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CAPITOLO 1

IL PARTICOLATO ATMOSFERICO

Si definisce inquinante atmosferico qualunque sostanza, di origine antropica o naturale, presente in concentrazioni tali da avere effetti negativi sull’uomo, le cose o l’ambiente. Gli inquinanti atmosferici possono essere solidi, liquidi o gassosi e comprendono il cosiddetto particolato.

Per particolato atmosferico o particolato sospeso, o pulviscolo atmosferico o polveri totali sospese (PTS), si intende l'insieme di quelle particelle, allo stato solido o liquide (diverse dalle particelle dell’acqua pura), in sospensione nell'atmosfera che conservano le proprie caratteristiche per tempi tali da permetterne la partecipazione a processi fisici e/o chimici come entità a sé stanti. (Caserini S. et al, 2006) Tali particelle, se prese singolarmente, sono invisibili a occhio nudo (hanno un diametro che va da pochi nanometri fino ai 500 µm), ma nel loro insieme formano una foschia che riduce la visibilità. In effetti, durante qualche giornata estiva il cielo al di sopra di molte grandi città appare bianco lattiginoso e non azzurro, a causa della diffusione della luce prodotta dai particolati in sospensione nell’aria.

Con il termine particolato si definisce genericamente un’ampia classe di sostanze ed è quindi sinonimo di eterogeneità chimica, si tratta infatti di una complessa miscela di sostanze organiche ed inorganiche, unica per complessità, tra i componenti dell’atmosfera. Tale composizione può essere differente a seconda dell’ambiente di provenienza (es. città o campagna), del periodo dell’anno (mesi caldi o mesi freddi), delle fonti (traffico, riscaldamento, emissioni naturali o agricole) e può mutare nel tempo.

Questo particolato, sospeso in aria, si raccoglie soprattutto nella bassa atmosfera vicino alla superficie terrestre, in quantità e qualità variabile da luogo a luogo, comunque anche nell’alta atmosfera sono presenti queste particelle grazie alla presenza di correnti d’aria ascendenti. Tali particelle, risultano importanti anche dal punto di vista meteorologico perché spesso agiscono da superfici dove può condensare il vapor acqueo, favorendo quindi la formazione di nebbie e nuvole; inoltre possono assorbire o riflettere la radiazione solare, diminuendo così la quantità di raggi solari che arrivano sulla superficie terrestre.

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1.1- IDENTIFICAZIONE E MISURA QUANTITATIVA

L'insieme delle polveri totali sospese (PTS) può essere scomposto a seconda della distribuzione delle dimensioni delle particelle; si possono infatti identificare in base al loro massimo diametro aerodinamico equivalente (dae). Tenuto conto che il particolato è in realtà costituito da particelle di diversa densità e forma, il dae permette di uniformare e caratterizzare univocamente il comportamento aerodinamico delle particelle, rapportando il diametro di queste col diametro di una particella sferica avente densità unitaria (1 g/cm3) e medesimo comportamento aerodinamico (in particolare velocità di sedimentazione e capacità di diffondere entro filtri di determinate dimensioni) nelle stesse condizioni di temperatura, pressione e umidità relativa. La modalità più diffusa per la classificazione dei particolati, consiste nella utilizzazione di sigle indicanti le dimensioni delle particelle costituenti la frazione considerata. In questo modo per identificare le polveri si utilizza un identificativo delle dimensioni: il Particulate Matter, abbreviato in PM, seguito dal diametro massimo delle particelle (www.nonsoloaria.com). Ad esempio si parla di PM10 per le particelle con diametro inferiore a 10 µm.

Il PTS, così come ogni suo sottoinsieme, è caratterizzato da una distribuzione statistica dei diametri medi, ovvero è composto da diversi insiemi di particelle di diametro aerodinamico variabile da un minimo rilevabile fino al massimo diametro considerato: ad esempio il PM10 è una frazione del PTS, il PM2,5 contribuisce al totale del PM10 e così via fino ai diametri inferiori (nanopolveri).

La distribuzione dei diametri aerodinamici medi è variabile, ma alcuni autori ritengono di poter valutare il rapporto fra PM2,5 e PM10 compreso fra il 50% e il 60%: questo significa che, ad esempio, di 10 µg di PM10 contenuti in un metro cubo di aria, mediamente 6 µg sono di PM2,5 ( www.wikipedia.org/wiki/particolato). Paradossalmente, un elevato valore del PM10 può corrispondere alla presenza di poche particelle del tipo PM2.5 e molte di dimensioni maggiori: una situazione più accettabile rispetto ad un PM10 di valore inferiore con poche particelle grossolane e molte di PM2.5.

Sono quindi importanti le osservazioni consentite dal microscopio elettronico a scansione: usare questa tecnica vuol dire vedere le particelle, contarle distinguendo le varie famiglie, osservarne l'evoluzione nel tempo in forma,

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dimensioni e numero, su scala di qualche decina di minuti, studiare la composizione chimica della frazione di maggiori dimensioni del PM10.

In un'inchiesta sul campo condotta dall'associazione di consumatori Altroconsumo nel gennaio del 2007 fra le 9.00 e le 17.00 in vari punti del centro di Milano, tali da simulare il comportamento medio di un cittadino, si è registrata una media di 45 µg/m³ per il PM10 con picchi di oltre 70 e di 41 µg/m³ per il PM2.5, che è risultato essere perciò il 90% del totale, più elevato dei dati medi di letteratura.

1.2

- COMPOSIZIONE E DIMENSIONI DEL PARTICOLATO

Il particolato nell’aria può essere costituito da diverse sostanze: sabbia, ceneri, polveri, fuliggine, sostanze silicee di varia natura, sostanze vegetali, composti metallici, fibre tessili naturali e artificiali, sali, elementi come il carbonio o il piombo, ecc.

In base alle dimensioni ed alla natura delle particelle si possono elencare le seguenti classi qualitative di particolato (http://www. wikipedia.org/wiki/Particolato):

• aerosol: particelle sospese di diametro minore di 1 µm (liquide o solide); sono

particelle di dimensioni colloidali, che causano, in particolare all'alba e al tramonto, l'effetto Tyndall, facendo virare il colore della luce solare verso l'arancione.

• esalazioni: particelle solide di diametro < 1 µm in genere prodotte da processi

industriali.

• foschie: particelle (generalmente liquide) di diametro < 2 µm. • fumi: particelle di diametro < 2 µm (solide).

• polveri: particelle di diametro incluso tra 0,25 e 500 µm (solide). • sabbie: particelle di diametro > 500 µm (solide).

E’ bene sottolineare il fatto che spesso il particolato è usato come sinonimo di aerosol ma non è corretto in quanto nell’aerosol si considera anche l’acqua mentre nel particolato no.

Il particolato, così come gli inquinanti in genere, può essere suddiviso in due categorie: primaria e secondaria. Quello primario è emesso in atmosfera direttamente nella sua forma finale da sorgenti identificabili ed è così molto concentrato nell’aria vicina al punto di emissione; il particolato secondario è invece

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prodotto in atmosfera in seguito a reazioni chimiche tra inquinanti primari (Weckwewrth G., 2001; Colvile R.N.et al, 2001).

La quantità totale di polveri sospese è in genere misurata in maniera quantitativa (massa / volume). In assenza di inquinanti atmosferici particolari, il pulviscolo contenuto nell'aria raggiunge concentrazioni diverse (mg/m3) nei diversi ambienti (www.wikipedia.org):

- Ca. 0.05-0.10 in campagna; - Ca. 0.10-0.20 in città;

- Ca. 0.20 – 0.40 in zone industriali.

Possono essere individuate due classi principali di particolato atmosferico, grossolano e fine, che subisce poi un ulteriore suddivisione sia per dimensioni che per composizione e comportamento (vedi Fig. 1.2.1):

1. PARTICOLATO GROSSOLANO– costituito da particelle con diametro

aerodinamico superiore ai 2.5µm, costituite principalmente da particelle provenienti dalla erosione/disgregazione della crosta terrestre e da polvere prodotta sulle strade e dalle industrie; tali sostanze sono in genere trattenute dalla parte superiore dell'apparato respiratorio (naso, laringe) non essendo in grado di superare la laringe, se non in piccola parte. Anche pollini e spore fanno parte di questa classe. In generale nel particolato grossolano si comprendono tutte le particelle primarie.

