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IlMoleskine. Intervistate due ex-studentesse del Margherita Hack. PoesiaSkine

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Academic year: 2022

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Dicembre 2020

IIS Margherita Hack

Il Moleskine

PoesiaSkine

“Capisci di avere un forte legame con una essa, che possa essere amore o amicizia, quando neanche la distanza può separarvi.” -¿?, 2020

“Gli alberi possenti, solleticano il profumato blu si nutrono dei cattivi frutti...

della società.” -Emanuele Cammillucci, 2020

In cerca di

spicchi di vita scolastica:

A scuola tutti noi stu- denti possiamo passare dei momenti di difficol- tà e dobbiamo affrontare ogni giorno molti proble- mi, anche quelli non le- gati necessariamente alla scuola, ma l’importante è ricordare che siamo noi a decidere quali armi da usare. Ma se qualcosa non va, non alzare la voce, trova un’altro modo di farti sentire farti sentire, continuando a provarci anche se non credi che sia sufficiente, e se ti va tieni- ci aggiornati, il Moleskine saprà dare spazio alle tue idee e trovare qualcuno che sosterrà le sfide al tuo fianco! Continua a p.2,

Intervistate due ex-studentesse del Margherita Hack

Lilly Paoletti (1993) ed Eleonora Delfino (1994) ci raccontano la loro esperienza durante gli anni di liceo e il loro percorso dopo la maturità, il rapporto con i professori e con la vita universitaria. Con due testimonian- ze di ambienti distanti tra loro, Lilly ha conseguito una laurea in Psicologia, Eleonora in Lettere Moderne e in Linguistica alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Continua a p.7, Flavio Mazzilli e Margherita Rossi

Hai un’articolo, una poesia o anche solo un’idea per il Mole- skine? Sei insicuro delle tue capacità scrittorie?Inviaci una mail a:

redazionemoleskinei- ismhack@gmail.com, al resto pensiamo noi!

Willy, un adolescente ucci- so in un modo raccapric- ciante, è rimasto sulla boc- ca di molti commentatori per molto tempo. Pestato fino a morire, per strada, Willy non era un perso- naggio da film, era dispera- tamente normale. Meritava una vita normale. Meritava la possibilità di lavorare per realizzare i propri sogni.

Meritava la possibilità di innamorarsi. Quei ragazzi vigliacchi che l’hanno am- mazzato, al momento della resa dei conti con un “ne- mico” più grande dei loro bicipiti, la giustizia, hanno avuto finalmente l’occasio- ne di mettersi in luce per quello che sono. Continua a p.1, Jacopo Orsini

Willy: analisi di un eroe

contemporaneo

Al giorno d’oggi ci sen-

tiamo circondati dalle cosiddette “fake news”, ma Marc Bloch: stori- co della prima metà del novecento sostiene che queste siano in realtà sempre esistite, sempli- cemente nessuno si era mai posto l’obbiettivo di capirne la causa, infatti in passato una volta in- dividuata la falsa notizia veniva semplicemente ignorata. Lo storico ini- zia al contrario una lun- ga indagine analitica e scientifica, ricercando sia nel passato che tra i suoi contemporanei i termini umani, psicolo- gici e sociali che porta- no a questa condizione.

Di certo è ancora oggi condivisibile l’interesse e lo studio per un tema così attuale e diffuso, ci troviamo ora infatti in una posizione per cui i social hanno dato la possibilità a chiunque di diffondere la propria opinione senza però la necessità di verificarla.

Continua a p.5, Giorgia Valeri

Le Fake News non sono una novità

due rivali, né buoni né cattivi, guidati dall’os- sessiva ricerca di stupo- re e meraviglia. Inizian- do proprio dal finale, ripercorriamo i passi dei due protagonisti, in un percorso magnetico, che ci guida attraverso l’improponibile, per poi arrivare ad una soluzio- ne tutt’altro che sempli- ce. Pieno di parallelismi

L’eccezionale thriller di Christopher Nolan, trat- to dall’ononimo roman- zo di Priest, racconta la storia, ambientata nella Londra dell’ottocento di

RECENSIONE The Prestige:

quando il cinema diventa gioco di prestigio

e significati nascosti, questo film è una meta- fora dell’arte del cinema, dove si vuole incantare, facendo credere il vero.

Continua a p.3, Mar- gherita Rossi

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C

ari lettori del Moleskine,

Quest’anno che ci ha così profondamente segnati volge al termine. Molti maledicono il 2020, e noi non possiamo far altro che piangere le moltis- sime morti che la pandemia di Covid ha causato. È stato senza dubbio un anno difficile, unico, nel corso del quale siamo stati messi davanti a prove che mai avremmo pensato di affrontare. Lo stravolgimento delle nostre attività quotidia- ne, la sensazione di incertezza e di paura, la sfiducia verso gli altri, la difficile sfida del mantenersi lontani: siamo tutti molto stanchi e provati da questi mesi trascorsi. La vita scolastica, che prima impegnava così tanto tempo nelle nostre giornate, si è dissolta in un attimo, trasferendosi virtualmente nello spazio an- gusto e freddo di una stanza di Meet. La scuola ci manca, con tutti i suoi difetti e le sue debolezze; ci manca il lato umano della scuola, i sorrisi, le battute, le ricreazioni, le merende, la noia e il divertimento, le chiacchiere, gli sguardi.

Tutto questo ci è stato strappato, e molto di noi sono arrabbiati, spaesati, smar- riti, soli. Noi della Redazione speriamo che questo giornalino possa farci sentire meno distanti, speriamo che possa ricreare quel senso di comunità che caratte- rizza la scuola come l’abbiamo sempre vissuta.

