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il rilascio della relativa autorizzazione da parte dell investitore devono risultare da registrazione su nastro magnetico o su altro supporto

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settembre 2002

Gestione individuale di patrimoni e conflitto di interessi: i rimedi a disposizione del cliente, di Daniele Maffeis, Ricercatore di diritto civile, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Milano (*)

L’art. 21, comma 1, lett. c) del Testo unico dell’intermediazione finanziaria di cui al d.

lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 prevede quale criterio generale nello svolgimento dei servizi che “Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”; prevede altresì l’art. 6, comma 2 del medesimo Testo unico che “La Consob, sentita la Banca d’Italia, tenuto conto delle differenti esigenze di tutela degli investitori connesse con la qualità e l’esperienza professionale dei medesimi, disciplina con regolamento (…) il comportamento da osservare nei rapporti con gli investitori, anche tenuto conto dell’esigenza di ridurre al minimo i conflitti di interessi e di assicurare che la gestione del risparmio su base individuale si svolga con modalità aderenti alle specifiche esigenze dei singoli investitori e che quella su base collettiva avvenga nel rispetto degli obiettivi di investimento dell’OICR”. L’art. 27 del Regolamento Consob 11522 del 1 luglio 1998 disciplinando la prestazione di servizi di investimento ed accessori e del servizio di gestione collettiva del risparmio detta tra le disposizioni di carattere generale la seguente norma: “Gli intermediari autorizzati vigilano per l’individuazione dei conflitti di interessi. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di affari propri o di società del gruppo, a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l’investitore sulla natura e l’estensione del loro interesse nell’operazione e l’investitore non abbia acconsentito espressamente per iscritto all’effettuazione dell’operazione. Ove l’operazione sia conclusa telefonicamente, l’assolvimento dei citati obblighi informativi e

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il rilascio della relativa autorizzazione da parte dell’investitore devono risultare da registrazione su nastro magnetico o su altro supporto equivalente”. L’art. 45 del Regolamento prevede poi una serie di limitazioni all’operatività della norma di cui all’art.

27 subordinate alla condizione che per le operazioni descritte la natura dei singoli conflitti sia descritta nel contratto e che l’investitore le abbia espressamente autorizzate nel contratto medesimo ed entro limiti percentuali del portafoglio del singolo cliente.

Occorre distinguere a seconda che l’operazione di cui si tratta sia stata posta in essere dal soggetto abilitato ricorrendo in via esclusiva i seguenti presupposti:

a) una situazione di conflitto di interessi che il soggetto abilitato avrebbe potuto evitare (ad esempio, eliminando la clausola relativa alle commissioni di movimentazione);

b) una situazione di conflitto di interessi della quale il cliente non era stato informato;

c) quando il cliente era stato informato della situazione di conflitto di interessi, ma non aveva dato l’autorizzazione;

d) quando il cliente era stato informato della situazione di conflitto di interessi, aveva dato l’autorizzazione, ma l’operazione è contraria all’interesse del cliente in ragione dell’incidenza del conflitto di interessi.

Nel caso sub a) il cliente non dispone di alcun rimedio; si tratta di un aspetto organizzativo governato dalle prescrizioni normative o dagli interventi della Consob, che non incidono sui reciproci diritti ed obblighi delle parti, ed infatti, le Comunicazioni della Consob non sono vincolanti (ma i soggetti abilitati che seguono le prescrizioni della Consob possono essere premiati sul piano della concorrenza), mentre, quanto ai Regolamenti, la disciplina in essi dettata rinvia alla prescrizione della necessaria informazione e della conseguente autorizzazione.

I casi sub b) e c) devono essere analizzati in maniera unitaria.