• PM10 – particolato formato da particelle inferiori a 10 µm, è una polvere

inalabile, ovvero in grado di penetrare nel tratto respiratorio superiore (naso e laringe). Le particelle fra circa 2,5 e 5 µm si depositano prima dei bronchioli. Queste particelle rimangono in atmosfera da poche ore a pochi giorni, contribuiscono poco al numero di particelle in sospensione, ma molto al peso totale delle particelle in sospensione. Sono significativamente meno dannose per la salute e l'ambiente.

2. PARTICOLATO FINE:

• PM2.5 – particelle con diametro inferiore a 2,5 µm, è definito anche come

particolato “inalabile” ed è una polvere toracica, cioè in grado di penetrare nel tratto respiratorio inferiore (trachea, polmoni), specie durante la respirazione dalla bocca. In genere costituiscono circa il 60% delle PM10

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e possono rimanere in sospensione nell’atmosfera per giorni o settimane; sono costituite principalmente da prodotti di combustione, aerosol, gas addensati o convertiti in particelle, vapori organici o di metalli ricondensati. Le particelle fini sono composte essenzialmente da solfati, acidi, nitrati, carbonio elementare, carbonio organico e metalli.

• PM1 – detto particolato ultrafine: diametro inferiore ad un 1 µm, è una

polvere respirabile, cioè in grado di penetrare profondamente nei polmoni fino agli alveoli. È da sottolineare, a proposito della classificazione dimensionale del particolato ultrafine, che altre fonti identificano tale componente col termine PM0,1 riferendosi a particelle di dimensioni comprese tra 0.1-0.01 µm.

Le particelle ultrafini hanno una concentrazione in atmosfera compresa tra 10 e 10000 pp cm-3 (pp = particelle). Le particelle con diametro aerodinamico inferiore a 2.5 µm rappresentano il 95% delle particelle totali.

Le polveri PM10, una volta emesse, possono rimanere in sospensione nell’aria per circa 12 ore; di queste la frazione di diametro pari a 1 micron (PM1), può rimanere in circolazione per circa 1 mese.

Fig. 1.2.1- Convenzioni per il campionamento delle diverse frazioni espresse come percentuali delle particelle sospese totali negli ambienti di lavoro e di vita (Marconi A, 2003).

Le tecniche gravimetriche (basate quindi sul peso delle polveri) non riescono a misurare con la precisione e sensibilità sufficiente, i quantitativi di particolato

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ancora più fine; sono state però messe a punto tecniche ottiche basate sull'uso del laser e in grado di "contare" il numero di particelle presenti per unità di superficie di caduta. Scendendo ancora di diametro, all'interno del particolato ultrafine ricadono le cosiddette nanopolveri, che sono polveri con un diametro compreso fra i 2 e 200 nm circa.

Si ritiene che le particelle grossolane siano introdotte nell’ambiente soprattutto a causa di fenomeni naturali, mentre quelle più fini derivino per lo più dalle attività antropiche. Va inoltre sottolineato che le particelle fini possono rimanere in sospensione nell’aria per giorni o settimane, mentre quelle più grossolane sedimentano piuttosto rapidamente.

La composizione del particolato (Fig. 1.2.2) dipende dalla tipologia dello stesso e quindi dall'area o dalla sorgente di emissione come si può vedere nella figura sottostante (www.ambientediritto.it).

Figura 1.2.2- Composizione del Materiale Particolato.

Nei tre grafici seguenti (Fig. 1.2.3; Fig.1.2.4; Fig.1.2.5) è stata evidenziata, in percentuale, la composizione del particolato di origine urbana, naturale e rurale.

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Figura 1.2.3- Materiale particolato di origine urbana.

Figura 1.2.4- Materiale particolato di origine naturale.

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A livello globale, le masse di particolato prodotte per cause naturali sono preponderanti rispetto a quelle prodotte dalle attività umane. Tuttavia le sorgenti antropiche sono in grado di immettere in atmosfera una maggior quantità di particelle contenenti sostanze tossicologicamente rilevanti per la salute dell’uomo e per l’ambiente.

Un’altra caratteristica tipica delle sorgenti antropiche, è la tendenza alla concentrazione spaziale, che rende alcune zone maggiormente a rischio rispetto ad altre; ne sono un tipico esempio i centri urbani e industriali.

Molti studi provano infatti che la concentrazione tipica di particelle antropogeniche presente in un’atmosfera urbana, può rappresentare un serio rischio per la salute dell’uomo (Raes F.et al., 2002).

In particolare, uno studio condotto a Budapest, città dell’Est europeo in piena espansione economica, tra il 1996 e il 2002, conferma quello che ho detto precedentemente: infatti in questo periodo si è avuto un grande aumento delle attività industriali e del numero di macchine in circolazione (da sottolineare un aumento maggiore dei veicoli Diesel), contemporaneamente a questo si è verificato un deterioramento della qualità dell’aria, con un considerevole aumento dei PM10, composto prevalentemente da carbonio organico (OC) e da carbonio elementare (EC) e da solfati e nitrati (Salma I. et al., 2006).

Alla luce di queste evidenze assumono rilevanza considerevole il monitoraggio, la caratterizzazione di tali zone e la quantificazione del contributo dato da ciascuna sorgente, al fine di individuare provvedimenti specifici di controllo e mitigazione o di politica ambientale per uno sviluppo sostenibile.

In particolare, la frazione più fine, misurata come PM2.5 è attualmente al centro dell’attenzione scientifica e della sanità pubblica. Studi recenti testimoniano un effetto delle particelle fini sulla mortalità complessiva con stime di rischio più elevate di quanto in precedenza osservato (Jarret M. et al., 2005). Nelle città europee sono stati osservati importanti effetti cardiovascolari attribuibili alle polveri fini; in particolare è stato osservato un aumento della morte improvvisa coronarica nella popolazione generale (Forastiere et al, 2005) e un aumento nella frequenza degli episodi di infarto in persone a elevata suscettibilità come i pazienti sopravvissuti a un primo infarto del miocardio (Von Klot et a.l, 2005).

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1.3- SORGENTI DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO

Si stima che ogni giorno vengano immesse nell’aria circa 10 milioni di tonnellate di particolato, di cui il 94% di origine naturale. La concentrazione nell’aria di queste particelle viene comunque limitata dalla naturale tendenza alla deposizione per effetto della gravità (deposizione secca) e dall’azione delle nubi o delle piogge (deposizione umida), per cui la concentrazione risultante nell’aria pulita è dell’ordine di 1-1,5 µg/mc. Oltre che dalla natura dei venti e dalle precipitazioni, la permanenza in atmosfera è fortemente condizionata dalle dimensioni delle particelle. Quelle che hanno un diametro superiore a 50 micrometri sono visibili nell’aria e sedimentano piuttosto velocemente, causando fenomeni di inquinamento su scala molto ristretta; inoltre le più piccole possono rimanere in sospensione per molto tempo: alla fine gli urti casuali e la reciproca attrazione le fanno collidere e riunire assieme, in questo modo raggiungono delle dimensioni tali da acquistare una velocità di caduta sufficiente a farle depositare al suolo. Ciò fa sì che il particolato emesso dai camini di altezza elevata possa essere trasportato dagli agenti atmosferici anche a grandi distanze, per cui parte dell’inquinamento di fondo riscontrato in una determinata città può provenire da un’industria situata a diversi km dal centro urbano.

Comunque nei centri urbani l’inquinamento da polveri fini (che sono le più pericolose per la salute) è essenzialmente dovuto al traffico veicolare ed al riscaldamento domestico.

Per questo motivo, quando la concentrazione di particolato nell’aria diventa troppo alta, vengono attuate delle limitazioni al traffico; in varie nazioni è imposto un limite alla temperatura del riscaldamento negli ambienti chiusi: 18°C in Germania o 20°C in Italia in certe grandi città (www.nonsoloaria.com).

A tal proposito riporto i risultati di uno studio del coordinamento dei medici del comprensorio di Civitavecchia per l’ambiente e la salute, che evidenzia come si determinano le concentrazioni del particolato atmosferico PM10:

- traffico stradale 28 %; - centrali elettriche 24 %; - industrie 14 %;

- agricoltura 13 %;

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Questi dati hanno confermato i valori medi europei, vale a dire che solo una percentuale inferiore al 30 % delle polveri rilevate nelle città italiane viene prodotta dal traffico stradale (Querol X. et al., 2004).