Quest’anno è per il Moleskine un anno fondamentale. Il giornalino spe- gne le dieci candeline, e per l’occasione ha cambiato il suo aspetto. Per la prima volta c’è un vero e proprio gruppo di redazione, al quale collaborano per tutto l’anno studenti che ritengono il giornalino scolastico un veicolo fondamentale di espressione e comunicazione; il Moleskine ha una nuova veste grafica, un nuovo assetto, nuovi contenuti, definiti al meglio dall’organizzazione in rubri- che. Il nostro Istituto si è ingrandito molto negli ultimi anni, e così anche il Moleskine, per essere all’altezza, ha assunto una fisionomia più distintiva, simile a quella dei quotidiani. Ancora più di prima, il Moleskine è il nostro spazio, lo spazio di noi studenti, con le nostre passioni e i nostri dubbi, le nostre paure e le nostre battaglie. È un diario condiviso, dove chiunque può apportare il pro- prio contributo, sia che abbia un talento spiccato per la scrittura, sia che voglia solo condividere un suo pensiero. Quasi spontaneamente è nato questo numero del Moleskine, come spontaneamente nasce un diario scolastico: giorno dopo giorno si arricchisce di scritte, disegni, frasi, colori, che racchiudono momenti indimenticabili di una vita trascorsa dietro ai banchi.

Speriamo sinceramente che il nuovo Moleskine vi piaccia, e che voglia- te anche voi farne parte. Speriamo pure che le difficoltà del 2020 nascondano molti lati positivi; speriamo che questi tempi bui ci insegnino a riconoscere più facilmente la luce. E proprio per suggellare questa nostra speranza, il Mo- leskine ri-nasce nel giorno di Natale: un giorno che è l’emblema della speranza stessa, non importa se da un punto di vista religioso o laico. Nel giorno di Na- tale, si spera in un mondo migliore, un mondo più giusto e più accogliente: un mondo in cui tutti si tengano, virtualmente o realmente, per mano. E anche noi vogliamo prendervi per mano, per farvi conoscere qualche pensiero dei nostri collaboratori, sperando ancora una volta di coinvolgervi: noi per primi ci servi- remo sempre del Moleskine per cominciare da qui, dalla nostra piccola realtà, a sognare quel mondo migliore. L’essenza del giornalismo è questa: farci sentire tutti più vicini, più partecipi, meno isolati. Farci sentire che, intorno a noi, c’è un mondo di persone che pensano, credono, sperano. Un mondo meno terribile di come forse ci appariva, un mondo più umano e più semplice.

Con i migliori auguri di un Buon Natale e di un Sereno Anno Nuovo,

La Redazione del Moleskine

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TodaySkine

Vorrei soffermarmi su un fatto di cronaca avvenuto pochi gior- ni prima dell’inizio delle lezioni.

Molti di voi ricorderanno il nome di Willy Monteiro. È sempre triste che alcune persone siano destina- te a diventare “celebri” solo quan- do non ci sono più. Willy è stato per alcuni giorni sulle prime pa- gine dei giornali, nei titoli dei TG, sulle bocche di tanti commenta- tori, per un solo motivo: quello di essere stato ammazzato. Ucciso, tra l’altro, in un modo raccapric- ciante: pestato fino a morire, per strada. Aveva pochi anni più di noi. Possiamo immaginarci la sua quotidianità simile alla nostra: la scuola, i social, qualche serata con gli amici; magari si recava a Roma per fare un po’ di shopping in centro. I suoi occhi si posavano su paesaggi molto simili a quelli che ci circondando: la campagna ro- mana, con le sue colline morbide, le querce, i fossi, le strade sterrate.

Willy non era un personaggio da film, un vagabondo dei sobborghi di New York, un rampollo di una famiglia milionaria, una spia rus- sa coinvolta in virtuosistici dop- pio-doppiogiochismi. Era dispe- ratamente normale. Poteva essere un nostro compagno di classe, un ragazzo che incontriamo sul bus con cui andiamo a scuola, o in un bar. Meritava una vita normale.

Meritava la possibilità di lavora- re per realizzare i propri sogni.

Meritava la possibilità di innamo- rarsi. Avranno pensato a questo, quelli che l’hanno ammazzato?

Cosa pensavano, mentre lo riem- pivano di calci? Cosa provavano, mentre il sangue, assieme alla sua vita, scorreva via dal suo corpo, su un sudicio marciapiede?

Quei vigliacchi, al mo- mento della resa dei conti con un “nemico” più grande dei loro

bicipiti, la giustizia, hanno avuto finalmente l’occasione di mettersi in luce per quello che sono, al di là dei tatuaggi, delle pose tronfie e degli sguardi intrisi di sicurezza.

Hanno dichiarato pubblicamente la loro debolezza. Hanno preferi- to, anziché riconoscere le nefan- dezze di cui si sono macchiati, offrire al giudice, ai giornalisti e quindi al Paese intero uno spet- tacolo disgustoso, sfoderando di- chiarazioni come “non ho sferra- to io il colpo mortale”, “ero lì solo per sedare una rissa”, “è stato lui a colpirlo per primo”. Gli aguzzi- ni di Willy hanno preferito pun- tare il dito gli uni contro gli altri, come dei bambini che, alle scuole elementari, vengono interroga- ti dall’insegnante a seguito di un litigio. Ma quando erano lì non c’era nessun freno, nessuna pau- ra della giustizia: mentre dava- no sfogo a tutta la loro violenza, provavano quella sensazione di facile superiorità che dovevano provare anche gli squadristi in ca- micia nera armati di manganelli, giusto qualche decennio fa. Qui non si tratta di fare generalizza- zioni fuorvianti: sappiamo tutti quali - presunti - ideali animino

Willy: analisi di un eroe contemporaneo

questo tipo di gente, conosciamo tutti dei bulli neofascisti che, forti delle loro croci celtiche, svastiche e altre simbologie non meglio de- finite, spadroneggiano in questi paesi. Ognuno di noi poteva esse- re Willy; ma anche i suoi assassini non ci sembrano così distanti, ci sembra di averli già visti da qual- che parte, ci tornano familiari.

