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rilevato che i predetti magistrati hanno chiesto di conoscere se la norma di cui all’art

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OGGETTO: Pratica n. 605/VA/2020 - quesito posto da alcuni magistrati per chiarimenti all’art. 3, comma 1-ter del Decreto-Legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

(delibera 10 marzo 2021)

Il Consiglio,

- vista la nota a firma del dott. XXX, e la nota sottoscritta dalle dottoresse XXX, cui hanno aderito altri 119 magistrati, tutti nominati con D.M. 3.2.2017;

- rilevato che i predetti magistrati hanno chiesto di conoscere se la norma di cui all’art. 3, comma 1 ter, del D.L. n. 168 del 2016 e successive modifiche debba interpretarsi nel senso che “i magistrati nominati con D.M. del 3 febbraio 2017, ai quali è stata assegnata la sede in data 10 ottobre 2017, siano legittimati a chiedere il tramutamento presso altre sedi dopo tre anni dal giorno in cui hanno assunto effettivo possesso dell’ufficio”;

- visto il parere dell’Ufficio Studi e documentazione n. 284/2020 del 22 dicembre 2020;

OSSERVA.

L’art. 3 del D.L. 31 agosto 2016, n. 168 (“Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l'efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa”) reca disposizioni in materia di tramutamenti successivi dei magistrati.

In particolare, il comma 1 della predetta norma ha portato a quattro anni il termine di legittimazione ai tramutamenti di cui all’art. 194 del R.D. n. 12 del 1941, che attualmente prevede che il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede, non può essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni prima di quattro anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell’ufficio.

In sede di conversione sono state introdotte alcune eccezioni a tale regola.

Il comma 1-bis, aggiunto dall’articolo 1, comma 1, della legge 25 ottobre 2016, n. 197, in sede di conversione (e successivamente soppresso) ha previsto che “le disposizioni del comma 1 concernenti la modifica del termine non si applicano ai magistrati assegnati in prima sede all’esito del tirocinio che hanno assunto l’effettivo possesso dell’ufficio da almeno tre anni alla data di entrata in vigore del presente decreto. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano in ogni caso in riferimento alle procedure di trasferimento ad altra sede o di assegnazione ad altre funzioni già iniziate alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

La novella inserita in sede di conversione, ed in parte abrogata pochi mesi dopo, ha cercato di temperare l’effetto dell’allungamento del termine di legittimazione prevedendo l’applicazione del precedente, più favorevole, regime ai magistrati che si trovassero a lavorare nella sede di prima destinazione da almeno tre anni al 31 agosto 20161 ed alle procedure in corso alla stessa data. La prima parte della normativa, abrogata e sostituita dopo pochi mesi, mirava a tutelare la posizione dei magistrati di prima nomina i quali vengono assegnati d’ufficio alla prima sede, e che, sebbene possono, in funzione della graduatoria di concorso, esprimere una scelta, devono, però, effettuare l’opzione tra sedi in genere meno ambite. La ratio è altresì quella di tutelare l’affidamento nella stabilità del vecchio termine, qualificato, inoltre, dall’essere già maturata, alla data di entrata in vigore

1 La legge di conversione è entrata in vigore il 30 ottobre 2016. La formulazione della stessa, che ha solo interpolato il decreto legge da convertire, inserendo nell’art. 3 il nuovo comma 1-bis, induce a ritenere che il requisito dei tre anni dalla presa di possesso dell’ufficio debba decorrere dall’entrata in vigore del decreto stesso (31 agosto 2016) e non da quello della legge di conversione. Il comma inserito, infatti, utilizza proprio la espressione “entrata in vigore del decreto”, riferendosi chiaramente al D.L. 168 del 2016 e non alla legge 197.

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della novella (31 agosto 2016), la legittimazione triennale. La seconda parte della norma, rimasta sempre in vigore, mirava ad evitare che in corso di procedure concorsuali i criteri di legittimazione potessero cambiare.

Successivamente è intervenuto l’articolo 10, comma 2-bis, lettera a), del D.L. 30 dicembre 2016, n.

244, convertito in legge con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, il quale ha eliminato, come anticipato, la prima parte del comma 1 bis relativo ai magistrati di prima nomina, inserendo l’eccezione alla legittimazione quadriennale per i magistrati in tirocinio in un nuovo comma 1-ter, il quale prevede: “Per i magistrati che, alla data di entrata in vigore della presente disposizione, esercitano le funzioni presso la sede di prima assegnazione o, alla medesima data, sono stati assegnati alla prima sede, il termine di cui all’articolo 194, primo comma, dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il trasferimento ad altre sedi o per l’assegnazione ad altre funzioni è ridefinito da quattro anni a tre anni. Il presente comma si applica anche ai magistrati ai quali la prima sede è assegnata nell’anno 2017”2.

Proprio l’ultimo inciso della norma - che, estendendo l’eccezione, vi include anche i magistrati ai quali la prima sede è stata assegnata nel 2017 - ha dato luogo al dubbio interpretativo oggetto di esame.

Occorre, dunque, stabilire cosa debba intendersi per “assegnazione della prima sede”: se, cioè, la norma faccia riferimento alla scelta della sede che viene effettuata al termine del tirocinio generico e prima di quello mirato, ovvero faccia riferimento all’assegnazione definitiva che interviene previo conferimento delle funzioni giurisdizionali.

I magistrati che hanno formulato il quesito propongono la prima delle due letture, che consentirebbe loro di rientrare nell’eccezione di cui all’ultimo periodo dell’art. 3, comma 1-ter, e, quindi, di vantare la maturazione della legittimazione ai tramutamenti al decorrere del terzo anno dalla presa delle funzioni, intervenuta generalmente nel 2018. Detti magistrati, infatti, hanno effettuato la scelta della sede in data 10 ottobre 2017. Ove, invece, si interpretasse l’espressione “assegnazione della prima sede” come riferita alla destinazione contestuale al conferimento delle funzioni giurisdizionali,

