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ENTI NO PROFIT: LE AGEVOLAZIONI FISCALI PER ETS E ASD DOPO LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

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ENTI NO PROFIT:

LE AGEVOLAZIONI FISCALI PER ETS E ASD DOPO LA

RIFORMA DEL TERZO SETTORE

A cura del Centro Studi CGN: Dott. Ernesto Gatto e Dott. Rizzardi Raffaele

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Sommario

1. IL CODICE DEL TERZO SETTORE: UNA SISTEMATIZZAZIONE DA COMPLETARE ... 3

2. LA RIFORMA DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE ... 15

3. RICONOSCIMENTO GIURIDICO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE ... 20

4. PRINCIPALI NOVITÀ FISCALI DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE ... 21

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1. IL CODICE DEL TERZO SETTORE: UNA SISTEMATIZZAZIONE DA COMPLETARE

A cura di Raffaele Rizzardi

Il cosiddetto “Terzo Settore” viene così qualificato per distinguerlo da quello pubblico e dal privato.

In realtà i soggetti che operano in questo ambito non si collocano in sequenza dopo i primi due, ma ne costituiscono un corpo intermedio, in quanto perseguono le finalità solidaristiche del primo, gestendo le attività con la flessibilità operativa propria del secondo.

Il Terzo Settore esprime compiutamente il principio di sussidiarietà, la cui rilevanza è presente in modo significativo nel testo ora vigente della Costituzione italiana.1 Questo principio ha una doppia valenza: da un lato di valorizzazione delle persone che dedicano il loro tempo alla promozione della vita di comunità e dall’altro di moltiplicazione dei risultati utili, a motivo del costo ben inferiore a quello di gestione pubblica, grazie al lavoro non remunerato dei volontari.

Il legislatore italiano ha attuato nel tempo una serie di interventi per regolamentare la vita delle strutture che operano nel Terzo Settore, con una doppia finalizzazione:

- agevolare le organizzazioni, anche concedendo norme fiscali di favore sia per lo svolgimento della loro attività, sia per incentivare l’erogazione di contributi e donazioni;

- evitare che questi incentivi vengano usati per attività solo formalmente non profit.

Le dimensioni del terzo settore e la frammentazione normativa

L’Istituto Centrale di Statistica ha compiuto una rilevazione esaustiva di questo ambito nel censimento del 2011 ed ha compiuto un’analisi campionaria nel 2015. I dati rilevati in questa occasione sono stati resi noti all’inizio del 2018:

• 336.275 istituzioni non profit (+10% rispetto al 2011);

• 789 mila dipendenti (+15% rispetto al 2011);

• 5,5 milioni di volontari (+16% rispetto al 2011).

Le istituzioni operanti in questo ambito sono prevalentemente qualificate in base alla normativa vigente come:

- organizzazioni di volontariato (legge 11 agosto 1991, n. 266);

1 Costituzione: articolo 118, quarto comma, introdotto con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”

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- associazioni di promozione sociale (legge 7 dicembre 2000, n. 383);

- organizzazioni non lucrative di utilità sociale – ONLUS (articolo 10 e seguenti, D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460).

Il tema della classificazione del non profit si integra con norme speciali riferibili a specifici ambiti di operatività. È il caso, ad esempio, delle Organizzazioni Non Governative (ONG) per la cooperazione allo sviluppo internazionale. La loro individuazione è affidata all’articolo 26 della legge 11 agosto 2014, n. 125 – ove troviamo nuovamente nel comma 1 l’evocazione del principio di sussidiarietà. Il loro riconoscimento avviene a cura della apposita Direzione Generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Sociale, alla condizione che si tratti di strutture senza finalità di lucro e che dimostrino di avere esperienza operativa e capacità organizzativa in questo ambito.

Norme fiscali per i soggetti del Terzo Settore si trovano sparse nel testo unico delle imposte sui redditi, nella legge IVA e nelle disposizioni relative alle imposte sui trasferimenti (registro, successione, donazione, ipotecarie e catastali).

L’instabilità che caratterizza l’ordinamento giuridico del nostro Paese ha portato nel tempo ad una stratificazione di norme che riproducono le stesse regole in più disposizioni, con il rischio di limitare l’aggiornamento all’una e non all’altra, e di far venir meno la coerenza dell’ordinamento quando sopravvengono ulteriori disposizioni.

Pensiamo alla condizione di democraticità degli organi di governo degli enti non profit. Troviamo alcune regole ai fini delle imposte dirette (articolo 148, comma 8 del TUIR), riprodotte pedissequamente nel quinto comma dell’articolo 4, legge IVA, ma di fatto derogate per la nuova figura della società sportiva dilettantistica, che è una società di capitali in cui può esistere anche il socio unico, come di fatto avviene quando questa struttura si affianca ad un istituto di istruzione privato.

Questi soggetti sono beneficiari – come disposto dal comma 1 del sopra citato articolo 90 della legge 289 del 2002 – della legge 398 del 1991, di cui avremo modo di parlare in seguito, e delle

“altre disposizioni tributarie” riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche.

Al riguardo l’Agenzia delle Entrate ha già avuto modo di esprimersi in tema di imposte dirette, con la risoluzione n. 38/E del 17 maggio 2010, riconoscendo anche a queste associazioni l’intassabilità

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propria degli enti associativi2, alla condizione che i servizi siano erogati ai soci (che come sopra detto potrebbero non esistere nella forma di persone fisiche praticanti lo sport), ponendo l’unica condizione che i frequentatori siano tesserati delle federazioni riferibili alla disciplina sportiva svolta dalla società sportiva. E l’inesistente condizione di democraticità? La risoluzione richiama il comma 8 dell’articolo 148, condizione per applicare i commi 3 e seguenti, sorvolando sull’impossibilità di adottare in una società di capitali le regole delle lettere c) ed e), relative alla disciplina del rapporto associativo e alla democraticità di governo dell’ente.

Sempre per le società sportive non risultano chiarimenti pubblicati in tema di imposta sul valore aggiunto. Qui la situazione del nostro ordinamento è singolare, in quanto la nostra normativa rimuove il requisito soggettivo a chi gestisce gli impianti sportivi, alle condizioni prima evocate sulla natura e sull’ordinamento del soggetto. Tra queste la limitazione della norma di esonero alle prestazioni rese nei confronti di terzi, purché “tesserati” alla federazione nazionale. Al riguardo è stata significativa la risoluzione del Ministero delle Finanze n.108/E del 6 luglio 1996, sull’obbligo di pagamento dell’IVA da parte dei golfisti esteri, in quanto non associati alla nostra Federazione.

Una simile impostazione contrasta con la direttiva dell’Unione europea, in base alla quale il requisito soggettivo dell’ente esiste comunque, concedendo l’esenzione dall’imposta alle prestazioni strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica, fornite da organismi senza fini di lucro alle persone che esercitano lo sport o l'educazione fisica3.

La codificazione del terzo settore e la complessa decorrenza

La congerie di queste norme estemporanee, adottate in assenza di un coordinamento sistematico, idoneo ad assicurare la coerenza dell’ordinamento, in tutte le sue fasi - civilistiche, contabili,

2 Il cui fondamento sia ai fini IVA che dei redditi consiste nel riconoscimento che un’associazione gestita con le regole di legge è una comunità di utenti che ripartiscono le spese tra di loro, secondo l’esempio proprio del condominio, che eroga servizi ai suoi partecipi, ma non è soggetto di imposta.