Fatti come quello di Colleferro accadono spesso, purtroppo. E purtroppo accadono nell’indif- ferenza generale, un’indifferenza condita di omertà e paura. Ma- gari accadono in declinazioni meno gravi, come intimidazioni, minacce, pestaggi che non hanno risvolti così drammatici. Ma sap- piamo tutti che, nei nostri paesi così come nelle periferie roma- ne, questi episodi non sembrano

“note stonate”. Ci sembra quasi inevitabile che sia accaduta una tragedia del genere, perché siamo abituati, se non a vedere la vio- lenza, almeno a percepire il suo odore. E sappiamo che spesso la violenza si accompagna a brutte copie prêt-à-porter di ideali fasci- sti, che vengono svuotati del loro spessore storico per essere dati in pasto a ragazzi che crescono sen-

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za un sistema educativo capace di trasmettere loro valori di convi- venza sociale e rispetto reciproco.

Queste bestie continueranno a sentirsi legittimate finché conti- nueremo a girarci dall’altra parte, ad accettare come ordinario ciò che non lo è, e ad essere tacita- mente affascinati dalla cultura della violenza e della sopraffazio- ne.

Spero che questa riflessione possa toccare l’animo di voi lettori, come il seguire questa vicenda ha toccato il mio. Perché è bene ricor- darci che tutti abbiamo una sensi- bilità, anche se scegliamo di ma- scherarla, di soffocarla, di metterla a tacere, per apparire forti, invinci- bili, perfetti. Gli esseri umani han- no il dono di poter provare emo- zioni ed essere sensibili; solo così

LifeSkine

“Benvenuti nell’era dell’anti-in- nocenza, nessuno fa colazione da Tiffany e nessuno ha storie da ri- cordare. Facciamo colazione alle 7 e abbiamo storie che cerchiamo di dimenticare il più in fretta pos- sibile” (Carrie Bradshaw)

La vita di un adolescente, si sa, non si misura da quanto caffellatte si beve la mattina, bensì dall’ansia con cui ci si alza dal letto. Se è una giornata in cui ti alzi e dici: “voglio finirla qui, oggi sarà troppo diffici- le” tanquill*, fortunatamente per te le cose possono solo che migliora-

re. Se invece stai pensando: “oh, fi- nalmente una giornata tranquilla”

beh, allora sappi che le cose pos- sono, sempre, radicalmente, cam- biare. Insomma, siamo realisti, se non siamo preoccupati per un’in- terrogazione, qualcosa al di fuori dalla scuola saprà come ostacola- re la nostra melodiosa mattinata di sole, ma non per questo dovrai rinunciare al tuo spirito insolita- mente ottimista. Se ogni giorno ti sembrerà una sfida, ricordati che decidi tu le armi da usare, e che ti sei sdraiato tutte le notti sul tuo letto, se non da vincitore, ancora

tutto intero, ed è più che abbastan- za, fidati. Ma se qualcosa proprio non va e volessi far sentire la tua voce, il mio consiglio di oggi non è alzare la voce, faresti solo troppo rumore, ma cercare un altro modo di farti sentire, e se non credi sia sufficiente, allora riprovaci, ancora e di nuovo; e se ti va, tienici aggior- nati il.Moleskine saprà dare spazio ai tuoi pensieri e magari potresti trovare qualcuno che sosterrà le sfide accanto a te! Noemi Conti

In cerca di spicchi di vita scolastica

si distinguono davvero dagli altri esseri viventi che popolano questo pianeta. Mostriamoci deboli. Mo- striamo i nostri talloni di Achille.

Mostriamo le nostre lacrime. Fug- gire da noi stessi può provocare dei danni irrimediabili, tra cui quello di aggrapparci alla violenza per sentirci meno vulnerabili. Ma ab- biamo visto tutti quali possono es- sere le conseguenze. Jacopo Orsini

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CineSkine

Con un cast eccezionale (Chri- stian Bale, Hugh Jackman, Mi- chael Caine, Scarlett Johansson, David Bowie, Andy Serkis) dove ogni attore riesce a rappresentare al meglio il proprio personaggio, si presenta un complesso thriller ambientato in una Londra di fine

‘800: “The Prestige” (2006), film tratto dall’omonimo romanzo di Christopher Priest e diretto da Christopher Nolan. La storia di due compagni che si trasformano in due rivali, una storia di ambi- zione e di ossessione, una continua ricerca dello stupore, in cui non ci sono buoni e cattivi, ma sempli- cemente due personaggi che sono allo stesso tempo protagonisti ed antagonisti di loro stessi. Un per- corso complicato, che inizia con il finale e che a ritroso ripercor- re le tappe che hanno portato a quel momento. La storia di due avversari che leggendo uno il dia- rio dell’altro desiderano arrivare alla soluzione dell’inganno altrui.

Una soluzione sorprendente che sembra inimmaginabile, ma che una volta scoperta non può far altro che apparire semplice, ma come dice lo stesso protagonista:

non facile. Una metafora dell’ar- te del cinema, dove quello che si cerca è lo stupore, la meraviglia, l’emozione, dove si vuole incanta- re, facendo credere che quello che si sta vedendo possa essere vero, si vuole illudere lo spettatore, di- strarlo anche solo per un attimo da ciò che lo circonda realmente.

