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È IL BUDDHISMO UNA RELIGIONE 0 UNA FILOSOFIA?

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Academic year: 2022

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Discorso del prof. Carlo Form ichi

È IL BUDDHISMO UNA RELIGIONE 0 UNA FILOSOFIA ?

La questione se il Buddhismo debba essere considerato come una religione o una filosofia, potrebbe essere subito troncata e risolta, sol che altri facesse appello alla storia e alla consuetudine.

Il Buddhismo è stato sempre considerato come una delle religioni dell’ umanità, e per tale figura pur sempre nel- r ultima statistica del 1907, dalla quale apprendiamo che sulla terra accanto a 94000 Parsi, a 2,195,000, Sikh, a 11,000,000 di Ebrei, a 572,000,000 di Cristiani, a 220,000,000 di Indu, a 260,000,000 di Maomettani, a 170,000,000 di feti­

cisti, etc., professano la religione del Buddha ben 450,000,000 di uomini.

D’altra parte se apriamo qualunque trattato un po’ ampio e completo di una storia della filosofia, troveremo certa­

mente un capitolo dedicato al Buddhismo, e percorrendo le opere di Arturo Schopenhauer c’ imbatteremo di continuo in riferimenti, citazioni, accenni alla dottrina di Gautama Buddha.

Vi ha dippiù. È connaturato a noi altri popoli occiden­

tali di non potere concepire una religione qualsiasi senza un Dio. Poco importa se Dio venga posto füori o dentro T Universo, sia differente dall’ Universo o costituisca l’ Uni­

verso ; certo è che secondo noi una religione senza Dio non è più una religione. E il Buddhismo appunto non ammette Dio, e dovrebbe chiamarsi una religione atea: ciò che suona ai nostri orecchi una vera e propria contraddizione nei termini.

Caratteristica d’ogni religione è pure l’ essenza, ottimi­

stica della credenza o della dottrina. Fausto è sempre l’epi­

logo della Bibbia o del Corano, dei cinque King o dei quattro Schu, del Ved a o dell’A v e st a. Nel Buddhismo invece alita uno spirito di pessimismo non mai smentito e il Sommo Bene si riduce al sottrarsi che l’uomo fa al dolore recidendo

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le radici di ogni desiderio ed estinguendo qualunque ombra di egoismo. Nè mi si venga a dire che anche qui si tratta di un fausto epilogo; chè cosi non ci s’ intenderebbe più nei termini ed ogni ragionamento diventerebbe vano. Siamo avvezzi e dobbiamo essere avvezzi a chiamare pessimistica la dottrina che ammette come unica e sola realtà il dolore e come unica e sola ricompensa alla m assim a virtù, al massimo sforzo dell’ uomo, il sottrarsi puramente e sempli­

cemente al dolore.

Se chiamassimo ottimistica la dottrina del Buddha, di grazia dove e come dovremmo classificare il Cristianesimo o il Maomettanismo che promettono al virtuoso la conti­

nuazione della individualità, il regno dei cieli, l’eternità di godimenti positivi ? Nel filosofare è sommamente impor­

tante di non mutare il valore che siamo usi dare alle parole, altrimenti ogni argomentazione, diventa impossibile, manca ogni base al dibattito, e vince nella discussione chi ha più fiato, non già chi ha più ragione. Certo i vocaboli mutano e debbono mutare di valore quando il punto di vista cambia ; ma occorre allora avvertire che il punto di vista appunto è cambiato e che ai vocaboli diamo un nuovo, temporaneo, convenzionale significato il quale non distrugge certo il valore che essi hanno e sempre avranno normalmente. Così ad es.