2 La legge n. 19 del 2017, che, convertendo il D.L. n. 244 del 2016, ha inserito il nuovo comma 1 ter all’art. 3 cit., è entrata in vigore il 1° marzo 2017. Potrebbe affermarsi che il comma 1 ter, facendo riferimento alla data di entrata in vigore della “presente disposizione”, abbia inteso riferirsi alla disposizione introdotta con effetti dal 1° marzo 2017 e non a quella interpolata entrata, invece, in vigore, come visto, il 31 agosto 2016. A conferma di tale lettura potrebbe richiamarsi l’espressione “presente disposizione” usata per indicare la data di entrata in vigore, diversa da “presente decreto”

utilizzata nel comma precedente, e l’espressione usata per la riformulazione del termine di legittimazione: la norma dispone che questo “è ridefinito da quattro a tre anni”. Accedendo a tale lettura ne deriverebbe che la norma applicherebbe il più favorevole regime triennale a quei magistrati che al 1° marzo 2017 (e non al 31 agosto 2016) sono stati assegnati alla sede di destinazione ma non hanno ancora preso possesso delle funzioni nell’ufficio. La soluzione, pur sorretta da argomenti letterali, pare poter essere superata da due considerazioni. Innanzitutto la tecnica utilizzata è quella della interpolazione. La novella, cioè, non inserisce una nuova norma o una disposizione autonoma, ma al contrario, introduce nell’art. 3 del d.l. 168 del 2016 (entrato in vigore il 31 agosto 2016) un nuovo comma che va ad integrare la struttura della norma stessa ed il catalogo delle eccezioni, aggiungendone una nuova a quella già prevista. Il comma 1 bis, infatti, già disponeva l’applicazione del più favorevole termine triennale "in riferimento alle procedure di trasferimento ad altra sede o di assegnazione ad altre funzioni già iniziate alla data di entrata in vigore del presente decreto" e cioè, come visto, al 31 agosto 2016. Sembrerebbe, quindi, conforme al principio della coerenza interna della norma ricondurre entrambe le eccezioni alla medesima data di efficacia. Va, poi, considerato che la novella, che ha introdotto il nuovo comma 1 ter, ha contemporaneamente abrogato la precedente eccezione la quale faceva, anch’essa, riferimento alla posizione dei magistrati di prima nomina prevedendo il termine triennale per i "magistrati assegnati in prima sede all’esito del tirocinio che hanno assunto l’effettivo possesso dell’ufficio da almeno tre anni alla data di entrata in vigore del presente decreto". Il nuovo comma 1 ter va a sostituire il primo periodo del comma 1 bis ‘ricalibrando’ l’eccezione e ridefinendone i confini. Attesa la natura sostitutiva della novella appare coerente ritenere che la data di efficacia della disposizione sostituita e di quella nuova sia la medesima. Infine, l’interpretazione secondo la quale il comma 1-ter farebbe riferimento all’entrata in vigore della legge n. 19 del 2017 (1 marzo 2017), comporterebbe che l’espressione "sono stati assegnati alla prima sede" farebbe riferimento ad un’assegnazione di sede intervenuta nel 2017 prima della data del 1 marzo. Tanto renderebbe in parte superflua la stessa espressione atteso che il secondo periodo dello stesso comma già estende l’eccezione proprio "ai magistrati ai quali la prima sede è assegnata nell’anno 2017", utilizzando, peraltro, la congiunzione "anche", che per tale via non avrebbe alcun senso.

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intervenuta per i più in data 26.4.2018, i magistrati de quibus non rientrerebbero nell’eccezione e si applicherebbe loro l’ordinario termine di legittimazione quadriennale.

Per rispondere compiutamente al quesito appare opportuno:

a) verificare se l’espressione “assegnazione della prima sede” trovi un significato univoco nella normativa primaria e secondaria;

b) individuare la ratio della previsione e verificare se in base alla stessa è possibile trarre indicazioni in merito all’interpretazione dell’inciso;

c) verificare la tenuta interna della norma alla luce dell’interpretazione proposta.

Ebbene, l’esame della normativa primaria e secondaria, nonché delle delibere consiliari non fornisce un’indicazione univoca in ordine al significato dell’espressione “assegnazione della prima sede”. L’inciso, infatti, è utilizzato di volta in volta sia per indicare la scelta della sede al termine del tirocinio ordinario, sia per indicare, invece, l’assegnazione definitiva conseguente al conferimento delle funzioni giudiziarie.

In particolare, se la normativa primaria utilizza l’inciso in entrambi i sensi3, nella normativa secondaria emerge una prevalenza dell’utilizzo dell’espressione ad indicare l’assegnazione all’esito del tirocinio ordinario.

3 La legge 16 ottobre 1991, n. 321 con l’art. 2 ha introdotto una nuova versione, in seguito ulteriormente modificata, dell’art. 194 dell’Ordinamento giudiziario. La versione della norma, oggi non più in vigore, prevedeva: “Il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede da lui chiesta od accettata, non può essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni prima di quattro anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell’ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio. Il termine è ridotto a due anni per la prima assegnazione di sede degli uditori giudiziari”. La norma faceva riferimento alla prima assegnazione di sede senza, però, fornire elementi idonei a determinare se l’espressione fosse riferita all’assegnazione definitiva o alla scelta all’esito del tirocinio ordinario. Ad ogni modo, la prospettiva della disposizione, e quindi la ratio della stessa, prescindeva dall’iter procedimentale di assegnazione: lo scopo della norma ero solo quello di individuare i magistrati di prima nomina, di talché l’espressione usata “prima assegnazione di sede” indicava non tanto il dato temporale della stessa assegnazione ma il semplice fatto che la sede fosse quella di prima destinazione e non un successivo trasferimento. Tale norma, pertanto, sia per la genericità della formulazione che per la diversità di ratio rispetto alla tematica qui in analisi, non può fornire alcuna utile indicazione.

La L. 4 maggio 1998, n. 133 all’art. 1 (“Trasferimento d’ufficio”), al comma 1 afferma che “La presente legge non si applica alle assegnazioni di sede dei magistrati al termine del tirocinio”. Tale norma primaria definisce, quindi, come assegnazione della sede ai magistrati in tirocinio quella definitiva che interviene all’esito del tirocinio stesso. Anche in questo caso la prospettiva della disposizione è diversa da quella qui in esame. L’articolo citato, infatti, mira solo a individuare i magistrati di prima nomina distinguendoli da quelli che si siano trasferiti successivamente. Del resto, sotto un profilo strettamente semantico, occorre osservare come il legislatore in questo caso abbia ritenuto di dover precisare il concetto di “assegnazioni di sede” qualificandolo ulteriormente con l’espressione “al termine del tirocinio”. Si potrebbe osservare, quindi, che ove la legge ha ritenuto di adottare questa espressione lo ha chiarito esplicitamente, e che, quindi, la locuzione assume un significato diverso ove non specificamente qualificata nel senso ivi indicato.

