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N. R.G. 1711/2012. nella causa civile iscritta al n. r.g. 1711/2012 promossa da:

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pagina 1 di 14 N. R.G. 1711/2012

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI CATANIA QUINTA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Elena Codecasa ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. r.g. 1711/2012 promossa da:

TIRENNI NUNZIA, nata a Catania il 6.12.1938 (C.F. TRNNNZ38T46C351P), rappresentata e difesa dall’avv. BANDIERAMONTE GAETANO giusta procura in atti.

ATTRICE contro

CASADI CURAVALSALVA SRL in persona del legale rappresentante pro tempore (C.F. ); rappresentata e difesa dall’avv. ROSSITTO GIUSEPPE giusta procura in atti.

GARROTTOALFIO nato ad Ali’ Terme il 29.11.1956 (C.F. GRRLFA56S29A201T);

rappresentato e difeso dall’avv. PERROTTA CLAUDIA giusta procura in atti

CONVENUTA e nei confronti di

FONDIARIA SAI in persona del legale rappresentante pro tempore (C.F. ), rappresentata e difesa dall’avv. SPAGNOLO SANTO giusta procura in atti.

TERZA CHIAMATA

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pagina 2 di 14 RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

L’attrice ha convenuto in giudizio il medico operatore e la Casa di Cura al fine di ottenere il risarcimento dei danni biologico, morale, patrimoniale e da perdita di chances riportati in esito all’intervento subito in data 9.7.2009 ed a causa della negligenza ed imperizia dell’operatore che, nell’eseguire una tiroidectomia totale le cagionava una paralisi della corda vocale di sinistra secondaria a lesione iatrogena del nevo laringeo inferiore di sinistra (nervo ricorrente).

Il convenuto Garrotto Alfio ha preliminarmente invocato la responsabilità solidale della Casa di cura della quale era, all’epoca dei fatti, dipendente; nel merito ha negato ogni responsabilità sul presupposto che la lesione provvisoria o definitiva del nervo laringeo sia una complicanza possibile dell’intervento, spesso a carattere transitorio ed ha eccepito che l’elettrobisturi utilizzato in sala operatoria potrebbe essere stato difettoso, procurando o una ustione o una folgorazione della parte trattata, tanto che lo stesso dopo quell’intervento è stato riparato o sostituito. Ha Chiesto, in caso di accertamento delle responsabilità, di graduare le colpe dei due condebitori solidali e di condannare la casa di cura a tenerlo indenne da quanto eventualmente condannato a pagare all’attrice.

La Casa di Cura ha negato qualsiasi responsabilità ed ha chiesto, in caso di accertamento di un grave comportamento colposo del Garotto, di condannarlo a tenere indenne la casa di cura.

La causa è stata istruita attraverso consulenza medico legale.

La fattispecie de qua si pone cronologicamente in un periodo antecedente alla L. n. 189 del 2012, successivamente abrogata e sostituita dalla L. n. 24 del 2017 e sul punto la Cassazione ha di recente avuto modo di sancire che “entrambe le norme non possono ritenersi, in assenza di specifica disposizione transitoria, non contenuta né nella stessa L. n. 189 del 2012 (o nel decreto legge convertito) o nella successiva L. n. 24 del 2017,

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pagina 3 di 14 avere efficacia retroattiva. Esse, pertanto, conformemente all'art. 11 preleggi regolano unicamente fattispecie verificatesi successivamente alla loro entrata in vigore” (Cass.

11 novembre 2019, n. 28994).

Ciò comporta che la struttura sanitaria e l’esercente la professione sanitaria rispondono rispettivamente a titolo di responsabilità contrattuale tout court la prima e a titolo di responsabilità contrattuale da “contatto sociale” il secondo.

Ne discende che il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento, ha l’onere di provare il contratto e di allegare l’inadempimento del professionista, rimanendo, invece, a carico dell’obbligato l’onere della prova circa l’esatto adempimento (Cass. 18 settembre 2015 n. 18307).

In tale ottica, se l’onere di parte attrice può certamente dirsi assolto (avendo quest’ultima provato sia il rapporto con la struttura ospedaliera che allegato il lamentato danno), non altrettanto può dirsi per l’Azienda convenuta ed il medico operatore.

La CTU ha, infatti, evidenziato i seguenti profili di negligenza.