3 Articolo 132, paragrafo 1, lettera m) della direttiva 2006/112/CE. La Corte di Giustizia europea ha ribadito che questa esenzione prescinde dall’appartenenza o meno dell’utente al circolo sportivo (sentenza 19 dicembre 2013, nella causa C495/12, Bridport and West

Dorset Golf Club) o dell’entità dei prezzi praticati per l’utilizzo degli impianti (sentenza 7 maggio 1998, nella causa C-124/96, Commissione contro Spagna). Deve però trattarsi di un’attività che richiede una componente fisica di movimento, e pertanto l’esenzione non spetta per i corrispettivi pagati ad un circolo del bridge (sentenza 26 ottobre 2017, nella causa C-90/16, English Bridge Union).

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giuslavoristiche e tributarie – ha indotto il legislatore ad adottare una legge delega, promulgata il 6 giugno 2016, con il numero 106, finalizzata alla riforma del Terzo Settore e dell’impresa sociale, con l’ulteriore obiettivo di disciplinare il servizio civile universale.

Il principale provvedimento ha assunto la qualifica di “codice del Terzo Settore”. Il termine utilizzato evoca la sistematizzazione della disciplina, con la conseguente abrogazione di una nutrita serie di disposizioni, individuate nell’articolo 102 del codice. Il provvedimento è stato rubricato come Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 117, ed è entrato in vigore il 3 agosto 2017, giorno successivo alla sua pubblicazione nel supplemento alla Gazzetta Ufficiale n. 179 del 2 agosto 2017.

La prima analisi del D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117 pone in evidenza che questo “codice” è ancora incompleto4, in quanto ne rimarranno fuori molte organizzazioni non profit che non potranno o non vorranno aderire a questa disciplina.

Un ulteriore aspetto di criticità è dato dalla sovrapposizione delle norme transitorie5, e dalla loro indeterminatezza, in quanto la piena operatività del codice è subordinata all’effettiva attivazione del registro unico nazionale degli enti del Terzo Settore, che assume valenza costitutiva dello status.

4 La codificazione nasce dalla necessità di conoscere con immediatezza quale siano le disposizioni applicabili. Dalle iscrizioni della tomba di Napoleone agli Invalides di Parigi: Giustizia uguale e intellegibile per tutti; il mio unico codice, mediante la sua semplicità, ha fatto più bene alla Francia che la massa di tutte le leggi che l’hanno preceduto. I grandi codici della storia del diritto sono stati quello di Giustiniano (529-534) e di Napoleone (1804). La promulgazione del codice fa venir meno la forza di legge per tutte le disposizioni (nel codice Napoleone: leggi romane, ordinanze, consuetudini generali e locali, statuti e regolamenti) nelle materie che formano oggetto del codice.

5 Già oggetto di correzione con la legge 4 dicembre 2017, n. 172, che nel convertire il

decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148 ha introdotto in questo provvedimento gli articoli 5-ter e 5- sexies per individuare le disposizioni fiscali a favore dei soggetti che effettuano erogazioni a favore di questi enti:

- per l’intero anno 2017 nulla è innovato (in apparenza vi sarebbe stata una interruzione al 3 agosto 2017) per la deduzione dei contributi a favore delle ONLUS e delle associazioni di promozione sociale (art. 14 decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, e per le altre detrazioni fiscali previste dagli articoli 15 e 100 del TUIR;

- dal 1° gennaio 2018 anche la normativa del decreto-legge 35 sarà assorbita dalle nuove disposizioni, peraltro di maggior favore, dell’articolo 83.

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Per l’attivazione delle disposizioni tributarie occorre anche ricevere l’autorizzazione della Commissione europea per gli aiuti di Stato (articolo 108, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea). Sempre in tema di autorizzazioni unionali, l’operatività della soglia di esenzione da IVA per le attività commerciali svolte dalle associazioni di promozione sociale e dalle organizzazioni di volontariato è prevista in 130.000 euro di volume d’affari, ma la disposizione dell’articolo 86, comma 1, del codice prevede un adeguamento automatico alla soglia che sarà stabilita dall’Unione europea alla scadenza del 31 dicembre 2019, in base all’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE. In altri termini, se il registro sarà istituito nel 2018 e la disciplina avrà effetto dal 1° gennaio 2019, la soglia di esenzione per questo anno si fermerà a 65.000 euro6.

Prima di proseguire nella trattazione di questo argomento, occorre tener presente che la delega della legge 106 consente al Governo di adottare entro dodici mesi dall’entrata in vigore del codice uno o più decreti integrativi e correttivi, che dovranno seguire il consueto iter di convalida da parte del Parlamento, che deve concludersi anteriormente alla scadenza di questo termine.

Considerando che quasi tutte le regole operative per questi enti non avranno effetto anteriormente al 1° gennaio 2018, la normativa di attuazione sarà quella dettata dal testo integrato e corretto.

Cionondimeno la portata delle innovazioni è talmente rilevante, che occorre prendere immediata conoscenza almeno delle regole fondamentali che andranno a disciplinare il Terzo Settore.

Abbiamo peraltro importanti disposizioni prive di una specifica decorrenza. Una di queste riguarda l’adeguata rendicontazione finanziaria e morale relativa all’attività svolta. Bene ha fatto al riguardo l’ente incaricato della vigilanza, la Direzione Generale del terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese in seno al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, pubblicando il 29 dicembre 2017 la circolare prot. 34/0012604, con una serie di significativi chiarimenti:

- indipendentemente dal deposito presso il registro unico nazionale e dalla definizione della modulistica per lo standard di rendicontazione, tutti gli enti del Terzo Settore sono tenuti alla redazione del bilancio di esercizio, nelle forme dell’articolo 13, commi 1 e 2 (rendicontazione economico-finanziaria e bilancio di missione), già per l’esercizio 2018;

- avrà invece effetto dal 2019, relativamente agli importi attribuiti nel 2018, la pubblicazione annuale degli emolumenti, compensi o corrispettivi, a qualsiasi titolo attribuiti dagli enti del

6 La decisione di esecuzione (UE) 2016/1988 del Consiglio Europeo, in scadenza al 31 dicembre 2019, conferma il limite di € 65.000.

La proposta annunciata dalla Commissione europea il 18 gennaio 2018 si ferma a 100.000 euro, ma l’importo consentito a ciascuno Stato formerà oggetto di una negoziazione di natura politica.

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Terzo settore ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti ed ai propri associati7.

Il governo degli enti non profit e il principio di democraticità

Viste le significative dimensioni del Terzo Settore, cui si associano importi di rilevante entità economica e finanziaria, il codice dedica ampio spazio alle regole per il governo di questi soggetti, per individuare la distribuzione del potere di influenza sull’organizzazione, cioè chi comanda, dettando struttura e regole operative. Ampio spazio è anche dedicato ai controlli.