La produzione di energia (centrali termoelettriche), le industrie, i termovalorizzatori sono responsabili della emissione nell'aria di una quota di polveri fini, superiore a quella prodotta dal traffico. Le polveri fini e ultrafini contribuiscono all’inquinamento delle città dopo essere state trasportate dal vento per centinaia e centinaia di chilometri. Infatti si può constatare che spesso i livelli delle polveri fini rimangono alti anche dopo numerosi giorni di blocco totale del traffico e viceversa, a volte si riducono anche senza interventi di limitazione del traffico, in virtù magari di buone condizioni meteorologiche.

Va ancora sottolineato che non tutte le particelle sono ugualmente pericolose, particolarmente dannose per la salute sono le particelle di fuliggine, finissime e cancerogene provenienti da processi d'incenerimento incompleti, come ad es. la fuliggine da diesel. Uno studio fatto nel 2005 (www.bafu.admin.ch), in Svizzera, ha riportato i seguenti dati (Fig.1.3.1).

d

egli .Fig. 1.3.1 - Emissioni di fuliggine da diesel generate da motori a combustione nel 2005 (Fonte: Confederazione Svizzera (www.bafu.admin.ch))

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1.4- ORIGINE DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO

Gli elementi che concorrono alla formazione del particolato atmosferico sono numerosi e comprendono fattori sia naturali che antropici. I principali fattori naturali sono:

• polvere, terra, sale marino alzati dal vento (il cosiddetto "aerosol marino"); • incendi; • microrganismi; • pollini e spore; • erosione di rocce; • eruzioni vulcaniche; • polvere cosmica.

Fra i fattori antropici (meno del 10% del totale delle PTS, ma molto rilevante nei centri urbani) si include gran parte degli inquinanti atmosferici:

• emissioni della combustione dei motori a combustione interna (autocarri,

automobili, aeroplani);

• emissioni del riscaldamento domestico (in particolare gasolio, carbone e

legna);

• residui dell'usura del manto stradale, dei freni e delle gomme delle vetture; • emissioni di lavorazioni meccaniche, dei cementifici, dei cantieri;

• lavorazioni agricole;

• inceneritori e centrali elettriche; • fumo di tabacco.

I fattori più rilevanti nelle aree urbane sono senza dubbio il traffico stradale e il riscaldamento (eccetto se a gas), nonché eventuali impianti industriali (raffinerie, cementifici, centrali termoelettriche, inceneritori ecc.).

Il traffico stradale si distingue dalle altre sorgenti in quanto le emissioni sono rilasciate in prossimità dei recettori antropici, riducendo così l’opportunità di una possibile diluizione atmosferica, rendendo così maggiore il rischio per la salute umana (Viana M. et al., 2006).

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Uno studio condotto nel porto di Terragona, in Spagna, ha messo in evidenzia come anche le attività di un porto marittimo, quali la movimentazione della merce, in relazione alle condizioni meteo, possono essere un importante sorgente di PM ( Moreno N. et al., 2005).

In genere il particolato prodotto da processi di combustione, siano essi di origine naturale (ad esempio incendi) o antropica, (motori, riscaldamento, industrie, centrali elettriche, ecc.) caratterizzato dalla presenza preponderante di carbonio e sottoprodotti della combustione, è definito "particolato carbonioso", composto da una frazione di carbonio organico (OC) e una di carbonio elementare (EC); esso è considerato in linea di massima e con le dovute eccezioni, maggiormente nocivo del particolato "naturale", in quanto trasporta facilmente sostanze tossiche residue della combustione (composti organici volatili, diossine, ecc).

In genere, nel particolato di origine naturale prevalgono le particelle grossolane, mentre in quello antropico, quelle più fini.

Si può riassumere i concetti che ho definito precedentemente con queste due tabelle (Tab. 1.4.1; Tab. 1.4.2):

Tab. 1.4.1- Sorgenti di Particolato Fine.

Sorgenti antropiche Sorgenti naturali

Primario Secondario Primario Secondario

Uso di combustibili

fossili

Ossidazione di

NOx e di SO2 Spray marino Ossidazione di SO2 e H2S emessi da incendi e vulcani

Polveri volatili Emissione di NH3 da agricoltura e

allevamento

Incendi boschivi Emissione di NH3 da animali selvatici. Ossidazione di idrocarburi emessi dalla vegetazione (terpeni) Usura di pneumatici e freni Ossidazione di idrocarburi emessi dagli autoveicoli

Erosione di rocce Ossidazione di NOx prodotto da suolo e

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Sorgenti antropiche Sorgenti naturali

Primario Secondario Primario Secondario Polveri volatili

da agricoltura Erosione rocce

Spargimento di

sale Spray marino

Usura asfalto Frammenti di piante ed

insetti

Tab. 1.4.2- Sorgenti di Particolato Grossolano.

Quelle viste fino ad ora riguardano le sorgenti di particolato nell’aria esterna e queste ormai sono abbastanza ben identificate, la situazione è diversa per il particolato indoor.

In tale ambito le principali sorgenti sono tutti gli apparati di combustione e il fumo di tabacco, mentre sorgenti secondarie possono essere gli spray, i fumi degli alimenti cucinati, batteri e spore, pollini, secrezioni essiccate di animali domestici; inoltre ci sono anche particelle più grossolane che provengono dall’esterno attraverso l’uomo e la circolazione dell’aria passante dalle porte e finestre degli edifici (Kukadia V., Palmer J., 1998).

Il rapporto tra le concentrazioni indoor/outdoor è circa 1 per il particolato fine e per quello respirabile in assenza di fumatori; nel caso ci sia una maggiore presenza di particolato grossolano, questo rapporto risulta inferiore per la presenza degli edifici che fanno da effetto barriera. In presenza di fumatori (circa il 33-66% delle case europee ha almeno un fumatore) questo rapporto può arrivare a 2-3. La composizione del particolato indoor è differente rispetto a quella outdoor e fortemente condizionata dalla presenza di fumo di tabacco, che, oltre a produrre grandi quantità di particolato fine che rimane in sospensione per molte ore, produce anche molte sostanze nocive che si depositano sulle polveri stesse, arrecando così un danno alla salute quando vengono inalate.

In conseguenza a questi studi risulta molto efficace la contromisura adottata in Italia con la Legge n. 3 del 16 gennaio 2003, la cosiddetta Legge Sirchia che impedisce il fumo da sigaretta nei locali pubblici ed in quelli aperti al pubblico, segno di un aumento dell’attenzione da parte dei decisori politici, sulla qualità dell’aria negli ambienti indoor.

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1.4.1- IMPORTANZA DELLE SORGENTI ANTROPICHE

La questione è molto dibattuta. In generale, negli impianti di combustione non dotati di tecnologie specifiche, pare accertato che il diametro delle polveri sia tanto minore quanto maggiore è la temperatura di esercizio. In qualunque impianto di combustione (dalle caldaie agli inceneritori fino ai motori delle automobili e dei camion) un innalzamento della temperatura (al di sotto comunque di un limite massimo) migliora l'efficienza della combustione e dovrebbe perciò diminuire la quantità complessiva di materiali parzialmente incombusti (dunque di particolato).Lo SCENIHR (Scientific Committee on Emerging and Newly Identified Health Risks) comitato scientifico UE che si occupa dei nuovi/futuri rischi per la salute, considera i motori a gasolio e le auto con catalizzatori freddi o danneggiati, i massimi responsabili della produzione di nanoparticelle. Lo SCHER (Scientific Committee on Health and Environmental Risks, Comitato UE per i rischi per la salute e ambientali) afferma che la maggiore emissione di polveri fini (questa la dicitura esatta usata, intendendo PM2,5) è data dagli scarichi dei veicoli, dalla combustione di carbone o legna, processi industriali ed altre combustioni di biomasse (www.wikipedia.org/wiki/particolato).

