’orizzonte. Per l’Impero e per l’umanità intera…

Da anni, l’Impero governa col pugno di ferro, proibendo la scrittura e punendo chiunque non si assoggetti alla sua rigida disciplina. Negli ultimi tempi, però, la morsa si è fatta ancora più opprimente. È una strategia orchestrata nell’ombra dal Signore della Notte, un essere antico e potente che si sta servendo dell’Imperatore per trovare i frammenti di un manufatto magico: la Stella, un’arma formidabile in grado di scatenare il caos nel mondo. Elias e Laia sono tra i pochi a conoscere la verità e, per sventare quel piano malvagio, sono costretti a separarsi. Laia dovrà andare a Marinn, per radunare un esercito che combatta l’Impero al fianco della resistenza, mentre Elias avrà il compito di aiutare la Traghettatrice di Anime, custode dei defunti. Da quando il Signore della Notte fomenta guerre e tumulti, infatti, gli spiriti sono inquieti e rischiano di distruggere il confine che separa il regno dei vivi da quello dei morti. E presto Elias si troverà di fronte a una scelta impossibile: accettare il suo destino e non rivedere mai più la donna che ama, o seguire il cuore e lasciare che il resto dell’umanità ne paghi le conseguenze…

Sabaa Tahir è cresciuta nel deserto del Mojave, in California, nel motel gestito dalla sua famiglia. Lì ha iniziato a divorare romanzi fantasy e fumetti rubati al fratello maggiore, ma soprattutto ha avuto la possibilità di incontrare centinaia di viaggiatori, ascoltando le loro storie e le loro esperienze di vita.

(3)

N A R RAT I VA

7 8 7

(4)
(5)
(6)

www.editricenord.it

facebook.com/CasaEditriceNord

@EditriceNord

instagram.com/editricenord/

www.illibraio.it

Titolo originale A Reaper at the Gates ISBN 978-88-429-3282-6

Jacket design and illustration by Micaela Alcaino

© HarperCollinsPublishers Ltd 2018

Jacket illustration © Shutterstock.com (background, eagle) Grafica: pepe nymi

Copyright © 2018 by Sabaa Tahir

© 2019 Casa Editrice Nord s.u.r.l.

Gruppo editoriale Mauri Spagnol

(7)

Prima edizione digitale: ottobre 2019

Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

(8)

UN ASSASSINO ALLE PORTE

(9)
(10)
(11)
(12)
(13)

Per Renée, che conosce il mio cuore.

Per Alexandra, che custodisce le mie speranze.

E per Ben, che condivide il sogno.

(14)

P A R T E I

I L R E S E N Z A N O M E

(15)

I

IL SIGNORE DELLA NOTTE

Tu ami troppo, mio sovrano.

Nei secoli vissuti insieme, la mia regina lo diceva spesso.

All’inizio col sorriso. Poi sempre più accigliata.

Il suo sguardo si posò sui nostri figli, minuscoli cicloni di assurda bellezza, che scorrazzavano per il palazzo, coi corpi guizzanti dalla fiamma alla carne.

«Sono in pensiero per te, Meherya. Sono in pensiero per ciò che faresti se capitasse qualcosa di brutto ai tuoi cari.»

La sua voce tremava.

«Non vi accadrà nulla di male. Lo prometto.» Parlavo con l’entusiasmo e l’incoscienza della gioventù, sebbene non fossi affatto giovane, ovviamente. Neanche allora.

Quel giorno la brezza proveniente dal fiume le scompigliava i capelli color mezzanotte, e attraverso le tende velate alle finestre i raggi del sole si riversavano nella stanza come oro liquido, immergendo in una luce color terra d’ombra i nostri figli, che si lasciavano alle spalle risate e segni di bruciature sul pavimento di pietra.

Era prigioniera delle sue paure.

Le strinsi le mani. «Distruggerei chiunque osasse ferirti.»

«Oh, no, Meherya. Giurami che non lo farai mai. Tu sei il nostro Meherya. Il tuo cuore è fatto per amare. Per dare.

Non per prendere. È per questo che sei il re dei ginn.

Giuramelo.»

Negli anni a seguire, mi sarei sempre chiesto se lei temesse già ciò che sarei diventato.

Quel giorno feci due giuramenti: proteggere, sempre.

Amare, sempre.

Nel giro di un anno li avrei infranti entrambi.

(16)

La Stella è appesa alla parete della caverna, lontano dagli occhi degli uomini. È un diamante a quattro punte, con un piccolo frammento mancante al vertice. È avvolta da una ragnatela di sottili crepe, un ricordo del giorno in cui i dotti imprigionarono il mio popolo e la mandarono in frantumi. Il metallo luccica impaziente, tenace come lo sguardo di un animale della giungla che si avvicina alla preda. Che potere immenso è racchiuso in quest’arma… sufficiente per distruggere un’antica città, un antico popolo. Sufficiente per imprigionare i ginn per mille anni.

Sufficiente per liberarli.

Quasi intuisse la presenza del bracciale che mi cinge il polso, la Stella inizia a tremare, desiderosa di reimpadronirsi del pezzo mancante. Glielo porgo e sento un forte strattone, mentre il gioiello si allontana come un’anguilla d’argento per ricongiungersi al diamante. Lo spazio vuoto al vertice si riempie.

Le quattro punte della Stella si accendono e illuminano i più lontani recessi della caverna di granito screziato, suscitando un’ondata di sibili rabbiosi da parte delle creature che mi circondano. Poi il bagliore svanisce, lasciando il posto a uno scialbo chiaro di luna.

I ghul frusciano intorno alle mie caviglie. Padrone. Padrone.

Più in là, il Signore degli Spettri attende i miei ordini, insieme coi re e con le regine degli ifrit del vento e del mare, della sabbia e delle caverne, dell’aria e della neve.

Mentre mi scrutano, silenziosi e guardinghi, rifletto sulla pergamena che ho in mano. Sembra poco importante, quanto un pugno di sabbia. Le parole che contiene, invece, no.

A un mio invito il Signore degli Spettri si avvicina.

Obbedisce con riluttanza: è intimidito dalla mia magia ed è impaziente di liberarsi di me. Ma ho ancora bisogno di lui.

Gli spettri sono brandelli disparati di anime perse, ricongiunti grazie all’antica stregoneria e, quando vogliono,

(17)

impossibili da individuare. Persino per le famose Maschere dell’Impero.

Gli offro la pergamena e all’improvviso la sento: la voce della mia regina è un sussurro, delicata come la fiamma di una candela in una notte gelida. Quando lo farai, non potrai tornare indietro, Meherya. Non ci sarà più nessuna speranza per te. Rifletti.

Faccio come dice. Rifletto. Poi mi rammento che è morta, se n’è andata, e da più di mille anni. La sua presenza è un’illusione. La sua voce è la mia debolezza. Porgo il rotolo al Signore degli Spettri. «Fa’ che giunga nelle mani dell’Averla Sanguinaria, Helene Aquilla. Sue e di nessun altro.»

Lui s’inchina e gli ifrit si avvicinano, leggiadri. Ordino agli ifrit dell’aria di andarsene; per loro ho un incarico diverso.

Gli altri s’inginocchiano.

«Molto tempo fa, avete fornito ai dotti il sapere che ha condotto alla distruzione del mio popolo e del mondo magico.»

Un sussulto si diffonde tra le file a quel ricordo.

«Io vi offro la redenzione. Recatevi dai nostri nuovi alleati, nel Sud. Fate loro capire cosa possono evocare dall’oscurità.

La Luna del Grano sorgerà tra sei mesi. Assicuratevi che la missione venga compiuta prima di allora. E voi…»

I ghul si avvicinano.

«Saziatevi. Non mi deludete.»

Rimasto solo, contemplo la Stella e penso alla giovane ginn traditrice che ha contribuito a crearla. Forse, a uno sguardo umano, l’arma appare come una fulgida promessa.

Io, invece, provo solo odio.

Dai miei pensieri affiora piano piano un volto. Laia di Serra.

Ricordo il calore della sua pelle sotto le mie mani, i suoi polsi incrociati dietro la mia nuca. Il suo modo di chiudere gli occhi, la cavità dorata del suo collo. Mi dava la stessa sensazione della soglia della mia vecchia casa coi giunchi cambiati di fresco. Una sensazione di sicurezza.

(18)

L’amavi. E poi l’hai ferita, dice la mia regina.

L’eco del tradimento nei confronti della dotta dovrebbe svanire. Ne ho ingannati a centinaia, prima di lei.

Eppure sono avvinto dall’inquietudine. È accaduto qualcosa d’inspiegabile da quando Laia di Serra mi ha donato il suo bracciale, da quando si è resa conto che il ragazzo che lei chiamava Keenan altro non era che un’invenzione. Come tutti gli umani, ha intravisto nei miei occhi i momenti più bui della sua vita. Ma, quando ho guardato nella sua anima, qualcosa – qualcuno – ha ricambiato il mio sguardo: la mia regina, che mi fissava attraverso i secoli.

Ho visto il suo raccapriccio. La tristezza per ciò che ero diventato. Ho visto il suo dolore per ciò che i nostri figli e il nostro popolo hanno dovuto subire per mano dei dotti.