In questo ambito la maggior preoccupazione del legislatore è quella di evitare che la struttura non profit serva unicamente a coprire attività imprenditoriali lucrative, che si nascondono nelle denominazioni del terzo settore per sottrarsi al pagamento delle imposte dovute e per manipolare il rapporto di lavoro subordinato.

Altre norme si occupano della gestione, in particolare per declinare la figura dei volontari, e la tipologia dei rapporti di lavoro o collaborazione in genere.

Il codice del Terzo Settore introduce alcune modifiche alle norme fiscali di base, il testo unico delle imposte dirette e la legge IVA. La tecnica utilizzata è peraltro infelice, in quanto assistiamo alla inutile moltiplicazione delle definizioni.

Un esempio per tutti. Il codice detta una disciplina specifica per le associazioni di promozione sociale: la possibilità di assumere questa qualificazione è disciplinata dall’articolo 35 e la natura associativa di questi enti postula il rispetto delle condizioni di democraticità della struttura di governo, di rendicontazione di controllo (articoli 23 a 31 del codice).

Solo gli enti che, rispettando queste condizioni, vengono iscritti nella specifica sezione del registro del Terzo Settore devono qualificarsi come “Associazioni di Promozione Sociale” o con l’acronimo

7 Nella sovrapposizione, per non dire confusione normativa, si è posto un analogo problema di decorrenza per un provvedimento successivo al codice del Terzo Settore (decreto numero 117), cioè per la legge 4 agosto 2017, n. 124, l’eterogenea “legge concorrenza”, che tratta di tutto, ivi compresa la definizione normativa del leasing. I relativi commi da 125 a 129 impongono la pubblicazione, tra altri soggetti, anche alle associazioni, alle fondazioni e alle ONLUS (cioè agli stessi destinatari della normativa del Terzo Settore) delle informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e comunque a vantaggi economici di qualunque genere superiori ad € 10.000,00, pena l’obbligo di restituzione di tali sussidi.

Anche in questo caso mancava una disciplina transitoria, ed è pertanto lodevole l’ulteriore intervento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la circolare prot.n.34/2540 del 23 febbraio 2018 (a pochi giorni cioè del temuto termine del successivo 28 febbraio), per prospettare una analoga interpretazione sulla decorrenza dell’obbligo dal 2019, relativamente alle somme attribuite nel corso del 2018.

Oltre a tutto per questo obbligo il legislatore non ha nemmeno individuato quale sia l’organo incaricato della vigilanza. Ratione materiae dovrebbe essere l’Autorità Nazionale AntiCorruzione (ANAC), che però chiede una specifica attribuzione di questo compito, per evitare che la sua azione amministrativa possa esser poi considerata non conforme alla legge.

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ufficiale di APS. Correlativamente l’articolo 91, commi 3 a 5, considera illecito – con una significativa sanzione amministrativa, l’utilizzo di questa denominazione da parte di soggetti non iscritti nel registro.

È pertanto doppiamente inutile prescrivere nell’articolo 4 legge IVA e nel 148 del TUIR come debbano essere formulati gli statuti di questi enti, considerando che si tratta di uno degli elementi essenziali per l’iscrizione nel registro, e che formerà oggetto di uno specifico decreto ministeriale previsto dall’articolo 47, comma 5 del codice.

In altri termini sarebbe stato più che sufficiente dire nella norme tributarie di base quali sono le regole fiscali per le APS, piuttosto che per altri organismi tipizzati, essendo più che implicito che l’ente in regola è soltanto quello che ha assunto una certa denominazione ed ha in atto l’iscrizione nel registro.

Tornando all’aspetto relativo al governo dell’ente, bene ha fatto il Ministero del Lavoro, nella circolare del 29 dicembre 2017, a precisare che si devono considerare immediatamente applicabili le norme afferenti ai requisiti sostanziali degli enti del Terzo Settore: si fa in particolare riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 32 (volontariato) e 35 (APS) del codice, ed in particolare quelle relative al numero minimo di soggetti (siano essi persone fisiche o soggetti superindividuali) e alla forma giuridica necessari ai fini della costituzione di un'organizzazione di volontariato o di un'associazione di promozione sociale. In questo caso, poiché si tratta di elementi immodificabili, che conformano ab initio un ente, essi devono essere presenti sin dal momento iniziale di costituzione dell'ente, ove sia avvenuta dopo l'entrata in vigore del codice. Per gli enti già esistenti, l’adeguamento statutario deve aver luogo entro il 3 agosto 2018, cioè un anno dall’entrata in vigore del codice.

Questo importante aspetto per la democraticità dell’ente va considerato anche in relazione al poco noto articolo 21 del Codice Civile – che deve essere inserito negli statuti – in base al quale negli enti di natura associativa gli amministratori non hanno voto nelle deliberazioni di approvazione del bilancio.

Non considerando le ipotesi di organizzazioni di secondo livello, costituite cioè da altre analoghe strutture, un’organizzazione di volontariato (qui la sigla ufficiale è ODV, coì come quella del genus di Ente del Terzo Settore è ETS) o una APS deve avere almeno sette soci persone fisiche. Le piccole strutture sono pertanto tenute a contenere il numero di amministratori (è comunque esclusa la possibilità di un amministratore unico), per far sì che si possa configurare una maggioranza idonea ad approvare quel documento fondamentale, oggetto di specifica pubblicità, che è il bilancio dell’ente.

La maggioranza degli amministratori deve essere scelta tra le persone fisiche associate. Peccato che l’articolo 26, comma 3 lasci all’atto costitutivo e allo statuto il rispetto delle condizioni di

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onorabilità, professionalità e indipendenza. Almeno la prima dovrebbe essere un requisito indispensabile per qualsiasi assunzione di cariche associative.

Il numero di associati fa da guida anche per individuare il numero massimo di dipendenti che può avere l’ente: per il volontariato il tetto è del 50% dei volontari (articolo 33, comma 1), mentre per le associazioni di promozione sociale (articolo 36, comma 1) si applica un identico criterio quantitativo, considerando però il criterio alternativo del cinque per cento del numero degli associati.

Considerando infine che il perno operativo del Terzo Settore è costituito dai volontari, bene ha fatto il codice a darne una adeguata definizione nell’articolo 17, prescrivendone l’iscrizione in un apposito registro per chi svolge questa attività in modo non occasionale, e dettando regole molto severe per il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, limitando quello su autocertificazione del volontario a 10 euro giornalieri e 150 mensili.

La difficile riqualificazione degli enti – Addio alle ONLUS

Le categorie di soggetti che possono essere iscritti nel registro del Terzo Settore sono individuate in modo tassativo dall’articolo 46 del codice, con il vincolo che qualsiasi ente diverso dalla rete associativa non può iscriversi contemporaneamente a due o più sezioni. Deve cioè individuare quale sia quella che lo qualifica, in funzione della quale le norme di legge e i non pochi decreti ministeriali di attuazione detteranno le regole sia di struttura che di funzionamento8.