Sono diverse le tematiche che vengono trattate dai fratelli Nolan nel film: interessante per esempio il legame tra scienza e illusione. Quella scienza imper- sonata da un David Bowie per- fetto per quel ruolo, che diventa fantascienza e magia vera e a cui il mondo non è pronto, se non a vederla come un’illusione. Perché come dirà lo stesso Angier, un il- lusionista: “Se il pubblico credes- se davvero alle cose che faccio in scena non applaudirebbe, urlereb- be”. Il cinema così come un gioco di magia riesce a stupire proprio perché lo spettatore sa di esse- re al sicuro, sa di potersi lasciare illudere senza correre rischi, può spaventarsi, ridere, piangere ed emozionarsi in una sfera sicura, perché consapevole del fatto che non sia reale.

RECENSIONE The Prestige: quando il cinema diventa gioco di prestigio

E come in un vero gioco di magia in cui l’astuzia del trucco è così semplice che nessuno riesce a coglierla e in cui il segreto sta nel distrarre mostrando la solu- zione, ma nascondendola sotto qualcos’altro, allo stesso modo Nolan gioca con il suo spettatore creando una complicata struttura narrativa, dove non si può fare a meno di continuare a meravi- gliarsi. Attraverso un’affascinante atmosfera, una serie di flashback e diverse linee temporali lo spet- tatore resta stupito e attratto, tan- to da non riuscire a distogliere lo sguardo fino alla fine tenendo il fiato sospeso per tutto il film: pro- prio come quando si sta davanti a un numero di magia. La scena di- venta un mezzo in cui nascondere messaggi e soluzioni che verran- no rivelati nel climax finale. Un finale che è già nell’inizio. L’intero film è uno sviluppo della frase con cui inizia, è un’illusione creata da tre parti: la promessa, la svolta ed il prestigio. È una sfida con lo spettatore che lo sceneggiatore sa di vincere perché voi spettatori

“state cercando il segreto ma non lo troverete, perché in realtà non state davvero guardando. Voi non volete saperlo. Voi volete essere ingannati”. Chiunque abbia rivi- sto il film una seconda o terza vol- ta non avrà potuto fare a meno di notare tutti i parallelismi, i temi e soprattutto quegli indizi che lo sceneggiatore ha lasciato apposta sotto i nostri occhi; e non ci si ri- esce a capacitare di come è possi- bile che il trucco sia così esposto, eppure così difficile da cogliere.

Un film che riesce ad aggiungere qualcosa ad ogni nuova visione, lasciando notare un particolare in più o un dettaglio che è sempre stato lì per noi, ma che solo ora

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con la soluzione in mano risulta fondamentale.

Forse però non è solo attra- verso il cinema o uno spettacolo di magia o una qualsiasi forma d’arte che decidiamo di lasciarci inganna- re. Non sembra l’autoinganno poter- si attuare in tante circostanze della vita reale? Quante volte è capitato di

sorprendersi finendo poi per notare che la realtà è sempre stata sotto i nostri occhi, la soluzione era lì, ma forse eravamo noi a non voler vede- re, a volerci lasciare stupire... Quan- te volte ripercorrendo il nostro pas- sato con la soluzione in mano, con quell’elemento che completa il qua- dro e che ci è stato finalmente sve-

“C’è qualche negraccio qui sta- sera? Volete accendere le luci per favore? I camerieri e le ca- meriere, possono smettere di servire per un momento?...

Che cos’ha detto? C’è qualche lurido negro qui stasera? Si che ce n’è uno perché lo vedo lavo- rare. Vediamo.. ecco là due lu- ridi negri, e fra quei luridi ne- gri c’è un giudeo usuraio, là c’è un altro giudeo; due usurai e tre luridi negri, e c’è anche uno spaghetti, giusto? […]

E con questo siamo arrivati al punto. E cioè che è la repres- sione di una parola quello che le dà violenza, forza, malva- gità. Se il presidente Kennedy apparisse in televisione e di- cesse: ‘Vorrei farvi conoscere tutti i negri del mio gabinetto’, e se continuasse a dire negro, negro, negro a tutti i neri che vede, finché negro non signi- ficherà niente, mai più; allora non vedreste piangere un bam- bino di sei anni perché l’hanno chiamato negro”. Lenny Bruce (1925 -1966)

È il 4 ottobre 1961 quando Lenny Bruce venne arrestato per oscenità al Jazz Workshop di San Francisco, segnando così uno dei processi più indi- menticabili sulla libertà di pa- rola negli Stati Uniti. Nel Paese delle grandi opportunità, che prezzo ha la parola?

Luci abbassate, la magia del grande cinema in bianco e nero, solo lui sul palco, il fumo e la luce diretta. È così che Bob Fosse ha raccontato la vita, tra vizi e virtù, di Lenny Bruce.

Una pellicola schietta e diretta, sul padre dell’odierna stand-up comedy, personaggio contro-

verso ed incredibilmente anti- convenzionale.

Eppure scoprirete, cono- scendolo, che l’unica oscenità nella vita di Lenny è come que- sta si è conclusa: per overdose, a quarant’anni. Ma che siate pure i giudici della sua condot- ta morale, la sua battaglia an- ticonformista per la difesa di un fondamentale diritto uma- no, quale è la libertà di parola, oltre che il vero significato che egli conferisce a questa, vi im- pressionerà.