Penso alla mia regina, a ogni tradimento. Da mille anni, a ogni essere umano che ho trovato, manipolato e amato fino a spingerlo a donarmi volontariamente il suo pezzetto di Stella col cuore gonfio d’amore. Ancora e ancora e ancora.

Ma non l’avevo mai vista nello sguardo di un’altra. Non avevo mai avvertito con tale intensità la lama affilata della sua delusione.

Un’altra volta. Soltanto un’altra volta.

La mia regina parla. Non farlo. Ti prego.

Soffoco la sua voce. Soffoco il suo ricordo. Penso che non la sentirò mai più.

(19)

II

LAIA

Questo assalto è tutto sbagliato, da cima a fondo. Lo sappiamo entrambi, io e Darin, anche se nessuno di noi due è disposto ad ammetterlo.

Mio fratello non parla granché, in questi giorni.

Finalmente, i carri fantasma che abbiamo seguito si fermano alle porte di un villaggio marziale. Emergo dai cespugli ammantati di neve che ci hanno offerto riparo e faccio un cenno a Darin.

Lui mi prende la mano e la stringe. Fa’ attenzione.

Ricorro all’invisibilità, un potere che si è risvegliato in me di recente e al quale mi devo ancora abituare. Il mio respiro forma nuvole bianche che s’innalzano ondeggiando, come un serpente al suono di un canto sconosciuto. Altrove nell’Impero la primavera ha già disseminato i suoi fiori. Ma vicino alla capitale, Antium, l’inverno ci schiaffeggia ancora con dita gelide.

Passa la mezzanotte e le poche lanterne ancora accese nel villaggio crepitano nel vento nascente. Superata la carovana di prigionieri, abbasso la voce e imito il verso di un gufo delle nevi, un uccello piuttosto comune in questa regione.

Mentre mi dirigo furtiva verso i carri fantasma, mi formicola la pelle. Mi giro di scatto, istintivamente, con tutti i sensi allertati. I crinali vicini sono deserti e gli ausiliari marziali di guardia non muovono nemmeno un muscolo.

Sembra tutto a posto.

Sei solo nervosa, Laia. Come sempre. Dal nostro accampamento ai margini del Luogo dell’Attesa, a venti miglia da qui, Darin e io abbiamo pianificato ed eseguito sei assalti a carovane piene di prigionieri dell’Impero. Mio fratello non ha forgiato neanche un singolo pezzo d’acciaio

(20)

di Serra. Io non ho risposto alle lettere di Araj, il capo dotto evaso con noi dalla prigione di Kauf. Ma, insieme con Afya Ara-Nur e i suoi uomini, negli ultimi due mesi abbiamo contribuito a liberare più di quattrocento dotti e tribali.

Il che, tuttavia, non garantisce il successo con questa carovana. Perché questa carovana è diversa. Dagli alberi oltre il perimetro, figure familiari vestite di nero si avvicinano all’accampamento. Afya e i suoi uomini che, in risposta al mio segnale, si preparano ad attaccare. La loro presenza mi rincuora. La tribale mi ha aiutato a liberare Darin da Kauf, ed è solo grazie a lei che sappiamo di questi carri fantasma… e dei prigionieri che trasportano.

I grimaldelli sono lame di ghiaccio nel mio pugno. Sei carri disposti a semicerchio, con due barrocci pieni di provviste al riparo tra loro. La maggior parte dei soldati è indaffarata coi cavalli e coi fuochi di bivacco. Raffiche di neve scendono turbinose dal cielo, pungendomi il viso mentre raggiungo il primo carro e inizio ad armeggiare col lucchetto. I perni al suo interno sono enigmi per le mie mani gelate e maldestre.

Più veloce, Laia.

Il carro è silenzioso, quasi fosse vuoto. Ma so come vanno le cose. Tra poco il piagnucolio di un bambino infrangerà la quiete. Verrà zittito in fretta. I prigionieri hanno imparato che mantenere il silenzio è l’unico modo per evitare sofferenze.

«Dove diamine sono finiti tutti quanti?» sbraita una voce accanto al mio orecchio.

Per poco non faccio cadere i grimaldelli. Un legionario mi passa vicino e un brivido di terrore mi pervade. Non oso respirare. E se mi vede? Se l’invisibilità viene meno? È già accaduto in passato, quando mi sono trovata sotto attacco o in mezzo a una folla.

Il legionario si rivolge all’ausiliario che gli corre incontro.

«Sveglia il locandiere. Digli di tirar fuori un barile e di prepararci qualche stanza.»

(21)

«La locanda è vuota, signore. Il villaggio sembra abbandonato.»

I marziali non abbandonano i villaggi, neanche nel cuore dell’inverno. A meno che non scoppi un’epidemia. Ma, se fosse questo il caso, Afya lo saprebbe.

Non importa perché se ne sono andati, Laia. Apri i lucchetti.

L’ausiliario e il legionario vanno a grandi passi verso la locanda. Non appena scompaiono dal mio campo visivo, infilo i grimaldelli nel lucchetto. Il metallo cigola, irrigidito dalla brina.

Forza! Senza Elias Veturius a fare metà del lavoro, devo essere veloce il doppio. Non ho tempo di pensare al mio amico, eppure non riesco a domare l’ansia. È solo merito suo se non ci siamo mai fatti catturare. Ha promesso che sarebbe venuto.

Cielo, cosa mai può essergli successo? Non mi ha mai deluso. Non quando si parla degli assalti, perlomeno. Forse Shaeva ha scoperto che ha riportato di nascosto me e Darin nel Luogo dell’Attesa dalla capanna nelle Terre Libere? Lo starà punendo?

So poco della Traghettatrice di Anime: è timida e non credo di piacerle. Talvolta, quando Elias emerge dal Luogo dell’Attesa per fare visita a me e a Darin, sento che ci osserva, ma non avverto nessun rancore. Solo tristezza.

Però sa il cielo quanto io sia incapace d’intuire una malvagità nascosta.

Se si fosse trattato di una qualsiasi altra carovana, di un qualsiasi altro prigioniero da aiutare a fuggire, non avrei mai messo a rischio la vita di Darin, o dei tribali, o la mia.

Ma si tratta di Mami Rila e degli altri Saif: dobbiamo tentare di salvarli. La madre adottiva di Elias ha sacrificato il suo corpo, la sua libertà e la sua tribù per consentirmi di salvare Darin. Non posso deluderla.

Elias non verrà. Sei sola. Muoviti!

(22)

Uno scatto e finalmente il lucchetto si apre. Mi fiondo verso il carro successivo. Tra gli alberi, a poche iarde di distanza, Afya starà imprecando per il ritardo. Più ci metto, più è probabile che i marziali ci sorprendano.

Quando anche l’ultimo lucchetto cede, lancio un segnale.

Swish. Swish. Swish: una pioggia di frecce fende l’aria. I marziali di guardia cadono in silenzio, resi privi di sensi dal raro veleno del Sud che ricopre le frecce. Alcuni tribali si avvicinano ai soldati e tagliano loro la gola.

Distolgo lo sguardo, anche se continuo a sentire la carne che si lacera, l’ultimo rantolo di vita. So che non ci sono alternative. Senza acciaio di Serra, gli uomini di Afya non possono affrontare i marziali a viso aperto, perché le loro spade si spezzerebbero. Ma l’efficienza con cui uccidono mi gela il sangue. Chissà se mi ci abituerò mai.

Dalle tenebre sbuca una sagoma minuta, con un’arma luccicante. I tatuaggi intricati che la contraddistinguono come zaldara, la capotribù, sono nascosti da lunghe maniche scure.

Faccio un fischio ad Afya Ara-Nur, così che sappia dove mi trovo.

Lei si guarda intorno, facendo dondolare le trecce rosse e nere. «Ce ne hai messo, di tempo. Per tutti gli inferi, dove diamine è Elias? Può scomparire anche lui, adesso?»

Alla fine Elias ha raccontato ad Afya del Luogo dell’Attesa, della sua morte nella prigione di Kauf, della sua resurrezione e del suo accordo con Shaeva. Quel giorno la tribale l’ha apostrofato con durezza, dandogli del pazzo, poi è venuta a parlarmi. Scordati di lui, Laia. È terribilmente stupido innamorarsi di uno morto e risorto, che per di più parla coi fantasmi, non importa quanto sia carino.

«Elias non è venuto.»

Afya impreca in sadhese e si dirige verso i carri. Spiega sottovoce ai prigionieri che devono seguire i suoi uomini, senza fare baccano.

(23)

Dal villaggio, a cinquanta iarde da me, echeggiano delle grida e il suono nitido di una freccia scoccata. Mi lascio la tribale alle spalle e corro verso le case. In un vicolo buio di fronte alla locanda, gli uomini di Afya sembrano danzare mentre lottano con un manipolo di soldati imperiali, tra cui il legionario in capo. Per contrastare le micidiali scimitarre marziali, i tribali fanno volare con abilità decine di frecce e dardi. Mi getto nella mischia e colpisco un ausiliario alla tempia con l’elsa del pugnale. Mi sarei potuta risparmiare la fatica. I soldati vengono sconfitti in fretta.

