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KARL MARX (1818-1883) Il pensiero giovanile (1843-1845)

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KARL MARX (1818-1883) Il pensiero giovanile (1843-1845)

1.

La virtù che preferisci – La semplicità

La virtù che preferisci in un uomo – La forza

La virtù che preferisci in una donna – La debolezza La tua qualità principale – La determinazione La tua idea della felicità – Lottare

La tua idea dellinfelicità – La sottomissione Il difetto che scusi più facilmente – La credulità Il difetto che detesti di più – Il servilismo

Quel che ti disgusta di più – Martin Tupper La tua attività preferita – Rovistare tra i libri

Il tuo poeta preferito – Shakespeare, Eschilo, Goethe Il tuo scrittore preferito – Diderot

Il tuo eroe preferito – Spartaco, Keplero

La tua eroina preferita – La Margherita del Faust Il tuo fiore preferito – Il lauro

Il tuo colore preferito – Il rosso Il tuo nome preferito – Laura, Jenny Il tuo piatto preferito – Pesce

La tua massima preferita – Nihil humani a me alienum puto Il tuo motto preferito – De omnibus dubitandum

Appunti di gioco con le figlie, 1865

2.

La critica non è una passione del cervello, è il cervello della passione.

Non è un coltello anatomico, è un'arma. Il suo oggetto è il suo nemico, che essa non vuole confutare bensi annientare [ … ]. Il suo pathos essenziale è l'indignazione, il suo compito essenziale è la denuncia. [ … ] La critica che si cimenta in questo contenuto è la critica che sta in mezzo alla mischia, e nella mischia non si tratta di sapere se l'avversario è nobile, di pari condizione, se è un avversario interessante, si tratta di colpirlo. [ … ] L'arma della critica non può certamente sostituire la critica delle armi, la forza materiale deve essere abbattuta dalla forza materiale, ma anche la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse. La teoria è capace di impadronirsi delle masse non appena dimostra ad hominem, ed essa dimostra ad hominem non appena diviene radicale. Essere radicale vuoI dire cogliere le cose alla radice. Ma la radice, per l'uomo, è l'uomo stesso

Critica della filosofia hegeliana del diritto di Hegel. Introduzione, 1844

3.

Ciò che è razionale è reale;

E ciò che è reale è razionale.

[ … ] Comprendere ciò che è, è il compito della filosofia, poiché ciò che è è la ragione. Per quel che concerne l'individuo, del resto, ciascuno è figlio del suo tempo; così anche la filosofia è il tempo di essa appreso in pensieri.

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[ … ] Lo Stato inteso come la realtà della volontà sostanziale, realtà ch'esso ha nell’autocoscienza particolare innalzata alla sua universalità, è il razionale in sé e per sé. Questa unità sostanziale è assoluto immobile fine in sé stesso, nel quale la libertà perviene al suo supremo diritto, così come questo fine ultimo ha il supremo diritto di fronte agli individui, il cui supremo dovere è d'esser membri dello Stato.

Lineamenti di filosofia del diritto, Hegel

4.

Ciò' ch'è rilevante è che Hegel dappertutto fa dell'idea il soggetto e del soggetto propriamente detto, reale, quale il «sentimento politico», fa il predicato. Ma lo sviluppo procede sempre dalla parte del predicato. [ … ] Che i diversi lati di un organismo stiano in una connessione necessaria, scaturente dalla natura dell'organismo, questa è pura tautologia. Che, una volta che la costituzione politica è determinata come organismo, i diversi lati della costituzione, i suoi differenti poteri, si rapportino gli uni agli altri come determinazioni organiche, stiano gli uni con gli altri in un rapporto razionale, questo è parimenti tautologia. [ … ] L'unico interesse di Hegel è di ritrovare l’«idea» pura e semplice, l'«idea logica», in ogni elemento, sia dello Stato, sia della natura, onde i soggetti reali, come è qui la «costituzione politica» [ … ]. Egli non sviluppa il suo pensiero secondo l'oggetto, bensì sviluppa l'oggetto secondo un pensiero in sé predisposto, e che è stato predisposto nell'astratta sfera della logica. Non si tratta perciò di sviluppare l'idea determinata di costituzione politica, ma sì di mettere in rapporto la costituzione politica con l'idea astratta, di ordinarIa come un anello della storia della sua vita (dell’idea): una mistificazione manifesta.