Sia che il soggetto abilitato abbia informato il cliente, sia che il cliente, informato, non abbia dato l’autorizzazione, siamo di fronte ad una violazione sia della normativa primaria (violazione dell’obbligo di assicurare al cliente trasparenza) sia della normativa secondaria (mancata informazione e/o autorizzazione), mentre non siamo di fronte ad una lesione dell’interesse del cliente, perché l’interesse del cliente è leso, non già se egli non è stato informato o se l’operazione è stata eseguita senza la sua autorizzazione, bensì (soltanto) se l’operazione è contraria al suo interesse. Occorre quindi distinguere tra il caso in cui l’operazione che non è stata preceduta dall’informazione o dall’autorizzazione è contraria all’interesse del cliente, ed il caso in cui essa è invece rispondente all’interesse del cliente. In questo secondo caso, è, a mio avviso, l’interesse pubblico alla trasparenza

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dei servizi finanziari, ed alla connessa esigenza di efficienza dello stesso, ad essere stato leso. La violazione delle norme che dettano, a presidio della trasparenza, prescrizioni organizzative e comportamentali comporta l’applicazione di una sanzione sul piano del rapporto contrattuale inter partes. Che la violazione porti con sé una sanzione si capisce benissimo, perché un sistema nel quale non si osservassero e non si sanzionassero le regole di trasparenza sarebbe un sistema che non incentiva il risparmio, mentre la legge tutela, ed incentiva, il risparmio. Ecco, dunque, che se l’operazione è conclusa senza previa informazione o senza autorizzazione l’ordinamento reagisce, a mio avviso, con il rimedio che, sul piano contrattuale, è quello posto a presidio dell’ordine pubblico economico, secondo le regole generali del sistema civilistico, e cioè con il rimedio della nullità. Il contratto concluso dal soggetto abilitato senza previa informazione o senza previa autorizzazione è nullo, perché illecito, in quanto contrario a norme imperative che rispondono all’esigenza, di ordine pubblico, di trasparenza dei servizi finanziari, anche se non contrario all’interesse del cliente. Non si tratta di nullità relativa, perché non si tratta della violazione di norme poste a tutela dell’interesse privato del cliente investitore, bensì di nullità assoluta, perché dipendente dalla violazione di norme poste a tutela dell’esigenza di ordine pubblico alla trasparenza dei servizi finanziari.

Se il contratto non è contrario all’interesse del cliente, alla nullità del contratto non segue alcun risarcimento del danno a favore del cliente. Solo se il contratto concluso senza informazione o autorizzazione è contrario all’interesse del cliente, entra in gioco la violazione dell’interesse privato di questi, e, con essa, un rimedio appropriato alla lesione di interessi privati, rimedio che si aggiunge a quello della nullità assoluta; e che passiamo ad analizzare esaminando il caso sub d).

Nel caso sub d), che è il caso in cui il contratto è contrario all’interesse del cliente, il rimedio si aggiunge a quello della nullità assoluta, se il cliente non era stato informato oppure non aveva dato l’autorizzazione, mentre opera in via esclusiva, se le prescrizioni della normativa regolamentare dettate per assicurare al cliente trasparenza erano state osservate.

Il rimedio idoneo per il caso sub d) è quello proprio del caso in cui viene violato l’interesse del dominus, e cioè, per i casi di agire in nome (cfr. art. 21, comma 2 d.lgs.

58/98), l’annullamento del contratto ai sensi degli artt. 1394, 1395 cod.civ., e comunque il risarcimento del danno, e ciò anche se il contratto è stato concluso a seguito di informazione ed espresso consenso del cliente

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Il giudizio di nullità o annullamento, e di risarcimento del danno, si atteggia, con specifico riguardo alla ripartizione dell’onere della prova, in maniera speciale, in ragione dell’esistenza di norme speciali dettate dal Testo Unico e dal Regolamento di attuazione in materia.

La norma di cui all’art. 23, comma 5 d.lgs. 58/98 dispone che “Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”; la norma sostituisce le parole “con la specifica diligenza richiesta” alle parole “con la diligenza del mandatario” contenute nel corrispondente art.

13, comma 10 della legge 2 gennaio 1991, n. 1.

La norma di cui all’art. 28, comma 5 del Regolamento Consob 11522 del 1998 dispone che “Gli intermediari autorizzati mettono sollecitamente a disposizione dell’investitore che ne faccia richiesta i documenti e le registrazioni in loro possesso che lo riguardano, contro rimborso delle spese effettivamente sostenute”; lo stesso Regolamento Consob all’art. 59, comma 3 dispone che “Gli intermediari autorizzati (…) trattano i reclami ricevuti in modo sollecito; l’esito finale del reclamo, contenente le determinazioni dell’intermediario, è comunicato per iscritto all’investitore, di regola, entro il termine di 90 giorni dal ricevimento”.