Il D.Lgs. 5 aprile 2006, n. 160, all’art. 9-bis, intitolato “Assegnazione di sede al termine del periodo di tirocinio”

ed abrogato dalla L. n. 111 del 2007, prevedeva: “1. Salvo quanto previsto dall’articolo 13, comma 2, con provvedimento motivato, il Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, assegna i magistrati che hanno ottenuto un positivo giudizio di idoneità ai sensi dell’articolo 22, comma 2, del decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, e successive modificazioni, a una sede provvisoria, per la durata di due anni e sei mesi”. Il legislatore intendeva l’assegnazione di sede come quella definitiva all’esito del tirocinio. Ad ogni modo, anche in questo caso la prospettiva della disposizione e, quindi, la ratio della stessa prescindeva dall’iter procedimentale di assegnazione.

Nell’ottica della norma citata, infatti, era irrilevante distinguere il momento dell’assegnazione della sede in corso di tirocinio o all’esito dello stesso perché lo scopo era specificamente quello di individuare la destinazione dei magistrati all’esito del positivo giudizio di idoneità.

Il D.L. 29 dicembre 2009, n. 193 all’art. 3 bis prevede: “1. Con provvedimento motivato, il Consiglio superiore della magistratura, ove alla data di assegnazione delle sedi ai magistrati nominati con il decreto ministeriale 2 ottobre 2009 sussista una scopertura superiore al 30 per cento dei posti di cui all’articolo 1, comma 4, della legge 4 maggio 1998, n. 133, come da ultimo modificato dal presente decreto, può attribuire esclusivamente ai predetti magistrati, in deroga all’articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni, le funzioni requirenti al termine del tirocinio, anche antecedentemente al conseguimento della prima valutazione di professionalità”.

La norma prevede disposizioni speciali per i magistrati nominati con D.M. 2 ottobre 2009 e la possibilità, in particolare, di

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Concentrandoci sulla normativa secondaria, occorre segnalare l’articolo 8 della Circolare n.

13778 del 2014, intitolato “Scelta delle sedi e assegnazione definitiva”, il quale afferma che: “1. La scelta della sede da parte dei magistrati ordinari in tirocinio avviene in base alla collocazione nella graduatoria di cui all’articolo 5. 2. Tale scelta ha il valore di preindicazione e l’assegnazione avviene al termine del tirocinio, previa positiva valutazione dell’idoneità all’esercizio delle funzioni giurisdizionali”. È evidente, pertanto, che, in base a tale norma, va distinta la “scelta” che ha valore di preindicazione e che interviene nel corso del tirocinio alla fine del periodo ordinario e prima del mirato e l’“assegnazione” che, invece, interviene alla fine del tirocinio previa positiva valutazione.

Le norme sul tirocinio e sull’assegnazione della sede si rinvengono, inoltre, nel “Regolamento per la formazione iniziale dei magistrati ordinari in tirocinio” approvato con delibera del 13 giugno 2012 e successive modifiche. Le norme che fanno riferimento al concetto di “assegnazione della sede”

si rinvengono negli artt. 7, 10 e 13.

La relazione al Regolamento, in ordine all’art. 7, precisa che questo “risponde alla necessità di orientare il tirocinio mirato, consentendo che esso sia svolto fin dall’inizio e per tutta la sua durata in un ufficio dello stesso tipo di quello al quale il magistrato in tirocinio è stato assegnato. A tal fine, si è previsto che il Capo dell’Ufficio, entro 45 giorni dalla delibera di assegnazione della sede al magistrato in tirocinio, formuli la relativa proposta di variazione tabellare ovvero di modifica del progetto organizzativo, comunicandola anche direttamente alla Sesta Commissione del CSM”. L’art.

7, infatti, recita: “Il tirocinio mirato […] si svolge presso un ufficio dello stesso tipo di quello al quale il magistrato in tirocinio è stato assegnato […]Il dirigente dell’ufficio giudiziario, al quale il magistrato è stato destinato, comunica […]al Consiglio Giudiziario, al CSM e al Comitato Direttivo le specifiche funzioni che assumerà il magistrato in tirocinio […] In ogni caso, entro 45 giorni dalla delibera di assegnazione della sede al magistrato in tirocinio, il Capo dell’Ufficio formulerà la relativa proposta di variazione tabellare ovvero di modifica del progetto organizzativo, comunicandola anche direttamente alla Sesta Commissione del CSM”. La norma, pertanto, utilizzando l’espressione “assegnazione”, fa chiaramente riferimento alla fase della scelta della sede all’esito del tirocinio generico.

L’art. 10, poi, prevede la figura dei magistrati collaboratori, dei quali il Consiglio giudiziario si avvale per la predisposizione del programma di tirocinio presso gli uffici giudiziari e per il coordinamento dello stesso. Disciplinando il loro ruolo per il tirocinio mirato, l’art. 10 prevede che le funzioni saranno svolte da due magistrati collaboratori, uno per il civile ed uno per il penale, nel caso di assegnazione del magistrato in tirocinio a funzioni promiscue. Anche in questo caso la norma, facendo riferimento all’assegnazione del magistrato intende riferirsi a quella che interviene all’esito del tirocinio generico.

Infine, l’art. 13 disciplina, più specificamente, le valutazioni di idoneità all’esercizio di funzioni giudiziarie e l’individuazione degli uffici di destinazione. La norma prevede che il Comitato direttivo, al termine della sessione presso la Scuola, trasmette al C.S.M. una relazione concernente ciascun magistrato e, all’esito del tirocinio mirato, trasmette al Consiglio una relazione di sintesi con un giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni. Il C.S.M., su proposta della Quarta Commissione competente, opera il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie, tenendo conto delle relazioni redatte all’esito delle sessioni, trasmesse dal Comitato direttivo, della relazione di sintesi dal medesimo predisposta, del parere del Consiglio Giudiziario, delle eventuali osservazioni dell’interessato e di ogni altro elemento rilevante ed oggettivamente verificabile.