l’atto della madre la quale, per salvare il suo bambino caduto nel fiume, si slancia nella corrente e vi trova la morte, è un atto di a ltru ism o ; mentre chiameremo egoi­

smo, ed è infatti egoismo, il prevalere dell’istinto alla vita in quell’altra madre, la quale, vedendo che il suo bambino perisce nel fiume, non ha il coraggio di gettarsi nell’acqua, e si limita a gridare e ad invocare soccorso. Ma se consi­

deriamo l’egoismo in senso più lato e chiamiamo egoistica qualunque azione soddisfi il nostro temperamento ed ubbi­

disca ai moventi che maggiore efficacia esercitano su noi, l’eroica madre che sacrifica la propria vita in pro del figlio diventerà egoistica. Del pari, si potrebbe chiamare ottimi­

stico il Buddhismo in senso assai lato, e cioè tenendo pre­

sente che, date le convinzioni del buddhista sulla vita, il nirvàna, ossia lo stato in cui 1’ uomo si libera definitiva­

mente dal dolore, valga il premio promesso da qualunque altra religione, assicuri anche alla dottrina del Buddha un lieto fine e dimostri che l’uomo, per quanto faccia e neghi e ragioni, è portato da natura fatalmente all’ottimismo. Chi non vede che il punto di vista è cambiato e che noi non si considera più il Buddhismo nella storia e in relazione alle altre religioni dell’umanità.

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Dunque, il sacrificio della propria vita per un altro essere, sia anche questo a noi carissimo, è e deve esser sempre considerato come un atto altruistico ; e cosi pure la dottrina che nega Dio, afferma che l’essenza della vita è dolore e promette come m assim a ricompensa il non soffrire, finisce cioè con un concetto negativo, è e deve essere sempre con­

siderata come pessimistica.

Da quanto abbiamo detto risulta evidente che ad onta il Buddhismo figuri tra le religioni dell’ umanità, è pure lecito chiedersi : o perchè non chiamarlo piuttosto una filo­

sofia poi che di una filosofia esso ha tutti i caratteri e di una religione, si può dire, nessuno?

A risolvere tale questione è anche necessario stabilire di quale buddhismo si intenda parlare. Per non uscire dai oonfini dell’ India, sappiamo che si fa distinzione, poco im­

porta con quanta esattezza e proprietà nella terminologia, tra un Buddhismo del sud e un Buddhismo del nord. Il primo ci è conservato nei cosiddetti libri canonici redatti in pàlico, e rappresenta, secondo affermano gli ultimi risul­

tati degli studi, la tradizione più antica e genuina. A vo­

lerci fermare a questi testi, più che mai si è costretti a negare al Buddhismo il carattere di una vera e propria religione. A prescindere che il sistem a è ateo e pessimistico e manca d’ogni pratica di culto, esso si riduce ad una pura disci­

plina etica, in quanto che e al laico e al monaco si limita a predicare che la vita è dolore, radice del dolore è il .desi­

derio, è sradicato il dolore quando è sradicato il desiderio e il desiderio si sradica vivendo in tutto e per tutto una vita retta nel pensiero, nella parola e nell’ azione. In una condotta onesta, nel conservare la propria anima monda d’ ogni pec­

cato consiste sostanzialmente il Buddhismo dei primi tempi.

I sottili ragionamenti sui dodici Nidàna o basi fondamen­

tali dell’esistenza, le disquisizioni sulla esistenza o non esi­

stenza dell’anima, le meditazioni su questo e quello argo­

mento per purificare e sublimare l’anima, fanno anche parte della vita del perfetto buddhista e più che mai servono a conferirgli le caratteristiche del filosofo, a sottrargli quelle dell’uomo religioso nel senso che noi diamo appunto a que­

sta espressione. Nell’ India stessa che è il paese nel quale religione e filosofia più si compenetrano e quasi si confon­

dono, il movimento intellettuale iniziato da Gautama Bud­

dha non volle da principio sostituirsi alla religione dello Stato, nè rivaleggiare con essa. Anche prima del Buddha numerosi erano stati nell’India i saggi, i quali ritirandosi nelle selve, a menarvi vita ascetica, avevano affermato che la salute dell’anima non è già riposta nel venerare gli dei