Comunque in prossimità di impianti industriali come cementifici, altiforni, centrali a carbone, inceneritori e simili, è possibile (a seconda delle tecnologie e delle normative in atto) rilevare o ipotizzare un maggiore contributo di tali sorgenti rispetto al traffico. Secondo uno studio del CSST (2006) su incarico dell'Automobile Club Italia, sul totale delle emissioni di PM10 in Italia, il 29% deriverebbe dagli autoveicoli a gasolio, in particolare l'8% dalle automobili in generale e l'1-2% dalle auto Euro3 ed Euro4.Bisogna considerare che, a partire dal 2009, la totalità dei carburanti da autotrazione in vendita in Europa sarà senza zolfo (ossia con quantità di zolfo entro le 10 ppm, essendo esso un elemento rilevante nella formazione del articolato; ciò dovrebbe contribuire alla riduzione di emissioni dello stesso, oltre agli ossidi di zolfo, la cui riduzione è lo scopo principale. Inoltre, in Europa si stanno diffondendo (sono necessari per i veicoli dotati di filtro attivo antiparticolato) oli lubrificanti per motore a basso contenuto di ceneri (specifiche ACEA C3) che contribuiscono a contenere ulteriormente la formazione di particolato.

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Si possono segnalare alcune perplessità emerse dai ricercatori sulla possibile formazione di polveri fini, ultrafini e nanopolveri prodotte dai filtri antiparticolato, soprattutto nelle fasi di rigenerazione periodica, rendendo quindi poco efficaci tali strumenti come mezzo per la riduzione delle polveri atmosferiche.

In ogni caso, la determinazione dei contributi percentuali delle varie fonti, è un'operazione di estrema complessità e occasione di continue polemiche fra i diversi settori produttivi, ulteriormente accentuate dai fortissimi interessi economici in gioco. La concentrazione di fondo di PM è solitamente definita come la distribuzione delle concentrazioni di PM che si osserverebbe in assenza di emissioni antropiche di PM (particelle primarie) ed in assenza di emissioni antropiche che portano alla formazione di PM (particelle secondarie), quali VOC (volatile organic carbons), NOx ed SO2. Come termine di paragone, si pensi che l'intervallo atteso per le concentrazioni naturali di fondo su base annuale, varia da 4µg/m3 a 11µg/m3 per il PM10 e da 1µg/m3 a 5µg/m3per il PM2,5 nei luoghi remoti del Nord America. Soffermandoci sulla nostra Nazione, bisogna dire che nel 2000 l’Italia ha contribuito fino all’11% al totale delle emissioni primarie di PM10 nella UE, e fino al 12% alle emissioni primarie di PM2,5 (www.cittamobile.it).

In ragione del flusso trasfrontaliero del PM, una parte considerevole delle concentrazioni di ogni stato, ha origine da emissioni provenienti da territori di altre nazioni. Per l’Italia questo è vero in misura minore, in quanto i mari Tirreno, Adriatico e le Alpi creano una barriera consistente al superamento dei confini, sia in ingresso che in uscita, così che il 78% delle emissioni di PM2,5 in Italia è di origine nazionale. Il più grande contributo dall’estero viene dalla Francia (7%); anche le emissioni italiane hanno un impatto sui livelli degli altri paesi, ma in ragione della geografia della nostra nazione, questi impatti sono minori rispetto a molti altri Paesi europei continentali. Invece, poiché il PM2,5 può essere trasportato per centinaia e migliaia di chilometri, ognuna delle regioni italiane influisce sulla qualità dell’aria di altre città e regioni del Paese.

Riporto ora due cartine (Fig. 1.4.1.1; Fig. 1.4.1.2) che evidenziano il possibile scenario futuro europeo riguardo al contributo antropogenico al PM2.5 da fonti note (esclusi aerosol secondari organici), utilizzando per l’elaborazione l’EMEP (modello Euleian MSC-W & IIASA). I dati sono espressi come concentrazioni medie annue (µg/m3) e sono stati utilizzati i dati meteo relativi agli anni 1997, 1999, 2000 e 2003.

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Fig. 1.3.1.1- Scenario Anno 2000 (Fonte: MSC-W & CIAM)

Fig. 1.3.1.2- Scenario Anno 2020 (Fonte: MSC-W & CIAM)

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Una volta che le particelle hanno raggiunto l’atmosfera, vanno incontro ad un’evoluzione ad opera di diversi meccanismi, quali condensazione, evaporazione, coagulazione ed attivazione; inoltre, le specie chimiche che compongono il particolato possono essere coinvolte in vari tipi di reazioni chimiche. Alla fine, le particelle potranno essere definitivamente rimosse per deposizione secca o umida.

Intuitivamente si potrebbe pensare che tutte le particelle dovrebbero finire per sedimentare velocemente, depositandosi alla superficie del suolo per effetto della gravità, ma ciò non è vero per queste particelle più piccole. Secondo la legge di Stoke la velocità, espressa come distanza percorsa per secondo, a cui le particelle sedimentano, aumenta con il quadrato del loro diametro. In questo modo le particelle più piccole cadono così lentamente, che restano in sospensione nell’aria pressoché indefinitamente (a meno che non aderiscano a qualche oggetto più grande). Inoltre va detto che le particelle più piccole si possono aggregare formando particelle più grandi, che spesso possono ancora essere classificate nella categoria delle particelle più piccole.

1.5.1- PROCESSI CHIMICI-FISICI

Le particelle presenti in atmosfera, possono sia essere immesse in atmosfera già come particelle solide, sia formarsi in atmosfera a partire da fasi liquide o gassose, attraverso una serie di trasformazioni (www.ambientediritto.it):

• La nucleazione è il processo attraverso il quale, tramite l’agglomerazione di molecole di vapore supersaturate, si formano nuove particelle in atmosfera. Si parla di nucleazione omomolecolare quando il processo interessa una singola specie e di nucleazione eteromolecolare quando il processo interessa più specie chimiche. Si parla di nucleazione omogenea quando il processo avviene in assenza di superfici o materiale esterno estraneo, viceversa si parla di nucleazione eterogenea .

• I processi di crescita del particolato atmosferico (condensazione e dissoluzione) sono caratterizzati da una prima fase di insaturazione dell’equilibrio tra la fase gassosa e quella di aerosol. In questa fase, ipotizzando il processo di

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condensazione, si ha la diffusione delle molecole gassose verso la superficie della particella: nella seconda fase, la molecola viene catturata dalla superficie della particella, che accresce così il suo volume. Se la superficie della particella è rivestita da una pellicola acquosa e se il gas si discioglie in acqua, si parla di dissoluzione, se invece la superficie della particella è secca, si parla di condensazione che è un processo in cui composti chimici semivolatili passano dallo stato gassoso ad uno (liquido o solido) a maggiore densità; ciò avviene quando l’equilibrio termodinamico della specie chimica tra fase gassosa e fase articolata, si sposta verso quest’ultima, a causa della variazione delle condizioni esterne.

• Le particelle sospese in atmosfera possono venire a contatto tra loro a causa di moto Browniano, turbolenza, velocità di deposizione, etc; quando le particelle che vengono a contatto aderiscono tra loro si parla di coagulazione. La coagulazione si verifica per collisione tra due particelle che si muovono per agitazione termica, con formazione di particelle di maggiori dimensioni; in seguito a ciò si ha globalmente una perdita del numero di particelle, anche se la concentrazione in massa dell’aerosol atmosferico rimane invariata. Si tratta quindi di un processo che riassume i processi di collisione ed adesione; mediante coagulazione le particelle accrescono la loro dimensione e diminuiscono di numero.

L’attivazione delle particelle di aerosol a formare goccioline d’acqua (di nebbia o di nubi) si ha quando, in condizioni di sovrassaturazione del vapor acqueo (RH > 100%), le particelle crescono rapidamente per condensazione su di esse del vapor acqueo. Oltre al vapor acqueo, alcuni gas solubili (es. HNO3) possono condensare durante il processo di attivazione, aumentando il contenuto di soluti in fase acquosa e diminuendo il valore critico di sovrassaturazione.

• La deposizione degli inquinanti presenti in atmosfera si distingue in deposizione umida, mediata cioè da particelle di pioggia, di nebbia o di nuvole al livello del suolo, e in deposizione secca, che avviene senza il tramite di tali condensazioni acquose. L’importanza relativa di uno dei due tipi di deposizione, dipende da diversi fattori, tra cui la fase (vapore o aerosol) dell’inquinante in atmosfera, la sua solubilità in acqua, la quantità di precipitazioni e il tipo di suolo o di vegetazione.