Critica ai lineamenti della filosofia hegeliana del diritto pubblico, 1843

5.

La democrazia è il genus della costituzione. La monarchia ne è una specie, e una specie cattiva. La democrazia è «contenuto e forma». La monarchia deve esser soltanto forma, ma essa altera il contenuto. Nella monarchia il tutto, il popolo, è sussunto sotto uno dei suoi modi di esistere, la costituzione politica; nella democrazia la costituzione stessa appare semplicemente come una determinazione, cioè autodeterminazione del popolo. Nella monarchia abbiamo il popolo della costituzione; e nella democrazia la costituzione del popolo. La democrazia è l'enigma risolto di tutte le costituzioni. Quivi la costituzione è non solo in sé, secondo l'essenza, ma secondo l'esistenza, secondo la realtà, e ricondotta continuamente al suo reale fondamento, all’uomo reale, al popolo reale, e posta come opera propria di esso. [ … ] Hegel parte qui dallo Stato e fa dell'uomo lo Stato soggettivato; la democrazia parte dall’uomo e fa dello Stato l'uomo oggettivato. Come non è la religione che crea l'uomo, ma è l'uomo che crea la religione, così non la costituzione crea il popolo, ma il popolo la costituzione.

Critica ai lineamenti della filosofia hegeliana del diritto pubblico, 1843

6.

In tutti gli Stati che differiscono dalla democrazia, lo Stato, la legge, la costituzione, dominano senza dominare realmente, cioè senza penetrare materialmente il contenuto delle restanti sfere non politiche. Nella democrazia la costituzione, la legge, lo Stato stesso, sono semplicemente

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un'autodeterminazione del popolo, un contenuto determinato del popolo, per quanto esso contenuto è costituzione politica. [ … ] Nella democrazia lo Stato astratto ha cessato di essere il momento dominante.

[ … ] Hegel ha dimostrato che il monarca deve nascere, di che nessuno dubita, ma non ha dimostrato che è la nascita che fa il monarca. La nascita dell'uomo quale monarca è passibile di erigersi a verità filosofica tanto poco quanto l'immacolata concezione di Maria madre. [ … ] Sua Maestà il caso: Il caso è così la reale unità dello Stato. [

… ] L'atto costituzionale supremo del re è dunque la sua attività sessuale, ché è per questa ch'esso fa un re e perpetua il proprio corpo. [

… ] Lo Stato, nelle sue più alte funzioni, assume una realtà animale. La natura si vendica su Hegel del disprezzo mostratole.

Critica ai Lineamenti della filosofia hegeliana del diritto pubblico, 1843

7.

I droits de l’homme, i diritti dell'uomo, sono in quanto tali distinti dai droits du citoyen, dai diritti del cittadino. Chi è l’homme distinto dal citoyen? Nessun altro se non il membro della società civile.

[ … ] in primo luogo prendiamo atto che i cosiddetti diritti del! 'uomo, come distinti dai diritti del cittadino, non sono se non i diritti del membro della società civile, vale a dire dell’uomo egoista, dell’uomo scisso dall’uomo e dalla comunità. [ … ]

Art. 2.: "Questi diritti, etc. (i diritti naturali ed imperscrittibili) sono:

l'uguaglianza, la libertà, la sicurezza, la proprietà".

In che consiste la libertà?

Art. 6.: "La libertà è il potere che appartiene all'uomo di fare tuto ciò che non nuoce agli altri”. secondo la Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1791: "La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri ".

La libertà è dunque il diritto di fare ed esercitare tutto ciò che non nuoce ad altri. Il confine entro il quale ciascuno può muoversi senza nocumento altrui, è stabilito per mezzo della legge, come il limite tra due campi è. stabilito per mezzo di un cippo. Si tratta della libertà dell'uomo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa. [ … ] Ma il diritto dell'uomo alla libertà si basa non sul legame dell'uomo con l'uomo, ma piuttosto sull'isolamento dell'uomo dall'uomo. Esso è il diritto a tale isolamento, il diritto dell'individuo limitato, limitato a se stesso.