La prima norma riguarda la ripartizione legale dell’onere della prova, fra il cliente attore e l’intermediario abilitato convenuto, nei giudizi di risarcimento. Tra i giudizi di risarcimento da essa disciplinati quanto alla ripartizione dell’onere della prova rientrano sicuramente i giudizi di risarcimento dei danni dipendenti dalla violazione da parte del soggetto abilitato del dovere di assicurare al cliente, nelle situazioni di conflitto di interessi, equo trattamento, cioè cura del suo interesse. Le norme regolamentari consentono al cliente, anche quando ha trascurato di conservare dettagliatamente rendiconti e documentazione contrattuale, di recuperare - benché non celermente (“di regola” 90 giorni) - copia della documentazione contrattuale. Le norme regolamentari, dettate dalla Consob, hanno come scopo quello di consentire al cliente, in qualsiasi momento, di ricevere una risposta scritta dal soggetto abilitato ad un proprio reclamo (di norma entro 90 giorni, art. 59, comma 3 Regolamento Consob 11522/1998) e – a mio avviso, al massimo entro lo stesso termine di 90 giorni – di ricevere documenti e registrazioni che lo riguardano (art. 28, comma 6 Regolamento cit.). Il soggetto abilitato che decida di non dare seguito al reclamo di un cliente il quale chiede che egli prenda posizione e comunichi le sue determinazioni ed invii documentazione e registrazioni pone

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in essere gravi violazioni e pertanto è soggetto agli interventi della Consob, disciplinati dal Testo Unico.

Il cliente il quale, prima di instaurare il giudizio di responsabilità, proponga rituale reclamo e richieda documenti e registrazioni offrendosi di rimborsare le spese, può disporre, nel momento in cui instaura il giudizio di responsabilità, non solo di una presa di posizione scritta dell’intermediario, bensì anche di elementi documentali (in senso ampio) sufficienti per fornire la prova del contratto intercorrente tra il cliente ed il soggetto abilitato e dell’esistenza, del contenuto e del risultato dell’operazione o delle operazioni che il cliente assume essere fonte del danno del quale chiede il risarcimento.

Se l’intermediario non consegna la documentazione, il cliente può ottenere in giudizio la condanna dell’intermediario alla consegna degli stessi.

Sulla base della documentazione, il cliente può adempiere all’onere che incombe su di lui, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 2697 cod.civ., da non intendersi a questo riguardo derogata, della prova dell’esistenza del contratto con il soggetto abilitato convenuto, nonché dell’esistenza, del contenuto e del risultato dell’operazione o delle operazioni che si assumono dannose, nonché per conseguenza, l’onere della prova del danno che egli assume di avere subito e del nesso causale con l’attività dell’intermediario. In questo senso appare orientata la giurisprudenza di merito, la quale ha statuito che spetta al cliente di provare “il pregiudizio economico nonché il rapporto causale fra il danno e l’attività dell’intermediario, spettando poi al(l’intermediario) dimostrare di aver osservato una condotta conforme agli standard di diligenza del mandatario”. Ne discende che è sottratto al cliente l’onere della prova dell’inadempimento, e qui gioca il suo ruolo più pregnante la disciplina speciale, che inverte l’assetto dell’onere della prova sancito dalla regola generale di cui all’art. 1218 cod.civ.

Si tratta ora di verificare quali siano i temi di prova del giudizio di risarcimento del danno che, per legge, non spettano al cliente, alla stregua della regola generale di cui all’art.

2697 cod.civ., bensì spettano al soggetto abilitato.

Spetta all’intermediario di fornire la prova di avere osservato le prescrizioni di legge, in particolare le prescrizioni di cui all’art. 21 e di averle osservate “sia da un punto di vista formale sia sostanziale”.