Queste sono le sezioni attualmente previste dal codice, con facoltà prevista dal comma 2 dell’articolo 46 di istituire sottosezioni o nuove sezioni o di modificare le sezioni esistenti:

a) Organizzazioni di volontariato (ODV);

b) Associazioni di promozione sociale (APS);

c) Enti filantropici;

d) Imprese sociali, incluse le cooperative sociali9;

8 Un esempio per tutti: le organizzazioni di volontariato non svolgono attività commerciale, come tale considerata ai fini fiscali, nell’attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale (articolo 84, comma 1, lettera c). Una simile agevolazione tributaria non viene replicata nelle disposizioni per le APS (articolo 85).

9 Questi soggetti hanno una autonoma disciplina in un apposito provvedimento, il D.Lgs. 112/2017, adottato in base alla stessa legge delega.

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e) Reti associative;

f) Società di mutuo soccorso;

g) Altri enti del Terzo settore.

Come si nota scompare la nozione di ONLUS: vero è che le attività indicate nell’articolo 5 del codice sono per lo più riconducibili a quelle dell’articolo 10 del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, ma la qualifica di ONLUS è stata attribuita a soggetti eterogeni nella loro struttura organizzativa. La necessità di uno specifico inquadramento nelle sezioni del registro comporterà una migliore funzione di verifica degli ETS, che l’articolo 64 del codice attribuisce ad un Organismo Nazionale di Controllo (ONC), fondazione con personalità giuridica costituita con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, articolata in Organismi Territoriali di Controllo.

L’ETS ha un ambito di operatività maggiore rispetto alle ONLUS, sia per l’ampiezza delle attività considerate di interesse sociale, sia per non dover circoscrivere la propria attività a beneficio delle persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari oppure a componenti di collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari. Le prestazioni non potevano essere erogate ai soci, a meno che non si trattasse di persone in condizione di svantaggio. Così l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 75 del 21 maggio 2001 aveva escluso che una scuola materna/asilo nido potesse assumere la qualifica di ONLUS, a meno che non fosse rivolta soltanto a figli di persone svantaggiate.

Un importante chiarimento del codice riguarda anche la distinzione tra la nozione di non profit, insita nel riconoscimento come ente del Terzo Settore, che è una qualificazione soggettiva, rispetto a quella di “commerciale”, che riguarda l’attività esercitata. Pertanto un ente con prevalente attività commerciale (situazione che comunque ricorre per le imprese sociali) ben può rimanere nell’ambito del non profit, come espressamente previsto dal comma 5 dell’articolo 79.

In merito alla qualificazione dei due principali soggetti associativi:

- le organizzazioni di volontariato svolgono la loro attività prevalentemente in favore di terzi, avvalendosi in modo prevalente delle prestazioni dei volontari associati (articolo 32, comma 1);

- le associazioni di promozione sociale svolgono la loro attività in favore dei propri associati, familiari (o anche di terzi), avvalendosi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati (articolo 35, comma 1).

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È chiara la distinzione tra i destinatari dell’attività di ciascun ente, più sottile è quella tra

“prestazioni dei volontari associati” e “attività di volontariato dei propri associati”. Verosimilmente la distinzione attiene alla struttura organizzativa: le ODV devono avere come soci quasi esclusivamente volontari non occasionali, cioè professionali, mentre nelle APS i soci prestano gratuitamente la propria opera, ma non sono volontari ex articolo 17 del Codice.

Nessun dubbio per la collocazione di una associazione che gestisce il trasporto dei malati o le emergenze con le ambulanze, rispetto ad una associazione dei pensionati e degli anziani: nella prima l’attività sociale è rivolta all’esterno, nella seconda all’interno del corpo associativo.

Vi sono però esempi in cui le caratteristiche si incrociano. Pensiamo alle pro-loco, che alcune regioni iscrivono nell’apposito registro a condizione che siano anche APS. Ma queste associazioni operano a favore del territorio e dei terzi e non dei loro iscritti – e da questo punto di vista sarebbero organizzazioni di volontariato, ma non possono esserlo in quanto la loro struttura non è composta da volontari abituali.

Le associazioni e società sportive e la legge 398 del 1991

Concludiamo questa prima analisi del Codice del Terzo Settore, parlando del tema delle associazioni e società sportive dilettantistiche.

Nelle sezioni del registro “unico nazionale” del Terzo Settore non troviamo le associazioni e società sportive dilettantistiche, in quanto la tenuta del relativo registro rimane di competenza del CONI ex articolo 5, comma 2, lettera c, del D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242; disciplina fiscale ex articolo 90, legge 27 dicembre 2002, n. 289, correlato alla legge 16 dicembre 1991, n. 398.

Peraltro una delle attività di interesse generale che possono essere svolte dagli ETS riguarda proprio l’organizzazione e la gestione di attività sportive dilettantistiche (articolo 5, comma 1, lettera t).

Ne consegue che una di queste strutture, che deve comunque essere iscritta nel registro del CONI, potrebbe anche chiedere l’iscrizione in quello “unico” del Terzo Settore.

Dal punto di vista sistematico questa possibile duplicità, peraltro già presente nel segmento ONLUS per le attività sportive a favore di persone svantaggiate, non è correttamente gestibile:

ogni registro ha le sue regole e i suoi sistemi di rendicontazione e di controllo.

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L’iscrizione ONLUS e quella futura di ETS comportano il vantaggio della deduzione o detrazione fiscale per i soggetti che eseguono donazioni a questi enti. Ma se guardiamo alla possibilità di beneficiare dell’istituto del cinque per mille, sia le relative disposizioni del D.Lgs. 3 luglio 2017, n.

111 – emanato sempre in base alla legge delega per il Terzo Settore – ne prevede come destinatari sia tutti gli ETS, ma anche le associazioni sportive dilettantistiche, riconosciute ai fini sportivi dal CONI a norma di legge, che svolgono una rilevante attività di interesse sociale10.

Molte discussioni di questa fase transitoria si sono concentrate sulle agevolazioni fiscali della sopra citata legge 398/91. Questa norma – che concede alle associazioni e società sportive la possibilità di svolgere attività commerciale con ricavi sino a 400.000 euro, beneficiando della detrazione forfetaria dell’IVA nella misura del 50% e della tassazione IRES pure forfetaria sul 3%

dei ricavi commerciali - era stata estesa 11dall’articolo 9-bis del Dl 417/1991 (legge 66/1992) e dall’articolo 2, comma 31, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, a favore delle associazioni senza fini di lucro (cioè all’intero mondo del non profit), delle associazioni pro-loco nonché delle associazioni bandistiche e cori amatoriali, filodrammatiche, di musica e danza popolare legalmente costituite senza fini di lucro.

Con la piena entrata in vigore delle norme sul Terzo Settore, quindi sicuramente non per il 2018, il codice (articolo 102, comma 2, lettere e) ed f) abroga queste ultime norme di allargamento della legge 398, che rimarrà quindi in vigore solo per le società sportive.

L’abrogazione di questa disposizione per gli ETS si giustifica con le nuove regole a regime di forfetizzazione delle componenti reddituali e dell’esonero da IVA (articoli 80 e 86) e sono quindi prive di fondamento le numerose istanze di mantenimento della 398 nell’ambito del non profit.

10 Dalle istruzioni dell’Agenzia delle Entrate, deve trattarsi di associazioni in cui sia presente il settore giovanile e che sono affiliate a una Federazione sportiva nazionale o a una disciplina sportiva associata o a un Ente di promozione sportiva riconosciuti dal Coni.