Troppo in fretta.

Devono esserci altri uomini nei paraggi, una truppa nascosta. O una Maschera in agguato.

«Laia.»

Sobbalzo nel sentire il mio nome.

La pelle dorata di Darin è imbrattata di fango scuro, per mimetizzare la sua presenza. La chioma ribelle color miele, finalmente ricresciuta, è coperta da un cappuccio.

Guardandolo, nessuno direbbe mai che è sopravvissuto sei mesi nella prigione di Kauf. Ma dentro di sé mio fratello lotta ancora coi suoi demoni. Sono loro a trattenerlo dal forgiare l’acciaio di Serra.

Lui è con te, ora. Combatte. Fa del suo meglio. Le armi arriveranno quando sarà pronto, mi rimprovero. Gli tocco la spalla e lui si volta verso di me.

La sua voce è stentata, indebolita dall’inutilizzo. «Mami non è qui. Ho trovato il suo figlio adottivo, Shan. Ha detto che i soldati l’hanno fatta scendere dal carro quando la carovana si è fermata per la notte.»

«Dev’essere nel villaggio. Porta via i prigionieri. La troverò.»

«Questo posto non dovrebbe essere deserto. Non mi convince. Tu vai. Penserò io a Mami.»

Alle nostre spalle compare Afya. «Dovrà andare uno di voi a cercarla, perché non lo farò certo io. E dobbiamo far nascondere i prigionieri, maledizione.»

(24)

«Se qualcosa va storto, posso sempre diventare invisibile e svignarmela. Ci rivediamo all’accampamento il prima possibile.»

Darin riflette sulle mie parole con la consueta calma, inarcando le sopracciglia. Quando vuole, sa essere irremovibile come le montagne, proprio com’era nostra madre. «Dove vai tu, vado io, sorellina. Elias sarebbe d’accordo. Lui sa…»

«Oh, be’, se siete tanto amici, allora digli che, la prossima volta che si prende l’impegno di partecipare a un assalto, poi lo deve rispettare.»

Sulla bocca di Darin spunta un sorrisino sghembo e fuggevole. Il sorriso della mamma. «So che sei arrabbiata con lui, ma…»

«Che il cielo mi protegga dagli uomini della mia vita e da tutte le cose che pensano di sapere. Va’ via di qua. Afya ha bisogno di te. I prigionieri hanno bisogno di te. Vai.» Prima che abbia il tempo di protestare, corro dentro il villaggio, un centinaio di casupole dai tetti di paglia imbarcati sotto la neve e un groviglio di stradine strette e buie. Il vento geme, spazzando giardinetti ben curati, e per un soffio non inciampo su una scopa abbandonata in un viottolo. L’intuito mi dice che gli abitanti se ne sono andati da poco, e in fretta e furia.

Procedo guardinga per paura di ciò che potrebbe stare in agguato nelle tenebre. Non riesco a togliermi dalla mente i racconti sussurrati nelle taverne e intorno ai falò tribali:

storie di naviganti di Marinn con la gola squarciata dagli spettri; di famiglie dotte ritrovate in accampamenti inceneriti nelle Terre Libere; delle larve – minuscole minacce alate – che distruggono i carri e vessano il bestiame.

Tutto questo, ne sono certa, è opera di quell’infame creatura che si faceva chiamare Keenan.

Il Signore della Notte.

Mi fermo a sbirciare dalla finestra di una casupola immersa nell’oscurità. Nella notte cupa non riesco a vedere nulla.

(25)

Mentre mi sposto verso l’abitazione successiva, il senso di colpa prende a vorticare nell’oceano dei miei pensieri, fiutando la mia debolezza. Sei stata tu a dare il bracciale al Signore della Notte. A cadere vittima delle sue manipolazioni. E ora lui ha fatto un passo avanti sulla strada che porta alla distruzione dei dotti. Quando troverà il resto della Stella, libererà i ginn. E allora cosa succederà, Laia?

Ma potrebbero volerci anni prima che il Signore della Notte trovi il prossimo pezzo della Stella, obietto per tranquillizzarmi. E potrebbe essere rimasto più di un pezzo.

Potrebbero essercene ancora decine.

Un guizzo di luce. Distolgo i pensieri dal Signore della Notte e mi dirigo verso una capanna lungo il margine settentrionale del villaggio. La porta è socchiusa. Al suo interno c’è una lanterna accesa. Lo spiraglio è abbastanza ampio da permettermi di scivolare dentro senza sfiorare nulla. Se qualcuno stesse tendendo un’imboscata, di certo non riuscirebbe a vedermi.

Una volta entrata, mi ci vuole un attimo per adattare la vista all’oscurità. Quando ci riesco, soffoco un grido.

Incatenata a una sedia, c’è Mami Rila, o meglio la sua ombra smagrita. La pelle scura penzola flaccida e i folti ricci sono stati rasati a zero.

Sto per avvicinarmi, quando un istinto ancestrale emerso dalle profondità della mente mi grida di fermarmi.

Sento un tonfo di stivali alle mie spalle. Mi giro di scatto, spaventata, e un’asse del pavimento scricchiola sotto i miei piedi. Scorgo un lampo d’argento liquido che non lascia dubbi – Maschera! – proprio nell’istante in cui mi tappano la bocca con una mano e mi torcono le braccia dietro la schiena.

(26)

III

ELIAS

Non importa quante volte l’abbia già fatto: sgattaiolare via dal Luogo dell’Attesa è sempre difficile. Mentre mi avvicino al confine occidentale del bosco, vedo un lampo bianco con la coda dell’occhio e mi viene un tuffo al cuore: uno spirito.

Soffoco un’imprecazione e resto immobile. Accidenti, se mi scopre ad aggirarmi così lontano dal posto in cui dovrei essere, presto tutti nella Foresta del Crepuscolo sapranno cosa sto facendo. Pare che ai fantasmi piacciano un mondo, i pettegolezzi.

Dover indugiare è irritante. Sono già in ritardo: Laia mi aspettava più di un’ora fa e di certo non rinuncerà all’assalto di stasera solo perché non mi vede arrivare.

Ci sono quasi. Procedo a grandi falcate nella coltre di neve fresca al margine del Luogo dell’Attesa, che emana un fioco luccichio. Agli occhi di un profano, la parete scintillante risulta del tutto invisibile. Ma per me e Shaeva è come se fosse di pietra. Benché io possa attraversarla con facilità, è in grado di tenere dentro gli spiriti e fuori gli umani curiosi.

Shaeva ha passato mesi a illustrarmene l’importanza.

Sarà risentita con me. Non è la prima volta che sparisco mentre dovrei addestrarmi come Traghettatore di Anime.

Sebbene Shaeva sia una ginn, non ci sa fare molto con gli studenti indisciplinati. Invece io ho trascorso quattordici anni a escogitare modi sempre nuovi per sfuggire alle grinfie dei centurioni di Rupenera. In accademia, essere colto in fallo significava prendersi le frustate di mia madre, la Comandante. Shaeva, d’altro canto, si limita a guardarmi in cagnesco.

La sua voce fende l’aria come una scimitarra, spaventandomi a morte. «Forse dovrei ricorrere anch’io alle

(27)

frustate. Magari, quand’è ora, potresti addirittura degnarti di farti vedere, invece di sottrarti alle tue responsabilità giocando a fare l’eroe. Che ne dici, Elias?»

«Shaeva! Stavo solo… Ehm… Stai… fumando?»

Dalla Traghettatrice di Anime, che mi guarda con espressione torva, si levano densi pennacchi di vapore.

«Qualcuno ha dimenticato di stendere i panni. Sono rimasta a corto di vestiti.»

E così la sua innaturale, rovente temperatura corporea da ginn asciugherà la biancheria lavata… dopo un paio d’ore di fastidiosa umidità, ne sono sicuro. Non c’è da meravigliarsi che mi guardi come se volesse darmi un calcio in faccia.

Shaeva mi strattona, scacciando col suo onnipresente calore il gelo che m’intride le ossa. Pochi attimi dopo, ci ritroviamo a miglia di distanza dal margine della Foresta. La magia che usa per muoversi così veloce tra gli alberi mi fa venire le vertigini.

Alla vista del boschetto rosso acceso della Traghettatrice di Anime, gemo. Odio questo posto. I ginn saranno anche imprigionati negli alberi, ma hanno ancora potere in questa minuscola enclave e lo usano per infiltrarsi nella mia testa non appena vi metto piede.

Shaeva alza gli occhi al cielo come avesse a che fare con un fratellino minore particolarmente tedioso. Fa un gesto e, quando tolgo il braccio dalla sua presa, mi accorgo che riesco a fare solo pochi passi. C’è una sorta di barriera. Se la Traghettatrice di Anime è ricorsa alla prigionia, la sua pazienza dev’essere davvero agli sgoccioli.

Mi sforzo di mantenere la calma… e fallisco. «È uno sporco trucco.»

«Già, e saresti capace di aggirarlo con facilità, se stessi fermo abbastanza a lungo da permettermi d’insegnartelo.»

