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SOLARE TERMICO FAI DA TE, CON LE BOTTIGLIE DI PLASTICA. IL VIDEO

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Academic year: 2022

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SOLARE TERMICO FAI DA TE, CON LE BOTTIGLIE DI PLASTICA. IL VIDEO

Realizzare un sistema solare termico fai da te con delle bottiglie di plastica non e’ difficile e sembra essere la giusta soluzione per riscaldare l’acqua per fare la doccia.

Guarda il video.

E’ possibile costruire un sistema solare termico fai da te?

Si, riciclando le bottiglie di plastica e i cartoni del latte.

José Alano, un meccanico brasiliano in pensione, ha costruito, grazie all’arte del riciclo, un sistema di riscaldamento solare dell’acqua semplice ed economico. Il prototipo di Josè è in funzione dal 2002 e da allora lui cerca di divulgare l’idea in Brasile, con conferenze e laboratori. Oggi più di 7.000 persone sfruttano il pannello solare fai da te, realizzato o il riciclo delle bottiglie di plastica.

Realizzare un sistema di solare termico con le bottiglie di plastica non è difficile. Basta munirsi di numerose bottiglie di plastiche, di tubi di gomma e collettori. Chi ha realizzato l’impianto, in Italia, afferma che basta posizionare tante bottiglie di plastica una sull’altra, facendo passare al loro interno un tubo di gomma in cui passa l’acqua fredda prelevata dal rubinetto. All’estremità di questo impianto di deve allacciare un collettore per termosifoni a 4 entrate (entra acqua calda), un’entrata (entra l’acqua fredda tramite tubo da giardino) e un’uscita (acqua calda da utilizzare per la doccia) e un pompa che permette all’acqua di circolare. Il meccanismo sembra difficile, ma in realtà è semplice, basta farsi aiutare da chi ha dimestichezza con i tubi.

Chi vuole seguire, invece, il procedimento brasiliano per la costruzione di un sistema di solare con le bottiglie di plastica può affidarsi a questo video, in cui si spiega come

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poter dare vita al sistema:

link all’articolo .

Torna a ottobre Maker Faire la fiera europea degli inventori

Robot, droni, stampanti 3d, ma anche mostre, workshop sul teletrasporto e laboratori per catapultare il mondo nel futuro.

Robot, droni, stampanti 3d, ma anche mostre, workshop sul teletrasporto e laboratori per catapultare il mondo nel futuro. Torna Maker Faire Rome, la fiera europea degli inventori e degli artigiani digitali promossa dalla Camera di Commercio di Roma e organizzata dall’azienda Asset Camera, che quest’anno per la sua terza edizione sarà ospitata dall’Università La Sapienza. Dal 16 al 18 ottobre i creativi che avranno fatto domanda e passato le selezioni occuperanno la città universitaria con i propri gioielli di tecnologia e innovazione. Ma quest’anno non mancheranno le novità.

Robot di impatto sociale

La “Call 4 Makers” si aprirà il prossimo 15 aprile e fino al 31 maggio gli inventori di tutto il mondo (lo scorso anno erano 800 provenienti da 65 diversi Paesi) avranno tempo per elaborare le creazioni. La valutazione e la selezione spetterà, invece, a una commissione capitanata dai curatori della manifestazione: “Vista la location chiederemo progetti di grande impatto visivo e sociale – ha spiegato Massimo

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Banzi, curatore Maker Faire Rome insieme a Riccardo Luna, e co-fondatore di Arduino -. Magari avremo un numero inferiore di stand occupati ma saremo ancora più selettivi. Invitiamo tutti i makers a presentare progetti utili anche da un punto di vista sociale, progetti che potranno cambiare davvero la vita ad alcune persone”.

La Città del futuro

Lo scorso anno la Maker Faire Roma ha raggiunto 90 mila visitatori, 15 mila studenti, 600 progetti esposti, oltre 200 performance live. Numeri destinati ad essere superati. La Sapienza si trasforma, infatti, da luogo simbolo di studio a vera e propria Città del futuro con oltre 80 mila metri quadri a disposizione di makers e visitatori. “Il momento è maturo per dare maggiore attenzione al futuro – ha detto il rettore dell’Università La Sapienza, Eugenio Gaudo – E’ un’occasione per avvicinare l’innovazione al Paese reale”. L’area dedicata gli artigiani innovativi passerà, infatti, dai 48 stand del 2014 ad 80. E l’area kids da 1300 a 3500 metri quadri pieni di attrazioni per i più piccoli. Ci sarà anche un’area droni: una grande voliera per l’esposizione ma anche per dimostrazioni e corsi.