Inoltre le associazioni devono svolgere prevalentemente una delle seguenti attività:

avviamento e formazione allo sport dei giovani di età inferiore a 18 anni;

avviamento alla pratica sportiva in favore di persone di età non inferiore a 60 anni;

avviamento alla pratica sportiva nei confronti di soggetti svantaggiati in ragione delle condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari.

11 Come si vede in modo alquanto confuso, in quanto tutte le aggiunte riguardano sempre soggetti senza scopo di lucro, che ben avrebbero potuto rientrare nel relativo genus della norma iniziale.

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Non vanno semmai dimenticate le anomalie rilevate in sede ispettiva sul corretto adempimento degli obblighi tributari nell’ambito di questa normativa, che determina tassazioni IVA e redditi del tutto indifferenti all’entità dei costi effettivamente sostenuti. E attualmente non c’è nemmeno più la decadenza da questo rilevante beneficio nel caso del mancato rispetto della tracciabilità dei movimenti finanziari di importo non inferiore a 1.000 euro, in quanto è stata abrogata dall’articolo 19 del D.Lgs. di riforma del sistema sanzionatorio (n. 158/2015).

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2. LA RIFORMA DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE

A cura di Ernesto Gatto

La Riforma contenuta nei tre decreti legislativi che, rispettivamente, contengono: il codice del terzo settore (D.lgs. 117/2017), la revisione della disciplina in materia di impresa sociale (D.lgs.

112/2017) e la regolamentazione del 5 per mille (D.lgs. 111/2017), predisposti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, si caratterizza essenzialmente per il tentativo di dare un quadro normativo moderno, unitario e ordinato al Terzo Settore, frastagliato da una congerie di norme che si sono accatastate nel corso del tempo togliendo al contesto normativo ogni residua parvenza di organicità e di coerenza.

Non vi è dubbio, d’altronde, che la costituzione del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS), l’accesso al quale è volontario ed è condizione per fruire delle varie agevolazioni previste per questa categoria di enti, incarna un altro fondamentale pilastro della tanto attesa riforma.

In particolare, il Registro avrà articolazione territoriale su base regionale, compiti di verifica amministrativa e fornirà ai terzi una pubblicità, sugli enti iscritti, simile a quella del Registro delle imprese, raccogliendo anche i relativi bilanci di esercizio e, per gli enti “con ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate superiori ad 1 milione di euro” (art. 14, comma 1, CTS), anche i bilanci sociali.

Ancora, la riforma si distingue anche perché interviene sulla creazione di sistemi di amministrazione e di controllo interno più standardizzati e professionalizzanti, oltre che per la incisiva previsione della revisione legale dei conti al superamento di determinati parametri dimensionali.

Non vanno inoltre sottaciuti alcuni aspetti che rendono la riforma davvero poliedrica, ci si riferisce alla definizione di un sistema tributario agevolativo, nonché alla regolamentazione della disciplina delle operazioni straordinarie tra enti, con specifico riferimento alle trasformazioni ed alle fusioni (nuovo art. 42-bis del codice civile).

Naturalmente, la riforma è lungi dall’essere giunta al suo compimento, manca ancora la pubblicazione di taluni decreti attuativi che dovrebbero vedere la luce entro l’anno 2019 e che costituiranno i tasselli finali del puzzle.

Intanto, tra le maggiori criticità immediatamente avvertite, sin dal primo esame della proposta normativa, si possono annoverare i seguenti punti:

1. nonostante il decreto legislativo denominato Codice del Terzo Settore sia una norma molto articolata e complessa, e non poteva essere forse altrimenti data la numerosità ed eterogeneità dei soggetti coinvolti, che persegue apparentemente una finalità di omogeneizzazione del settore no profit, l’assetto finale della norma conserva l’esistenza di molteplici parallele

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regolamentazioni. Si può prevedere che saranno numerosi gli enti che non s’iscriveranno al Registro del Terzo Settore e che, quindi, non si assoggetteranno alla nuova disciplina: ai soggetti esplicitamente esclusi dalla legge delega, quali le fondazioni bancarie, le associazioni sindacali e di categoria, i partiti politici e gli enti aventi natura pubblica, si aggiungerà un congruo numero di altri soggetti, che probabilmente preferirà restare assoggettato al codice civile e alla normativa del Tuir o di alcuni regimi speciali tributari non abrogati, sia per ragioni dimensionali, che rendono non opportuno affrontare i costi amministrativi conseguenti all’iscrizione, sia per mero arbitraggio fiscale. Tra questi ultimi risulteranno numerose le Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD), per le quali non è abrogato il regime forfettario di imposizione ai fini IVA e delle imposte sui redditi previsto dalla Legge n. 398/1991 e le esclusioni dalle attività commerciali disposte dagli articoli 4 del d.p.r. 633/1972 e 148 del Tuir, regimi che potranno continuare a fruire solo non iscrivendosi al Registro unico;

2. le norme sui controlli, seppur nel loro complesso giudicate positivamente, sono migliorabili, nella consapevolezza che l’esistenza di un adeguato sistema di controlli sia un elemento cruciale di trasparenza e garanzia per tutti gli stakeholders coinvolti negli enti no profit. Appare in questo senso naturale ritenere che tali garanzie possano essere garantite soltanto nel contesto dell’obbligo di costituire un organo di controllo interno qualificato in termini professionali. Probabilmente, l’attuale previsione contenuta nell’art. 30 del Codice del Terzo Settore del possesso delle qualifiche, previste per il collegio sindacale delle società per azioni dall’art. 2397 del Codice Civile, per uno solo dei componenti dell’organo di controllo, non soddisfa pienamente queste aspettative;

3. volgendo lo sguardo all’ambito fiscale, si può rilevare come la nuova regolamentazione tributaria, pur apprezzabile, tenendo conto dei limitati margini concessi, da un lato, dai vincoli europei e, dall’altro lato, dalla esigenza di realizzare una riforma ad invarianza di gettito per lo Stato, ai fini della qualificazione tributaria degli enti, non ha pienamente rispettato l’indirizzo del legislatore primario di spostare il focus dalla natura delle attività svolte alle finalità effettivamente perseguite dall’ente;

4. infine, i decreti non sono chiari relativamente alla tempistica di applicazione complessiva della riforma. Esiste quindi la necessità che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali regolamenti in maniera tempestiva il periodo transitorio. Si consideri che l’elemento centrale dal punto di vista ammnistrativo, il Registro Unico del Terzo Settore, richiederà un tempo non breve per essere organizzato e per entrare in pieno funzionamento su scala nazionale.

Il Codice del Terzo Settore, dopo aver qualificato gli enti autorizzati ad essere qualificati del “terzo settore” (organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, enti filantropici, imprese sociali, incluse le cooperative sociali, reti associative, società di mutuo soccorso, associazioni riconosciute e non riconosciute, fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi

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dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi), ne disciplina gli aspetti civilistici, contabili e fiscali.