Fa un cenno verso il boschetto, dove i ginn serpeggiano tra gli alberi. «Lo spirito di un bambino ha bisogno di conforto, Elias. Vai. Fammi vedere cos’hai imparato nelle ultime settimane.»

(28)

Do alla barriera uno spintone violento, ma inutile. «Non dovrei essere qui. Laia, Darin e Mami hanno bisogno di me.»

Shaeva si appoggia all’incavo di un albero e alza lo sguardo: tra i rami spogli si vedono frammenti di cielo stellato. «Manca un’ora a mezzanotte. L’assalto dev’essere già in corso. Laia sarà in pericolo. E anche Darin e Afya.

Entra nel boschetto e aiuta questo spirito ad andare oltre.

Se lo fai, la barriera svanirà e tu sarai libero di raggiungere i tuoi amici. Altrimenti, continueranno ad aspettarti.»

«Sei più scontrosa del solito, oggi. Hai saltato la colazione?»

«Smettila di temporeggiare.»

Impreco sottovoce e mi corazzo la mente. Immagino di erigere intorno al mio cervello un muro che i sussurri maligni dei ginn non riescano a penetrare. Più m’inoltro nel boschetto, meglio percepisco che mi stanno guardando.

Ascoltando.

Un attimo dopo, nella mia testa echeggiano delle risate.

Voci su voci, beffe su beffe. I ginn.

Non puoi aiutare gli spiriti, stupido mortale. E non puoi aiutare Laia di Serra. Morirà di una morte lenta e dolorosa.

La malvagità dei ginn oltrepassa le difese che ho innalzato con tanta premura. Le creature disvelano i miei pensieri più cupi, mostrandomi Laia morta, distrutta, al punto che non riesco più a dire dove finisca il boschetto e dove inizino le loro perverse visioni.

Chiudo gli occhi. Non è la realtà. Li riapro e vedo Helene trucidata ai piedi dell’albero più vicino. Accanto a lei giace Darin. Al di là, Mami Rila. Shan, il mio fratellastro. Mi fanno pensare al campo di battaglia mortale della Prima Prova, tanto tempo fa, ma è persino peggio, perché pensavo di essermi lasciato alle spalle la violenza e il dolore.

Ripenso alle lezioni di Shaeva. Nel boschetto, i ginn hanno il potere di controllare la tua mente. Di sfruttare le tue debolezze. Cerco di scacciarli, però tengono duro, i loro

(29)

sussurri s’insinuano nel mio cervello. Accanto a me, Shaeva s’irrigidisce.

Quando parlano con lei, le loro parole diventano formali.

Ave, traditrice. Il tuo destino incombe su di te. L’aria ne è satura.

Shaeva serra la mascella e, di colpo, vorrei tanto un’arma per zittire quelle odiose creature. La Traghettatrice di Anime ha già tante preoccupazioni senza bisogno che la tormentino così.

Tuttavia lei si limita ad alzare una mano in direzione dell’albero più vicino. Anche se non la vedo ricorrere alla magia del Luogo dell’Attesa, deve averlo fatto, perché all’improvviso i ginn tacciono. «Devi sforzarti di più. I ginn vogliono farti soffermare su piccole ansie di poco conto.»

«La sorte di Laia, Darin e Mami Rila non è di poco conto.»

«La loro vita non è nulla in confronto allo scorrere del tempo. Non sarò qui per sempre, Elias. Devi imparare a far andare oltre gli spiriti più velocemente. Ce ne sono troppi.»

Davanti alla mia espressione cocciuta, sospira. «Allora, dimmi, cosa fai quando uno spirito rifiuta di abbandonare il Luogo dell’Attesa fino alla morte dei propri cari?»

«Oh, be’, io… ecco…»

Shaeva geme, con un’espressione che mi ricorda tanto quella di Helene quando arrivavo tardi a lezione. «E cosa mi dici di quando ti ritrovi di fronte centinaia di fantasmi urlanti che pretendono di essere ascoltati tutti in una volta? Cosa fai con qualcuno che ha compiuto azioni orribili, ma non prova nessun rimorso? Sai perché ci sono così pochi spiriti tribali? Sai cosa succede, se non induci gli spiriti ad andare oltre abbastanza rapidamente?»

«Ora che mi ci fai pensare… cosa succede?»

«Se non riuscirai ad accompagnarli, avrai fallito come Traghettatore di Anime e sarà la fine del mondo che conosci.

Spero con tutta me stessa che tu non veda mai quel giorno.» Si lascia cadere a terra e affonda la testa tra le mani.

(30)

Un attimo dopo, mi accascio accanto a lei: la sua angoscia mi provoca uno sgradevole senso di oppressione al petto. È molto diverso rispetto a quando i centurioni si arrabbiavano con me. Non me ne importava un fico secco di ciò che pensavano. Ma con Shaeva voglio davvero fare le cose per bene. Abbiamo trascorso mesi insieme, perlopiù a adempiere ai doveri di Traghettatori di Anime, ma anche a discutere della storia militare marziale, a bisticciare amichevolmente sulle faccende domestiche e a condividere osservazioni sulla caccia e sul combattimento. La considero una sorella più saggia e molto più grande di me. Non voglio deluderla.

«Allontanati dal mondo umano, Elias. Finché non lo farai, non potrai attingere alla magia del Luogo dell’Attesa.»

«Non faccio altro che correre nel vento.» Shaeva mi ha insegnato come schizzare tra gli alberi in un batter d’occhio, anche se lei è più veloce di me.

«Correre nel vento è magia fisica, facile da padroneggiare.

Quando hai fatto il tuo voto, la magia del Luogo dell’Attesa ti è entrata nel sangue. Mauth ti è entrato nel sangue.»

Mauth. Soffoco un brivido. Pronunciare quel nome mi fa ancora uno strano effetto. Non sapevo nemmeno che la magia avesse un nome quando, mesi fa, mi ha parlato attraverso Shaeva, chiedendomi di giurare di diventare Traghettatore di Anime.

«Mauth è la fonte di tutto il potere magico del mondo, Elias. Dei ginn, degli ifrit, dei ghul. Persino delle doti da guaritrice della tua amica Helene. Lui è la fonte del tuo potere di Traghettatore di Anime.»

Lui. Come se il potere magico fosse vivo.

«Lui ti aiuterà a far andare oltre gli spiriti, se glielo consentirai. Il vero potere di Mauth è qui.» Shaeva mi dà un leggero colpetto sul cuore, poi sulla tempia. «E qui. Ma, finché non stringerai un legame intimo e profondo con la magia, non potrai essere un vero Traghettatore di Anime.»

(31)

«È facile per te. Sei una ginn. La magia è parte integrante del tuo stesso essere. Nel mio caso, non è così semplice. Se mi allontano troppo dagli alberi, Mauth mi strattona come se fossi un cane disobbediente. E, se mi azzardo a sfiorare Laia, per tutti gli inferi…» Il dolore è talmente atroce che basta il pensiero per farmi fare una smorfia.

Lo vedi, traditrice, che sciocchezza hai commesso affidando le anime dei defunti a questo brandello di carne mortale?

A quell’intromissione dei suoi simili, Shaeva scaglia sul boschetto un’onda d’urto magica così potente che l’avverto persino io. «Centinaia di spiriti aspettano di andare oltre, e ogni giorno che passa ne arrivano altri.» Il sudore le riga la tempia, come se stesse combattendo una battaglia a me invisibile. Sussurra e lancia continue occhiate agli alberi alle sue spalle. «Sono molto turbata. Temo che il Signore della Notte stia agendo contro di noi, di nascosto e carico di rancore. Ma non riesco a capire quale sia il suo piano, e questo mi preoccupa.»

«Certo che agisce contro di noi. Vuole liberare i ginn intrappolati.»

«No, non è questo. Percepisco un intento segreto. Se dovesse capitarmi qualcosa di male prima di aver concluso il tuo addestramento…» Inspira a fondo per dominarsi.

«Posso farcela. Te lo giuro. Però ho promesso a Laia che l’avrei aiutata, stanotte. Mami potrebbe essere morta. Laia potrebbe essere morta. Non lo so, perché non sono con loro.» Cielo, come faccio a spiegarglielo? Shaeva è lontana dall’umanità da tanto di quel tempo che non può comprendere. Sa cos’è l’amore? Nei giorni in cui mi punzecchia perché parlo nel sonno o mi racconta storielle strane e buffe perché sa che mi struggo per Laia, sembra di sì. Ma ora… «Mami Rila ha rinunciato alla sua vita per salvare la mia e non so bene per quale miracolo è ancora viva. Non costringermi ad accoglierla qui. Non costringermi ad accogliere Laia.»

(32)

«Amarle ti farà solo soffrire. Alla fine svaniranno, mentre tu resterai qui per sempre. Ogni volta che dirai addio a una parte della tua vecchia vita, un pezzo di te morirà.»

«E pensi che non lo sappia?» Ogni istante rubato con Laia è la prova esasperante di tutto questo. I pochi baci che ci siamo scambiati, interrotti di colpo a causa dell’opprimente disapprovazione di Mauth. L’abisso che si è creato tra noi quando l’essenza del mio voto è diventata chiara. Ogni volta che la vedo, Laia mi sembra sempre più distante, come se la guardassi col cannocchiale.