Dopo un’esaustiva spiegazione in ordine alla morfologia dell’organo tiroideo, delle tecniche operatorie e delle lesioni iatrogene, il CTU ha annoverato tra le complicanze più frequenti anche in esito ad interventi eseguiti dai chirurghi più esperti, la lesione definitiva del nervo laringeo inferiore, soprattutto nel caso di exeresi totale o parziale della tiroide, in una percentuale che va in letteratura tra lo 0 ed il 20% dipendente dalla sussistenza di fattori di rischio quali presenza di gozzi, malignità della patologia, estensione dell’intervento e prevenibile con la perfetta conoscenza dell’anatomia della regione e la ricerca sistematica del nervo e con l’ausilio intra-operatorio del neuro stimolatore e del monitoraggio elettrofisiologico continuo della muscolatura laringea: il migliore mezzo di prevenzione resta la sistematica ricerca e visualizzazione del nervo ricorrente per limitarne l’insulto chirurgico.

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pagina 4 di 14 Dall’esame della letteratura e della casistica, il CTU ha affermato che l’obiettivo principale della chirurgia tiroidea è proprio quello di evitare questo tipo di danno, che può definirsi ricorrenziale, attraverso la identificazione dei nervi ricorrenti nell’intraoperatorio ed attraverso la verifica con elettrostimolazione.

Nel caso di specie, atteso che la formazione maligna da rimuovere era di piccole dimensioni e non era immersa nel mediastino, il verificarsi della lesione del nervo ricorrente era evenienza rara e prevenibile (secondo tutta la più recente letteratura chirurgica), semplicemente avendo cura di isolare accuratamente le strutture nervose secondo regole anatomo-chirurgiche che devono essere ben conosciute e scrupolosamente applicate.

Invece, dalla cartella clinica si evince, intanto che l’intervento non ha presentato particolari difficoltà o problemi tecnici, inoltre che è stato effettuato l’isolamento del nervo ricorrente ma nessuna manovra pre-operatoria e post operatoria per prevenire ed accertare la eventuale lesione.

Invece lo strumentario (elettrobisturi) risulta controllato sia in data 8.5.2009 che in data 4.6.2009, superando positivamente tutti i controlli. Da questo e dal fatto che in sede di intervento non siano state registrate anomalie, dal che si evince che esso abbia assolto positivamente alla sua funzione di recidere e cauterizzare.

Conclusivamente, la patologia dell’attrice è attribuibile in via esclusiva all’intervento del chirurgico, trattandosi di complicanza prevedibile ma prevenibile in intervento routinario; mentre nessun apporto causale è derivato dalla condotta della casa di cura.

Il nesso eziologico fra la condotta del medico e l’insorgenza (o l’aggravamento) di una patologia (secondo l’indirizzo ormai consolidato della giurisprudenza) infatti deve essere accertato seguendo il criterio del “più probabile che non” e non secondo la regola dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”, che invece vige in campo penale. Quindi, come la

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pagina 5 di 14 Suprema Corte ha in più occasioni ribadito, “ai sensi degli art. 40 e 41 c.p., un evento è da considerarsi causa di un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo; ma l’applicazione di tale principio, temperato dalla regolarità casuale, ai fini della ricostruzione del nesso eziologico, va applicata alla peculiarità delle singole fattispecie normative di responsabilità civile, dove muta la regola probatoria, per cui mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, nel processo civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che non”” (Cass. S.U. 581/2008;

nello stesso senso, fra tante, Cass. 13096/2017, 15857/2015, 3390/2015 e 21715/2013).

Inoltre, “in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l'accertamento del nesso causale […] implica una valutazione della idoneità della condotta del sanitario a cagionare il danno lamentato dal paziente che deve essere correlata alle condizioni del medesimo, nella loro irripetibile singolarità” (cfr. Cass. 3390/15).

Ebbene, per quel che attiene al caso di specie, la documentazione medica in atti e l’espletata CTU consentono in maniera agevole di riscontrare positivamente l’esistenza del nesso causale, risultando evidente che la lesione iatrogena del nervo è diretta conseguenza della negligente esecuzione dell’intervento di tiroidectomia esguito sull’attrice e non del cattivo funzionamento dell’elettrobisturi.

Il danno biologico permanente è stato accertato nella misura dell’8%, mentre non è stato ravvisato alcun danno temporaneo.