La critica del cabarettista statunitense era rivolta a quella società perbenista e conformi- sta che nascondeva però una realtà ben diversa, non solo di- scriminante, ma profondamen- te ipocrita. Parlando dal sesso alla politica, dalle critiche sul sistema sanitario al jazz e dalle droghe al cattolicesimo, i più grandi successi di Lenny sono una denuncia di questa realtà, tanto a essere stato bandito da molte città americane, nonché dai locali, diventando il feno- meno isolato più minaccioso per la stessa illusione dell’u-

topia americana. E se oggi è possibile apprezzare il sincero cinismo con cui la stand-up co- medy descrive il malcontento della società contemporanea, o ancora parlare di Beat Gene- ration, molto si deve ai comici che, come Lenny, non si sono mai arresi, pur di uscire dagli schemi della conformità. Tut- tavia, è lo scontro tra libertà e autorità, che vede contrappor- si sempre gli uomini portatori di idee nuove a depositari di principi vecchi, a portare con il tempo al progresso sia scienti- fico che sociale. Nel 2003 infat- ti venne concessa a Lenny una grazia postuma, che sottolineò definitivamente la vittoria del- la libertà di parola sul morali- smo. Da Bukowski a Jovanotti, passando per i R.E.M. e Robin Williams, svariati artisti hanno riconosciuto in Lenny un vero portatore di ideali riformisti, apprezzando del “predicato- re blasfemo” l’eredità per cui le generazioni future possono esprimersi veramente in liber- tà. Noemi Conti

“C’è qualche negraccio qui stasera?”

lato, riusciamo a spiegarci tutto e ci chiediamo allo stesso modo dello spettatore di Nolan come abbiamo potuto lasciarci sorprendere... Che volessimo davvero essere inganna- ti? Forse in fin dei conti anche noi siamo prestigiatori della nostra stes- sa vita. Margherita Rossi

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PeopleSkine

Le false notizie derivano dall’in- teresse di trovare nella società un terreno di coltura favorevo- le: in esso gli uomini esprimono inconsapevolmente i propri pre- giudizi, gli odi, le paure e tutte le proprie forti emozioni, in quanto solo grandi stati d’animo collettivi hanno il potere di trasformare in leggenda una cattiva percezione.

In quanto al singolo individuo, lo storico Marc Bloch, la quale espe- rienza sul fronte belga durante la Prima guerra mondiale ha deter- minato la sua indagine sull’origi- ne e i meccanismi di diffusione di queste notizie, sostiene che una determinata persona creda facil- mente ad una notizia, vera o falsa che sia, in base al bisogno e all’oc- correnza.

Falsi racconti hanno sol- levato le folle e riempito la vita dell’umanità, in tutta la moltepli- cità delle loro forme: semplici di- cerie, imposture e addirittura leg- gende, sostiene lo storico. I nostri antenati però non si ponevano il problema di capire da cosa de- rivassero le dicerie e il perché ci fossero: individuavano quest’ulti- me come degli errori e una volta riconosciuti come tali li rifiutava- no. E’ il contrario di ciò che pensa Marc Bloch: innanzitutto, l’errore non è soltanto un corpo estraneo che egli si sforza di eli- minare, ma lo considera anche come un oggetto di studio su cui si china quando cerca di com- prendere la concatenazione delle azioni umane.

In base a queste conside- razioni, lo storico cerca di capire la genesi e lo sviluppo delle false notizie rivolgendosi ai laboratori degli psicologi; nei loro esperi- menti, la falsa notizia non arriva mai a quella magnifica pienezza che si può raggiungere solo con la

lunga durata, passando attraverso una infinità di bocche poiché, con la collaborazione del criminologo Liszt, si è giunti alla conclusione che il numero di persone coinvol- te in questo fenomeno si limita generalmente a una cerchia: soli- tamente si prendono in conside- razione soltanto i testimoni diret- ti e chiunque non abbia visto di persona non compare; vengono quindi esclusi i testimoni indi- retti, che parlano per sentito dire;

ma senza questi ultimi nella vita reale non esisterebbe più la pub- blica voce.

L’autore sostiene che l’espe- rimento di Liszt non è del tutto attendibile per studiare i mec- canismi con cui si diffondono le false notizie; lo stesso consisteva nella simulazione di un attentato nel seminario del criminologo a Berlino. Gli studenti che avevano assistito a questo piccolo dram- ma, e che lo avevano preso sul serio, furono interrogati succes- sivamente e, a partire dall’ultimo interrogatorio, non fu più nasco- sta loro la verità: seppero quindi che quanto era successo era solo uno scherzo. Così la falsa notizia fu bloccata. A queste creazioni di laboratorio manca però, secondo

Le fake news non sono una novità

Marc Bloch, quello che è forse l’elemento essenziale delle false notizie, che sì nascono spesso da osservazioni individuali inesat- te o da testimonianze imprecise (come nel caso dell’esperimen- to di Liszt); ma questo accidente originario non è tutto: in realtà da solo non spiega niente in quanto l’errore si propaga, si amplifica e vive infine a una sola condizione:

trovare un pensiero in grado di diffondersi nella società, appunto un terreno di coltura favorevole.

Ritengo che le considera- zioni dello storico Marc Bloch possano essere considerate attua- li, in particolare in merito ad una frase da lui pronunciata: “Si crede facilmente a ciò cui si ha il biso- gno di credere”.

Nella società di oggi queste parole hanno un peso più rile- vante rispetto ai tempi dei nostri antenati perché le persone non sono fornite degli stessi valori di una volta: basti pensare che per sopravvivere abbiamo bisogno di aggrapparci alle cose più insigni- ficanti, come le fake news, perché non ci rimane altro.