«Sciocco.» La voce di Shaeva è addolcita dall’empatia. I suoi occhi neri si distraggono e sento scomparire la barriera che m’imprigionava. «Troverò lo spirito di quel bambino e lo farò andare oltre. Tu va’. E fa’ attenzione. I ginn adulti sono quasi impossibili da uccidere, se non per mano di altri ginn.

Se ti unirai a Mauth, anche tu sarai in grado di resistere ai loro attacchi e sarai libero dallo scorrere del tempo. Ma, fino ad allora, sii cauto. Se morirai un’altra volta, non potrò riportarti indietro.» Dà un calcetto per terra, imbarazzata.

«E… mi sono abituata ad averti intorno.»

Le stringo la spalla. «Non morirò. E ti prometto che laverò i piatti per un mese intero.»

Sbuffa con aria scettica, però nel frattempo sono già corso via nel vento e ora schizzo tra gli alberi a una tale velocità che sento i rami tagliuzzarmi il viso. Mezz’ora dopo, supero la capanna dove vivo con Shaeva, varco i confini del bosco e m’inoltro nei territori dell’Impero. Nell’attimo esatto in cui mi lascio alle spalle gli alberi, vengo schiaffeggiato dai venti di tempesta e rallento la corsa, mentre i miei poteri magici si affievoliscono non appena abbandono la Foresta.

C’è qualcosa dentro di me che strattona e vorrebbe riportarmi nel Luogo dell’Attesa: Mauth, che insiste perché io torni indietro. È quasi doloroso, ma stringo i denti e procedo. Il dolore è una scelta. Cedigli e fallisci. Oppure sfidalo e trionfa. L’insegnamento di Keris Veturia mi è penetrato nelle ossa, fino al midollo.

(33)

Quando arrivo alle porte del villaggio dove avrei dovuto incontrare Laia, la mezzanotte è passata da un pezzo e il chiaro di luna si fa timidamente largo tra le nuvole cariche di neve. Ti prego, fa’ che l’assalto sia filato liscio. Ti prego, fa’ che Mami stia bene.

Tuttavia, non appena mi avvicino, mi accorgo subito che qualcosa non va. La carovana è deserta, le porte dei carri cigolano al vento. Un sottile strato di neve si è già depositato sui corpi dei soldati di guardia. Tra loro non c’è nessuna Maschera. Nessuna vittima tribale. Nel villaggio regna il silenzio, invece del normale caos.

Una trappola.

La riconosco all’istante, con la stessa certezza con cui riconoscerei il viso di mia madre. È opera di Keris? Ha saputo degli assalti di Laia?

Tiro su il cappuccio, mi avvolgo nella sciarpa e mi accovaccio per osservare le impronte sulla neve. Sono indistinte, mezze spazzate via. Intravedo qualcosa di familiare: le orme di Laia.

Queste tracce non sono state lasciate qui per sbadataggine, ma per farmi sapere che è entrata nel villaggio. E che non ne è più uscita. Il che significa che la trappola non è stata tesa per lei.

È stata tesa per me.

(34)

IV

L’AVERLA SANGUINARIA

«Maledetta!» Cingo Laia di Serra in una morsa ferrea, ma lei mi resiste con tutta la sua forza. Non vuole rinunciare all’invisibilità e mi sembra di lottare corpo a corpo con un pesce mimetizzato e rabbioso. Che stupida sono stata a non metterla fuori combattimento non appena le ho messo le mani addosso.

Mi assesta un forte calcio alla caviglia, poi una gomitata nello stomaco. Allento appena la presa e in un attimo lei si divincola. Seguo il rumore dei suoi stivali, provando una soddisfazione selvaggia quando la riagguanto e sento l’aria che le esce dai polmoni. Finalmente comincia a riapparire, sfarfallando e, prima che possa ricorrere di nuovo al suo trucchetto, le torco le mani dietro la schiena e la lego più stretta di una capra in un giorno di festa. Poi la spingo su una sedia, ancora ansimante.

Laia guarda l’altra prigioniera della capanna – Mami Rila, legata e mezza svenuta – e ringhia attraverso il bavaglio.

Scalcia come un mulo e mi colpisce sotto il ginocchio, e io mi lascio sfuggire una smorfia di dolore. Non reagire, Averla Sanguinaria.

Mentre la dotta si dimena, parte di me stranamente gioisce nel constatare una simile energia. È guarita. È forte.

Dovrei esserne contrariata.

Però non è così: la magia che ho praticato su Laia ci unisce, ed è un legame più profondo di quanto vorrei.

Vedere tanto vigore mi fa sentire sollevata, come se avessi appreso che la mia sorellina Livia gode di buona salute.

Il che non durerà a lungo, se il mio piano fallisce. Una fitta di terrore mi assale, seguita a ruota da un ricordo lancinante. La sala del trono. L’imperatore Marcus. La gola

(35)

di mia madre: squarciata. La gola di mia sorella Hannah:

squarciata. La gola di mio padre: squarciata. E tutto per causa mia.

Non guarderò morire anche Livia. Devo eseguire gli ordini di Marcus e disfarmi della Comandante, Keris Veturia. Se non tornerò ad Antium da questa missione con qualcosa da usare contro di lei, Marcus sfogherà la sua rabbia sull’imperatrice, Livia. Non sarebbe la prima volta.

Ma la Comandante sembra inattaccabile. I plebei più poveri e i Mercatori la sostengono perché ha domato la rivolta dei dotti. Gli Illustri, le famiglie più potenti dell’Impero, temono lei e la sua casata, la Gens Veturia.

Keris è troppo astuta per consentire a un assassino di avvicinarsi e, anche se riuscissi a neutralizzarla, i suoi alleati insorgerebbero.

Ciò significa che per prima cosa devo indebolire la sua posizione tra le casate illustri. Devo dimostrare loro che la Comandante è pur sempre un essere umano.

E per farlo ho bisogno di Elias Veturius, suo figlio. Che dovrebbe essere morto, che lei stessa ha dichiarato morto e che invece è più vivo che mai, come ho saputo di recente.

Presentarlo come prova del suo fallimento è il primo passo per convincere gli alleati di Keris che lei non è forte come sembra.

«Più mi combatti, più stringo.» Quando tiro le corde, a Laia sfugge una smorfia di dolore, che mi provoca una sgradevole fitta nello stomaco. Un effetto collaterale della magia di guarigione?

Ti distruggerà, se non stai attenta. Le parole del Signore della Notte sul potere di guarigione mi echeggiano nella mente. È questo che intendeva? Che il legame con le persone che ho guarito è indissolubile?

Non posso perdere tempo con simili pensieri ora. Il capitano Avitas Harper e il capitano Dex Atrius entrano nella capanna che abbiamo requisito. Harper mi saluta con un

(36)

cenno, mentre l’attenzione di Dex si concentra subito su Mami Rila e lo vedo serrare la mascella.

«Dex. È ora.»

Continua a fissarla. Non mi sorprende. Mesi fa, quando stavamo dando la caccia a Elias, su mio ordine ha interrogato Mami e altri membri della tribù Saif. Da allora è tormentato dai sensi di colpa.

«Atrius! In posizione.»

Lui alza la testa di scatto, poi si riscuote ed esce dalla capanna. Harper attende pazientemente i miei ordini, indifferente alle maledizioni soffocate di Laia e ai gemiti di dolore di Mami Rila.

«Controlla il perimetro. E assicurati che nessuno degli abitanti del villaggio faccia ritorno.» Non ho trascorso settimane a pianificare quest’imboscata perché dei plebei curiosi la mandino all’aria.

Mentre Laia di Serra osserva Harper uscire dalla capanna, io estraggo una daga e mi rifilo le unghie. Il modo in cui gli abiti scuri e attillati le abbracciano quell’insieme fastidioso di curve mi rammenta le sgraziate sporgenze del mio corpo ossuto. Le ho sottratto la sacca insieme con un vecchio pugnale che riconosco con un sussulto. È di Elias. Un regalo del nonno Quin per il suo sedicesimo compleanno.

E a quanto pare Elias lo ha dato a Laia.

La sento sibilare sotto il bavaglio mentre il suo sguardo rimbalza tra me e Mami Rila. Il suo atteggiamento di sfida mi ricorda Hannah. Chissà se, in un’altra vita, io e la dotta avremmo mai potuto essere amiche.

«Se mi prometti di non urlare, ti levo il bavaglio.»

Laia riflette un istante, poi annuisce. Non appena le tolgo il fazzoletto, inveisce: «Cosa le avete fatto?» Mentre si tende verso Mami Rila, ormai senza sensi, le gambe della sua sedia sbattono forte contro il pavimento. «Ha bisogno di medicine. Ma che razza di mostri…»

La zittisco con un ceffone talmente sonoro da sorprendere anche me. Così come mi sorprende l’improvviso senso di

(37)

nausea che quasi mi piega in due. Cielo, cosa sta succedendo? Mi aggrappo al tavolo per sostenermi, ma mi raddrizzo prima che Laia se ne accorga.

Lei alza la testa, puntando il mento in alto. Le sanguina il naso. Gli occhi dorati da gatta sono pieni di stupore e di una buona dose di paura.