A tali conclusioni e, soprattutto, alla valutazione del danno biologico, ha mosso contestazioni parte attrice, criticando sia la specializzazione che il metodo dello specialista O.R.L. che ha effettuato l’esame: in particolare ha contestato “che, non essendo un fisiatra, ha effettuato una rinofibrolaringoscopia indiretta con fibroscopio flessibile, che consente una non ottimale visione delle strutture”; criticando anche la valutazione di “insufficienza glottica lieve” sul falso presupposto che vi sia una buona

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pagina 6 di 14 compensazione della corda vocale sana.

A queste critiche il CTU ha risposto esaurientemente e sulla base di accreditata letteratura scientifica, secondo la quale l’uso del fibroscopio flessibile è metodica diretta in grado di valutare la fonazione di parole, frasi e persino canto; ha inoltre confermato la valutazione di “insufficienza glottica lieve” evidenziando che dalle fotografie allegate alla CTU risulta in modo evidente la funzione compensatoria della corda vocale sana.

Infine il CTU ha escluso categoricamente che la lesione della corda vocale abbia potuto provocare nell’attrice anche crisi di tosse ed attacchi da broncospasmo perché non ha ravvisato nell’attrice i presupposti di questo disturbo, ovvero la glottide beante e le alterazioni della deglutizione; mentre ha riscontrato nell’attrice reflusso gastro-esofageo, causa di iperemia della mucosa laringea, a sua volta causa dei disturbi della fonazione, che sono dunque, in parte qua, indipendenti dalla lesione iatrogena subita. Il CTU ha inoltre categoricamente escluso, sulla base degli esami strumentali eseguiti, ovvero la manometria esofagea del 10.1.2.2010, che la attrice sia affetta da disfagia ed ha evidenziato come i lamentati disturbi da broncospasmo non siano stati mai accertati strumentalmente.

In esito alle osservazioni del CT di parte, quindi, il CTU ha confermato la valutazione del danno dell’8%, in quanto basata su riscontri specialistici e non sulla soggettività clinica della perizianda mai verificata da esami strumentali, così come ha confermato l’assenza di danno biologico temporaneo in quanto non sono state documentate né visite specialistiche né giorni di prognosi.

Pertanto, l’attrice ha certamente diritto al risarcimento del cd. danno biologico, consistente nella menomazione dell'integrità psicofisica (intesa come bene a sé stante) che è sempre presente in caso di accertata invalidità e che prescinde dal danno correlato alla capacità di produrre reddito.

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pagina 7 di 14 Tale voce di danno condiziona la vita del soggetto leso nelle esplicazioni della sua personalità, in tutte le sue forme, sociali, culturali, estetiche, nel lavoro, nelle relazioni sociali, ricreative, ecc., e deve essere risarcito indipendentemente dalla esistenza di un ulteriore danno patrimoniale o morale.

Pertanto, tenuto conto dell'età della attrice al momento dell’intervento (anni 70) nonché delle citate risultanze peritali, il danno biologico va liquidato, secondo le Tabelle del Tribunale di Milano aggiornate al 2018, in euro 9.575,82.

Poiché l'evento lesivo è precedente alla data in cui è stata redatta la tabella, occorre procedere alla devalutazione dell'importo liquidato a titolo di danno biologico, al fine di avere valori omogenei (rispetto alle altre voci di danno) sui quali, poi, calcolare la rivalutazione e gli interessi (c.d. compensativi) fino alla data della liquidazione.

Il calcolo della rivalutazione e di questi interessi c.d. compensativi si arresta alla data odierna, perché, come costantemente affermato dalla Corte Suprema, «gli interessi compensativi relativi a debiti di valore, destinati a coprire una componente del danno globale da risarcire e dovuti dalla data dell’evento dannoso a quella della pronuncia giudiziale di liquidazione, anche se comprensiva della rivalutazione monetaria, non sono in realtà veri e propri interessi ma soltanto uno dei possibili mezzi tecnici pretoriamente adottato dalla giurisprudenza per ristorare il danneggiato della perdita delle utilità economicamente apprezzabili che, nell’intervallo tra la consumazione dell‘illecito e la liquidazione finale, il medesimo (danneggiato) avrebbe potuto trarre dal bene (se non ne fosse stato privato e alla cui restituzione in natura avrebbe diritto) o dall‘equivalente monetario del bene stesso se tempestivamente conseguito» (Cass. Sez. I, 1 dicembre 1992, n. 12839) e, quindi, «la sentenza che liquidi il danno per fatto illecito, attribuendo gli interessi cosiddetti compensativi a partire dal fatto stesso, costituisce un ‘obbliga- zione di valuta, come tale produttiva degli interessi di pieno diritto previsti dall’art. 1282

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pagina 8 di 14 c.c. per i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro, anche con riguardo all‘importo rappresentato da detti interessi compensativi i quali rappresentano una componente del debito complessivo, non un autonomo debito di interessi e, quindi, si sottraggono alle disposizioni dell’art. 1283 c.c. in tema di anatocismo» (Cass. Sez. III, 14 dicembre 1991, n. 13508).