Calls 4 Schools

E anche i giovani talenti delle scuole superiori italiane sono già all’opera. Il primo aprile scorso, in collaborazione con il Miur e l’assessorato alla Scuola del Comune, è partita la

“Call 4 School”. Nel 2014 parteciparono 100 scuole e ne furono scelte 18. In questa edizione, grazie anche ai maggiori spazi a disposizione, saranno 30 gli istituti ammessi (e non solo istituti tecnici), ha ricordato l’assessore capitolino alla Scuola, Paolo Masini, aggiungendo che “chi si occupa come noi di formazione ha grandi responsabilità verso i giovani: stiamo creando un piano di offerta formativa per le scuole di tutta Roma che punterà anche sui temi dell’innovazione”.

Roma hub internazionale – “Roma sta tornando ad essere la Roma che vorrei e cioè una città vibrante, tornata nella legalità contabile che fa i bilanci ed indica precisamente come vengono spesi i soldi”, ha commentato il sindaco di Roma, Ignazio

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Marino, che giovedì ha partecipato alla presentazione della kermesse in Campidoglio. Mentre l’assessore capitolino alla Roma Produttiva, Marta Leonori, ha sottolineato la volontà

“che Roma diventi un hub internazionale dell’innovazione per dimostrare che non siamo solo la città dell’archeologia ma anche del futuro”. Resta in tema l’appello lanciato dal curatore Massimo Banzi: 15 mila euro per mettere in rete tutte le stampanti del Lazio e realizzare una gigantesca mappa di Roma in 3d da lasciare poi in regalo alla città.

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Makerspace, il loft del Pigneto dove i trentenni fanno gli artigiani

di STEFANO PETRELLA da Repubblica:

Si chiama “Famocose”, apre a metà settembre. Sul modello delle officine di mezza Europa.

Seghe elettriche, macchine da cucire, saldatrici, ma anche stampanti e scanner 3D, plotter e macchine a taglio laser, una camera oscura e una cabina di verniciatura. Sono alcuni degli strumenti degli “artigiani digitali”: designer, falegnami, sarti, fotografi, architetti, che dal 13 settembre si ritroveranno in una Bauhaus del Terzo Millennio nel cuore del Pigneto, in via Caltanissetta, a ridosso dell’area pedonale.

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Qui al civico 26, in quella che un tempo era una tipografia, aprirà “Famo cose”, il primo makerspace romano, prendendo a modello spazi analoghi nelle capitali del mondo, come la Beta Haus di Berlino, che da cinque anni è la casa degli artigiani urbani, quei giovani professionisti che nelle affollate e care metropoli occidentali non hanno spazio e risorse per un laboratorio personale. “Famo cose” è un open space di 210 metri quadri in cui far confluire passioni e professionalità dei trentenni freschi di università, unendo le tecnologie all’avanguardia alla vocazione artigiana del Pigneto.

Così mentre in centro le botteghe storiche chiudono per lasciare spazio ai fast food la soluzione per i creativi di ieri e di oggi è il makerspace. “Sono il primo ad aver bisogno di un posto dove “fare cose” – racconta Luca Magarò, designer romano, 30 anni, – e a Roma mancava un punto dove riunire le idee e le professionalità, che andasse oltre il coworking e i fablab. Questa non è un’associazione o un centro sociale, ma un punto di servizi e formazione artigiana”.

“Famo cose” sarà aperto a tutti, dai bambini alle casalinghe, dagli studenti ai pensionati. Se di giorno (dalle 9 alle 18) sarà dedicato ai professionisti, che troveranno attrezzature e consulenza, anche per start up e gruppi di lavoro, la sera (dalle 18 alle 22) il makerspace aprirà le porte agli hobbisti. Chi non ha un luogo dove fare decoupage, dipingere o creare piccoli mobili, cucire abiti o realizzare gioielli, smanettare con l’elettronica, insieme alle idee e agli stimoli di altri creativi. E chi non sa da dove cominciare, potrà iscriversi a corsi di elettronica, falegnameria, design, moda:

il sabato l’open space si trasformerà in un’aula con videoproiettore, per lezioni in cui gli attrezzi del mestiere sono parte integrante della formazione.

