• Non ci sono risultati.

LA FORMAZIONE DEL PERSONALE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "LA FORMAZIONE DEL PERSONALE"

Copied!
6
0
0

Testo completo

(1)

LA FORMAZIONE DEL PERSONALE

Dott. Federico Raos

Dirigente Area Affari generali e Patrimonio e Area della Formazione

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’INSUBRIA

(2)

La formazione del personale

Buongiorno.

Ringrazio il Comitato Pari Opportunità per avermi lanciato una sfida che mi ha costretto a fermarmi, distogliermi parzialmente dalla quotidianità del lavoro e riflettere: sono occasioni rare ma sempre gradite.

Riflettere sulla formazione in una sede universitaria non è cosa da poco e il rischio, per chi come me non è un formatore e non si occupa direttamente di formazione, è quello di dire cose forse scontate: per questo ho scelto di offrire alla nostra riflessione un contributo del tutto personale, sul- la base dell’esperienza professionale che ho maturato in questi anni.

Perdonate quindi le inevitabili imprecisioni “scientifiche” e permettetemi invece due aneddoti per introdurre il mio ragionamento.

Il primo: quando iniziai a lavorare all’Università ebbi un significativo colloquio con l’allora Direttore Amministrativo dell’Università di Pavia, Gesuino Piga, che mi disse, tra l’altro: si ricordi sempre che lavorare in Università è molto più impegnativo e difficile che in qualsiasi altro ente pubblico, perché l’utente meno qualificato con cui avrà a che fare è come minimo uno studente universitario. Non è esattamente così, lo sappiamo, ma il senso era: cerchi di essere sempre all'altezza e di non smet- tere mai di studiare.

Il secondo: una delle tante domande che mi rivolse Ines Fabbro, oggi Direttore Amministrativo nell’Università di Siena, nella prova orale del concorso da dirigente a cui ho partecipato un paio di anni fa era “quali azioni intraprendere per favorire il cambiamento nelle organizzazioni”. Dopo una breve esitazione, in parte dettata dall’emozione del momento, mi sono buttato sulla formazione.

La risposta, fortunatamente, era quella giusta: il cambiamento, soprattutto in un contesto frammen- tato, incerto ed in continua e frenetica evoluzione come quello in cui lavoriamo, richiede un'atten- zione speciale per tentare di governarlo, deve essere accompagnato ed aiutato in modo adeguato.

Cioè, prima di tutto, investendo tempo e risorse sulla formazione e sulla costante crescita umana e professionale di noi tutti.

Partiamo allora da alcuni punti, forse scontati e di buon senso, ma che è bene ribadire prima di addentrarsi in altri ragionamenti e sul presupposto che la formazione non può essere un’attività au- toreferenziale, ma deve inserirsi e coordinarsi in un quadro organizzativo organico, dove:

(3)

La formazione del personale

• sia chiaramente delineata la strategia dell’ente;

• siano chiari e formalizzati ruoli e responsabilità di individui e strutture;

• sia programmata all’interno di un piano pluriennale di ampio respiro, anche culturale, fina- lizzato a favorire percorsi personali e professionali, di crescita, a colmare lacune, stimolare l’innovazione e supportare il cambiamento;

• sia percepita come un investimento, sia dell’individuo che dell’organizzazione, destinato ad accompagnare la lavoratrice/il lavoratore in tutte le fasi della vita professionale;

• sia intelligentemente attenta alle differenze affinché queste diventino un fattore di succes- so, un valore aggiunto dell’organizzazione e non un ostacolo o un fattore di frustrazione (penso al rientro dalla maternità cui non avevo pensato fino alla lettura delle risultanze del questionario del CPO) ;

• infine, davvero senza polemica e pur consapevole del rischio di attirarmi qualche critica, ri- guardi tutto il personale, non solo tecnico e amministrativo ma, quando assume responsa- bilità e incarichi gestionali, anche docente: personalmente ritengo che i docenti ed i ricerca- tori dovrebbero concentrare tutte le loro energie per fare al meglio i docenti ed i ricercatori.

In un mondo ideale noi del personale t/a dovremmo infatti essere talmente bravi e profes- sionali da far sì che i docenti non sentano la necessità di occuparsi in prima persona della gestione. Oggi ancora a volte così non è : ma poiché comunque fare il preside o il direttore di dipartimento è una libera scelta, nel momento in cui ci si rende disponibili per un incarico bisogna anche accettare di imparare a farlo. La responsabilità gestionale, quando è vera responsabilità, presuppone e richiede professionalità e tutti devono avere la capacità di mettersi serenamente in discussione e di accettare il proprio limite. Senza guardare ad altri paesi europei dove questa idea è consolidata e indiscussa, gli esempi e le esperienze, an- che in Università italiane, non mancano. Quando poi il responsabile di una struttura deve valutare il personale e questa valutazione ha riflessi economici importanti, è giusto atten- dersi che il valutatore, sia egli un tecnico, un amministrativo o un docente, abbia gli stru- menti per farlo nel modo più equo e corretto possibile: non bastano purtroppo il buon senso e l’esperienza maturata con l’insegnamento.