L'utilizzazione pratica del diritto dell'uomo alla libertà è il diritto dell'uomo alla proprietà privata? In che consiste il diritto dell'uomo alla proprietà privata?

Art. 16. (Const. del 1793): "Il diritto di proprietà è quello che appartiene a tutti i cittadini di gioire e di disporre dei loro beni, delle loro rendite, dei frutti del loro lavoro e delle loro industrie".

Il diritto dell'uomo alla proprietà privata è dunque il diritto di godere arbitrariamente (à son gré), senza riguardo agli altri uomini, indipendentemente dalla società, della propria sostanza e di disporre di essa, il diritto dell'egoismo. Quella libertà individuale, come questa utilizzazione della medesima, costituiscono il fondamento della società civile. Essa lascia che ogni uomo trovi nell'altro uomo non già la realizzazione, ma piuttosto il limite della sua libertà. Ma essa proclama

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innanzi tutto il diritto dell'uomo "di gioire e di disporre dei loro beni, delle loro rendite, dei frutti del loro lavoro e delle loro industrie" .

Restano ancora gli altri diritti dell'uomo, l'eguaglianza e la sicurezza.

L'eguaglianza, qui nel suo significato non politico, non è altro che l'uguaglianza della libertà sopra descritta, e cioè: che ogni uomo viene ugualmente considerato come una siffatta monade che riposa su se stessa. La Costituzione del 1795 stabilisce così il concetto di tale uguaglianza, conforme al suo significato:

Art. 5 (Const. de 1795): "L'eguaglianza consiste nel fatto che la legge è la stessa per tutti, sia che protegga, sia che punisca".

E la sicurezza?

Art. 8 (Const. de 1795): "La sicurezza consiste nella protezione accordata dalla società a ciascuno dei suoi membri per la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e delle sue proprietà".

La sicurezza è il più alto concetto sociale della società civile, il concetto della polizia, che l'intera società esiste unicamente per garantire a ciascuno dei suoi membri la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e della sua proprietà. In tal senso Hegel chiama la società civile:

"Lo Stato del bisogno e dell'intelletto".

Per il concetto di sicurezza la società civile non si innalza oltre il suo egoismo. La sicurezza è piuttosto l'assicurazione del suo egoismo.

Nessuno dei cosiddetti diritti dell'uomo oltrepassa dunque l'uomo egoistico, l'uomo in quanto è membro della società civile, cioè individuo ripiegato su se stesso, sul suo interesse privato e sul suo arbitrio privato, e isolato dalla comunità

Sulla questione ebraica, 1844

8.

Il fondamento della critica alla religione é: è l'uomo che fa la religione, e non è la religione che fa l'uomo. Infatti, la religione è la coscienza di sé e il sentimento di sé dell’uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma l'uomo non è un'entità astratta posta fuori del mondo. L'uomo è il mondo dell'uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capo olta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo punto d'onore spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne completamento, il suo uni ersale fondamento di consolazione e di giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l'essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta contro la religione è dunque, mediatamente, la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l'aroma spirituale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, è l'anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuoI dire esigere la felicità reale, L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critìca della religione, dunque, è, in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola. La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l'uomo porti la catena spoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l'uomo affinché egli pensi, operi, dia forma alla sua

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realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si mùova intorno a se stesso e, perciò, intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illusorio che si muove intorno all'uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso. E' dunque compito della storia, una volta scomparso l'al di la della verità, quello di ristabilire la verità dell'al di qua. E innanzi tutto è compito della filosofia, la quale sta al servizio della storia, una volta smascherata la figura sacra dell'auto- estraneazione umana, smascherare l'auto-estraneazione nelle sue figure profane. La critica del cielo si trasforma così nella critica della terra, la critica della religione nella critica del diritto, la critica della teologia nella critica della politica. La critica della religione approda alla teoria che l'uomo è per l'uomo l'essere supremo.

Critica della filosofia hegeliana del diritto di H egel. Introduzione, 1844

9.

I.

Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi, compreso quello di Feuerbach, è che l'oggetto, il reale, il sensibile è concepito solo sotto la forma di oggetto o di intuizione; ma non come attività umana sensibile, come attività pratica, non soggettivamente. E' accaduto quindi che il lato attivo è stato sviluppato dall'idealismo in contrasto col materialismo, ma solo in modo astratto, poiché naturalmente l'idealismo ignora l'attività reale, sensibile come tale. Feuerbach vuole oggetti sensibili realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma egli non concepisce l'attività umana stessa come attività oggettiva. Perciò nell'Essenza del cristianesimo egli considera come schiettamente umano solo il modo di procedere teorico, mentre la pratica è concepita e fissata da lui soltanto nella sua raffigurazione sordidamente giudaica. Pertanto egli non concepisce l'importanza dell'attività "rivoluzionaria", dell'attività pratico- critica.

II.

La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E' nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica.

III.

La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dell'educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un.altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che l'educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società (per esempio in Roberto Owen).

La coincidenza nel variare dell'ambiente e dell'attività umana può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.

IV.

Feuerbach prende le mosse dal fatto che la religione rende l'uomo estraneo a se stesso e sdoppia il mondo in un mondo religioso immaginario, e in un mondo reale. Il suo lavoro consiste nel dissolvere il mondo religioso nella sua base mondana. Egli non si accorge che,

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compiuto questo lavoro, la cosa principale rimane ancora da fare. Il fatto. stesso che la base mondana si distacca da se stessa e si stabilisce nelle nuvole come regno indipendente non si può spiegare se non colla dissoci azione interna e colla contraddizione di questa base mondana con se stessa. Questa deve pertanto essere compresa prima di tutto nella sua contraddizione e poi, attraverso la rimozione della contraddizione, rivoluzionata praticamente. Così, per esempio, dopo che si è scoperto che la famiglia terrena è il segreto della sacra famiglia, è la prima che deve essere criticata teoricamente e sovvertita nella pratica.

V.

Feuerbach, non contento del pensiero astratto, fa appello all'intuizione sensibile; ma egli non concepisce il sensibile come attività pratica, come attività sensibile umana.

VI.

Feuerbach risolve l'essere religioso nell'essere umano. Ma l'essere umano non è un'astrazione immanente all'individuo singolo. Nella sua realtà, esso è l'insieme dei rapporti sociali.

Feuerbach, che non s'addentra nella critica di questo essere reale, è perciò costretto:

l. a fare astrazione dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé e a presuppone un individuo umano astratto, isolato;

2. per lui perciò l'essere umano può essere concepito solo come

"specie", come generalità interna, muta, che unisce in modo puramente naturale la molteplicità degli individui.

VII.

Perciò Feuerbach non vede che il "sentimento religioso" è anch'esso un prodotto sociale e che l'individuo astratto, che egli analizza, in realtà appartiene a una determinata forma sociale.

VIII.

La vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella attività pratica umana e nella comprensione di questa attività pratica.

IX.

L'altezza massima a cui può arrivare il materialismo intuitivo, cioè il materialismo che non concepisce il mondo sensibile come attività pratica, è l'intuizione dei singoli indi idui nella "società borghese".

X.

Il punto di vista del vecchio materialismo è la società "borghese"; il punto di vista del nuovo materialismo è la società umana, o l'umanità socializzata.

XI.

I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo.

Tesi su Feuerbach, 1845

10.

La religione, per lo meno la religione cristiana, è l'insieme dei rapporti dell’uomo con sé stesso, o meglio con il proprio essere, riguardato però come u altro essere. L'essere divino non è altro che l'essere dell'uomo liberato dai limiti dell'individuo cioè dai limiti della corporeità e della

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realtà, e oggettivato, ossia contemplato e adorato come un altro essere da lui distinto. Tutte le qualificazioni del!' essere divino sono perciò qualificazioni dell’essere umano.

L'essenza del cristianesimo, Feuerbach

11.

L'importante nella Fenomenologia hegeliana e nel suo risultato finale –la dialettica dell'identità come principio motore e generatore – è dunque nel fatto che Hegel concepisce l'autoproduzione dell'uomo come un processo, l'oggettivazione come una contrapposizione, come estraneazione e come superamento di questa estraneazione; nel fatto, quindi, che egli coglie l'essenza del lavoro e concepisce l'uomo oggettivo, l'uomo vero perché reale, come risultato del proprio lavoro.