“Le persone devono uscire da qui con un oggetto realizzato da loro – spiegano i “makers” che sono diventati otto – anche se avremo una piccola sala relax, non ci sarà spazio per perditempo”. Fin dal nome, che è una provocazione al “faccio

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cose vedo gente” di Moretti, una dichiarazione di guerra a quello spirito “radical chic” che nell’immaginario urbano sembra essersi impossessato del Pigneto. Qui si viene a sporcarsi le mani. Di vernice e trucioli, con il seghetto in una mano e l’iPad nell’altra. Artigiani con passione, come nel simbolo di “Famo cose”: un bullone stilizzato a forma di cuore.

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Cuore, mani, testa e rete: 7 consigli per diventare buoni artigiani digitali

“Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista”. Così diceva Francesco d’Assisi. Oggi alle mani, alla testa, al cuore potremmo aggiungere anche la rete. E tutto il potenziale che ne consegue.

In questi ultimi tre anni ho conosciuto di persona oppure o n l i n e c e n t i n a i a d i q u e s t i n u o v i a r t i g i a n i . L i h o i n t e r v i s t a t i , p o i h o r a c c o n t a t o l e l o r o s t o r i e s u wwworkers.it.Vivono e lavorano nel nord come nel sud-Italia e operano nei più disparati settori merceologici. Tutti loro raccontano storie di passione, di cura maniacale per i dettagli, di lavoro continuo, di determinazione.

Storie di lavoro artigiano, di qualità delle materie prime, di creazioni uniche, di vero “made in Italy”. E storie di lavoro in rete, grazie al potenziale espresso dalle nuove tecnologie.

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Perché il nuovo artigiano digitale è colui che riesce a mettere a sistema il ruolo delle reti, interpretando Internet agorà e non solo come vetrina per presentare i propri prodotti e servizi, la rete come luogo privilegiato di confronto con una community anche alto-spendente.

Ecco la generazione degli artigiani digitali. Grazie alle nuove tecnologie vendono, dialogano con i propri clienti, si posizionano verso nuovi pubblici e mercati, portano il made in I t a l y a l l ’ e s t e r o . U n a r i c e r c a p r o m o s s a d a l C r a f t Council e ripresa anche dall’edizione online del Guardian ha fotografato questi professionisti. L’identikit tracciato dall’istituto londinese non lascia spazio ad equivoci: la rete, e in particolare i social network, permettono di vendere di più e meglio. Facebook, Twitter, Pinterest, Google Plus consentono a tanti artigiani di raccontare in modo innovativo il proprio lavoro e di costruire una rete di relazioni sociali (qui la ricerca completa).

Vendere online, posizionare il proprio brand, intercettare nuovi pubblici anche in mobilità grazie a smartphone e tablet.

Ecco i vantaggi iniettati dal web. “La nostra ricerca suggerisce come i social rivestano oggi un ruolo fondamentale nell’evoluzione del mestiere. La relazione che si instaura con nuovi clienti e partner commerciali diventa strategica”, ha raccontato Karen Yair del Crafts Council al Guardian. Social network come potenziale per valorizzare un mercato interno spesso dormiente e rafforzare l’esportazione. “Si supera l’isolamento delle piccole realtà e si arriva direttamente al cliente finale”.

Al posto di tutelare-difendere-secretare occorre narrare storie, uscire allo scoperto, dialogare. E non è un cambio da poco. Si tratta di una rivoluzione copernicana, un cambio di paradigma. Però occorre spiegarlo ai geniali artigiani nostrani: perché mentre creano le loro opere spesso in laboratori chiusi e botteghe blindate, una nuova generazione di professionisti (che arriva anche da fuori Italia) impara ad

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usare oltre che la testa, il cuore e le mani, anche la rete.

Quella rete ancora troppo sconosciuta che resta un valore aggiunto di pochi.