È vero, il mondo si è evo- luto, ma siamo circondati da tanta di quella falsità e cattiveria

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che non sappiamo più distingue- re il vero dal falso, il giusto dal- lo sbagliato. Tempo fa il termine

“ignorante” sarebbe stato associa- to ad una persona alla quale era mancata l’educazione scolastica a causa dei problemi economici ai quali molte famiglie erano sogget- te; ad oggi, il significato sembra essere più complesso, in quanto potremmo definire una persona

“ignorante” come colei pronta a giudicare senza mettersi nei pan- ni degli altri e senza soprattutto conoscere i fatti, alla quale basta ascoltare una voce in strada per

dar fiato alla bocca - cosa che, come ci mette al corrente lo sto- rico, in passato non accadeva: “I nostri antenati [..] rifiutavano l’errore, una volta riconosciutolo come tale; non si interessavano al suo sviluppo”). La differenza tra le due accezioni di questa parola sta nel fatto che nel primo caso erano gli altri a mettere quest’e- tichetta addosso alle persone, in quanto la scarsità di denaro e la mancanza di studio non erano una scelta; nel secondo caso la determinata persona è in grado di procurarsela da sola in quanto,

Scandalo Telegram: chiuso l’ennesimo gruppo pornografico

Ormai è ovvio agli occhi di chiunque che il web ha i suoi pregi e i suoi di- fetti. Esso non è altro che lo specchio della vita, un mezzo di comunicazio- ne e informazione, ma come il mondo non è tutto rose e fiori, e anche dietro Internet si celano orribili realtà.

E’ il caso dei gruppi pornogra- fici di Telegram, un social di messag- gistica popolato per la maggior parte da profili falsi o anonimi. Non è la prima volta che la polizia postale si trova a chiudere questi tipi di canali, anzi sono diversi anni che questo fe- nomeno si ripete. “In cosa consisto- no?”, vi chiederete. Ve la faccio sem- plice: in questo tipo di gruppi uomini di tutte le età si scambiano e rivendo- no foto di ragazze. La maggior parte delle volte sono foto semplicissime:

un selfie, foto con le amiche, a mezzo busto, ma soprattutto coperte. Il che va a sottolineare che il problema non è la “provocazione”, con tante virgo- lette, ma la perversione in sé. Non trovo un aggettivo più adatto: l’unico modo in cui riesco a chiamare questi

“uomini” è perversi.

Come se non fosse abbastan- za, si divertono a modificarle, tra- sformando una banalissima foto in materiale pornografico e pedopor- nografico (sì, sono presenti anche

vittime minorenni). Se le scambiano, le rivendono, le pubblicano ed espon- gono le povere malcapitate alla gogna mediatica, ad un vortice di umiliazio- ni e offese. La loro immagine, la loro dignità, la loro privacy, la loro auto- determinazione viene violata, i loro diritti ignorati e calpestati come l’erba sul marciapiede.

Ma non finisce qui! Nello stes- so gruppo c’è un canale per la rimo- zione dei contenuti indesiderati: ba- sta chiedere l’eliminazione di una foto per ottenerne la cancellazione. Ma come ci insegna la società capitalista, tutto ha un prezzo: “Vuoi che tolga la foto? Devi sganciare.” Questa è la ri- sposta che si ottiene.

Nonostante ciò, limitarsi a eli- minarle non servirà a niente, perché molto probabilmente quella foto è già stata condivisa centinaia di volte. “Ci chiudono un canale? Non c’è proble- ma, ne apriamo uno nuovo”: questo è il motto degli amministratori.

Le denunce delle vittime non vengono neanche prese in considera- zione, finendo in un battito di ciglia nell’archivio. Anche la polizia postale non può fare molto, dato che la mag- gior parte dei profili sono falsi e diffi- cilmente rintracciabili.

Questo ci dimostra come, per

l’ennesima volta nella storia, la donna venga mercificata; ci dimostra che il corpo di una donna diventi poco più che merce di scambio, un passatem- po per sfogare i propri impulsi. Per- ché è questa la concezione di donna che hanno questi individui: per loro i nostri sorrisi diventano ammiccan- ti, i nostri sguardi provocanti, i nostri corpi non sono altro che carne da stringere, mordere, graffiare e i nostri sentimenti non li considerano nem- meno.

Dentro e fuori Telegram ci sono milioni di storie di vittime di violenza, dalla più piccola alla più grave. Ci sono milioni di donne, di tutte le età, che almeno una volta nella vita si sono sentite fischiare o richiamare da un uomo, il cui unico scopo era fare un apprezzamento vol- gare non richiesto. Ci sono milioni di donne che sono state costrette a chia- mare un’amica in una strada isolata per sentirsi meno sole, più protette, perché il pericolo è ovunque. Ci sono milioni di donne che hanno lo spray al peperoncino in borsa o che tengo- no le chiavi sempre nella tasca, pronte all’evenienza. Ci sono milioni di don- ne che sono state inseguite, molestate, uccise solo perché ritenute di troppo.

Sembra una cosa così lontana e impossibile per noi, ma in realtà potrebbe accadere a chiunque. Que- sto è l’ennesimo episodio di violenza e rimanere neutri significa contribu- ire alla sua diffusione. Io non ci sto più a vivere così. E voi? Chiara Po- mella

citando Marc Bloch: “Nell’errore gli uomini esprimono inconsa- pevolmente i propri pregiudizi, gli odi, le paure, tutte le proprie forti emozioni […] e solo grandi stati d’animo collettivi hanno il potere di trasformare in leggenda una cattiva percezione” e quindi, nonostante la persona sappia che la maggior parte delle notizie che vengono divulgate sia un erro- re, sceglie di dire la propria e di esprimere il proprio odio al solo e unico fine di trovare altrettanti che la pensano allo stesso modo.

Giorgia Valeri

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InterviewSkine

Ciao! Sono Lilly Paoletti, ho 27 anni e sono una psicologa da un anno e mezzo. Ho frequentato il liceo scientifico Piazzi fino a circa 9 anni fa.

Come sono stati i tuoi anni al Piazzi?

Il periodo che ho vissuto durante gli anni di liceo è stato un perio- do un po’ complicato, forse dovu- to anche al fatto che fosse il pe- riodo dell’adolescenza. Ho avuto un rapporto un po’ ambivalente con i professori: da una parte mi ci sono scontrata molto e ricordo molte situazioni negativamente;

dall’altra parte, soprattutto negli ultimi anni, ho avuto professori di cui al contrario ho ricordi po- sitivi. Sono stati come delle mani che mi hanno aiutata e che in quel periodo è davvero importan- te avere, e mi hanno dato tanto.