Poiché il danno corrisponde, in materia di conflitto di interessi, al danno derivante al dominus dall’incidenza dell’interesse in conflitto, un’operazione apparentemente vantaggiosa per il cliente può essere in realtà contraria al suo interesse, perché conclusa

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in una situazione di conflitto di interessi a condizioni che riflettono la cura dell’interesse in conflitto. Se ciò è vero, il problema della prova del conflitto e del danno non riguarda soltanto le operazioni apparentemente contrarie all’interesse del cliente, bensì riguarda anche le operazioni che apparentemente non danneggiano il cliente. Per le prime come per le seconde il cliente ha bisogno di provare che c’era una situazione di conflitto di interessi e che l’intermediario non gli ha assicurato un equo trattamento, id est non ha curato il suo interesse; parimenti il cliente si trova sempre nella difficoltà di provare il quantum del danno, la quale è inscindibilmente legata all’interesse.

Per il cliente il problema di conoscere il conflitto di interessi, di fornirne la prova, di fornire la prova del danno, si può dire risolto dalla legge con la previsione legale dell’obbligo di trasparenza (art. 21, comma 1, lett. c) T.U. dell’intermediazione finanziaria) che si traduce nel dovere prescritto dalla normativa secondaria di informare preventivamente l’investitore sulla natura e l’estensione dell’interesse, diretto o indiretto, in conflitto (art. 27, comma 2 del Regolamento Consob 11522 del 1998). Adempiute queste formalità, l’intermediario mette il cliente nella condizione di esercitare i propri diritti, non soltanto, se del caso, acconsentendo espressamente all’effettuazione dell’operazione nella situazione di conflitto, bensì anche controllando, poi, se l’operazione medesima è stata o non è stata effettuata assicurando al cliente equo trattamento.

L’importanza dell’adempimento da parte dell’intermediario agli obblighi di trasparenza si manifesta anche sotto siffatto profilo – cioè sotto il profilo della possibilità da parte del cliente di conoscere e provare le circostanze rilevanti al fine dell’eventuale annullamento del contratto per conflitto di interessi, e del risarcimento del danno – confermando l’ineludibilità della drastica sanzione della nullità assoluta del contratto, quando, in situazioni di conflitto di interessi, l’intermediario non ha adempiuto agli obblighi di informazione funzionali all’obbligo primario di trasparenza.

Se, per converso, siffatti doveri non sono adempiuti; se dunque il cliente non conosce la situazione di conflitto di interessi e non è in grado di valutare se il contratto sia stato concluso a condizioni contrarie al suo interesse in dipendenza dell’incidenza di un interesse in conflitto; in questi casi, a mio avviso il cliente può soltanto lamentare una gestione infedele nei casi in cui il risultato dell’operazione gli appare contrario al proprio interesse, ma ciò all’infuori dell’incidenza di una situazione di conflitto di interessi.

In questi casi, la disciplina speciale dell’onere della prova, la quale fa ricadere sull’intermediario l’onere della prova di avere agito con la specifica diligenza richiesta,

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non può, a mio avviso, giovare al cliente, per l’estrema facilità per l’intermediario di nascondere una situazione di conflitto di interessi ignota al cliente.

L’onere della prova dell’esistenza di una situazione di conflitto di interessi incombe sempre sul cliente. Se l’intermediario gli aveva resa nota la situazione, mediante l’informativa, il cliente adempie all’onere della prova utilizzando le stesse informazioni scritte fornitegli dall’intermediario. Se invece l’intermediario non gli aveva resa nota la situazione, il cliente non può ottenere alcun annullamento o risarcimento del danno.

L’onere della prova, di avere agito con la specifica diligenza richiesta, opera, per l’intermediario, una volta che sia provata la situazione. E’ a questo punto, a mio avviso, che la regola speciale in materia di onere della prova, dettata dall’art. 23 comma 6 del Testo Unico dell’intermediazione finanziaria, sprigiona, nella materia del conflitto di interessi nell’intermediazione finanziaria, una vigorosa deroga alla disciplina che in via generale presiede alla ripartizione dell’onere della prova in materia di conflitto di interessi. Una volta che sia provata la situazione di conflitto di interessi, spetta all’intermediario fornire la prova che l’interesse in conflitto non ha inciso sull’operazione effettuata. In ciò si traduce l’onere in capo all’intermediario di fornire la prova di avere agito con la specifica diligenza richiesta: nell’onere di provare che l’operazione è tale e quale sarebbe stata – in quelle condizioni di mercato – se non ci fosse stata la situazione di conflitto di interessi.