“Completato il tirocinio ordinario e la corrispondente sessione formativa presso la Scuola, il CSM, su proposta della Terza Commissione competente, delibera a quale ufficio verrà destinato il magistrato

assegnare gli stessi alle funzioni di pubblico ministero in deroga all’allora vigente art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 160 del 2006. Il requisito della percentuale di scopertura previsto dalla norma è verificato all’atto dell’“assegnazione della sede”, facendo riferimento, evidentemente alla scelta della sede al termine del tirocinio generico. La disposizione è utile perché è possibile individuare con certezza il senso della espressione, ma è pur vero che in questo caso la delimitazione semantica è resa necessaria proprio dal suo specifico ambito di disciplina ed è, quindi, difficile ritenere che dalla stessa possa trarsi una efficacia definitoria generale, come visto anche per le precedenti norme citate.

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ordinario in tirocinio per l’esercizio delle funzioni giudiziarie al termine del positivo esito del tirocinio mirato. L’individuazione e l’assegnazione delle sedi e degli uffici ai quali destinare i magistrati ordinari in tirocinio per l’esercizio delle funzioni avviene secondo criteri predeterminati fissati dal CSM con propria delibera, su proposta della Terza Commissione competente”. Anche l’art.

13, quindi, utilizzando l’espressione “assegnazione delle sedi” fa riferimento alla destinazione che viene compiuta all’esito del tirocinio ordinario.

Ulteriori indicazioni normative si possono rinvenire nelle direttive relative al tirocinio che, come visto, il C.S.M. detta in relazione ad ogni concorso. Tutte le ultime direttive in materia (si vedano, ad esempio, quelle relative al tirocinio dei magistrati nominati con DD.MM. 19 ottobre 2016, 3 febbraio 2017 e 3 gennaio 2020) prevedono un paragrafo intitolato “L’individuazione e l’assegnazione delle sedi e degli uffici ai quali destinare i magistrati ordinari in tirocinio per l’esercizio delle Funzioni”. Ivi si chiarisce: “L’individuazione e l’assegnazione delle sedi e degli uffici ai quali destinare i magistrati ordinari in tirocinio per l’esercizio delle funzioni avvengono in prossimità del completamento del tirocinio ordinario presso gli uffici giudiziari (art. 6, Regolamento per il tirocinio) e della collegata sessione presso la Scuola della Magistratura (art. 8, comma 2, Regolamento per il tirocinio), con le modalità indicate nell’art. 13, comma 10 e 11, del Regolamento per il tirocinio adottato con delibera consiliare del 13 giugno 2012. Il Dirigente dell’ufficio giudiziario di destinazione del magistrato ordinario deve comunicare al Consiglio Giudiziario e al CSM, con precisione e senza ritardo, entro il termine di venti giorni dalla delibera consiliare relativa all’assegnazione delle sedi per l’esercizio delle funzioni giurisdizionali, l’ufficio e le funzioni alle quali il magistrato medesimo sarà destinato, secondo le tabelle e i criteri di assegnazione degli affari vigenti in tale ufficio […].”. Anche tali fonti, pertanto, utilizzano l’espressione “assegnazione della sede” come riferita alla scelta e alla destinazione che si effettuano all’esito del tirocinio ordinario.

In conclusione, dall’esame della normativa secondaria emerge una prevalenza dell’utilizzo dell’espressione “assegnazione della prima sede” come volta ad indicare l’assegnazione all’esito del tirocinio ordinario, con la precisazione, però, che la scelta è da intendersi quale preindicazione e che l’assegnazione è precaria in quanto si consolida solo con il conferimento delle funzioni giurisdizionali contestualmente al quale si procede all’assegnazione definitiva. Del resto, come visto, il senso dell’espressione nella normativa primaria, oltre a non essere univoco, essendo utilizzato in relazione a circostanze peculiari e sulla base di rationes specifiche, non pare consentire di trarre utili indicazioni.

Se l’esame dell’utilizzo normativo dell’espressione non è decisivo per sciogliere il nodo del quesito, occorre verificare se dall’individuazione della ratio della previsione di cui all’art. 3, co. 1-ter del D.L. n. 168 del 2016 è possibile trarre elementi interpretativi.

Innanzitutto appare evidente come in sede di conversione il legislatore abbia inteso sanare la carenza di una disciplina intertemporale che appariva quantomeno opportuna, se non necessaria. Non a caso il Consiglio Superiore sottolineò, all’epoca, come nella situazione di consolidata, straordinaria e crescente vacanza di risorse, con la conseguente difficoltà di coprire le sedi meno ambite, in quanto periferiche o affette da più gravi criticità funzionali, l’allungamento dei termini di permanenza minima avesse l’effetto – obbiettivo – di scaricare le difficoltà strutturali e di sistema sui singoli magistrati che contingentemente si trovassero a prestare servizio in dette sedi, imponendo loro un ragguardevole sacrificio personale (delibera del 21 settembre 2016 recante il parere ex art. 10, L. n.

195/58 sul testo del decreto legge n. 168 del 2016).

Ciò riguardava in primo luogo i magistrati di prima nomina, la cui destinazione generalmente non corrisponde alle personali opzioni, ma è lo strumento forzoso utilizzato dall’Organo di governo autonomo per fornire un contingente minimo di dotazione personale alle sedi che non siano oggetto delle vocazioni dei magistrati già in servizio. A tali magistrati, con la norma in commento, s’imponeva un aggravio unilaterale imprevisto che - in quanto teso a ovviare alle inefficienze derivanti dalla gestione organizzativa complessiva del sistema - appariva sostanzialmente ingiustamente pregiudizievole. Il Consiglio, pertanto, suggeriva di prevedere - in sede di conversione

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del decreto legge - un termine di permanenza minima differenziato e più ridotto per la prima assegnazione dei magistrati di nuova nomina, così come era in passato previsto dall’art. 2 della legge 321 del 1991 successivamente abrogato, e come anche proposto nella relazione conclusiva della Commissione ministeriale incaricata di predisporre un progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario. Suggeriva, altresì, di introdurre una disciplina transitoria che governasse l’ambito di applicazione temporale, incidendo l’innovazione in maniera sostanziale sulle aspettative individuali, legittimamente costituite all’interno del regime previgente. In particolare, segnalava la necessità di prendere in esame la posizione dei magistrati che operavano in sedi e funzioni acquisite sul presupposto del vincolo minimo triennale, anche alla luce del principio di tutela del legittimo affidamento, e di coloro per cui fosse in corso una procedura di trasferimento sulla base di un bando pubblicato nel vigore della normativa sostituita.