Per esempio la mia professoressa di filosofia mi ha dato l’opportu- nità di apprezzare e avvicinarmi molto alla sua materia sia grazie al suo modo di spiegarla che al modo che aveva di relazionarsi con noi studenti.

Qual è il tuo ricordo più bello?

Essendo stato un periodo un po’

complicato quello degli anni del liceo faccio fatica a trovare dei ri- cordi positivi. Di sicuro gli amici che mi sono portata dietro fino ad adesso sono una delle cose che ri- cordo con più affetto.

Perché hai scelto psicologia?

Quando ero al liceo insieme ai rappresentanti di istituto abbia- mo istituito uno sportello d’ascol- to e la cosa mi ha interessato mol- to, anche se dopo qualche anno l’iniziativa non è proseguita, non so perché. Penso sia molto im- portante mantenere uno sportello

d’ascolto, soprattutto in un perio- do critico come quello dell’adole- scenza. Inoltre mi ero avvicinata molto alla filosofia, in particolare lo studio e la lettura di Freud. In- fatti in alcuni punti la filosofia e la psicologia si avvicinano.

Come ti sei trovata all’uni- versità?

All’università mi sono trovata davvero molto bene, e avendo l’opportunità di fare quello che mi piaceva ho migliorato mol- to il rapporto con me stessa. Ho studiato alla Lumsa, dove ci sono molti più esami orali piuttosto che scritti e questo mi ha aiutata ad ottenere un carisma che in altre università forse non sarei riuscita ad avere. Inoltre ho sempre avuto un ottimo rapporto con colleghi e professori con cui continuo ad essere in contatto.

Cosa si studia nel corso di psicologia?

Psicologia si organizza su due lauree, una triennale e una magi- strale (due anni) e dopo la magi- strale si fa un tirocinio formativo.

L’ambito della psicologia è molto vasto, un po’ come medicina. Già

Lilly Paoletti: “In alcuni punti la filosofia e la psicologia si avvicinano”

dalla triennale si studiano materie scientifiche come neuropsicologia o neurobiologia, ma si studiano anche aspetti matematici come la statistica che serve per l’analisi dei dati. Ci sono diversi approcci per affacciarsi alla psicologia.

Quali sono possibili sbocchi con una laurea in psicologia?

Psicologia è complessa perché non si può fare pratica duran- te gli studi, come per esempio avviene per gli specializzandi in medicina. Esistono due di- verse figure professionali: lo psicologo e lo psicoterapeuta.

Per fare psicoterapia è neces- saria una specializzazione in più, a parte, che non è retribu- ita come tirocinio e grazie alla quale si può agire su disturbi psichici intensi e cronici. Con una laurea in psicologia invece si può lavorare sia come soste- gno psicologico, sia nel campo della psicodiagnostica dove, attraverso una serie di test ed anamnesi, si possono esegui- re delle valutazioni, oppure lo psicologo può lavorare come tutor per persone affette da di-

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sturbi come ADHD o DSA.

Hai mai lavorato nel campo della ricerca scientifica, e quanto pensi che il mondo della ricerca offra in Italia?

Da quello che ho potuto vedere il campo della ricerca viene molto sottovalutato, anche se poi maga- ri dipende da come viene fatto. Io ho lavorato per un po’ nel campo della ricerca ed è molto duro, è un lavoro che occupa veramente tut-

to il giorno. La retribuzione è va- riabile, ma è comunque sotto so- glia rispetto alla media europea.

Hai mai pensato di dover andare all’estero?

Il desiderio di andare all’estero è un qualcosa di molto vicino a noi giovani. C’è stato un periodo in cui ho pensato di trasferirmi. Io però alla fine non sono mai an- data all’estero; per un periodo sa- rei dovuta andare in Erasmus ma

Eleonora Delfino: “Prendetevi il vostro tempo per capire qual è la vostra strada”

Ciao! Sono Eleonora Delfino, un’ex studentessa del Piazzi. Dopo il liceo ho deciso di intraprendere un percorso universitario che mi ha portato a conseguire una lau- rea triennale in Lettere Moderne e una laurea magistrale in Lin- guistica alla Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Roma La Sapienza.

In quali anni hai frequenta- to il Piazzi? Come sono stati per te?

Ho frequentato il Piazzi dal 2008 al 2013: sono stati cinque anni piuttosto intensi per me, direi an- che complessi, ma in ogni caso fondamentali per la definizione del mio carattere e della mia per- sonalità.

Qual è il tuo ricordo più bel- lo?Il mio ricordo più bello è forse l’e- sperienza del concorso di filosofia a cui ho partecipato con alcune compagne durante il mio quinto anno. Furono momenti davve- ro formativi e molto divertenti.

Arrivammo anche in finale, che

però non vincemmo (come disse il nostro professore tutor del pro- getto, Maurizio Stringini, “mancò la fortuna, non l’onore”).

Dopo il liceo ti sei sentita in difficoltà nell’ambientar- ti in un contesto universita- rio?No, anzi! Sicuramente il cambia- mento rispetto al liceo è notevole e sentirsi disorientati è normale i primi tempi, però il mondo uni- versitario è incredibilmente sti- molante e vario, per cui mi sento di poter dire che riuscire ad am- bientarsi non sia poi così difficile.

Come hai scelto il tuo per- corso di studi? Hai avuto le idee chiare fin da subito, oppure è stato più impe- gnativo scegliere che strada prendere?