Ma vi è di più: l’intermediario deve provare – proprio questo, del resto, è ciò che prevede la lettera dell’art. 26, comma 6 del Testo Unico dell’intermediazione finanziaria – di avere agito con la specifica diligenza richiesta, e così di avere effettuato l’operazione con diligenza professionale identica a quella che caratterizza le operazioni poste in essere all’intermediario al di fuori di situazioni di conflitto di interessi. Particolarmente rigorosa deve essere la prova fornita dall’intermediario, ogni volta che il conflitto di interessi dipenda dalla circostanza che lo stesso intermediario appartiene ad un gruppo oppure esercita più attività di intermediazione, cioè si trova in una situazione di conflitto di interessi di natura oggettiva e non ragionevolmente evitabile.

La misura del danno che deve essere risarcito al cliente, da determinarsi secondo il criterio differenziale dell’interesse positivo, può variare in dipendenza dell’atteggiarsi del conflitto di interessi nei singoli casi di specie.

Se, in un contratto di gestione, l’intermediario conclude un contratto contrario all’interesse del rappresentato perché ha un interesse - che si pone in conflitto con l’interesse del cliente - all’andamento di determinati titoli, il danno si può determinare

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con una comparazione fra i risultati ottenuti e quelli che si sarebbero potuti ottenere operando su titoli diversi, aventi caratteristiche simili a quelli che hanno costituito oggetto del contratto.

Particolarmente interessante, nel contratto di negoziazione ed in quello di ricezione e di trasmissione di ordini , è il caso in cui l’intermediario, il quale ha l’obbligo di eseguire gli ordini dei diversi clienti nei modi e nei tempi imposti dalla disciplina legislativa e regolamentare, non rispetta la priorità di tempo ed i tempi ed i modi imposti, allo scopo di avvantaggiare un cliente in danno di un altro.

In simili casi a mio avviso il parametro di riferimento per determinare il risultato al quale il cliente aveva diritto - al fine di raffrontarlo con il risultato ottenuto così determinando il danno risarcibile nella misura della differenza tra l’uno e l’altro - non può essere quello, proprio del contratto di gestione, consistente nel risultato che un’operazione di quel genere avrebbe potuto avere in quella situazione. Difatti, l’operazione che l’intermediario, adempiendo in pieno alle proprie obbligazioni, avrebbe dovuto eseguire, non è un’operazione ipotetica, ma è un’operazione reale, ed è quell’operazione che doveva essere eseguita seguendo l’ordine cronologico ed i modi e tempi prescritti dalla legge, e che l’intermediario ha - effettivamente - eseguito, ma ha eseguito imputandola ad un diverso cliente.

Ne discende che il cliente vittima del conflitto di interessi ha, in tal caso, diritto alla differenza tra la minor somma corrispondente al risultato della diversa operazione imputata a lui, e la somma maggiore corrispondente al risultato della diversa operazione imputata al cliente avvantaggiato. Una simile soluzione, del resto, si trova affermata in tema di mandato, quando si sostiene che nel mandato ad acquistare è ammissibile un risarcimento consistente nell’obbligazione del mandatario di trasferire al mandante la proprietà del bene acquistato per conto proprio quando il mandante abbia “compiuto un atto obbiettivamente conforme all’oggetto del mandato ma insuscettibile di essere considerato atto gestorio in quanto posto in essere dal mandatario stesso per la cura di un interesse proprio anziché del mandante”: si tratta di un risarcimento in forma specifica.

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(*) L’articolo rappresenta una sintesi del paragrafo (n. 3, cap. VI intitolato “Gestione individuale di patrimoni e conflitto di interessi”) contenuto nella monografia dell’Autore dal titolo “Conflitto di interessi nel contratto e rimedi”, Giuffrè, Milano, 2002.

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