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È importante notare che sebbene un composto (gassoso o particolato) sia raccolto da una gocciolina d’acqua, non sarà tuttavia rimosso dall’aria se la gocciolina evapora, piuttosto che precipitare al suolo. La deposizione secca è il meccanismo predominante di rimozione delle particelle che si trovano vicino al suolo, mentre ad altezze superiori a 100 m, prevale l’azione delle precipitazioni.

Le particelle più grosse (dae > 1 µm) subiscono più frequentemente sedimentazione, mentre le particelle con dae < 1 µm sono rimosse più facilmente per diffusione verso la superficie terrestre, attraverso un processo di deposizione umida, in seguito ad attivazione nelle nuvole e successiva precipitazione.

• Un composto può essere eliminato dall’atmosfera mediante i processi di deposizione appena descritti, oppure in seguito a reazioni chimiche. In particolare, tra i numerosi fenomeni fisico-chimici, un ruolo predominante è rivestito dai processi fotochimici, che in determinate circostanze possono portare alla formazione del cosiddetto smog fotochimico, caratterizzato dall’elevata produzione di inquinanti secondari come O3, HNO3, composti organici derivati (es. PAN), composti in fase particolata (es. nitrati, solfati).

Le reazioni fotochimiche innescate dalla luce danno origine ad una molteplicità di sostanze organiche; molte di queste vengono successivamente assorbite sulla superficie dell’aerosol, influenzando quindi le caratteristiche chimico-fisiche del particolato stesso. La conoscenza della composizione chimica del particolato atmosferico, è importante al fine di identificare le diverse fonti che hanno contribuito alla sua formazione e di comprendere i suoi possibili effetti sull’ambiente e sulla salute umana.

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Le particelle di aerosol atmosferico contengono solfati, nitrati, ammonio, materiali organici, specie crostali, sale marino, ioni idrogeno e acqua.

Fig. 1.5.2.1- Esempio di composizione chimica media del PM10 e del PM2,5 a Milano (Liverta, 2002 (www.vglobale.it/Aria/Particolato.php)).

Di queste specie, il solfato, l’ammonio, il carbonio organico e alcuni metalli di transizione predominano nelle particelle fini (vedi fig. 1.5.2.1), che sono legate principalmente a fonti secondarie (reazioni chimiche che convertono i vapori e i gas atmosferici in fase condensata liquida e/o solida). Tuttavia, nella frazione fine esistono anche composti di origine primaria, come il carbonio elementare, alcuni metalli e gli IPA. L’emissione primaria da combustione ad esempio, crea particelle che in origine sono submicrometriche, al contrario, i materiali crostali (Si, Ca, Mg, Al, Fe,...) e le particelle organiche biogeniche (polline, spore, frammenti di piante) fanno parte solitamente della frazione grossolana, che deriva da fonti primarie (Canepari S., Cardarelli E., 2006).

Gli ioni inorganici solubili in acqua costituiscono uno dei maggiori componenti degli aerosol atmosferici. Sono stati presi in considerazione alcuni di questi: anioni (fluoruro, cloruro, nitrato, fosfato e solfato) e cationi (sodio, ammonio, potassio, magnesio e calcio).

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In particolare Cl–, NO3–, Na+, Mg2+ e Ca2+ predominano nel particolato grossolano, invece, SO42– e NH4+ si trovano preferibilmente nel particolato fine (Seinfeld JH., Pandis SN., 2005).

Ione solfato SO42–

Il principale composto dello zolfo presente in atmosfere contaminate, è il biossido di zolfo SO2. Questo gas è emesso per la maggior parte (70% circa) dalle sorgenti antropiche, principalmente derivanti dalla combustione di carbone e petrolio contenti zolfo e dalle industrie, meno del 10% deriva dalle eruzioni vulcaniche Seinfeld JH and Pandis SN., 2005).

Durante la combustione quasi tutto lo zolfo viene trasformato in SO2. L’SO2 deriva in misura minore anche da sorgenti naturali, come le emissioni vulcaniche e l’ossidazione atmosferica delle specie dello zolfo ridotte, quali solfuro d’idrogeno (legato ad emissioni biologiche e vulcaniche) e dimetilsolfuro (DMS), che rappresenta il maggiore contributo naturale al flusso globale di zolfo atmosferico. Il dimetilsolfuro è prodotto nelle acque oceaniche da organismi marini bentonici e planctonici e la sua ossidazione è la fonte principale di SO2 per l’atmosfera marina. Una volta che l’SO2 è stato emesso o si è formato nell’atmosfera, può essere convertito a solfato da reazioni in fase omogenea (gassosa) e da reazioni in fase eterogenea (acquosa o di aerosol).

In fase gassosa omogenea l’SO2 può ossidare ad acido solforico H2SO4; la via più importante è rappresentata dalla reazione con il radicale OH· (Kouimtzis T et al., 1995):

SO2 + OH·+ M → HOSO2 + M

HOSO2 + O2 → HO2 + SO3

(M è una specie chimica neutra che agisce come catalizzatore, permettendo alla reazione di avvenire senza essere essa stessa consumata nel processo).

L’acido solforico che si forma passa rapidamente in fase liquida come SO42–, in quanto H2SO4 è altamente igroscopico e assorbe quantità significative d’acqua

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anche a bassi valori di umidità relativa, formando particelle costituite da soluzioni acquose di acido solforico.

In presenza di inquinanti basici a contatto con le goccioline, come ossido di calcio o ammoniaca, l’acido solforico reagisce a formare i corrispondenti sali.

In condizioni di bassa umidità, l’acqua viene persa dalle goccioline e si forma un aerosol solido.

L’ossidazione di SO2 in fase eterogenea può avvenire per reazione su particelle solide costituite da composti organici del carbonio, derivate da processi di combustione incompleta (fuliggine), soprattutto in atmosfere inquinate, dove tali particelle presentano elevati valori di concentrazione. Si stima che più della metà del solfato atmosferico sia prodotto con reazioni in fase acquosa, mentre la restante parte sembra prodotta dall’ossidazione in fase gassosa di SO2 ad opera di OH.

A conferma dell’importanza delle reazioni in fase acquosa, è stato riscontrato che significative quantità di solfato, vengono prodotte in nubi e nebbie in ambienti differenti. Durante la formazione della nube, gli aerosol che fungono da nuclei di condensazione, vengono attivati e crescono liberamente per diffusione del vapore su di essi. I gas solubili, come l’acido nitrico, l’ammoniaca e il diossido di zolfo, si disciolgono nelle goccioline.

L’acqua della nube serve dunque come sito su cui può avvenire una serie di reazioni in fase acquosa, la più importante delle quali è proprio la trasformazione di SO2 disciolto, S(IV), a solfato, S(VI). Il solfato formato non è volatile e rimane così in fase particolata. Durante l’eventuale evaporazione della nube, alcune specie che si erano dissolte nell’acqua della nube evaporano, mentre altre, come i solfati, rimangono in fase di aerosol. L’ammoniaca spesso accompagna il solfato formato in qualità di catione neutralizzante. Specie quali, il nitrato o il cloruro, eventualmente presenti nella particella originale, possono essere rimpiazzate dal solfato prodotto, che le spinge a tornare in fase gassosa. Il risultato di questi processi in fase acquosa, è solitamente una generale crescita della massa e della dimensione del particolato.

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Ione nitrato NO3

Il meccanismo principale per la formazione di nitrato nei particolati, è la condensazione dell’acido nitrico. Questa è la principale reazione di formazione di acido nitrico in fase gassosa ed è importante soprattutto durante il giorno, quando si hanno le massime concentrazioni del radicale OH·. La reazione di OH· con NO2 è circa 10 volte più veloce di quella con SO2 (Seinfeld JN and Pandis SN, 2005). Anche altre reazioni portano alla formazione di HNO3:

NO3 + RH·→ HNO3 + R

N2O5 + H2O → 2 HNO3

Le reazioni con il radicale nitrato e l’anidride nitrica possono avvenire sia in fase gassosa, sia in fase acquosa, grazie all’elevata solubilità dei due composti. La reazione che coinvolge il radicale nitrato però, si realizza solo di notte, poiché durante il giorno NO3· fotolizza rapidamente. Normalmente, le reazioni più importanti per la produzione di nitrato sono quella tra NO2 e OH· in fase gassosa di giorno e quella di NO3· in fase eterogenea di notte. L’NO3 è convertito a nitrato anche dallo ione cloruro:

NO3·+ Cl– → NO3–+ Cl·(aq)

producendo il radicale cloro. In ambienti con basse concentrazioni di cloruri, NO3 reagisce con HSO3–:

NO3(aq) + HSO3– → NO3 + H+ + SO3

formando il radicale solfito SO3– e il nitrato. L’acido nitrico (HNO3) formato dall’ossidazione di NO2 in fase gassosa, è la principale sorgente di nitrato nelle precipitazioni, infatti questo acido è molto solubile in acqua e tende quindi a dissolversi nella fase acquosa dell’atmosfera:

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In seguito al processo di dissoluzione, HNO3 dissocia rapidamente a ione nitrato, NO3–:

HNO3(aq) ←→ NO3– + H+

Dato l’alto valore della costante di dissociazione dell’acido nitrico, la concentrazione di NO3– è maggiore di quella di HNO3(aq) in tutte le nubi atmosferiche e si può quindi assumere che l’acido nitrico esiste nelle nubi esclusivamente come nitrato.