Ciò che emerge chiaramente dalla riforma è che, a fronte di una maggiore trasparenza delle scritture contabili e dei bilanci (che dovranno essere redatti secondo regole specifiche ed essere depositati), della sottoposizione del consiglio di amministrazione alle verifiche di un organo di controllo, della previsione per legge di libri sociali obbligatori (visionabili dagli associati) e della pubblicazione dei compensi percepiti da tutti i soggetti coinvolti negli enti (componenti organi di amministrazione e controllo, dirigenti o semplici associati), a fronte di tutto ciò vengono garantiti, agli enti che accetteranno di iscriversi al nuovo Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, alcune non trascurabili agevolazioni.

Il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore viene istituito presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e sarà operativamente gestito con modalità informatiche su base territoriale in collaborazione con ciascuna Regione e provincia autonoma.

Il RUNTS costituirà il vero e proprio spartiacque fra i soggetti appartenenti al terzo settore che dovranno obbligatoriamente iscriversi allo stesso e quegli enti che volontariamente o per disposizione normativa, ne resteranno fuori.

Sarà infatti a seguito della iscrizione al RUNTS che le associazioni e le fondazioni:

1) dovranno attenersi alle disposizioni civilistiche previste dal Codice del Terzo Settore (in merito alla costituzione, all’amministrazione, ai libri sociali, alle regole di ammissione degli associati, al patrimonio minimo, ai bilanci, ai controlli, ecc);

2) potranno godere di tutta una serie di benefici fiscali espressamente previsti a seguito della iscrizione stessa (es. tassazione dell’ente in base a coefficienti di redditività forfettari, detrazione Irpef pari al 30% delle erogazioni liberali all’ente, non assoggettamento alle imposte di successione e donazione, ipotecarie e catastali per i trasferimenti a titolo gratuito effettuati a favore dell’ente, il social bonus per chi effettua donazioni agli enti che recuperano immobili pubblici inutilizzati, disposizioni di favore su imposte indirette e tributi locali);

3) verrà consentito agli enti di poter accedere a crediti agevolati, l’accesso al Fondo sociale europeo nonché ai fondi per il finanziamento di progetti di attività di interesse generale nel Terzo Settore ed altre risorse ad esso destinato, nonché a risorse specifiche per il volontariato e per le attività di promozione sociale.

Si è reso altresì necessario concedere un congruo lasso di tempo (24 mesi a partire dal 4 agosto 2017) per consentire agli enti ed alle associazioni di adeguare i propri statuti alle prescrizioni della legge attraverso semplici assemblee ordinarie, generando in tal modo gli stessi effetti della

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iscrizione al Runts, di modo che a seguito di tali modifiche, ovviamente a partire dalla sua istituzione, gli Enti potranno essere concretamente iscritti al registro.

A tali rilevanti e sicuramente apprezzabili novità fa da contraltare una riforma incompleta e per molti aspetti migliorabile.

La legge delega, infatti prevedeva espressamente (all’art. 1, comma 2) una revisione organica del titolo II del Libro I del Codice Civile in materia di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche o anche non riconosciute.

Tale parte della delega purtroppo ad oggi non risulta attuata, mentre si rileva che anche gli enti del terzo settore rimangono parzialmente regolamentati da una (deprecabile) normativa di rimando al Codice Civile.

È infatti previsto (all’art. 3) che, laddove nulla venga disposto dal Codice del Terzo Settore, si considerano ancora applicabili le disposizioni del Libro I (ad esempio in merito alle maggioranze assembleari o al recesso del socio) o addirittura, alle disposizioni di attuazione (es. in tema di liquidazione) del Codice Civile.

La disciplina del Codice Civile, che risale al lontano 1942, resterà applicabile a tutti quei soggetti che nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore decideranno volontariamente di non entrarvi o che addirittura, come nel caso dei comitati, pur volendo, non potranno farlo.

Intanto, per tornare ai giorni nostri, si registra l’arrivo delle prime indicazioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sull’applicazione nel periodo transitorio delle nuove disposizioni del Codice del Terzo Settore rivolte in particolare alle Regioni che saranno chiamate a rendere operativo il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS).

Il documento, in particolare, fornisce alcuni preliminari chiarimenti riferiti alle organizzazioni di volontariato (Odv) e alle associazioni di promozione sociale (Aps) per le quali sono già operativi i registri nazionali e/o locali.

Le Onlus, infatti, dovranno attendere le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate cui spetta la gestione della rispettiva anagrafe.

Il Ministero ricorda prima di tutto che fino all’entrata in funzione del RUNTS, l’iscrizione agli attuali registri continuerà ad essere regolata dalle vigenti disposizioni normative, ciò significa che in caso di costituzione di un nuovo ente, ai fini dell’iscrizione nel registro APS e ODV nel periodo transitorio, si dovranno seguire le regole vigenti prima dell’entrata in vigore del Codice del Terzo Settore (CTS).

Pur in mancanza di indicazioni operative da parte dell’Agenzia delle Entrate questo stesso criterio varrà, molto verosimilmente, anche per tutti quegli enti che vorranno procedere all’iscrizione presso l’anagrafe delle ONLUS.

Per verificare la sussistenza dei requisiti utili per l’iscrizione nel nuovo registro le Regioni in questa fase dovranno seguire due diverse impostazioni tenendo conto della data di costituzione degli enti.

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 Quelli già costituiti al 3 agosto 2017 (data di entrata in vigore del CTS) avranno a disposizione 24 mesi di tempo per adeguare i propri statuti alla nuova disciplina. Pertanto, in questo periodo, la domanda di iscrizione all’istituendo RUNTS non potrà essere rigettata in caso di difformità con le norme del Codice, almeno fino al 3 agosto 2019.

 I nuovi enti, invece, dovranno adeguarsi da subito alle norme del Codice ed in particolare alle disposizioni applicabili in via diretta ed immediata, a prescindere dalla operatività del Registro.

Ad esempio in mancanza di quest’ultimo non sarà richiesto il rispetto degli obblighi di pubblicazione delle informazioni riguardanti l’ente (si pensi alla denominazione dell’ente, forma giuridica, sede legale, oggetto dell’attività di interesse generale etc..) o del deposito dei bilanci e dei rendiconti, inclusi quelli riguardanti le raccolte fondi. Inoltre non potrà essere utilizzata la procedura semplificata per l’acquisizione della personalità giuridica dal momento che è collegata all’iscrizione nel Registro (art. 22 CTS).

Alcune disposizioni invece entrano in vigore immediatamente e richiedono specifici requisiti che dovranno essere previsti obbligatoriamente fin dal momento della costituzione dell’ente, come il numero minimo di soci (almeno sette) e la forma giuridica di associazione riconosciuta o non riconosciuta, richiesta espressamente dal Codice per l’iscrizione nella sezione ODV e APS del Registro Unico (artt. 32 e 35). Dal momento che si tratta di elementi immodificabili in caso di inosservanza di queste disposizioni gli enti non potranno sanare la violazione, con impossibilità di accedere al Registro.

Per tutti gli ETS scatta l’obbligo del bilancio di esercizio, che andrà redatto in forma ordinaria (secondo il criterio di competenza) o semplificata (adottando il criterio di cassa) a seconda delle dimensioni, indipendentemente dal deposito presso il RUNTS.