Era ora. «Modera i toni o ti rimetto il bavaglio.»

«Cosa vuoi da me?»

«Solo la tua compagnia.»

Stringe gli occhi e infine nota le manette attaccate a una sedia nell’angolo. «Sto agendo da sola. Fai di me ciò che vuoi.»

«Sei un moscerino.» Ricomincio a limarmi le unghie e soffoco un sorriso constatando quanto le mie parole la irritino. «Nella migliore delle ipotesi, una zanzara. Non osare dirmi cosa devo fare. L’unico motivo per cui l’Impero non ti ha ancora schiacciato è perché io non l’ho permesso.»

Tutte bugie, ovvio. Laia ha assaltato sei carovane in due mesi e in tal modo ha liberato centinaia di prigionieri. E chissà per quanto tempo avrebbe continuato se non avessi ricevuto quel dannato biglietto.

È arrivato due settimane fa. Non ho riconosciuto la grafia e chiunque – o qualunque cosa – l’abbia consegnato è riuscito a evitare di essere catturato da un’intera guarnigione di Maschere.

Gli assalti. È stata la ragazza.

Ho tenuto segreta la storia degli assalti. Abbiamo già i nostri problemi coi tribali, furiosi perché abbiamo spiegato legioni di marziali nel loro deserto. A ovest, i barbari di Karkaus hanno sgominato i selvaggi e ora incalzano i nostri avamposti nei pressi di Tiborium. Nel frattempo, uno stregone di Karkaus che risponde al nome di Grímarr ha chiamato a raccolta i suoi clan, che adesso stanno in agguato nel Sud e attaccano le nostre città portuali.

(38)

Marcus ha ottenuto la lealtà delle casate illustri solo di recente. Se scoprissero che una ribelle dotta si aggira per le campagne seminando scompiglio, si agiterebbero. Se scoprissero che è la stessa ragazza che Marcus avrebbe dovuto uccidere nella Quarta Prova, fiuterebbero subito odore di debolezza.

E un altro colpo di Stato illustre è l’ultima cosa di cui ho bisogno. Soprattutto ora che il destino di Livia è legato a doppio filo a quello di Marcus.

Una volta ricevuto il messaggio, mettere in relazione Laia e gli assalti è stato piuttosto semplice. I resoconti provenienti dalla prigione di Kauf e quelli che descrivono gli attacchi alle carovane combaciano. Una giovane che un attimo prima compare e un attimo dopo scompare. Una dotta resuscitata dai morti, che compie la propria vendetta sull’Impero.

Non un fantasma, bensì una ragazza. Una ragazza e un complice dal talento eccezionale.

Ci squadriamo, io e lei. Laia di Serra è tutta passione, sentimento. Ogni pensiero le sta scritto in faccia. Mi chiedo persino se sappia cosa sia il dovere.

«Se sono un moscerino, allora perché…» Un’espressione d’improvvisa consapevolezza le balena sul viso. «Tu non sei qui per me. Ma se mi stai usando come esca…»

«Allora funzionerà. Conosco bene la mia preda, Laia di Serra. Arriverà tra meno di un quarto d’ora. Se mi sbaglio…»

Faccio roteare il pugnale sulla punta del dito.

Laia impallidisce. «Lui è morto. Nella prigione di Kauf. Non verrà.» Sembra quasi credere alla sua stessa bugia.

«Oh, sì che verrà.» Cielo, come la detesto mentre pronuncio queste parole. Verrà per lei. Lo farà sempre.

Come invece non farà mai per me.

Scaccio via questo pensiero – Basta debolezze, Averla Sanguinaria – e m’inginocchio davanti a Laia, facendo scorrere la punta della daga sulla K che la Comandante le ha inciso sul petto. La cicatrice è vecchia, ormai. Forse lei la considera un difetto sulla sua pelle radiosa. Invece la fa

(39)

sembrare più forte. Resistente. Ed è anche per questo che la odio.

Ma non sarà ancora per molto. Perché non posso concedere a Laia di Serra la libertà. Non se offrire la sua testa a Marcus può farmi ottenere la benevolenza dell’imperatore… e con essa altri giorni di vita per la mia sorellina.

Per un istante ripenso a Cuoca e al suo interesse per Laia.

L’ex schiava della Comandante s’infurierà quando saprà della morte della ragazza. Ma la vecchia è scomparsa mesi fa. Potrebbe essere morta anche lei.

Laia dev’essersi accorta del bagliore omicida nel mio sguardo, perché si ritrae e il suo viso si fa cinereo. Mi assale di nuovo una forte nausea. Vedo lampi bianchi davanti agli occhi e mi appoggio al bracciolo di legno della sedia, la daga preme più a fondo sulla pelle, sopra il suo cuore…

«Basta così, Helene.»

La sua voce è dura come una frustata della Comandante. È entrato dalla porta posteriore, come immaginavo. Helene.

Mi chiama per nome, ovvio.

Penso a mio padre. Tu sei la sola cosa che tiene a freno le tenebre. Penso a Livia, che nasconde i lividi sul collo con strati e strati di trucco perché la corte non la consideri una debole. Mi volto.

«Elias Veturius.» Mi si gela il sangue quando mi accorgo che, sebbene sia stata io a tendergli un’imboscata, è lui che è riuscito a sorprendermi. Perché, invece di essere solo, Elias ha fatto prigioniero Dex, gli ha legato le braccia e ora gli tiene una lama contro la gola. Il viso mascherato di Dex è impietrito in una smorfia rabbiosa. Dex, sei un idiota, lo rimprovero con lo sguardo. Chissà se ha almeno provato a combattere. «Uccidi pure Dex, se lo desideri. Se è stato così sciocco da farsi catturare, non sentirò certo la sua mancanza.»

La luce della torcia si riflette per un istante sul volto di Elias. Osserva Mami, il suo corpo floscio, piegato, e il suo

(40)

sguardo s’inasprisce per la collera. Quando mi rivolge di nuovo l’attenzione, l’intensità dei suoi sentimenti mi secca la gola. Vedo centinaia di pensieri scritte nella sua mascella, nelle sue spalle, nel modo in cui stringe l’arma. Conosco la sua lingua, la parlo dall’età di sei anni.

Tieni duro, Averla Sanguinaria.

«Dex è tuo alleato. E non ne hai molti di questi tempi, a quanto ne so. Credo che ti mancherà parecchio. Lascia andare Laia.»

Mi viene in mente la Terza Prova. La morte di Demetrius per mano sua. Quella di Leander. Elias è cambiato. C’è una sorta di tristezza, in lui, che prima non c’era. In te e in me, vecchio amico mio. Sollevo Laia dalla sedia e la sbatto contro il muro, poi le punto la daga alla gola. Stavolta sono preparata all’ondata di nausea e, quando mi sommerge, stringo i denti. «La differenza tra noi due, Veturius, è che a me non importa se il mio ’alleato’ muore. Lascia cadere le armi. Troverai delle manette nell’angolo della stanza.

Mettile. Siediti. Resta zitto. Se lo fai, Mami vivrà e smetterò di dare la caccia alla tua banda di criminali assaltatori di carovane o ai prigionieri che hanno liberato. Se rifiuti, li inseguirò e li ucciderò con le mie stesse mani.»

«Ti… Ti credevo una brava persona», sussurra Laia. «Non buona, ma… ma non così.» Posa lo sguardo sulla mia lama, poi su Mami.

È perché sei una sciocca.

Elias tentenna e io spingo la daga più a fondo.

Alle mie spalle la porta si apre. Harper entra ad armi sguainate, portando con sé una ventata di gelo.

Elias lo ignora, la sua attenzione è tutta per me. «Libera anche Laia e l’affare è fatto.»

«Oh, no, Elias. Il Luogo del…»

Zittisco Laia con un sibilo. Non ho tempo per questo. Più esito, più Elias ha la possibilità di escogitare un modo per scappare. Mi ero assicurata che sapesse dell’ingresso di Laia

(41)

nel villaggio; mi sarei dovuta aspettare che catturasse Dex.

Sei un’idiota, Averla Sanguinaria. Lo hai sottovalutato.

Laia cerca di parlare, ma le premo la daga sulla gola, facendola sanguinare. Trema, ha il fiato corto. Mi pulsa la testa. Il dolore alimenta la mia collera, e la parte di me nata dal sangue dei miei genitori trucidati ruggisce e sfodera gli artigli. «Conosco la sua canzone, Veturius.» Dex e Avitas non capiranno il senso delle mie parole, però Elias sì. «Posso restare qui tutta la notte. Tutto il giorno. Per tutto il tempo che ci vorrà. Posso farle del male.» E guarirla. Non lo dico, ma lui capisce il mio perverso intento. E farle ancora del male e guarirla. Fino a farti impazzire.

La rabbia di Elias svanisce, rimpiazzata dalla sorpresa.

Dalla delusione. Però non ha il diritto di sentirsi deluso da me. «Helene. Tu non ci ucciderai.» Non sembra molto sicuro.