L'unilateralità ed il limite di Hegel metteremo, ora, in rilievo. Hegel si è collocato dal punto di vista dell'economia politica moderna. Egli concepisce il lavoro come l'essenza, come l'essenza che si avvera dell'uomo; egli vede solo la parte positiva del lavoro, non quella negativa. Il lavoro è il divenirper-sé-dell'uomo nell'alienazione o come uomo alienato. Il lavoro che Hegel solo conosce e riconosce è il lavoro astrattamente spirituale.

L'operaio diventa tanto più povero quanto più produce ricchezza, quanto più la sua produzione cresce in potenza ed estensione. L'operaio diventa una merce tanto più a buon mercato quanto più crea delle mercI.

Manoscritti economico-filosofici, 1844

12.

Ma il sentimento della potenza assoluta in generale, e in particolare il sentimento del servizio, è solamente la dissoluzione in sé; e sebbene certo la paura del signore costituisca l'inizio della saggezza, in tutto ciò la coscienza è per sé stessa, non è l'essere per sé. Attraverso il lavoro, però, essa giunge a se stessa. [ … [Il lavoro è desiderio tenuto a freno, dileguare trattenuto; insomma, il lavoro è formazione. [ … l Tramite tutto ciò, la coscienza che lavora giunge dunque a intuire l'essere autonomo come sé stessa.

Fenomenologia dello Spirito, Hegel

13.

L'economia politica parte dal fatto della proprietà pri-vata. Ma non ce la spiega. Coglie il processo materiale della proprietà privata quale si rivela nella realtà, ma lo coglie in formule generali, astratte, ' che hanno per essa il valore di leggi. Essa non comprende queste leggi, cioè non riflette in qual modo esse derivino dall'essenza del-la proprietà privata.

L'economia politica non ci dà nes-suna spiegazione sul fondamento della divisione di capitale e lavoro, di capitale e terra. Quando, per esempio, determina il rapporto del salario col profitto del capita-le, l'interesse del capitalista vale per essa come la ragione suprema; cioè essa presuppone ciò che deve spiegare. Parimenti interviene dappertutto la concorrenza, Ma questa viene spiegata in base a circostanze esterne.

L'e-conomia politica non c'insegna nulla sul fatto che que-ste circostanze esterne, apparentemente accidentali, so-no null'altro che l'espressione di uno svolgimento ne-cessano. Abbiamo visto come lo stesso scambio le ap-paia come un fatto accidentale. Gli unici

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ingranaggi che l'economia politica mette in moto sono l'avidità di dena- ro e la guerra tra coloro che ne sono affetti, la concorrenza. [ … ] L'economia politica nasconde l'estraniazione insita nell'essenza stessa del lavoro per il fatto che non considera il rapporto immediato esistente tra l'operaio (il lavoro) e la produzione. Certamente, il lavoro produce per i ricchi cose meravigliose; ma per gli operai produce soltanto privazioni. Produce palazzi, ma per l'operaio spelonche. Produce bellezza, ma per l'operaio deformità. Sostituisce il lavoro con macchine, ma ricaccia una patte degli operai in un lavoro barbarico e trasforma l'altra parte in macchina. Produce cose dello spirito, ma per l'operaio idiotaggine e cretinismo.

Manoscritti economico-filosofici, 1844

14.

E ora, in che cosa consiste l'alienazione del lavoro?

Consiste prima di tutto nel fatto che il lavoro è esterno all'operaio, cioè non appartiene al suo essere, e quindi nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, si sente non soddisfatto, ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e distrugge il suo spirito. Perciò l'operaio solo fuori del lavoro sì sente presso di sé; e si sente fuori di sé nel lavoro. E a casa propria se non lavora; e se lavora non è a casa propria. Il suo lavoro quindi non è volontario, ma costretto, è un lavoro forzato. on è quindi il soddisfacimento di un bisogno, ma soltanto un mezzo per soddisfare bisogni estranei. La sua estraneità si rivela chiaramente nel fatto che non appena vien meno la coazione fisica o qualsiasi altra coazione, il lavoro viene fuggito come la peste. TI lavoro esterno, il lavoro in cui l'uomo si aliena, è un lavoro di sacrificio di se stessi, di mortificazione. Infine l'esteriorità del lavoro per l'operaio appare in ciò che il lavoro non è suo proprio, ma è di un altro. Non gli appartiene, ed egli, nel lavoro, non appartiene a se stesso, ma ad un altro. Come nella religione, l'attività propria della fantasia umana, del cervello umano e del cuore umano influisce sull'individuo indipendentemente dall'individuo, come un'attività estranea, divina o diabolica, cosi l'attività dell'operaio non è la sua propria attività: Essa appartiene ad un altro; è la perdita di sé.