In attesa di diventare un ateneo di eccellenza anche per questi aspetti (attenzione, abbiamo solo dodici anni di vita e dobbiamo concederci il tempo necessario), la domanda da porsi è: intanto, co- sa facciamo? O meglio, parafrasando Kennedy, cosa può fare ciascuno di noi in attesa che il pae- se e l’ateneo facciano quanto devono per noi?

(4)

La formazione del personale

Girovagando su Wikipedia, ho trovato che uno dei possibili significati, oltre a quello classico, della voce “formazione” è : disposizione, composizione di un gruppo secondo una determinata forma o criterio: per esempio in un gioco di squadra, l’insieme dei giocatori che scendono in campo.

Questa definizione mi è sembrata evocativa e attinente al tema perché ci ricorda che formazione significa tante cose diverse, ma con un comun denominatore: la squadra, ed ha tanto più valore quanto più è l’occasione, aggiungo io, per ragionare, anche in gruppo, sul senso della nostra ap- partenenza, sul perché facciamo un certo lavoro e lo facciamo in un modo: non può, o almeno non dovrebbe, essere solo una medaglia da mettere nel curriculum.

Ecco perché, se la formazione è un momento privilegiato per la costruzione della filosofia di gioco e del senso di una squadra, trovo molto positiva l’esperienza, avviata recentemente, di corsi di formazione tenuti da personale dell’ateneo, sulla base delle specifiche competenze professionali maturate: è un’esperienza di grande valore, che arricchisce chi partecipa e chi la offre ai colleghi.

Penso ai corsi da sempre organizzati dal Sistema Bibliotecario, a quello sul nuovo regolamento per le spese in economia o sui decreti d’urgenza o, infine, ai corsi relativi al programma usato dal per- sonale delle segreterie per gestire le carriere degli studenti.

Porre l’accento sull’importanza di queste esperienze richiede un correttivo per la peculiarità della nostra Università: siamo giovani, relativamente piccoli e decentrati. Dobbiamo allora essere capaci di aprirci, consapevoli che mettersi in discussione e confrontarsi con altre esperienze, italiane e straniere, così come partecipare a gruppi di lavoro interateneo è un momento faticoso ma altret- tanto fondamentale di formazione e crescita. Penso in questo caso alle colleghe e ai colleghi che hanno partecipato a scambi Erasmus o ad altre esperienze simili.

Dicevo del ruolo della formazione nella costruzione del senso del nostro essere nell’organizzazione: il senso non ci viene regalato da un formatore perché invece, sia nella sua di- mensione individuale che in quella collettiva, lo dobbiamo faticosamente costruire insieme, giorno per giorno, partendo da noi stessi. Queste occasioni di formazione, comprendendo quindi sia quel- le interne che le occasioni di lavorare insieme a colleghe/i di altre università, possono essere molto importanti, se proviamo a sfruttarle davvero e ne comprendiamo il valore.

(5)

La formazione del personale

Possiamo anche decidere di subirle passivamente, probabilmente nessuno ce ne chiederà vera- mente conto: ma abbiamo buttato via il nostro tempo, abbiamo rinunciato a un’occasione e, come diceva (se non ricordo male) Oscar Wilde, è meglio morire con il rimorso per quello che si è fatto che con il rimpianto per quello che non si è fatto.

Cosa può fare quindi, tornando alla domanda di prima, ciascuno di noi ?

 Può scommettere sulla sua intelligenza e giocarla nel quotidiano;

 Può mettere in campo l’orgoglio di fare bene le cose, per quanto gli è possibile e con tutti i limiti di contesto che tutti conosciamo: se si partecipa ad un corso di formazione bisogna quindi prepararsi, studiare prima la materia, non assistere passivamente alla lezione e so- prattutto, quando si torna indietro, mettere in pratica quanto si è appreso;

 Può avere la curiosità di imparare, di sfruttare al meglio le opportunità che ci vengono mes- se a disposizione: penso all’esperimento, che conosco, delle aree affari generali e della formazione del nostro ateneo di condividere tramite la piattaforma e-learning il materiale dei corsi ai quali hanno partecipato i colleghi di altri uffici. Quante volte, io per primo, abbiamo avuto la curiosità di visitarla e vedere se trovavamo qualcosa di interessante ? Abbiamo fat- to tutto quello che potevamo per documentarci o preferiamo aspettare che le cose e i pro- blemi ci vengano addosso?