Un ulteriore meccanismo per la formazione di acido nitrico in fase eterogenea, è dato dalla reazione tra NO2(g) e H2O, catalizzata da superfici di diversa natura (la superficie delle particelle sospese o superfici di edifici etc.), durante la quale si forma anche acido nitroso:

2NO2 + H2O superficie → HNO2 + HNO3

Mentre l’acido nitrico così prodotto rimane in soluzione, l’acido nitroso (HNO2) sarà tendenzialmente rilasciato in fase gassosa, in funzione delle caratteristiche di adsorbimento della superficie e delle condizioni termodinamiche. I nitrati contribuiscono di più alla massa totale di particolato durante i mesi più freddi, rispetto a quelli caldi, quando i tassi di ossidazione di SO2 sono ridotti in risposta alle minori concentrazioni di ossidanti come OH·.

D’estate si verifica anche più facilmente l’evaporazione del nitrato dal particolato sotto forma di NH4NO3.

Lo ione ammonio NH4+

L’ammoniaca (NH3) ha fonti sia naturali sia antropiche: oltre che nei processi di fissazione naturale ad opera dei microrganismi del suolo e di organismi marini, l’NH3 viene prodotta industrialmente ed utilizzata come fertilizzante in agricoltura, viene emessa dagli allevamenti di bestiame e, su scala locale urbana, con i gas di scarico delle automobili catalizzate (Delwiche CC et al., 1970). Globalmente, gli animali domestici sono la più importante sorgente di NH3 atmosferica,

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comprendendo circa il 40% delle emissioni, mentre i fertilizzanti sintetici e le coltivazioni agricole insieme contribuiscono per circa il 23% delle emissioni totali (Bouwman AF et al., 1997).

L’accumulo di azoto reattivo, compresi NH3 e NH4+, nelle riserve ambientali può avere effetti sia benefici, sia dannosi sulla biosfera, infatti, in sistemi naturali nei quali l’azoto è il nutriente limitante, l’azoto reattivo derivante dall’atmosfera può avere effetti positivi sulla produttività, favorendo l’aumento della fotosintesi e l’accumulo di azoto inorganico nel suolo. Tuttavia, quando l’ingresso di azoto eccede le richieste del sistema, possono verificarsi stress ambientali, quali l’acidificazione del suolo, il declino delle foreste e l’eutrofizzazione delle superfici d’acqua.

L’ammoniaca ha un ruolo importante nella chimica della troposfera, in quanto è il composto gassoso basico più abbondante e rappresenta il maggior agente neutralizzante nei confronti dei gas acidi, inoltre presenta un’elevata solubilità in acqua e reagisce con la fase particolata: in tutte le tre fasi, l’ammoniaca risulta quindi il principale agente atmosferico neutralizzante.

Poiché l’NH3 è emessa alla superficie e poi reagisce (secondo le reazioni descritte in seguito), la sua concentrazione diminuisce con la quota; l’NH3 reagisce molto lentamente con il radicale OH:

NH3 + OH·→ H2O + NH2

Si considera quindi trascurabile la rimozione di NH3 per ossidazione in fase gassosa con OH (Kouimtzis T et al., 1995).

L’ammoniaca reagisce piuttosto con la fase liquida e come base con i gas acidi e le particelle acide di aerosol. L’NH3 presenta un’elevata solubilità in acqua e quando dissolve in soluzione acquosa, va incontro ad una reazione acido-base. Per pH < 8 l’ammoniaca è presente nella fase liquida atmosferica, completamente come ione ammonio. L’ammoniaca gassosa può subire deposizione umida e secca, oppure può reagire con gli acidi solforico (H2SO4), nitrico (HNO3) e cloridrico (HCl) gassosi per formare solfato di ammonio (NH4)2SO4, bisolfato d’ammonio (NH4HSO4), nitrato d’ammonio (NH4NO3) e cloruro d’ammonio (NH4Cl) in forma di aerosol, contribuendo così alla formazione di particolato inorganico. Le reazioni possibili tra ammoniaca e acido solforico, sono le seguenti:

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NH3(g) + H2SO4(g) → (NH4)HSO4(s)

3NH3(g) + 2H2SO4(g) → (NH44)3H(SO4)2(s)

In atmosfere molto acide (cioè con rapporto molare NH3/H2SO4 < 0,5) l’acido solforico esiste nella fase aerosol principalmente come H2SO4, poi, all’aumentare dell’NH3, l’H2SO4 viene convertito ad HSO4– (permettendo la formazione dei relativi sali), e infine, se c’è abbondanza di NH3, a SO42– (e relativi sali).

Per atmosfere acide (con rapporto molare NH3/H2SO4 tra 0,5 e 1,5) le particelle esistono principalmente come bisolfato, se c’è sufficiente ammoniaca da neutralizzare l’acido solforico disponibile, la composizione principale della fase aerosol è (NH4)2SO4 (o una soluzione di NH4+ e SO42–), per atmosfere acide tutta l’ammoniaca disponibile è presa dalla fase aerosol e solo per rapporti molari NH3/H2SO4 di circa due, l’ammoniaca può esistere anche in fase gassosa.

Anche altre vie possono portare l’ammoniaca in fase articolata, tra queste vi sono le reazioni dell’ammoniaca con HNO3 e HCl, che formano molecole condensabili (NH4NO3 e NH4Cl); queste possono a loro volta dissociare stabilendo un equilibrio:

NH3(g) + HCl(g) ←→ NH4Cl(s)

NH3(g) + HNO3(g) ←→ NH4NO3

Il nitrato d’ammonio si forma in aree caratterizzate da alte concentrazioni di ammoniaca e acido nitrico e basse concentrazioni di solfato. La reazione di formazione del nitrato d’ammonio è una via di condensazione dell’acido nitrico, in quanto NH4NO3, in funzione dell’umidità relativa, può esistere in forma solida o in soluzione acquosa di NH4+ e NO3, anche la temperatura agisce a questo livello, poiché al suo diminuire, si sposta l’equilibrio del sistema a favore di NH4NO3 in fase aerosol. Le concentrazioni che si raggiungono all’equilibrio dipendono sia dalla temperatura, che dall’umidità relativa: il nitrato d’ammonio ha un’elevata volatilità e tenderà facilmente a dissociare in acido nitrico ed ammoniaca ad alte temperature e bassa umidità relativa.