Ne viene quindi come conseguenza che l'uomo (l'operaio) si sente libero soltanto nelle sue funzioni animali, come il mangiare, il bere, il procreare, e tutt'al più ancora l'abitare una casa e il vestirsi; e invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane. Ciò che è animale diventa umano, e ciò che è umano diventa animale.

[ … ] Abbiamo considerato l'atto dell'estraniazione dell'attività pratica dell'uomo, cioè il lavoro, da due lati. 1) Il rapporto dell'operaio col prodotto del lavoro considerato come oggetto estraneo e oppressivo.

Questo rapporto è ad un tempo il rapporto col mondo esterno sensibile, con gli oggetti della natura, inteso come un mondo estraneo che gli sta di fronte in modo ostile. 2) Il rapporto del lavoro con l'atto della produzione entro il lavoro. Questo rapporto è il rapporto dell'operaio con la sua propria attività come attività estranea che non gli appartiene, l'attività come passività, la forza come impotenza, la procreazione come svirilimento, l'energia fisica e spirituale propria dell'operaio, la sua vita personale – e infatti che [altro] è la vita se non attività? – come un'attività rivolta contro di lui, da lui indipendente, e che non gli

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appartiene. L'estraniazione di sé, come, prima, l'estraniazione della cosa.

Ora dobbiamo ancora ricavare dalle due determinazioni sin qui descritte una terza determinazione del lavoro estraniato.

L'uomo è un essere appartenente ad una specie non solo perché della specie, tanto della propria quanto di quella delle altre cose, fa teoricamente e praticamente il proprio oggetto, ma anche (e si tratta soltanto di una diversa espressione per la stessa cosa) perché si comporta verso se stesso come verso la specie presente e vivente, perché si comporta verso se stesso come verso un essere universale e perciò libero. [ … ] Parimenti, il lavoro estraniato degradando a mezzo l'attività autonoma, l'attività libera, fa della vita dell'uomo come essere appartenente ad una specie un mezzo della sua esistenza fisica.

Per opera dell'alienazione, la coscienza, che l'uomo ha della sua specie, si trasforma quindi in ciò che la sua vita di essere che appartiene ad una specie diventa per lui un mezzo.

Il lavoro alienato fa dunque:

3) dell'essere dell'uomo, come essere appartenente ad una specie, tanto della natura quanto della sua specifica capacità spirituale, un essere a lui estraneo, un mezzo della sua esistenza individuale. Esso rende all'uomo estraneo il suo proprio corpo, tanto la natura esterna, quanto il suo essere spirituale, il suo essere umano.

4) Una conseguenza immediata del fatto che l'uomo è reso estraneo al prodotto del suo lavoro, della sua attività vitale, al suo essere generico, è l’estraniazione dell'uomo dall'uomo. Se l'uomo si contrappone a se stesso, l'altro uomo si contrappone a lui. Quello che vale del rapporto dell'uomo col suo lavoro, col prodotto del suo lavoro e con se stesso, vale del rapporto dell'uomo con l'altro uomo, ed altresì col lavoro e con l'oggetto del lavoro dell'altro uomo.

Manoscritti economico-filosofici, 1844

15.

Il comunismo come soppressione positiva della proprietà privata intesa come auto-estraneazione dell'uomo, e quindi come reale appropri azione dell'essenza dell'uomo mediante l'uomo per l'uomo; perciò come ritorno dell'uomo per sé, dell’uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino a oggi. Questo comunismo s'identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento con l'umanismo, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; è la vera risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo, tra l'uomo e l'uomo, la vera risoluzione della contesa tra l'esistenza e ]' essenza, tra l’oggettivazione e ]' autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e la specie. È la soluzione dell'enigma della storia, ed è consapevole di essere questa soluzione.

Manoscritti economico-filosofici, 1844.

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