Può sembrare strano che, venen- do da un liceo scientifico, mi sia iscritta a Lettere. In realtà io sa- pevo da sempre che sarei finita in questo campo, ma quando fu il momento di scegliere il liceo subentrarono diverse considera- zioni di tipo pratico e mi iscrissi al Piazzi (che all’epoca non aveva ancora l’indirizzo linguistico). In ogni caso, avevo sempre avuto una predilezione per le materie umanistiche e la scelta dell’uni- versità è stata quasi naturale.

Hai mai pensato di doverti trasferire all’estero?

Sì, come tutti i ragazzi della mia generazione, credo. Non mi è an- cora capitato di trascorrere un pe- riodo all’estero, ma è sicuramente un’esperienza che ho in program- ma di fare.

Hai intenzione di intra- prendere un percorso di dottorato o master di qual- che tipo? Se lo hai già fatto raccontaci la tua esperien- za.Ho appena cominciato il mio se- condo anno di dottorato, e forse è un po’ presto per fare un bilancio della mia esperienza. Posso dire senz’altro che non è facile: passare da studente a studioso comporta uno stravolgimento della prospet- tiva e dell’approccio allo studio.

Cosa pensi della ricerca in italia?

Domanda difficile. La ricerca è una cosa di cui mi sembra che in Italia si parli troppo poco, sia nei contesti istituzionali che in quel- li più comuni. La maggior parte delle persone a cui dico che sto fa- cendo il dottorato non sa neanche cosa sia; mi sembra che in genera- le i ricercatori siano una categoria molto poco considerata.

Se potesse vederti la te di quando stavi in quinto su- periore, cosa direbbe alla te di adesso?

Penso che la me liceale sarebbe soddisfatta del percorso che sto portando avanti.

Un consiglio a chi non è an- cora sicuro di che strada in- traprendere?

Il più banale di tutti: fate quello che vi piace. Prendetevi il vostro tempo per capire qual è la vostra strada e poi percorretela con con- vinzione, se avevate ragione ed era la scelta giusta, alla fine i risul- tati e le soddisfazioni arriveranno.

Flavio Mazzilli

poi per motivi personali non ho più avuto l’opportunità di partire e questa esperienza mi è sempre un po’ mancata. Rispetto all’espe- rienza all’estero c’è sempre una grande enfasi, a volte passa l’idea che lavorare all’estero sia migliore rispetto a rimanere qua. Però io non posso lamentarmi, mi riten- go molto fortunata e sono con- tenta del mio lavoro qui in Italia.

Margherita Rossi

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PoesiaSkine

Diamo molte cose per scontato, persino sentire la mancanza di qualcuno, ma sai, non penso che lo sia. Io penso sia una fortuna, si, provare qualcosa è sempre una fortuna. Non so esattamente cosa provi ora. Potrebbe essere rabbia, tristezza, amore, felicità, delusione, non so... Ma molto spesso, quando ci manca qualcuno, non ci manca esattamente la persona in sé ma la persona che tu sei in sua presenza. Quel secondo di sollievo dall’essere te stesso.

Un “te stesso” che tu odi così tanto.

Tornando al discorso del dare tutto per scontato,sai cos’altro non lo è?

Sapere di mancare a qualcuno. Cazzo, quello si che è un lusso. Per una volta, puoi sentirti importante per una persona.

Capisci di avere un forte legame con una essa, che possa essere amore o amicizia, quando neanche la distanza può separarvi.

Prendiamo ad esempio due calamite: capisci che l’attrazione è forte, solo quando provi a separarle.

Il punto è, che le distanze si accorciano. A differenza dei vuoti...

Beh, i vuoti non li accorci.

Rimangono lì, dentro di te, spesso neanche senza un motivo a

“mangiarti vivo”. “ Mangiare” l’unico briciolo di amore, felicità e sicurezza in te stesso, che ti erano rimasti.

Lasciando solo, beh... Il vuoto.

-¿?

La foresta, preziosa più di quanto sia umanamente possibile immaginare, un diamante in continuo mutamento.

Gli alberi possenti, solleticano il profumato blu si nutrono dei cattivi frutti...

della società.

Perfetta nel suo misterioso essere;

Viene estirpata e combattuta dai suoi stessi figli che inferiori son, ma pensan L’antitetico -Emanuele Cammillucci

È scontato?

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Superficialità

Con disgusto guardi persone diverse da te, ti diverti a giudicarle per le loro particolarità, non pensi a ciò che dici?

Non pensi che un giorno potrebbe capitare a te?

A te che con quei grandi occhi non smetti di guardare, a te che con quella bocca non smetti di ridere.

Esiste un numero per chiamare la superficialità?

Sarebbe comodo…

una chiamata, una semplice chiamata e se ne va.

Lascio a te la possibilità di fare quel numero, lascio a te la possibilità di cambiare,

prima che la tua fedele compagna accechi tutti,

lascio a te la possibilità di non perdere le persone che ami,

lascio a te la possibilità di SCUSARTI con coloro a cui recato dolore.

Mondo mettiti in salvo da questo mostro, non cadere nella sua trappola,

quando cammini lascia un filo ti aiuterà a trovare la retta via.

-Nicole Tambasco

Un ringraziamento a

Redazione:

Andreea Maria Baltaru, Cristiano Cannavicci, Riccardo Castelli, Simone Colangeli, Noemi Conti, Maria Di Simone, Selene Iacob, Flavio Mazzilli, Jacopo Orsini, Margherita Rossi, Maria Zaharia -¿?, Emanuele Cammillucci, Noemi Conti, Flavio Mazzilli, Jacopo Orsini, Chiara Pomella, Margherita Rossi, Nicole Tambasco, Giorgia Valeri

Collaboratori:

Grafica a cura di:

Riccardo Castelli, Maria Zaharia, Andreea Maria Baltaru, Maria Di Simone

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