Peraltro, è da sempre pacifico che «la liquidazione del maggior danno che il creditore di una somma di danaro provi di aver subito per effetto del ritardo nel pagamento (art.

1224, comma 2, c. c.) va compiuta dal giudice di merito con riferimento alla data della decisione che chiude il giudizio davanti a sé. E la liquidazione determina la trasformazione dell‘obbligazione risarcitoria da obbligazione di valore in obbligazione di valuta, che la sentenza rende esigibile, sicché sulla somma risultante dalla liquidazione sono dovuti, dalla data della sentenza, gli interessi al saggio legale» (Cass.

Sez. III, 9 gennaio 1996, n. 83. Nello stesso senso, fra le altre, Sez. 111, 6 novembre 1996, n. 9648; Sez. III, 17 ottobre 1994, n. 8465; Sez. III, 14 dicembre 1991, n. 13508; e Sez. III 26 ottobre 1992, n. 11616).

Per quanto invece concerne l’ulteriore voce di danno morale lamentata dall’attrice, essa non può trovare accoglimento, tenuto conto dell'orientamento seguito da questo tribunale alla luce della sentenza 11 novembre 2008, n. 26972 delle Sezioni Unite della Corte Suprema che così ha statuito: «Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre. Si è già precisato che il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c. c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E’

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pagina 9 di 14 compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore- uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione. Viene in primo luogo in considerazione, nell’ipotesi in cui l’illecito configuri reato, la sofferenza morale. Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale. Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente. Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza».

Tali principi sono stati ribaditi con la sentenza n. 12408/11 della Corte Suprema (vd.

parte motiva, secondo cui “in materia di personalizzazione del danno non patrimoniale, grava sul danneggiato l’onere di allegare e provare adeguatamente la sussistenza di specifiche circostanze di fatto ulteriori e diverse da quelle ordinariamente discendenti dalla fattispecie dedotta in giudizio e, dunque, specifiche e peculiari al caso concreto. In difetto di risultanze probatorie, obiettivamente emerse nel dibattito processuale, e tali da superare le conseguenze "comuni" del danno, il giudice deve utilizzare la liquidazione

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pagina 10 di 14 forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari e non può operare alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

Infatti, per la liquidazione del danno biologico viene utilizzata la tabella di Milano del 2018, che è stata redatta tenendo conto espressamente della sentenza delle Sezioni Unite testé citata, individuando il nuovo valore del c.d. “punto” partendo dal valore del

“punto” delle Tabelle precedenti (relativo alla sola componente di danno non patrimoniale anatomo-funzionale, c.d. danno biologico permanente), aumentato, in riferimento all’inserimento nel valore di liquidazione “medio” anche della componente di danno non patrimoniale relativa alla “sofferenza soggettiva”, di una percentuale ponderata (dall’1 al 9% di invalidità l’aumento è del 25% fisso, dal 10 al 34 % di invalidità l’aumento è progressivo per punto dal 26% al 50%, dal 35 al 100% di invalidità l’aumento torna ad essere fisso al 50%) e prevedendo inoltre percentuali massime di aumento da utilizzarsi in via di c.d. personalizzazione.

Dunque, il risarcimento del danno corrispondente alla sofferenza soggettiva che prima della sentenza delle Sezioni Unite sopra citata veniva risarcita come c.d. danno morale è compreso nella liquidazione del danno biologico fatta come sopra.

E’ consentito però al giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto che siano idonee a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni delle Tabelle del Tribunale di Milano, procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle.

Come è stato da ultimo ribadito dalla ordinanza della Corte di Cassazione n. 15084/19,

“secondo l'insegnamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, ai fini della c.d. "personalizzazione" del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui

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pagina 11 di 14 la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze "ordinarie" inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze "ordinarie" già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi siccome legate all'irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all'uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sè tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento (in un'ottica che, ovviamente, superi la dimensione "economicistica" dello scambio di prestazioni), meritevoli di tradursi in una differente (e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità (vedi anche Sez. 3 - Sentenza n.