Va detto che in realtà la modulistica necessaria non è ancora pronta (servirà un intervento del Ministero del lavoro), ma, come chiarito nel documento, questa mancanza “non esonera gli enti da tale adempimento”.

Questo stesso ultimo adempimento, cambia a seconda dell’ammontare complessivo delle entrate dell’ente, infatti laddove le stesse non dovessero superare nell’esercizio la soglia di € 220.000,00 sarà sufficiente presentare un prospetto semplificato sotto forma di rendiconto finanziario per cassa.

Superato questo limite invece è richiesto un vero e proprio bilancio di esercizio formato dallo stato patrimoniale, dal rendiconto finanziario e dalla relazione di missione, con cui l’ente dovrà illustrare l’andamento economico e finanziario.

Il 1° gennaio 2019 sarà invece la data a partire dalla quale gli enti con entrate relative all’anno 2018 superiori a € 220.000,00 dovranno pubblicare sul proprio sito internet l’ammontare dei corrispettivi eventualmente attribuiti nello stesso anno ai componenti degli organi di amministrazione e controllo, ai dirigenti e agli associati.

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Resta invece ancora facoltativo l’obbligo di adozione del bilancio sociale per gli enti di maggiori dimensioni (intendendosi per tali quelli con entrate superiori ad un milione di euro) che, in attesa delle linee guida previste dall’art. 14 del CTS manca ancora delle indicazioni necessarie.

Da ultimo, bisognerà prestare attenzione anche alla corretta denominazione gli enti, Odv e Aps potranno ancora utilizzare i vecchi acronimi per l’iscrizione nei rispettivi registri, mentre per qualificarsi come Ets dovrà attendersi l’attivazione del RUNTS, in un’ottica di trasparenza specie nei rapporti con i terzi legati, in particolare, ai maggiori vantaggi per chi dona a favore degli Enti del Terzo Settore.

3. RICONOSCIMENTO GIURIDICO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE

A cura di Ernesto Gatto

Il riconoscimento giuridico dell’ente, cioè l’acquisizione della personalità giuridica dello stesso, rientra da sempre fra le problematiche più importanti e dibattute nel mondo delle associazioni e fondazioni. Tale riconoscimento, prima della riforma intervenuta con il d.lgs. 117/2017, era basato sul cosiddetto sistema concessorio, ed era regolamentato con il Dpr 10/2/2000 n. 361.

Tuttavia, un sistema fondato sulla discrezionalità (invero più formale che sostanziale) dell’ente preposto al riconoscimento (regione per gli enti che operano a livello regionale, prefettura per quelli che operano in ambito interregionale, nazionale o internazionale) risultava pur sempre dotato di incertezze.

I soggetti autorizzati a riconoscere le varie organizzazioni, infatti, spesso richiedevano una documentazione differenziata, erano assoggettati ad una diversa tempistica per la procedura di riconoscimento (a volte particolarmente lunga: si può arrivare anche a 180 giorni), richiedevano dotazioni patrimoniali diversificate anche per la stessa tipologia di ente (associazione o fondazione).

Ora l’art. 22 del nuovo Codice del Terzo Settore “C.T.S.”, innova completamente il sistema di riconoscimento delle associazioni e fondazioni che opereranno in tale ambito.

I nuovi enti, infatti (o quelli già esistenti in forma di associazioni non riconosciute), potranno ottenere il riconoscimento, oltre che attraverso il tradizionale sistema concessorio (che resterà utilizzabile anche in futuro diventando in pratica alternativo al nuovo sistema) anche attraverso il sistema “normativo”, che di fatto equipara il riconoscimento giuridico (o la nascita di

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un’associazione riconosciuta o di una fondazione), alla costituzione di una società di capitali. Il sistema normativo non varrà per il riconoscimento dei comitati.

In pratica, il notaio che riceve l’atto costitutivo e lo statuto di una associazione o di una fondazione del Terzo Settore, o la pubblicazione di un testamento con il quale si dispone una fondazione, è tenuto a verificare la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per la costituzione dell’ente ed il suo eventuale riconoscimento (settore di attività rientranti in quelli del Terzo Settore, elementi essenziali previsti dall’atto costitutivo, come la denominazione dell’ente, l’assenza di scopo di lucro e le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite, l’attività di interesse generale, la sede legale nonché la sussistenza del capitale minimo d’ora innanzi richiesto per il riconoscimento dell’ente, ecc.,) e la correttezza delle regole di funzionamento dell’ente previste nello statuto in relazione alle previsioni del Codice del Terzo Settore.

Constatata la regolarità documentale il pubblico ufficiale deve depositare l’atto costitutivo, con i relativi allegati, entro venti giorni presso il competente ufficio del Registro unico nazionale del terzo settore (Runts), richiedendo l’iscrizione dell’ente (art. 22, comma 2).

Attraverso il riconoscimento giuridico conseguente all’iscrizione al Runts, l’ente acquisisce una personalità giuridica ed un’autonomia patrimoniale perfetta, con la conseguenza che delle obbligazioni dell’ente risponde solo l’ente stesso con il suo patrimonio.

Con la nuova procedura, oltre che velocizzare i sistemi fino ad oggi utilizzati per il riconoscimento dell’ente, come si legge nella relazione ministeriale di accompagnamento al decreto, si rende lo stesso praticamente “automatico” come avviene per le società dotate dei requisiti previsti dalla legge.

4. PRINCIPALI NOVITÀ FISCALI DELLA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

A cura di Ernesto Gatto

Nell’ambito delle operazioni di razionalizzazione e semplificazione operate dall’Esecutivo per rispetto alla Legge Delega 106/2016, il Codice del Terzo Settore è anche intervenuto in maniera sostanziale sugli aspetti fiscali dei futuri ETS, con conseguenti effetti anche sugli ENC (sotto il regime TUIR), che rimarranno tali per legge (enti di cui all’art. 4, commi 2 e 3 del CTS) o per scelta di non iscriversi nel Runts (requisito obbligatorio per essere definito ETS).

La principale novità è sicuramente costituita dall’introduzione di due specifici regimi fiscali agevolati per la determinazione del reddito d’impresa, applicabili su espressa opzione dell’ETS.

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Si tratta del regime “generale” previsto all’art. 80 (valevole per tutti gli ETS) e di quello “speciale”, previsto dall’art. 86, valevole soltanto per le Associazioni di Promozione Sociale (APS) e le Organizzazioni di Volontariato (ODV).

Il primo ricalca quello previsto dall’art. 145 TUIR, prevedendo che il reddito d’impresa degli ETS sarà determinato applicando una percentuale a seconda degli scaglioni di ricavi (distinguendo l’attività di prestazione di servizi dalle altre attività), con la differenza che nel CTS le percentuali sono nettamente inferiori a quelle del citato art. 145 TUIR e – cosa non da poco – l’ultimo scaglione non ha limiti massimi (che invece restano nell’art. 145).

Si ritiene che in questo modo il legislatore delegato abbia creato le condizioni per spingere gli enti in questione in un unico alveo che tra i tanti, costituisce uno dei punti cardine-obiettivo della Riforma, anche se, nonostante ciò, di fatto si verranno a creare regimi fiscali paralleli (TUIR e CTS), in quanto ciascun ente sarà libero di aderire o meno al Runts, con le eventuali opzioni che ciascuna scelta comporterà come possibilità di fare.