In sede di conversione, come visto, il legislatore è venuto solo in parte incontro agli auspici del Consiglio. Non ha accolto l’idea di prevedere un termine di legittimazione differenziato per i magistrati di prima nomina assegnati alla prima sede, ma ha previsto un regime peculiare intertemporale solo per le procedure concorsuali in itinere e per i magistrati che alla data di entrata in vigore della norma (31 agosto 2016) si trovassero da almeno tre anni nella sede di prima assegnazione. Il legislatore è intervenuto, poi, con il D.L. 30 dicembre 2016, n. 244, convertito in legge con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, a correggere ulteriormente il tiro, abrogando la prima parte del comma 1-bis ed estendendo, con l’introduzione di un comma 1-ter, il regime intertemporale ai magistrati che alla data di entrata in vigore della novella esercitassero le funzioni presso la sede di prima assegnazione ed aggiungendovi la categoria di coloro che alla medesima data fossero stati assegnati alla prima sede. Ampliava, contestualmente, il novero dell’eccezione estendendola ai magistrati ai quali la prima sede fosse stata assegnata nell’anno 2017.

Tanto premesso, occorre, quindi, verificare se la ratio della novella possa identificarsi nella tutela dell’affidamento dei magistrati la cui sede è stata assegnata in base alla previgente e più favorevole normativa.

In ordine all’applicazione del principio di affidamento (di cui il Giudice delle leggi ha già da tempo riconosciuto la natura costituzionale, con la sua riconduzione alla tutela dell’art. 3 della Costituzione), ed in particolare in relazione alla modifica del termine di legittimazione al tramutamento dei magistrati da triennale a quadriennale, è intervenuto il T.A.R. Lazio con le sentenze nn. 10478 e 10479 del 2018.

Il Collegio ha sottolineato, in generale, che al legislatore ordinario non è inibito emanare norme con efficacia retroattiva, a condizione però che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti; ha poi dato atto della possibilità di interpretare la riforma dell’art. 194 O.G. come implicante

“una forma di retroattività della stessa - in particolare nella misura in cui la riforma ha modificato il rapporto sostanziale dal 31 agosto 2016, comportando ipso facto un allungamento del termine di permanenza da tre a quattro anni”; ciò posto, ha escluso, nel merito, che “una tale retroattività, di per sé non vietata al legislatore, sia trasmodata in un “regolamento irrazionale” ovvero in una irragionevole compromissione di diritti sorti nella vigenza della disciplina precedente”. Al fine di escludere una concreta lesione del principio di affidamento, il TAR ha evidenziato, anzitutto, che il tempo di permanenza del magistrato in una sede, all’epoca, era già stato oggetto di più di una modifica legislativa e che già in passato esso era stato elevato a quattro anni: pertanto, proprio con riferimento all’elemento in questione non poteva essere invocato un vero e proprio affidamento nella immodificabilità della disciplina del rapporto di servizio, potendosi configurare, semmai, un’aspettativa di mero fatto.

Il giudice amministrativo ha, altresì, osservato che l’allungamento del periodo di permanenza non determina, ex se, un significativo peggioramento delle condizioni di lavoro o di vita sia perché il magistrato esercita le funzioni in una sede che egli ha prescelto e che si presume essergli confacente, sia perché, a prescindere dalla durata del termine minimo di permanenza, l’assegnazione ad una sede

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determinata spesso richiede il decorso di un tempo ben più lungo di quello minimo stabilito dall’art.

194 dell’O.G., dipendendo largamente anche dalla anzianità di ruolo, sia, infine, perché il prolungamento del periodo di permanenza, da tre a quattro anni, è contenuto per durata, non determina trasferimenti improvvisi o imprevedibili e, non applicandosi il termine quadriennale quale termine di legittimazione ai fini della partecipazione a procedure di trasferimento o assegnazione indette prima della entrata in vigore della norma, comunque non sono travolte né sospese le assegnazioni disposte prima della entrata in vigore della novella. In definitiva, secondo il T.A.R., in concreto, non era ravvisabile una violazione dell’art. 3 della Costituzione, sub specie di violazione del principio dell’affidamento.

Ritornando, quindi, all’individuazione della ratio della normativa di cui al comma 1-ter citato, deve rilevarsi che la stessa non pare potersi individuare nella sola tutela dell’affidamento nella stabilità della normativa sulla legittimazione triennale, la cui necessità, come visto, lo stesso T.A.R.

ha in concreto escluso. Ove, peraltro, tale fosse stato l’intento, l’eccezione avrebbe dovuto riguardare tutti i magistrati in servizio alla data dell’entrata in vigore della novella e non solo i magistrati di prima nomina.

Potrebbe, quindi, sostenersi che il legislatore abbia inteso tutelare solo e specificamente la particolare posizione dei magistrati di prima nomina che vengono generalmente destinati

“forzosamente” a sedi non ambite per coprire vuoti di organico derivanti dal fatto che determinati uffici non rispondono alle vocazioni dei magistrati già in servizio: a tali magistrati la novella imponeva unilateralmente un peggioramento imprevisto della propria posizione che - in quanto mirante a fronteggiare inefficienze imputabili alla gestione organizzativa complessiva del sistema – appariva sostanzialmente ingiusto.

Può, cioè, ritenersi che il legislatore abbia tenuto in considerazione non solo il semplice affidamento nella stabilità della normativa sulla legittimazione ai tramutamenti (che, come visto, è stato recentemente escluso dalla stessa giurisprudenza amministrativa), ma l’affidamento particolarmente qualificato dei soli magistrati di prima nomina che, differentemente dagli altri colleghi, versano in una condizione deteriore dal punto di vista dell’adesione alle personali opzioni.

Tale ricostruzione non contrasta con le citate pronunce del giudice amministrativo.