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Gli ioni cloruro Cle sodio Na+

Na+e Cl– nell’aerosol sono presenti in concentrazioni considerevoli in regioni vicine al mare. Il sodio e il cloro reagiscono con alcuni componenti dell’aerosol formando diversi prodotti solidi, inclusi il cloruro di ammonio, il nitrato di sodio, il solfato di sodio e il bisolfato di sodio, mentre HCl(g) è in genere rilasciato in fase gassosa. La presenza di NaCl nell’aerosol urbano, può dare luogo a una serie di effetti interessanti, come la reazione di NaCl con HNO3:

NaCl(s) + HNO3(g) ←→ NaNO3(s) + HCl(g)

Come conseguenza di questa reazione, il nitrato è trasferito in fase aerosol e aggiunto alla particella di sale marino, già di per sé piuttosto grande, nello stesso tempo, l’acido cloridrico è rilasciato in aria, per cui le particelle di aerosol sembrano in deficit di cloruri; a questo deficit possono contribuire anche altre reazioni (Seinfeld JH e Pandis SN et al., 2005):

2NaCl(s) + H2SO4(g) ←→ Na2SO4(s) + 2HCl(g)

NaCl(s) + H2SO4(g) ←→ NaHSO4(s) + HCl(g)

Gli altri cationi

I cationi basici come il calcio Ca2+, il potassio K+ e il magnesio Mg2+ sono importanti nutrienti per le piante; gli anioni ad essi associati (principalmente ossidi, idrossidi, carbonati o silicati) possono ridurre l’acidità dell’aria e delle precipitazioni e aumentano la saturazione basica del suolo; quindi, i cationi basici sono importanti nel determinare il carico critico di deposizione acida. I cationi basici derivano principalmente dall’erosione meccanica e dalla mobilizzazione operata dal vento di particelle di suolo, dalle eruzioni vulcaniche, dagli incendi forestali, dalle mobilizzazioni biologiche o dalla combustione dei carburanti, della legna o della torba e da processi industriali.

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Le maggiori sorgenti antropiche primarie di polveri minerali sono la produzione di energia, le industrie di cemento, di ferro e altre; di queste, l’industria del cemento è la maggiore sorgente di calcio (Semb A. et al., 1995).

La combustione di biomassa è una delle principali sorgenti di magnesio e potassio, che in tal caso si ritrovano soprattutto nella frazione fine del particolato. Il magnesio però, deriva anche dal sale marino, così come il sodio e poiché il particolato di origine marina appartiene alla frazione grossolana, quando Na+e Mg2+ derivano da questa sorgente, vengono principalmente riscontrati associati a tale frazione. Anche Cl– può derivare dal sale marino, oppure è prodotto dall’HCl emesso dalla combustione di carbone, che reagisce con l’ammoniaca o le particelle fini di suolo, dando appunto Cl– (Wang e Shooter, 2002).

Esistono grandi variazioni regionali nell’intensità delle emissioni dei cationi basici; per quanto concerne il nostro continente, le emissioni sono particolarmente alte nell’Europa dell’est, a causa della combustione del legno e di tecniche di depurazione dei fumi poco efficienti (Torseth et al., 1999).

Di conseguenza, qui le precipitazioni possono essere alcaline, nonostante le alte concentrazioni di diossido di zolfo e solfati in aria. Sono stati sviluppati diversi modelli per la previsione della formazione degli aerosol inorganici, le specie prese generalmente in considerazione sono:

- NH3, HCl, HNO3, H2O (per la fase gassosa);

- H2O, H2SO4, NH4+, SO4--, NO3-, H+, Na+, Cl-, HSO4-(per la fase liquida);

- Na2SO4, NaHSO4, NaCl, NaNO3, NH4Cl, NH4NO3, (NH4)2SO, NH4HSO4, (per la

fase solida).

Tutti i modelli individuano un sistema di cui viene calcolato l’equilibrio, minimizzando l’energia libera di Gibbs. Questa viene calcolata in funzione dei potenziali chimici e dell’attività delle singole specie. Il calcolo delle attività; delle specie disciolte in acqua, richiede la determinazione dei coefficienti di attività. I metodi con cui tale determinazione viene effettuata sono un altro elemento di distinzione tra i diversi modelli. Gli aerosol organici secondari (SOA), invece, si formano a seguito delle reazioni che coinvolgono gas organici reattivi (ROG e VOC) presenti in atmosfera e specie ossidanti. Tra le principali specie ossidanti

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attive in ambiente urbano, vi è O3 (attivo giorno e notte), OH (attivo solo di giorno),

NO3 (attivo solo di notte poiché di giorno si fotolizza in NO2 in tempi molto brevi).

In particolare il PM 2,5 è una miscela complessa di migliaia di composti chimici ( Lonati G. et al., 2005) e, alcuni di questi, sono di estremo interesse a causa della loro tossicità. L'attenzione è rivolta agli idrocarburi aromatici policiclici (PHA) che svolgono un ruolo nello sviluppo del cancro. Alcuni nomi: Fluoranthene, Pyrene, Chrysene, Benz[a]anthracene, Benzo[b]fluoranthene, Benzo[k]fluoranthene, Benzo[a]pyrene, Dibenz[a,h]anthracene.

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CAPITOLO 2

GLI EFFETTI DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO

2.1- EFFETTI SULL’AMBIENTE

Il materiale particolato ha effetti negativi sull’ambiente, che possono essere suddivisi in 4 categorie:

a. effetti diretti ed indiretti sulla vegetazione e sugli ecosistemi naturali; b. effetti sulla visibilità;

c. effetti sui manufatti; d. effetti sul clima.

2.1.1- EFFETTI SULLA VEGETAZIONE E SUGLI ECOSISTEMI

Il particolato atmosferico induce risposte sia chimiche che fisiche a livello della singola pianta, ma le piante sono una parte degli ecosistemi, ovvero di complesse comunità strutturate che comprendono popolazioni di piante, animali, insetti, microrganismi che interagiscono l’una con l’altra e con l’ambiente abiotico nel quale esistono (Odum E.C., 1989). Se un ecosistema è alterato, risponde attraverso gli organismi che lo costituiscono, fino al raggiungimento di uno stato di equilibrio.

In generale, la risposta delle piante, individuale o di popolazione, ad una perturbazione ambientale (come il particolato) dipende dalla costituzione genetica (genotipo), dal ciclo vitale e dal microhabitat.

Il particolato ed i suoi precursori sono rimossi dall’atmosfera da processi di deposizione sia umida che secca, abbassando così le concentrazioni di questo inquinante nell’aria, ma al tempo stesso favoriscono il trasferimento di particolato ad un altro contesto ambientale, l’ecosistema, dove puo’ alterare la sua struttura, funzione, biodiversità ecc..

L’esposizione della vegetazione e più in generale degli ecosistemi ad un dato livello di articolato, può condurre diverse reazioni in funzione della composizione del articolato, infatti il PM non può essere considerato un singolo inquinante, ma

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una miscela eterogenea di particelle diverse per dimensione, origine e composizione chimica.

Sia il particolato fine che quello più grossolano, possono danneggiare le piante; solfati, nitrati, sali d’ammonio e ioni idrogeno sono presenti in soluzione nelle gocce di nebbia, ma anche su particelle solide ed è per questo che la loro influenza è variabile.

Un’altra questione importante riguarda i metalli pesanti, spesso presenti sulle particelle disperse in aria ambiente.

La maggior parte degli effetti diretti, oltre a quelli associati con cambiamenti globali, interessano aree seriamente inquinate, circostanti sorgenti puntuali industriali, cave di calce, fornaci per cemento e strutture per fusione di metalli; è chiaro che le particelle fini sono più ampiamente distribuite intorno alla loro sorgente, rispetto a quelle grossolane. Le diverse caratteristiche chimiche e dimensionali, insieme alla mancanza di una chiara distinzione tra gli effetti attribuiti a particelle fitotossiche e quelli degli altri inquinanti dell’aria, rendono difficile comprendere gli effetti diretti sulla superficie fogliare del particolato.

Il PM può influenzare direttamente la vegetazione depositandosi sulle foglie delle piante, o indirettamente cambiando la chimica del terreno o diminuendo la quantità di radiazione solare che raggiunge la superficie della Terra. Gli effetti indiretti sono i più significativi, perchè capaci di alterare il ciclo dei nutrienti e di inibire la capacità delle piante di assimilare nutrienti.

A questi se ne aggiungono altri le cui ricerche condotte finora, riguardano soltanto gli effetti da polveri specifiche, come le polveri provenienti dai forni per cemento, che interagendo con la nebbia o la pioggia, formano una spessa crosta sulla superficie fogliare che agisce da scudo per la luce solare, interferendo con la fotosintesi ed inibendo lo sviluppo della pianta.

Inoltre il particolato atmosferico, in seguito a deposizione secca o umida, può contribuire ai processi di acidificazione (associata in particolare ad H2SO4 e HNO3) e di eutrofizzazione (associata ai sali nitrati) degli ecosistemi terrestri e acquatici. L’acidificazione dei suoli può portare al rilascio di elementi tossici come l’alluminio, provocando seri danni alle piante e alle varie forme di vita acquatica.