Il regime forfetario ex art. 86 è riservato, come detto, soltanto ad APS e ODV, ritenute più meritevoli di attenzione dal punto di vista dell’alleggerimento del carico tributario.

Infatti, le percentuali previste per la forfettizzazione del reddito d’impresa derivante dalle attività commerciali sono nettamente inferiori ed uniche, ossia non divise per scaglioni.

Nel caso delle APS, il reddito è stabilito nella misura del 3% dei ricavi percepiti, mentre le ODV applicano una percentuale dell’1%.

Peraltro, tale regime è applicabile a condizione che nel periodo d’imposta precedente i ricavi non siano stati superiori ad € 130.000,00.

Tra i due regimi, inoltre, vi è un’altra differenza che riguarda l’IVA. In pratica, mentre l’art. 86 disciplina anche questo tributo, compresa la parte degli adempimenti formali/obblighi strumentali, l’art. 80 ne è totalmente privo.

In tal modo, gli ETS che sceglieranno il regime di cui a tale ultimo articolo, da un punto di vista IVA saranno assoggettati al un regime ordinario.

In estrema sintesi, per riepilogare quanto sopra, si avrà la seguente situazione:

- ENC non ETS per legge (ex art. 4, c. 2) o per scelta (enti religiosi ex art. 4, c. 3): resterà sotto il TUIR e potrà scegliere il regime ordinario (costi/ricavi) o, sempre per il reddito d’impresa, quello forfetario di cui all’art. 145 TUIR. Per gli enti religiosi che invece saranno iscritti al Runts, in seguito al correttivo emanato con Dlgs n. 105 del 3/8/2018, pubblicato in G.U. n. 210 del 10/9/2018 e vigente dall’11/9/2018, è previsto che gli artt. da 143 a 148 TUIR saranno applicabili soltanto alle “attività diverse”, ex art. 6 CTS;

- ENC non ETS per scelta (ad esempio, ass. culturali, ricreative): resterà sotto il generale regime del TUIR per gli articoli che riguardano gli ENC. Ciò, per effetto dell’abrogazione del primo periodo del comma 3 dell’art. 89, che permetteva l’applicabilità dell’art. 145 soltanto agli ENC di cui all’art. 4, comma 2, escludendo il resto degli ENC;

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- ENC non ETS ma ASD: potrà decidere di passare nel Runts (con le relative possibilità di scelta del forfetario ex artt. 80 o 86 se anche APS) o restare sotto il TUIR, dove potrà godere della decommercializzazione ex art. 148, comma 3 TUIR e optare sia per l’art. 145 che per la L.

398/91;

- ETS a tutti gli effetti: potrà scegliere tra regime ordinario del TUIR o optare per il regime forfetario dell’art. 80 del CTS (ovvero 86 in caso di APS o ODV).

Un’altra rilevante novità fiscale contenuta nel CTS riguarda la definizione di ente non commerciale, che resta intatta (ex art. 73, c. 1, lett. c) TUIR) per gli enti che non saranno iscritti nel Runts ma che assume una differente connotazione negli ETS.

Infatti, l’art. 79 del CTS distingue le attività non commerciali (comma 2) dagli ETS non commerciali- -commerciali (comma 5).

Nel primo caso, il focus è puntato sulle caratteristiche che l’attività deve possedere per essere considerata tale; nel secondo caso, per naturale effetto, viene trattata la qualificazione dell’ETS che svolge quella attività, considerando che assume rilievo il concetto di prevalenza (inteso come raffronto tra le attività commerciali e quelle non considerate come tali, ex comma 2 del citato art.

79), al manifestarsi della quale l’ETS passerà dalla natura di non commerciale a quella commerciale.

Da questo punto di vista, è fondamentale l’analisi del comma 2 dell’art. 79, che prevede che l’attività di interesse generale (art. 5 CTS) sia considerata non commerciale se svolta in modo gratuito o dietro corrispettivo che non superi i costi effettivi.

Attesa la rigidità della disposizione, tale norma era stata oggetto di proposta di modifica, introducendo una percentuale di tolleranza (ricavi maggiori di non oltre il 10% in più rispetto ai costi) all’interno di un primo schema di decreto correttivo.

Peraltro, la versione approvata definitivamente dall’Esecutivo ed inserita nel D.lgs 105/2018 ha eliminato tale proposta. Pertanto, resta la citata rigidità della norma e gli ETS che si troveranno nella previsione del comma 5 saranno non commerciali.

Ciò non significa perdita della qualifica di ETS in quanto la norma ammette – al negativo – la possibilità di esistenza di un ETS commerciale; l’importante è che questi svolga un’attività rientrante nel novero tassativo delle attività di cui all’art. 5 citato, anche se affiancata dalle “attività diverse”, il cui esercizio è possibile per effetto della previsione dell’art. 6. Di tali attività, peraltro, è atteso apposito Decreto interministeriale che ne stabilirà limiti e descrizione.

Proseguendo nella disamina delle novità fiscali introdotte dalla Riforma, anche il settore delle imposte indirette risente di sostanziali interventi (all’art. 82), molti dei quali inclini ad esenzioni totali dall’imposizione, come quella per l’imposta di registro nel caso degli atti costitutivi e connessi allo svolgimento delle attività delle ODV, così come da ultimo modificata con il decreto correttivo.

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Si tratta, in generale, della regolamentazione delle imposte indirette per gli atti traslativi a titolo gratuito od oneroso a favore di tali enti, esentando totalmente o applicando le imposte correlate in misura fissa.

Salutata di certo con favore è la norma che si incarica di abolire l’imposta di bollo per tutti gli atti di questi enti, sia emessi che richiesti, mentre per la fiscalità locale (IMU, TARI, TASI) è lasciata alla potestà degli enti locali territoriali la scelta delle migliori condizioni applicabili attraverso le relative delibere.

Infine, va certamente annotata la peculiarità del CTS relativa alla unificazione delle agevolazioni in materia di erogazioni liberali verso gli ETS (art. 83), fino ad oggi frastagliate tra circa una trentina di previsioni (tra TUIR ed altre norme specifiche).

Al riguardo, il CTS compie una vera e propria opera di ricognizione e riunificazione, elevando altresì le percentuali a favore dei soggetti eroganti, il tutto per una maggiore spinta al decollo del nuovo Terzo Settore.

In questo ambito, si registra l’innovativo Social bonus, previsto dall’art. 81, sotto forma di credito d’imposta pari al 65% delle erogazioni in denaro effettuate da persone fisiche e 50% se effettuate da enti o società, a favore degli enti che hanno presentato progetti di recupero di immobili pubblici inutilizzati o confiscati alla criminalità organizzata ed assegnati agli stessi ETS per l’esclusivo utilizzo per lo svolgimento delle attività ex art. 5 in modalità non commerciali.

Va sottolineato che la medesima erogazione non può ottenere la cumulabilità delle agevolazioni, neanche con quelle disposte da altre normative diverse dal CTS. Modalità attuative e procedure per l’approvazione dei progetti presentati necessiteranno di apposito decreto del Ministro dell’Economia e Finanze.

Riferimenti

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