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e praticare i sacrifìci, m a nella speculazione (Jhdna). Che altro sono le Upanishad se non il prodotto spirituale di tutti questi antichi bràhmani anteriori al.B uddha, i quali insoddisfatti di fare i preti officianti, diventavano veri e propri filosofi Î La religione restava quella che era, il Veda non perdeva la propria autorità; solo che sopra alla reli­

gione popolare, sopra al Veda, si affermava esistere una vita spirituale più alta, confacentesi solo a pochi eletti, piena di sicure conquiste e di vittorie sull’ ignoranza, sulla illusione (indyà). Il Buddha trovò dunque la vita già trac­

ciata da questi pochi eletti bràhmani, e al pari di costoro, senza venire in contrasto con la tradizione religiosa, pre­

dicò che la salvezza consisteva nella rinunzia a tutto e in una regola di condotta austera quanto altra mai. Innova­

tore fu il Buddha soltanto in due punti: nel fondare cioè una società, un vero e proprio sodalizio di asceti in con­

trapposizione ai numerosi si m a indipendenti e disseminati bràhmani filosofi; e anche nell’ammettere in quel sodalizio uomini appartenenti in prevalenza al ceto dei guerrieri. Per quanta fortuna avesse la predicazione del Buddha, essa tut­

tavia fece nei primi tempi soltanto un numero limitato di proseliti e restò confinata nella provincia di Bihar. Non è dunque lecito parlare di una religione buddhistica quando altri si riferisca ai primi secoli nei quali fu fondata e pre­

dicata la nuova dottrina.

Durante il regno di Açoka, che dal 272 fino al 231 av.

C. resse lo scettro dell’India, il Buddhismo si propagò nel Guzarat, nell’Afghanistan, nel Kashmir, nel Nepal, nelle provincie meridionali dell’ India e nell’ isola di Ceylon, la quale ultima doveva in seguito diventare il centro princi­

pale della più antica e genuina dottrina del fondatore.

Quando il Buddhismo varcò i confini della patria d’ori­

gine e fu dai missionari, spediti da Açoka, importato nelle provincie del nord, dovè necessariamente adattarsi alle esi­

genze del nuovo ambiente. Nel Penjab e nello Afghanistan il Buddhismo venne a trovarsi in contatto con la coltura greca, la quale sotto Alessandro e i suoi successori aveva messo salde radici in quei paesi. Seguirono i regni degli Sciti. Questi abbracciarono la coltura greca e la dottrina del Buddha. Fu appunto allora che il Buddha cominciò ad essere adorato come un Dio e grandi e sontuosi templi fu­

rono edificati e processioni, pellegrinaggi, cerimonie e riti si andarono moltiplicando e un ricco pantheon popolato di Buddha e di Bodhisattva si formò via via a contentare la fantasia e gl’istinti religiosi delle nuove popolazioni. Da un semplice e puro sistem a di etica si passa ad un compii-

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cato organismo di credenze e di riti, dallo Hlnayána al Mahâyâna, dal Buddhismo del Sud a quello del nord. Que­

sto buddhismo del nord si ritrova appunto nel Tibet, nella Cina, nel Giappone, nella Manciuria e nella Mongolia.

A voler stare a questi dati storici, la questione se il Buddhismo sia una religione o non già piuttosto una filo­

sofìa, andrebbe risolta cosi : il Buddhismo del sud, lo Hlna­

yána, non può chiamarsi una religione ed è un mero sistema di etica; invece il Buddhismo del nord, come quello che fa una cosi larga parte alle pratiche del culto, ai bisogni insiti nel popolo a deificare e a adorare, all' elemento mitico e soprannaturale, sembra portare in sè i caratteri comuni alle altre religioni ed essere veramente una religione.