Certo, adottare questo approccio mentale, che richiama con forza l’importanza della responsabili- tà individuale, significa anche correre il rischio della frustrazione di non poter fare tutto quello che si è capaci, che si saprebbe o che si è imparato a fare: ma l’esperienza mi suggerisce che l’occasione buona prima o poi arriva e bisogna essere pronti a coglierla.

E comunque alla peggio avremo fatto qualcosa di utile per combattere l’invecchiamento precoce:

chiediamoci perché, generalmente, i liberi professionisti vivono di più e meglio dei dipendenti.

Perché guadagnano di più, certamente, ma soprattutto perché si danno da fare per sé stessi per tenere sveglio il cervello, sono curiosi e non smettono mai di voler imparare.

Noi non abbiamo uno studio professionale da mandare avanti, ma abbiamo qualcosa di ben più prezioso. Qualcosa che, volenti o nolenti, la comunità ci ha affidato e di cui dobbiamo avere cura come fosse casa nostra: la nostra Università.

(6)

La formazione del personale

C’è molto da fare nel nostro Ateneo, ne siamo tutti consapevoli a partire dalla Direzione, ma non per questo bisogna tacere quanto di positivo è stato fatto in questi anni: pensiamo, per esempio, alla scelta di sostenere economicamente gli studi universitari del personale. Non è una scelta da poco e non tutti gli enti hanno il coraggio di farlo. Personale più qualificato, che ha nel proprio ba- gaglio culturale più strumenti per affrontare la complessità, è benvenuto: senza enfatizzare il valore del titolo di studio ma anche senza disconoscerne, a maggior ragione in un’università, il valore.

Il Comitato Pari Opportunità ha recentemente pubblicato l’esito di un’indagine effettuata tra il per- sonale t/a dell’Ateneo per capire meglio i bisogni di formazione anche in ottica di genere; prenden- do spunto da questo interessante lavoro, vorrei chiudere con una riflessione e un auspicio.

La riflessione è che sono rimasto un po’ stupito nel constatare la bassa richiesta (circa 8%) per interventi di formazione relativi alla dimensione dei comportamenti : attenzione, perché questa è la sfera più difficile da migliorare e più critica per il buon funzionamento dell’organizzazione perché non basta essere, come tutti siamo, persone bene educate per saper lavorare bene insieme. Se infatti penso a come sono io nella vita e anche sul luogo di lavoro, so bene che uno dei miei punti di debolezza è una certa, per certi versi naturale, pigrizia: la consapevolezza del senso e dell’utilità sociale del lavorare, che si raggiunge anche attraverso la formazione, è il grimaldello che a volte mi consente di superarla.

L’auspicio è invece che, dopo aver rilevato i bisogni e le aspettative del personale t/a, si completi l’opera ragionando su bisogni e aspettative dell’organizzazione, per incrociarli al meglio, affinché questa indagine possa essere un punto di partenza, non di arrivo, del lavoro da fare insieme nei prossimi anni e per consentirci di essere sempre più all’altezza delle forti aspettative e delle com- plesse sfide che ci attendono.

Vi ringrazio per l’attenzione.

Federico Raos

Riferimenti

Documenti correlati

Le attività svolte dal tutor (progettazione, confronto, documentazione ed eventuale partecipazione agli incontri iniziali e finali) potranno essere attestate e riconosciute

I temi affrontati saranno: utilizzare il gioco per stimolare l’apprendimento degli studenti; comprendere i vantaggi nell’uso di elementi da gioco nella didattica; utilizzare

Partecipa alla definizione del piano formativo dei dipendenti dell'ente, segnalando e promuovendo la realizzazione di iniziative e corsi di formazione, finalizzati alla

● art. 1 della Legge 13 luglio 2015 n.107, in particolare: commi da 12 a 19: Piano Triennale dell’Offerta Formativa; commi da 56 a 62: Piano Nazionale Scuola Digitale: commi da 70 a

Lo svolgimento dei corsi di formazione deve essere comprovato mediante certificato; una volta completato un training, ciascun membro dello staff deve

L’Azienda pianifica le attività formative, di aggiornamento e addestramento del personale mediante rilevazione delle esigenze formative strategiche e cogenti e di quelle

Le disposizioni contenute nel presente Regolamento disciplinano la programmazione, l’organizzazione e la gestione degli interventi di formazione destinati al

Per ciascuna delle iniziative deliberate, il Ds avrà cura di mettere a disposizione del personale interessato la programmazione dell’attività formativa con la