Eppure è quella rete che consente di scalare mercati, incrementare fatturato, creare sinergie e alleanze con le nuove reti di impresa, allargare la base clienti,.

Internazionalizzare il proprio prodotto o servizio e più in generale competere.

Lo ha capito Ela Siromascenko, arrivata dalla Romania e che oggi è a tutti gli effettiun’artigiana digitale. Fa prodotti unici, aumenta la sua visibilità, ha un laboratorio che è una stanza con una connessione sempre attiva col resto del mondo.

L ’ h a r a c c o n t a t a E l i s a D i B a t t i s t a s u l s u o b l o g Laureatiartigiani.it.

Ela Siromascenko a ventinove anni ha deciso di trasferirsi in Italia perché innamorata del nostro Paese. Dopo una laurea in marketing, un master in relazioni pubbliche, un dottorato di ricerca in scienze della comunicazione e dopo otto mesi da Visiting PhD Student all’Università di Milano ha aperto una sartoria che esporta soprattutto all’estero, grazie al digitale. L’ha chiamata Eloncha, ed è un negozio online su Etsy, la più grande bottega artigiana al mondo. Così ha dichiarato Ela a Laureatiartigiani.it: “Al momento l’80% delle mie vendite viene dal negozio su Etsy. Essendo situato su una piattaforma con oltre 20 milioni di utenti e oltre un milione di negozi è fondamentale avere una buona indicizzazione.

Un’altra fetta di vendite la ottengo pubblicizzando il mio lavoro su Facebook”.

Il quartiere generale di Elochka si trova in una delle stanze dell’appartamento dove vivo col mio fidanzato. Abbiamo una stanza come atelier: ho un tavolo grande per il taglio, tre

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macchine da cucire tra cui una industriale, il tavolo del computer e della stampante, il manichino, l’asse da stiro e pure due faretti per la fotografia e le scatole delle buste per la spedizione”.

Eccola allora una nuova generazione di artigiani digitalizzati che rispetto alle botteghe blindate sceglie di abbracciare la rete. Con costanza, con passione, con tanto studio.

Ela è autodidatta, ma la rete le ha dato una mano. E la laurea è stato un valore aggiunto. “Al giorno d’oggi non basta più solo saper fare delle cose belle e di qualità, bisogna essere capace di farsi vedere e posizionarsi in un mercato competitivo”. Come ho già scritto sul mio blog del Fatto Quotidiano, Ela racconta un’altra Italia che magari non impugna il forcone e ragiona su come fare concretamente qualcosa, un’Italia che arriva sempre di più da lontano con un bagaglio culturale e di energia, che spera e costruisce, che lotta contro mille pratiche burocratiche e un sistema di comunicazione nel quale il modello positivo non fa notizia, non fa breccia.

Di Ela abbiamo parlato a Ferrara alcune settimane fa, nell’ambito del Meme. E proprio Ela è stata ricordata da Stefano Micelli, docente della Cà Foscari a Venezia e autore di quello che è diventato il testo cult: “Futuro Artigiano”, edito da Marsilio.

“Il vecchio mondo non tornerà più ma in fondo è il vecchio mondo con occhi nuovi. Perché il vecchio mondo è franato e occorre ricostruire un immaginario. Oggi viviamo questo dualismo fortissimo tra l’economia della conoscenza, rappresentata dai brevetti, dalle tutele, dal copyright, rispetto all’economia del fare dei Paesi in via di sviluppo”.

Per Micelli non può più esistere questa scissione, non ce la possiamo permettere, e stiamo perdendo tempo prezioso. “In

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cinque anni abbiamo perso il 25% della capacità manifatturiera , il comparto edilizio è franato del 38% e nel segmento automotive consumiamo con nel 1976 e produciamo le stesse cose del 1956. Non possiamo perciò riferirci a mondi passati che sono franati”. Occorre una discontinuità, e questa è data dalla narrazione, da un immaginario differente. I makers, o gli artigiani digitali, sono narratori in quanto hanno un capitalee possono proporre la cultura del racconto. “Occorre narrare, svelare i prodotti, renderli interessanti, occorre progettare un mondo diverso”..