Ma non bisogna esagerare. Tra Buddhismo del nord e Buddhismo del sud le differenze non sono sostanziali m a formali. Uno dei più insigni testi del Buddhismo del nord è certamente il Buddhacarita, una biografia leggendaria del­

l’Eccelso scritta da Açvaghosha in sanscrito ed in forma metrica e classica per eccellenza. Açvaghosha fu contem­

poraneo di Kanishka (125-152 d. C.) ed è noto nella tradi­

zione quale poeta e patriarca del Buddhismo. Speciali cure sono state da me dedicate in questi ultimi anni al Buddha­

carita, e dallo studio di questo poema ho acquistato la per­

suasione, che non sia poi lecito considerare il Mahâyâna come una forma di Buddhismo sostanzialmente diversa da quella che ritroviamo nei testi canonici dello Hlnayána. La stessa antica e genuina dottrina di Çâkyamuni riappare tra le fantasmagorie delle quali si circonda la nascita del Beato, tra gli ornamenti leggendari dei quali si ama fregiare la giovinezza di lui, tra i continui interventi degli dei, degli Yàksa, dei Serpenti e di altri esseri mitologici che invisi­

bili ora sostengono il parasole sul bambino straordinario venuto al mondo, ora inviano al giovane Siddhàrtha le quattro visioni del vecchio, del malato, del morto e del mo­

naco, ora gli mandano la veste giallo-rossiccia che deve indossare in vece del manto reale, ora esultano perchè il Beato si è accinto a meditare, ora annunziano a Màra la sconfitta e celebrano la vittoria del Salvatore delle genti etc. Sono questi fregi poetici che in nulla alterano la so­

stanza della dottrina e non costituiscono quel nucleo di idee e di sentimenti propri della religione, come ad es. la fede in un Dio creatore e padrone di tutte le cose, l’immortalità dell’anima, l ’efficacia della preghiera etc. etc. Dal Buddhi­

smo del nord, in altri termini, non è possibile trar fuori una teologia, quando altri lo sfrondi di tutti gli elementi mitologici e degli altri ornamenti poetici sovrappostisi via

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via con l’andare del tempo e per necessità di adattamento al nuovo ambiente. Spogliate invece il Brahmanesimo o il Cristianesimo della parte formale, liturgica, mitica, fanta­

stica, e otterrete senz’altro una teologia. Il Buddhismo del nord rimane dunque pur sempre un sistema di etica sulle basi del più radicale pessimismo e più che una religione deve considerarsi come una filosofia. E a dimostrar vera questa tesi soccorre anche un altro fatto molto caratteri­

stico. Circa 61 anni d. C. il Buddhismo del nord fu intro­

dotto nella Cina, ed in Cina esso visse e fiorì accanto e parallelamente a due altre dottrine, a quella di Lao-tse e a quella di Kong-fu-tse. Ognuna di queste religioni ha i suoi propri sacerdoti e templi, m a il popolo non è come da noi seguace di una sola delle tre, talché il professare la dot­

trina di Kong-fu-tse non esclude che si professi anche quella di Lap-tse o di Buddha. Anzi il cinese, sempre che in casa gli occorra un evento doloroso e luttuoso, suole far capo al monaco buddhista, e ricorre invece ai sacerdoti di Kong- fu-tse quando ha da solennizzare qualche fausta cerimonia.

Non è questa una prova evidente che il Buddhismo è insuf­

ficiente a rispondere alle esigenze del sentimento religioso e mira a soddisfare più la ragione che il cuore?

È certamente un fatto storico del più alto interesse il sorgere e svilupparsi della dottrina del Buddha entro i con­

fini dell’India. Emanuele Kant affermò che l’avvenire della religione sia per essere e debba essere uno solo: che essa si liberi da ogni rito e pratica di culto, da ogni supersti­

zione, da ogni elemento fantastico e si trasformi in una pura morale la quale sostituisca al tempio sontuoso la retta coscienza dell’uomo, alla preghiera la buona azione, ai sim­

boli e alle dottrine che solleticano l’egoismo i precetti della illuminata ragione. Questa religione che suole chiamarsi dell’avvenire è invece già entrata nel dominio della storia, e il Buddhismo è una religione solo nel senso che appunto suole attribuirsi alla espressione : « religione dell’avvenire ».

Discussione sul discorso del prof. 0. Form ichi

Prof. L. Valli. — Le ragioni con le quali il prof. Formichi escluderebbe il Buddhismo dal novero delle religioni non mi persuadono. Anzitutto è difficile il fare tra filosofia e religione una distinzione molto netta, ma in ogni modo non

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