Le citate sentenze del TAR, infatti, hanno escluso la sussistenza di un affidamento tutelabile tra l’altro perché l’allungamento del periodo di permanenza non avrebbe determinato, ex se, un significativo peggioramento delle condizioni di lavoro o di vita in quanto il magistrato avrebbe esercitato le funzioni in una sede che egli ha prescelto e che si presume essergli confacente. Invece, il magistrato di prima nomina non ha di certo scelto una sede rispondente alle proprie ambizioni essendo, come visto, la prima assegnazione assiologicamente più vicina ad un’assegnazione d’ufficio che ad un trasferimento su domanda. Pertanto, l’affidamento sulla stabilità della vecchia normativa, sebbene di per sé non abbastanza forte da comportare una tutela giuridica, ove accompagnato da una situazione deteriore dal punto di vista delle scelte personali, come già adombrato dalle sentenze del T.A.R. citate, può integrare un valore che il legislatore ha ritenuto meritevole di tutela; la legge, pertanto, ha inteso tutelare la posizione di quei magistrati di prima nomina che, al momento dell’assegnazione della sede, non solo si fossero trovati a fare affidamento su un termine di legittimazione triennale ma si fossero anche trovati ad essere destinati a sedi sostanzialmente non prescelte in aderenza alle proprie aspirazioni.

Se, dunque, la ratio del primo periodo del citato comma 1-ter, è quella testè individuata, più difficile è individuare quella del secondo inciso - che qui specificamente interessa - il quale prevede che “Il presente comma si applica anche ai magistrati ai quali la prima sede è assegnata nell’anno 2017”. È evidente che la ratio sopra individuata non può attagliarsi a tale previsione che, quindi, appare anomala rispetto al primo periodo. La disposizione non può spiegarsi alla luce del principio di affidamento perché la novella ha prodotto effetti a decorrere dal 31 agosto 2016 e, quindi, i magistrati che hanno scelto la sede o che sono stati assegnati in via provvisoria o definitiva alla stessa nel 2017 erano già a conoscenza di tale nuova normativa. Nemmeno può affermarsi che la ratio sia quella della necessità di tutelare la peculiare posizione dei magistrati assegnati d’ufficio alla prima sede a

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prescindere dall’incidenza che tale elemento può avere sulla maturazione di un legittimo affidamento.

Se, infatti, l’intenzione del legislatore fosse stata quella di tenere in considerazione la posizione dei magistrati assegnati d’ufficio alla prima sede, avrebbe dovuto coerentemente estendere la deroga alla legittimazione a tutti i magistrati di prima nomina. Deve, conclusivamente, ritenersi che la ratio dell’ultimo inciso sia da rinvenire nell’esigenza latamente politica di accomunare e non differenziare magistrati nominati con due DD.MM. molto ravvicinati e che, probabilmente, avrebbero potuto avvertire come un’ingiustizia quella di vedere diversamente regolata la propria posizione. Insomma, si tratta di una previsione una tantum giustificata da esigenze contingenti e irripetibili.

Appare evidente come la predetta ratio non possa essere di aiuto nell’interpretare l’inciso in esame (“ai quali la prima sede è stata assegnata nell’anno 2017”) ed in particolare non giova a comprendere se la parola “assegnazione” debba intendersi come riferita all’assegnazione provvisoria disposta all’esito del tirocinio generico, o a quella definitiva disposta contestualmente al conferimento delle funzioni giurisdizionali.

Entrambe le accezioni, infatti, sono compatibili con la ratio individuata per spiegare il primo inciso del comma 1-ter: sia l’assegnazione provvisoria che quella definitiva, appunto, sono idonee a fondare quell’affidamento qualificato dalla peculiare posizione dei magistrati di prima nomina.

Egualmente, la diversa ratio dell’ultima disposizione del comma 1-ter non consente di fornire alcuna indicazione sul senso dell’espressione “assegnazione della sede”: trattandosi di norma una tantum fondata su esigenze contingenti entrambe le accezioni individuate sono compatibili.

Verificato, dunque, che dall’esame della normativa non emerge un criterio univoco e che l’individuazione della ratio della novella, relativamente all’inciso di cui all’ultima parte del comma 1 ter cit. (“Il presente comma si applica anche ai magistrati ai quali la prima sede è assegnata nell’anno 2017”), non dà un utile contributo, è possibile effettuare una verifica di coerenza interna al fine di chiarire se la struttura della norma stessa sia in grado di fornire un criterio guida compatibile, in ogni caso, con la normativa primaria e secondaria sopra delineata e con le rationes appena enucleate.

Occorre preliminarmente sottolineare che sia la prima che la seconda parte del comma 1-ter richiamano il concetto di “assegnazione della prima sede”; in assenza di elementi normativi contrari ovvero di esigenze legate alle evidenziate, pur differenti, rationes, deve ritenersi che il concetto utilizzato nei due periodi della stessa disposizione non possa che essere lo stesso. Pertanto, al fine di comprendere cosa intenda il legislatore nel secondo periodo è possibile cercare il significato della stessa espressione utilizzata nel primo periodo.

Orbene, come visto, nella prima parte della norma si differenziano i magistrati che alla data di entrata in vigore della novella (31 agosto 2016) esercitavano le funzioni presso la sede di prima assegnazione da quelli che, alla medesima data, sono stati ivi assegnati. Un primo dato che, pertanto, può ritenersi acquisito è che l’assegnazione della sede si riferisce ad una fase in cui il magistrato non esercita ancora le funzioni giudiziarie.

Tale eventualità si verifica con riferimento ad entrambe le accezioni di “assegnazione di sede”

individuate: se, infatti, si intende per assegnazione di sede quella provvisoria disposta all’esito del tirocinio generico, ci sarà un consistente periodo nel quale l’assegnatario non eserciterà le funzioni giudiziarie in quanto impegnato nel tirocinio mirato; anche se s’intende per assegnazione di sede quella definitiva disposta contestualmente al conferimento delle funzioni giudiziarie, è individuabile un periodo, molto più breve, durante il quale il magistrato assegnatario non esercita le funzioni: lo stesso, infatti, dopo il D.M. che recepisce la delibera di assegnazione della sede dispone di un periodo di tempo durante il quale può presentarsi presso l’ufficio di destinazione per prendere effettivo possesso delle funzioni.

Considerato che il respiro della norma in esame è molto stretto, nel senso che la stessa è destinata a disciplinare il regime intertemporale per una peculiare categoria di soggetti legata alla condizione del momento, potrebbe ritenersi che il legislatore nel disegnarla abbia tenuto conto dello stato di fatto all’epoca vigente ed in particolare dello status dei magistrati di prima nomina all’epoca in servizio.