Non solo ti racconto una storia, ma ti coinvolgo in un processo: ecco allora cheaccanto al maker c’è il maker-hub, una piattaforma digitale di co-creazione. Le idee esistevano anche in passato, oggi però vengono condivise”, afferma Stefano Maffei del Politecnico di Milano, evidenziando come esistano due elementi che connotano i cosiddetti makers:

l’idea di progetto e l’idea del fare. “E il tutto è legato nel nostro caso ad una tradizione centenaria, anche se negli ultimi anni sono gli americani ad averci fatto riscoprire questa passione del fare. Comunque in tutto questo c’è il background della nostra cultura manifatturiera. In questo le merci nuove – prodotte da imprenditori o attuatori diversi – sono in un mercato nuovo”.

L’artigiano storyteller diventa un nuovo interprete del made in Italy, e questoscenario significa prodotto interno lordo.

“Non si tratta di fare il pubblicitario, si tratta di ripensare il rapporto tra cultura e manifattura. Il vero binomio tra questi due elementi è proprio nello storytelling, anche attraverso le nuove piazze di socializzazione e le nuove dinamiche di dialogo”, precisa Micelli. Così diventa importante interagire, dialogare sulle varie reti sociali, presidiando la community.

Si può procedere per gradi, senza preoccuparsi di comprendere tutto sin dall’inizio, alfabetizzandosi nel percorso (è questo il consiglio del Craft Council). E’ preferibile adottare un

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“tone of voice” diretto, autentico, informale ma competente.

Si può iniziare ad intercettare i pubblici con una fanpage su Facebook e imparando a raccontare il proprio lavoro, le materie prime che ne sono alla base, la cura dei dettagli e la ricerca dei prodotti.

Si può fare con testi, foto e qualora si riesca anche con brevi video. Non occorrono grandi rivoluzioni, si può procedere per gradi, con pochi messaggi alla settimana, ma opera però con costanza. E poi è fondamentale andare oltre la rete, con incontri dal vivo come barcamp con artigiani o corsi di formazione in bottega. In questo modo si rafforza la community, ascoltandola e coinvolgendola in prima persona.

Perché ascolto e gratificazione sono alla base del successo in rete. E il consentire di incontrarsi di persona incrementa la fiducia. Le migliori community nascono in rete, ma si rafforzano fuori, perché ancora oggi niente è più potente di una stretta di mano.

Ecco però sette passi, sette consigli che ho raccolto proprio dalle testimonianze dei wwworkers artigiani digitalizzati.

Passo 1: costruisci una storia in rete. Racconta la tua attività in prima persona con informazioni sulla tua azienda e sui tuoi prodotti. Punta sul sito web, sui social network e su app consultabili da smartphone e tablet

Passo 2: valorizza la tua community. Crea una relazione costante e intercetta il tuo pubblico attraverso parole chiave. Dialoga con community verticali interessate ai tuoi prodotti

Passo 3: ascolta e dai il feedback. Rispondi in modo appropriato e in breve tempo. Cerca il confronto e richiedi il feedback sull’esperienza di navigazione (usabilità della piattaforma) e di acquisto

Passo 4: fai un patto tra vecchi e nuovi modelli. Continua a

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portare avanti l’attività classica, ma integra anche con la rete.

Passo 5: punta sulla rete, e credici fino in fondo. Costruisci una relazione di medio-lungo termine. In rete il risultato lo misuri nel tempo, così ha senso costruire una strategia di lungo periodo

Passo 6: affidati ai professionisti. Ad ognuno il suo mestiere. Se hai risorse daallocare, cerca professionisti dedicati per gestire le conversazioni e le vendite, provando comunque a presidiare il segmento.

Passo 7: dimostra coraggio. Pensa alla vetrina online come integrazione della tua vetrina fisica: punta con coraggio sulle foto e su descrizioni multilingua dei prodotti

Saper fare e saper comunicare. È ciò che afferma anche Hugh MacLeod, pubblicitario e anima di English Cut, vetrina della storica sartoria inglese che si racconta attraverso un blog costantemente aggiornato. Sono i nuovi “global microbrand”, così li ha definiti MacLeod, ovvero piccole grandi imprese artigiane narrate sul web. Un modo per riannodare i fili di una rete che oggi più che mai coniuga innovazione e tradizione.

GIAMPAOLO COLLETTI link all’articolo

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