21939 del 21/09/2017).

Nel caso di specie, purtroppo, nessuna circostanza significativa è stata valorizzata ai fini della personalizzazione, per cui la domanda va rigettata.

Nessuna somma può essere liquidata a parte attrice a titolo di danno patrimoniale avente ad oggetto le spese sostenute, posto che tali spese non sono state documentate.

In conclusione, i convenuti in solido tra loro vanno condannati a risarcire all’attrice per le causali di cui in premessa la somma di euro 9.575,82, con devalutazione, rivalutazione ed interessi.

Certamente, infatti, la casa di cura risponde in solido con il medico operatore per i danni cagionati alla paziente, anche se il danno sia imputabile alla sola negligenza

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pagina 12 di 14 dell’operatore; la solidarietà passiva, però, opera esclusivamente nei confronti del paziente / terzo danneggiato ed a sua tutela, in modo che questi possa agire per l’intero nei confronti di uno qualsiasi dei condebitori; non opera certamente nei rapporti interni dove la responsabilità è ripartita in proporzione alla propria colpa.

L’art. 2055 c.c., infatti, stabilisce che colui che ha pagato, ha regresso nei confronti dei condebitori solidali nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate.

Sul punto, la convenuta Casa di Cura ha implicitamente chiesto al Giudice la graduazione della responsabilità ex art. 2055 c.c.. e formulato domanda di regresso, così ritenendo di interpretare la richiesta di “condannare il sanitario a tenere indenne la concludente di tutte le somme che, a qualsiasi titolo questa fosse tenuta a pagare a parte attrice”.

Proprio perché nel caso di specie è accertato che non sussiste colpa della casa di cura, non può applicarsi la presunzione di pari gravità e le conseguenze riportate dal terzo debbono essere al 100% addebitate al medico operatore, il convenuto Garrotto.

Va quindi dichiarato che la convenuta Casa di Cura Valsalva ha diritto di regresso nei confronti del convenuto Garrotto di quanto avrà corrisposto all’attrice in più rispetto all’importo equivalente alla sua quota di responsabilità pari allo 0%.

Va invece rigettata la domanda di garanzia formulata dalla convenuta Casa di Cura nei confronti della terza chiamata, per essersi l’evento verificato in data antecedente la vigenza della polizza ai sensi dell’art. 23 delle condizioni di contratto.

In virtù del principio della soccombenza, i convenuti vanno condannati in solido tra loro al pagamento delle spese processuali in favore della attrice. A loro carico restano definitivamente le spese di CTU.

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pagina 13 di 14 La convenuta Casa di Cura Valsarva va condannata a rifondere le spese processuali alla terza chiamata.

P.Q.M.

Il Giudice della Quinta Sezione Civile del Tribunale di Catania, Elena Anna Codecasa, in funzione di giudice unico, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. indicato in epigrafe:

1) condanna i convenuti in solido tra loro al pagamento in favore di Tirenni Nunzia della somma complessiva di euro 9.575,82, oltre rivalutazione ed interessi come in parte motiva;

2) dispone che nei rapporti interni il convenuto Alfio Garrotto sia tenuto nella misura del 100% e, conseguentemente dichiara che la Casa di Cura Valsalva ha diritto di regresso nei confronti del convenuto Garrotto di quanto avrà corrisposto all’attrice in più rispetto all’importo equivalente alla sua quota di responsabilità pari allo 0%;

3) rigetta la domanda di garanzia avanzata dalla convenuta Casa di Cura Valsalva nei confronti della Fondiaria Sai Assicurazioni;

4) condanna i convenuti in solido tra loro al pagamento in favore di Tirenni Nunzia delle spese processuali che liquida in complessivi euro 4.835,00 per compensi professionali ed euro 1.328,00 per spese , oltre IVA e CPA e rimborso forfettario come per legge; pone a carico dei convenuti in solido tra loro le spese di consulenza tecnica d'ufficio, come già liquidate in atti;

5) condanna la Casa di Cura Valsalva a rifondere alla terza chiamata le spese di lite che si liquidano in euro 4.835,00 oltre IVA e CPA e rimborso forfettario come per legge.

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pagina 14 di 14 Così deciso in Catania, il 13 novembre 2020

Il GIUDICE

dott. Elena Codecasa

DEPOSITATO TELEMATICAMENTE EX ART.15D.M.44/2011

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