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Per verificare, dunque, quale sia la corretta interpretazione dell’espressione “assegnazione della sede”

di cui al primo periodo potrebbe verificarsi se le due possibili accezioni, come innanzi precisate, siano compatibili con lo stato di fatto dell’epoca; potrebbe, cioè, verificarsi se esistevano magistrati che alla data del 31 agosto 2016 (data di entrata in vigore della norma in esame) erano stati assegnatari della sede con delibera di contestuale conferimento delle funzioni ed in attesa di prendere effettivo possesso delle funzioni nell’ufficio di destinazione, ovvero se esistevano magistrati che alla stessa data avevano effettuato la scelta della sede al termine del tirocinio generico ma non avevano ancora ultimato il tirocinio mirato.

Dall’esame dei dati concreti relativi ai concorsi esauriti o banditi attorno al 20164 emerge che alla data del 31 agosto 2016 per i magistrati nominati con D.M. 20.2.2014 era già intervenuta la delibera di conferimento funzioni e di assegnazione della sede definitiva, i magistrati nominati con D.M.

10.12.2015 non avevano ancora effettuato la scelta della sede, intervenuta solo in data 16.1.2017; i magistrati nominati con D.M. 18.1.2016 hanno effettuato la scelta della sede solo in data 7.2.2017.

L’inciso, pertanto, sembrerebbe non essere applicabile a nessuna delle categorie sopra individuate perché per nessuna di esse si è verificata l’eventualità che i magistrati fossero assegnatari (provvisoriamente o definitivamente) di sede ed alla data del 31 agosto 2016 non avessero ancora preso possesso delle funzioni.

Ciò detto, occorre però chiedersi se l’inciso in questione non possa riferirsi ai cd. solisti, ovvero a quei magistrati che avevano effettuato la scelta della sede o ai quali erano state attribuite le funzioni e la sede prima del 31.8.2016, ma che a quella data non avevano ancora preso possesso delle funzioni nell’ufficio di destinazione a causa della sospensione del servizio per maternità, per aspettativa, o

4

DM indizione concorso

DM approvazione

graduatoria vincitori

DM nomina MOT

Prescelta Sede

Delibera conferimento

funzioni e assegnazione

sede

Presa di possesso

19/10/2010

360 POSTI - 2/05/2013 5-6/05/2014

22/12/2014 il primo gruppo e n.

5 solisti fino all’11 maggio

2016

Dal 12.1.2015 al 19.01.2015 (solo il primo gruppo) e n.

5 solisti fino al 31 maggio 2016

22/09/2011

370 POSTI 18/02/2014 20/02/2014 9-10/03/2015

11/11/2015 il primo gruppo e n.

5 solisti fino all’11 gennaio 2017:

1) 08/09/2016 2) 22/09/2016 3) 12/10/2016 4) 12/10/2016 5) 11/01/2017

Dal 21.11.2015 al 28.11.2015 il primo gruppo e n.

5 solisti fino al 30 gennaio 2017:

1) 15/09/2016 2) 21/11/2016 3) 26/10/2016 4) 26/10/2016 5) 30/01/2017

4/09/2014 10 POSTI Bolzano

11/11/2015

(9 vincitori) 10/12/2015 16/01/2017 13/09/2017 Dal 17.9.17 al 24.9.2017 30/10/2013

365 POSTI 23/12/2015 18/01/2016 6-7/02/2017 18/10/2017 il primo gruppo

Dal 01 all’8/11/2017 05/11/2014

340 POSTI 02/02/2017 03/02/2017 9-10/10/2017 26/04/2018 il primo gruppo

Dal 10 al 18/05/2018 22/10/2015

350 POSTI 02/02/2018 07/02/2018 23-

24/07/2018

13/03/2019 il primo gruppo

Dal 5 al 13/04/2019 19/10/2016

360 POSTI 08/02/2019 12/02/2019 26-

27/02/2020

Tirocinio mirato

in corso -

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perché, all’esito del tirocinio mirato non avevano ricevuto una valutazione positiva e, pertanto, si trovavano ad espletare il tirocinio integrativo.

Dall’esame dei dati concreti è emerso che alla data del 31 agosto 2016 cinque magistrati, vincitori del concorso a 370 posti bandito con D.M. 22.9.2011, avevano scelto la sede nelle date del 9 e del 10 marzo 2015 (unitamente agli altri magistrati nominati con D.M. 18.2.2014) ma stavano ancora svolgendo il tirocinio mirato, avendo preso poi possesso delle funzioni nelle date del 21.11.2016 (in numero di 1), del 26.10.2016 (in numero di 2), del 15.09.2016 (in numero di 1) e del 30.01.2017 (in numero di 1).

Non risulta, invece, che alcun magistrato alla stessa data si trovasse nelle condizioni di essere stato assegnatario definitivo della sede con delibera di contestuale conferimento delle funzioni ma in attesa di prendere effettivo possesso delle funzioni nell’ufficio di destinazione. Anche il magistrato che ha preso possesso delle funzioni in data 15.9.2016, infatti, ha avuto detto conferimento il precedente 8.9.2016.

Il predetto esame appare, quindi, indicare che l’espressione “magistrati che … alla medesima data, sono stati assegnati alla prima sede” di cui all’art. 3, comma 1 ter, del D.L. n. 168 del 2016 in commento poteva riferirsi solo alla peculiare posizione di quei “solisti” che avessero scelto la sede al termine del tirocinio generico ma che alla data del 31.8.2016 si trovassero ancora nel corso del tirocinio mirato. Accedendo a tale canone interpretativo, pertanto, se ne dovrebbe dedurre che l’espressione “assegnazione della sede” si riferisca alla assegnazione provvisoria che interviene al termine del tirocinio generico e non a quella definitiva che interviene dopo il conferimento delle funzioni.

Deve, però, rilevarsi come tale ipotesi ricostruttiva presenti un’intrinseca debolezza. Presuppone, infatti, che il legislatore fosse perfettamente a conoscenza della situazione procedimentale di tutti i tirocini in corso tanto da sapere che alla data del 30.8.2016 cinque magistrati cosiddetti “solisti” si trovassero nella peculiare condizione di aver effettuato la scelta della sede ma di essere ancora in corso di tirocinio mirato, e che nessun magistrato si trovasse nella condizione di aver avuto il conferimento delle funzioni senza aver ancora preso possesso delle stesse presso l’ufficio di destinazione.

Anche la verifica suindicata non può condurre, con certezza, a preferire una delle due interpretazioni possibili dell’inciso “assegnazione della sede”.