Un tempo mi conoscevi, ma ora non più. Io stessa non mi conosco più. «Esistono cose peggiori della morte. Vogliamo scoprirle insieme?» Lo sto facendo irritare. Procedi con cautela, Averla Sanguinaria. Qualsiasi cosa sia diventato ora Elias Veturius, la Maschera che è in lui sotto sotto è ancora viva. Posso provocarlo. Ma solo fino a un certo punto. Offro la carota prima di brandire il bastone. «Libererò Mami. Un atto di buona fede. Avitas la lascerà in un luogo dove i tuoi amici tribali la troveranno.»

Elias guarda Harper e solo allora mi rendo conto che non sa di essere il suo fratellastro. Valuto se questa informazione possa essere usata contro di lui, poi decido di tenere a freno la lingua. È il segreto di Avitas, non il mio. Gli faccio un cenno e Harper trascina Mami fuori dalla capanna.

«Libera anche Laia e farò quello che chiedi», dice Elias.

«Lei viene con noi. Conosco i tuoi trucchi, Veturius. E non funzioneranno. Se vuoi che viva, non puoi vincere questa battaglia. Lascia cadere le armi. Indossa le manette. Non te lo chiederò un’altra volta.»

Elias spinge via Dex, tagliandogli al contempo i legacci, poi gli sferra un pugno che lo fa crollare sulle ginocchia.

(42)

«Questo è per aver interrogato i miei familiari. Non credere che non l’abbia saputo.»

Dex non reagisce.

Stupido! «Porta qui i cavalli», sbraito a Dex.

Lui si alza, con la schiena dritta e grande dignità, come se la sua armatura non fosse fradicia di sangue. Prima ancora che esca dalla capanna, Elias fa cadere le sue scimitarre.

«Lascerai andare Laia. E non m’imbavaglierai. E manterrai le distanze, Averla Sanguinaria.»

Non dovrebbe farmi male, sentirlo usare il mio titolo.

Dopotutto non sono più Helene Aquilla.

Ma, quando l’ho incontrato l’ultima volta, ero ancora Helene. Pochi istanti fa, quando mi ha visto, ha pronunciato il mio nome.

Lascio andare Laia e lei prende subito grosse boccate d’aria, mentre il suo viso riprende colore. Ho la mano bagnata: un rivolo di sangue è zampillato dal suo collo. Una gocciolina, a dire il vero. Nulla in confronto ai torrenti sgorgati da mia madre, mia sorella e mio padre in punto di morte.

Tu sei la sola cosa che tiene a freno le tenebre.

Ripeto queste parole. Ricordo a me stessa perché sono qui.

E do alle fiamme l’ultimo briciolo di sentimento rimasto in me.

(43)

V

LAIA

Il capitano Harper rientra nella capanna senza Mami.

«Controlla Veturius. Assicurati che le manette siano ben serrate.» L’Averla Sanguinaria mi trascina poi fin sulla soglia, il più lontano possibile da Elias.

Trovarci tutti e tre in questa stanza fa un effetto strano, quasi fosse un presagio. Ma la sensazione svanisce non appena la daga comincia a premere più a fondo nella mia pelle.

Dobbiamo andarcene di qui. Preferisco non aspettare di vedere se terrà fede alla minaccia di torturarmi. Afya e Darin saranno preoccupati a morte, ormai.

Dex fa capolino dalla porta posteriore. «I cavalli sono spariti.»

Furiosa, l’Averla Sanguinaria guarda Elias, che fa spallucce.

«Pensavi davvero che li avrei lasciati lì?»

L’Averla si rivolge a Dex. «Trovane altri. E portami un carro fantasma. Harper, quanto tempo ti ci vuole per verificare che quelle dannate manette siano a posto?»

Metto alla prova i miei legacci, ma lei se ne accorge e mi torce brutalmente le braccia.

Elias siede scomposto, con artefatta naturalezza, e osserva quella che un tempo era la sua migliore amica. Non m’inganna con quell’espressione annoiata. A ogni secondo che passa, la sua pelle marrone dorato diventa sempre più pallida fino a conferirgli un’aria malaticcia. Il Luogo dell’Attesa lo attrae verso di sé… e l’attrazione si fa via via più insistente. Mi è già capitato di vederlo accadere. Se starà lontano troppo a lungo, soffrirà. «Mi stai usando per arrivare a mia madre. Se ne accorgerà subito.»

(44)

Sotto la maschera, l’Averla Sanguinaria arrossisce. «Non farmi cambiare idea sul bavaglio. Harper, va’ con Dex.

Voglio quel carro subito.»

«Cosa credi stia facendo Keris Veturia in questo momento?» chiede Elias, non appena il capitano se ne va.

L’Averla Sanguinaria mi stringe più forte. «Tu non ci vivi neanche più, nel maledetto Impero, perciò vedi di tacere.»

«Non ho bisogno di viverci per sapere in che modo ragiona la Comandante. Tu la vuoi morta, giusto? Lei di certo lo sa.

Quindi sa pure che, uccidendola, rischi di scatenare una guerra civile tra i suoi alleati. E così, mentre te ne stai qui a perdere tempo con me, lei è tornata nella capitale a tramare chissà che.»

L’Averla Sanguinaria aggrotta le sopracciglia. Ha ascoltato i consigli di Elias… e gli ha offerto i suoi per una vita intera.

E se avesse ragione? Riesco praticamente a sentirla formulare questo pensiero.

Elias intercetta il mio sguardo: sta cercando una breccia, proprio come me. «Trova mio nonno. Se vuoi eliminare Keris Veturia, devi capire come ragiona. E non c’è nessun altro al mondo che la conosca bene come Quin.»

«Quin ha abbandonato l’Impero.»

«Come no, mio nonno abbandonerà l’Impero quando i gatti voleranno. Ovunque si trovi Keris, lui sarà nei paraggi, in attesa che commetta un errore. Non è così stupido da nascondersi in una delle sue proprietà. E di sicuro non è solo. Ci sono ancora molti uomini leali a…»

L’Averla Sanguinaria liquida il suggerimento di Elias con un gesto. «Non importa. Keris e la creatura che si porta appresso…»

Sento una stretta allo stomaco. Il Signore della Notte. Sta parlando del Signore della Notte.

«… hanno qualcosa in mente. Devo distruggerla, prima che lei distrugga l’Impero. Ho passato settimane a dare la caccia a Quin Veturius. Non ho tempo di ricominciare.»

(45)

Elias si muove sulla sedia: si prepara a fare la sua mossa.

L’Averla Sanguinaria ha allentato la presa su di me e io serro le mani, piego i polsi, tiro, faccio tutto quel che posso per liberarmi dai legacci senza farmi sorprendere. Il sudore dei palmi lubrifica la corda, però non è sufficiente.

«Tu vuoi distruggerla.» Le manette di Elias tintinnano. Vedo un lampo argenteo accanto alle sue mani. Grimaldelli?

Come diamine è riuscito a nasconderli ad Harper? «Ricorda soltanto che farà cose che tu non sei disposta a fare.

Scoprirà il tuo punto debole e lo sfrutterà. È ciò che sa fare meglio.»

Quando Elias muove il braccio, l’Averla Sanguinaria si volta di scatto nella sua direzione e lo scruta, stringendo le palpebre.

In quell’istante, Harper rientra nella capanna e annuncia:

«Il carro è pronto».

L’Averla Sanguinaria mi spinge verso di lui. «Prendila.

Tienile un coltello puntato alla gola.»

Harper mi tira a sé, ma io cerco di tenermi a distanza dalla lama. Se solo riuscissi a distrarli un attimo per consentire a Elias di attaccare…

Ricorro a un trucco che lui stesso mi ha insegnato nel corso del nostro viaggio insieme. Sferro un calcio al capitano nel punto delicato tra il piede e la gamba, poi mi lascio cadere a terra come un martello che scivola giù da un tetto.

Harper impreca, l’Averla Sanguinaria si gira ed Elias, che intanto si è liberato delle manette, balza in piedi. In un batter d’occhio si fionda a riprendere le scimitarre abbandonate. Un coltello mi sfreccia sopra la testa sibilando e Harper si china per schivarlo, trascinandomi con sé.

L’Averla Sanguinaria lancia un grido, ma Elias le è già addosso e cerca di travolgerla col suo peso. Riesce a immobilizzarla, puntandole una lama alla gola, ma c’è qualcosa di luccicante accanto al polso di lei. È un pugnale.

Oh, cielo, vuole accoltellarlo.

(46)

«Elias!» strillo per avvisarlo, quando d’un tratto lui s’irrigidisce.

Emette un rantolo e l’arma gli scivola via di mano.

In un attimo l’Averla Sanguinaria sguscia via da sotto il suo corpo, la bocca distorta in un ghigno.

«Laia.» Gli occhi di Elias trasmettono la sua rabbia. La sua impotenza.

Di colpo nella stanza calano le tenebre. Vedo ondeggiare lunghi capelli scuri, balenare frammenti di pelle marrone.

Insondabili occhi neri mi perforano. Shaeva.

Lei ed Elias svaniscono all’istante. Sotto i nostri piedi la terra rimbomba e all’esterno della capanna il vento si alza, echeggiando per un secondo come il lamentio degli spiriti.