Riepilogando, si è appurato come il semplice esame dell’utilizzo normativo dell’espressione

“assegnazione della sede” non fornisce indicazioni utili; si è anche visto come la ratio dell’inciso del comma 1-ter citato (“Il presente comma si applica anche ai magistrati ai quali la prima sede è assegnata nell’anno 2017”) non è idonea a fornire utili indicazioni in quanto la norma integra una previsione una tantum giustificata da esigenze contingenti e irripetibili. Si è, altresì, verificato come il tentativo di interpretare l’inciso attraverso l’individuazione del concreto ambito applicativo dell’identica espressione usata nella precedente alinea abbia dato un’indicazione di per sé sola non sufficiente attesa l’intrinseca debolezza dell’argomento ermeneutico.

Per rispondere al quesito non resta, quindi, che utilizzare entrambi i criteri sopra proposti. Occorre, cioè, utilizzare il criterio di coerenza interna della norma che impone di attribuire identico significato ad identiche espressioni usate nel medesimo comma, e coniugare tale elemento con l’individuazione della ratio dell’espressione usata nella prima alinea estendendola all’inciso da interpretare.

Orbene, alla luce dell’istruttoria svolta si è premesso come l’inciso “assegnazione della sede” non possa che applicarsi ai casi in cui, per situazioni contingenti (maternità, aspettativa, ecc), magistrati che abbiano precedentemente effettuato la scelta della sede o ai quali la stessa sia stata assegnata in via definitiva non abbiano ancora preso possesso dell’ufficio alla data del 31.8.2016.

Si è anche appurato che la ratio della prima parte del comma 1-ter è quella di tutelare la posizione di qualificato affidamento del magistrato di prima nomina il quale ha scelto la sede nella vigenza della vecchia normativa. Orbene, tale ratio non può che far riferimento ad un atto di scelta della sede, di espressione della volontà del magistrato nel quale si concretizza quell’affidamento qualificato che, come visto, la norma mira a tutelare. L’affidamento, infatti, altro non è che l’aspettativa di stabilità

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della normativa vigente qualificata dall’ordinamento e dal comportamento del legislatore. Esso viene in rilievo allorché il magistrato esprime delle scelte basando le stesse su un determinato assetto normativo e sulla stabilità dello stesso. La scelta, l’espressione di volontà, pertanto, è essenziale per poter individuare un affidamento. Deve, allora, ritenersi, che l’espressione “assegnazione della sede”

utilizzata nel primo periodo faccia riferimento proprio all’assegnazione provvisoria che interviene all’esito del tirocinio generico; solo questa, infatti, consegue ad una scelta espressa dal magistrato, ad una sua manifestazione di volontà, laddove, invece, l’assegnazione della sede che interviene contestualmente al conferimento delle funzioni consegue automaticamente alla conclusione positiva del periodo di tirocinio e, soprattutto, prescinde dall’espressione di volontà del magistrato, potendo, addirittura, in particolari condizioni, il C.S.M. discostarsi dalla originaria opzione espressa al termine del tirocinio generico.

Se questa è l’interpretazione da dare all’inciso di cui alla prima parte del comma 1-ter, per esigenze di coerenza interna della norma, non può che darsi la stessa lettura anche alla medesima espressione contenuta nella seconda parte della disposizione. Infatti, in assenza di elementi normativi contrari, ovvero di esigenze legate alle evidenziate rationes, deve ritenersi che il concetto utilizzato nei due periodi della stessa disposizione non possa che essere lo stesso. Nel caso de quo la ratio dell’inciso “Il presente comma si applica anche ai magistrati ai quali la prima sede è assegnata nell’anno 2017”, come visto, non esprime esigenze in contrasto con l’interpretazione sopra data all’espressione

“assegnazione di sede”, né in senso contrario possono essere invocati elementi della norma che, in realtà, è di piana lettura.

Del resto, tale opzione semantica appare coerente con la prevalente normativa secondaria, che usa l’espressione “assegnazione della sede” soprattutto con riferimento alla fase di assegnazione provvisoria conseguente al termine del tirocinio generico.

L’opzione, inoltre, è coerente con i risultati dell’indagine concreta sullo stato dei tirocini all’epoca dell’entrata in vigore della normativa in commento.

Conclusivamente, può affermarsi che l’art. 3, comma 1-ter, D.Lgs. n. 168 del 2016, laddove prevede che l’eccezionale termine di legittimazione triennale “si applica anche ai magistrati ai quali la prima sede è assegnata nell’anno 2017”, si riferisce alla scelta ed assegnazione della sede che interviene al termine del tirocinio generico e prima dell’inizio di quello mirato.

Pertanto, i magistrati nominati con D.M. 3 febbraio 2017, i quali hanno effettuato la scelta (rectius:

cui è stata assegnata la sede) in data 10 ottobre 2017, sono legittimati a chiedere il trasferimento presso altre sedi dopo tre anni dal giorno in cui hanno assunto effettivo possesso dell’ufficio.

Da ultimo, occorre precisare che l’art. 3, comma 1-ter prima parte è una norma di diritto intertemporale, sicchè è applicabile esclusivamente al primo tramutamento successivo alla presa di possesso presso l’ufficio di prima destinazione; non sarebbe, del resto, coerente con la individuata ratio, nonché conforme al principio di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., la creazione di una peculiare categoria di magistrati ai quali si applichi per l’intera durata della carriera un termine di legittimazione diverso da quello ordinario. Per ragioni di coerenza interna, come già visto, le stesse conclusioni debbono estendersi ai magistrati di cui alla seconda alinea del comma 1 ter citato ai quali è stata assegnata la sede nel 2017.

Tanto premesso, delibera

di rispondere al quesito posto nel senso che l’art. 3, comma 1-ter del Decreto-Legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 - laddove prevede che il termine di cui all’articolo 194, primo comma, dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 è fissato in tre (anziché in quattro) anni anche per i magistrati ai quali la prima sede è assegnata nell’anno 2017 - si riferisce alla scelta ed assegnazione della sede che interviene al termine del tirocinio generico e prima dell’inizio di quello mirato; pertanto, i magistrati nominati con D.M. del 3 febbraio 2017, ai quali è stata assegnata la sede all’esito del tirocinio generico in data 10 ottobre 2017, sono legittimati a chiedere il tramutamento presso altre sedi dopo tre anni dal giorno in cui hanno assunto effettivo possesso nei rispettivi uffici.

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