L’Averla Sanguinaria si fionda nel punto in cui stava Elias fino a un attimo fa. Non trova nulla e, in men che non si dica, mi stringe il collo con una mano e con l’altra mi punta il pugnale al cuore. Mi scaraventa sulla sedia con uno spintone e si china su di me. «Chi diavolo è quella donna?»

La porta si spalanca ed entra Dex, a scimitarra spiegata.

Prima ancora che possa aprire bocca, l’Averla Sanguinaria gli sbraita contro: «Perlustra il villaggio! Veturius è scomparso come un maledetto spettro!»

«Non è nel villaggio. L’ha preso lei», intervengo.

«’Lei’ chi? Dimmelo!»

Non riesco a parlare, la lama è troppo vicina: non posso muovere neanche un muscolo.

Harper esamina la stanza con attenzione, come se Elias potesse riapparire da un momento all’altro. «Allentate la pressione del pugnale e forse parlerà.»

L’Averla Sanguinaria sposta la lama di un nonnulla. Ha la mano ferma, però sotto la maschera il suo viso è arrossato.

«Parla o sei morta.»

Mentre provo a spiegare più vagamente che posso chi è Shaeva e cosa è diventato Elias, incespico sulle parole. Nel pronunciarle, mi rendo conto che suonano davvero inverosimili.

(47)

L’Averla Sanguinaria non fiata, ma l’incredulità è scritta in ogni singola fibra del suo corpo. Al termine del racconto, si raddrizza, allentando la presa sul pugnale, e guarda fuori dalla capanna, nella notte. Mancano poche ore all’alba.

«Puoi riportare qui Elias?» chiede sottovoce.

Scuoto la testa e lei s’inginocchia ai miei piedi.

All’improvviso ha un’espressione serena, il suo corpo è rilassato. Quando incrocio i suoi occhi, sono distanti, come se i suoi pensieri fossero rivolti altrove. «Se l’imperatore scoprisse che sei viva, vorrebbe interrogarti di persona. E, a meno che tu non sia del tutto stupida, sarai d’accordo con me che la morte è un’alternativa migliore. Sarò rapida.»

Oh, cielo. Ho i piedi liberi, però le mani sono ancora legate.

Se tirassi abbastanza forte, potrei liberare la mano destra…

Harper sguaina la scimitarra e si china dietro di me. Sento il calore della sua pelle sui polsi e mi aspetto che stringa meglio i legacci.

Ma non lo fa.

Anzi, la corda che mi bloccava di colpo scivola via. Il capitano pronuncia una sola parola e così a bassa voce che dubito quasi di averla sentita davvero. «Vai.»

Non riesco a muovermi. Ricambio lo sguardo dell’Averla Sanguinaria a viso aperto. Guarderò la morte negli occhi. Il suo volto d’argento è segnato dal dolore. Implacabile come una daga cinquedea, d’un tratto dimostra ben più dei suoi vent’anni. Le hanno strappato via ogni traccia di debolezza.

Ha visto troppo sangue. Troppa morte.

Ricordo quando Elias mi ha raccontato cosa ha fatto Marcus alla famiglia Aquilla. L’ha saputo dallo spirito di Hannah, che l’ha tormentato per mesi prima di andare finalmente oltre.

Ascoltando la sua storia, mi sono sentita travolgere dalla nausea. Ho ripensato a un’altra terribile mattina di qualche anno fa, quando mi sono svegliata con un sussulto, spaventata da un’eco di grida basse, soffocate. Pensavo che

(48)

il nonno avesse portato a casa un animale. Qualche creatura ferita e agonizzante, destinata a una morte lenta e dolorosa.

Ma, quando sono entrata in salotto, ho visto la nonna dondolarsi avanti e indietro e il nonno cercare affannosamente di zittire i suoi gemiti affinché nessuno la sentisse piangere per la morte di sua figlia: mia madre.

Nessuno doveva sapere. L’Impero voleva annientare tutto ciò che era la Leonessa, tutto ciò cui lei teneva. Vale a dire chiunque le fosse legato.

Quel giorno siamo andati tutti al mercato a vendere la nostra marmellata: il nonno, la nonna, Darin e io. La nonna non ha versato una lacrima. Da lì in avanti l’ho sentita sempre e solo piangere nel cuore della notte, un lamento tenue che mi affliggeva più di quanto non avrebbero mai potuto fare delle grida.

Anche all’Averla Sanguinaria è stato negato il diritto di piangere pubblicamente la morte dei suoi cari. Come avrebbe potuto? È la seconda carica dell’Impero per importanza, e la sua famiglia è stata condannata perché lei non è riuscita a eseguire gli ordini dell’imperatore.

«Mi dispiace», sussurro mentre alza il pugnale. Tendo le dita, non per fermare la lama, bensì per prenderle la mano libera.

Lei s’impietrisce, sconvolta. Il suo palmo è freddo, calloso.

In meno di un secondo la sorpresa si trasforma in rabbia.

La rabbia più feroce nasce dalla sofferenza più profonda, diceva sempre la nonna. Parla, Laia.

«Anche i miei genitori sono stati uccisi. Come mia sorella.

A Kauf. Ero più piccola e non li ho visti morire davanti ai miei occhi. Ma non li ho mai potuti piangere. Non mi era concesso. E nessuno ne ha mai più parlato. Eppure io penso a loro ogni giorno. Mi dispiace per te e per ciò che hai perso.

Davvero.»

Per un istante vedo la ragazza che mi ha guarito. La ragazza che ha lasciato che io ed Elias fuggissimo da

(49)

Rupenera. La ragazza che mi ha spiegato come introdurmi nella prigione di Kauf.

E, prima che quella ragazza scompaia, come so che accadrà, attingo al mio potere e mi rendo invisibile, scivolo giù dalla sedia, supero Harper e corro verso la porta. Due passi e sento le grida dell’Averla Sanguinaria, tre e il suo pugnale fende l’aria per cercarmi, seguito dalla scimitarra.

Troppo tardi. Prima ancora che l’arma cada a terra, varco la soglia, oltrepasso un ignaro Dex e schizzo via più veloce che posso. Un’ombra fra tante nella notte.

(50)

VI

ELIAS

Shaeva mi fa immergere in un’oscurità così profonda da farmi temere di essere finito all’inferno. Mi tiene stretto, anche se non riesco a vederla. Non stiamo correndo nel vento, anzi, sembra che non ci muoviamo affatto. Eppure il suo corpo vibra di una magia che, spandendosi, mi fa bruciare la pelle come fosse in fiamme.

Piano piano la vista ritorna, finché non mi ritrovo a librarmi sopra un oceano. Su di noi incombe un cielo denso di nubi giallastre. Avverto la presenza di Shaeva accanto a me, ma non riesco a distogliere lo sguardo dall’acqua sottostante, che ribolle facendo intuire, appena sotto la superficie, enormi forme indistinte. Forme che emanano malignità, una malvagità che percepisco nelle parti più profonde della mia anima. Mi assale un terrore mai provato prima, nemmeno da bambino a Rupenera.

Poi la paura si dissolve, sostituita dal peso di uno sguardo antico. Una voce nella mia mente dice: La notte si avvicina, Elias Veturius. Stai attento.

La voce è così fievole che devo sforzarmi per cogliere ogni sillaba. Prima che io possa capirne il senso, l’oceano scompare, torna l’oscurità e la voce e le immagini svaniscono dalla mia memoria.

Quando mi sveglio, le travi di legno nodoso sopra di me e il cuscino di piume che ho sotto la testa mi rivelano subito dove sono. La capanna di Shaeva: casa mia. Un ceppo scoppietta tranquillamente nel fuoco e l’aria profuma di korma speziato. Mi rilasso un poco sulla branda, godendomi quel senso di pace che si prova solo quando si è al caldo e al sicuro sotto il proprio tetto.

Riferimenti

Documenti correlati

Ammettendo di conoscere i costi unitari per l’immissione in discarica e per le differenti operazioni di trattamento (di cui si richiede una indicazione di criterio di valutazione), il

4. Il tirocinio puo' essere svolto, in misura non superiore a sei mesi, presso enti o professionisti di altri.. Paesi con titolo equivalente e abilitati all'esercizio della

0.50 punti per trimestre 2b) Funzioni di responsabilità attinenti alle tematiche del bando: 1 punto per funzione 2c) Altri Servizi prestati, funzioni svolte, incarichi

E così anche in questi giorni, noi tuttora viventi, vedremo il mondo intiero, meravigliare delle grandi guarigioni della Chiesa, ed applaudire palma a palma al

mettono la lettura di questi li b r i , cooperano alla rovina della civile società e a danno della Chiesa quei maestri, quei superiori che trascurano d ’im­.. pedire

giurisprudenza in relazione alla qualificazione della norma de qua in termini di reato di pericolo, tuttavia viene meno al successivo e più specifico livello di analisi della condotta

Nel presente titolo, in attuazione delle disposizioni di cui alla legge 5 marzo 1997, n. 59 ed al titolo IV capo V del decreto legislativo n. 112/1998, sono disciplinate

Art. 1) sono pubblicate in data odierna sul sito di quest’Ufficio (https://www.istruzioneverona.it) le Graduatorie Provinciali per le Supplenze (GPS) definitive della provincia