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2.1.2- EFFETTI SULLA VISIBILITA’

La visibilità è definita come la più grande distanza, in una certa direzione, alla quale viene visto e identificato un oggetto scuro alla luce del giorno, o una fonte di luce non focalizzata nella notte (Samara C. et al, 2003).

Il particolato provoca una diminuzione della visibilità, oltre che della luminosità, perchè assorbe e riflette la luce solare. Negli ultimi cinquanta anni è stato notato un progressivo incremento della diminuzione della visibilità ed il fenomeno risulta essere tanto più grave, quanto più ci si avvicina alle grandi aree antropizzate. Le particelle sospese favoriscono la formazione di nebbie e nuvole, costituendo nuclei di condensazione attorno ai quali, appunto, condensano gocce d’acqua. Come conseguenza, maggiori concentrazioni di particelle in aria, agevolano i fenomeni delle nebbie e delle piogge acide, le quali producono gravi effetti di corrosione dei materiali e dei metalli, oltre ad enormi diminuzioni di visibilità (la nebbia).

È ormai ben noto come la riduzione della visibilità e la distorsione delle immagini, siano causate dal particolato aerodisperso; le particelle un po’ più grandi (con Da>1 µm) intercettano la luce riflettendola o schermandola, mentre quelle più piccole, con Da simili alla lunghezza d’onda della radiazione visibile (da 0,4 µm a 0,7 µm), sono responsabili di fenomeni ottici diffusivi.

Particelle ancora più fini possono interagire con la luce come un mezzo continuo, causando rifrazione e riflessione.

Questo effetto sulla visibilità dipende inoltre dalla composizione del particolato: il carbonio elementare, soprattutto nella forma di grafite, è un ottimo assorbente della luce. Si ricorda come nelle città industriali del diciannovesimo secolo, come Londra, l’uso estensivo del carbone come combustibile, causò fenomeni di oscuramento del cielo molto gravi.

2.1.3- EFFETTI SUI MANUFATTI

Per quanto riguarda i materiali, i danni possibili sono la corrosione di metalli, il deterioramento dei circuiti elettronici, il vistoso invecchiamento ed annerimento dei monumenti, oltre alla ridotta durata dei tessuti.

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2.1.4- EFFETTI SUL CLIMA

Il particolato può avere effetto sul clima, influenzando il bilancio radiativo con il cosiddetto effetto “frigorifero”, che prevede un abbassamento della temperatura, dovuto ad una diminuizione dell’energia che raggiunge il suolo. Infatti le particelle possono agire direttamente, riflettendo e disperdendo la radiazione solare incidente, ma anche indirettamente favorendo la formazione delle nubi, che a loro volta “filtrano” la radiazione solare. L’effetto dei corpi nuvolosi è comunque complesso perchè sono anche in grado di trattenere la radiazione terrestre infrarossa, contribuendo all’effetto “serra”.

2.2- RISCHI PER LA SALUTE LEGATI AI PARTICOLATI

Gli effetti degli inquinanti sulla salute dell’uomo non possono essere dedotti da leggi generali della biologia e della fisiologia, ma devono essere determinati sperimentalmente.

Spesso vengono fatti studi (Baird, Cann, 2006) su animali in cui vengono valutati gli effetti sulla salute derivanti dall’esposizione a brevi periodi di elevati livelli di inquinamento, prodotti spesso in maniera artificiale. Da questi studi è difficile estrapolare gli effetti legati all’esposizione a bassi livelli di inquinamento, ma per lunghi periodi di tempo. Si può così definire un certo livello di esposizione, detto concentrazione soglia, al di sotto del quale non si verificano danni alla salute dell’uomo.

Ne risulta quindi che le maggiori informazioni relative agli effetti degli inquinanti sulla salute, provengono da esperimenti su larga scala in cui sono coinvolti un numero grande di individui che sono esposti quotidianamente agli inquinanti per tutta la loro vita. E’ chiaro che l’esposizione ad un certo inquinante, varia da un luogo all’altro ed inoltre non tutte le persone rispondono alla stessa maniera; sono stati perciò creati software, principalmente basati sulla statistica, che riescono a collegare la variabile salute con quella legata al livello di inquinamento, valutando anche l’effetto reciproco di una variabile sull’altra (Baird, Cann, 2006).

I principali effetti sulla salute umana derivanti dall’inquinamento dell’aria, si hanno a livello dei polmoni e i principali responsabili sono l’ozono, il biossido di zolfo ed i particolati. In particolare uno studio condotto negli Stati Uniti ha stabilito che gli

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attacchi di asma aumentano del 3% per ogni aumento di 10 µg/m3 del valore dei PM10.

2.2.1- EFFETTI SULLA SALUTE

Già nel passato si sono avuti danni alla salute a causa del particolato, in particolare quello emesso sotto forma di fumo, derivante dalla combustione del carbone, specialmente nel Regno Unito; celebre è una espressione di John Evelyn del 1684 : “… Londra a causa dell’aria eccessivamente fredda che impediva l’ascesa del fumo era così piena di vapore fuligginoso di carbone che a stento si riusciva a vedere l’altra parte della strada e quest’aria riempiva i polmoni con le sue grosse particelle ostruendo pesantemente la gola così da permettere a stento di respirare…”. Episodi del genere sono stati in gran parte eliminati nei Paesi Occidentali, grazie ad innovazioni tecnologiche e a normative sempre più restringenti. Resta comunque il fatto che in molti di questi Paesi, il parametro ancora più correlato con il tasso di morbilità o di mortalità, è la concentrazione di particolati fini, i PM2.5, i quali sembrano avere effetti più deleteri sulla salute dell’uomo rispetto ai gas inquinanti.

Già dal 1998 un rapporto del Consiglio d'Europa avvertiva che "I risultati di nuove ricerche mostrano che le particelle fini volatili quasi invisibili inferiori a 2,5 millesimi di millimetro, costituiscono un grave rischio per la salute; esse penetrano direttamente nei polmoni e provocano allergie, malattie cardiovascolari e respiratorie. Sono responsabili della morte di bambini e adulti." Ulteriori studi e approfondimenti hanno portato alla raccomandazione (agosto 2003), da parte del "Working Group on Particulate Matter" del programma CAFE (Clean Air For Europe) della Commissione Europea, di utilizzare il particolato PM2.5, come parametro principale per la valutazione dell'esposizione ambientale alle micropolveri. Risulta quindi evidente il perché siano queste le polveri che più interessano alle autorità sanitarie, poiché, oltre ad essere inalate, possono raggiungere gli alveoli, provocando disturbi respiratori, ma anche circolatori: la presenza di microparticolato acido nei bronchi, modifica gli scambi gassosi del sangue e ne aumenta pericolosamente la coagulabilità.

Di seguito (Tab. 2.2.1.1) vengono elencati i diversi impatti sanitari a breve e lungo termine stimati, attribuibili all’esposizione al particolato atmosferico.

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Effetti correlati

all’esposizione a breve termine

Effetti correlati con

l’esposizione a lungo termine

Reazioni infiammatorie a livello polmonare

Sintomatologie respiratorie avverse

Effetti avversi sul sistema cardiovascolare

Incremento nell’uso di medicinali

Incremento di ricoveri ospedalieri

Incremento della mortalità

Riduzione delle funzionalità respiratorie nei bambini Riduzione delle funzionalità respiratorie negli adulti Aumento della sintomatologie respiratorie

Aumento di malattie croniche di tipo ostruttivo

Aumento della mortalità per cause polmonari

Aumento della mortalità per cause cardiocircolatorie

Aumento della mortalità per tumore del polmone

Riduzione della speranza di vita

Tab. 2.2.1.1- Effetti correlati all’esposizione a breve e lungo termine

In sintesi quanto minori sono le dimensioni delle particelle, tanto maggiore è la loro capacità di penetrare nei polmoni e di produrre effetti dannosi sulla salute umana (Fig. 2.2.1.1; Fig. 2.2.1.2).

In particolare, le particelle più grosse creano in linea generale meno pericoli per la salute dell’uomo rispetto a quelle più piccole per diversi motivi, fra i quali:

- le particelle grossolane sedimentano velocemente, per cui l’inalazione da parte dell’uomo è ridotta;

- se vengono inalate, sono filtrate dal naso e dalla gola e in genere non riescono ad arrivare ai polmoni, mentre le polveri fini arrivano proprio ai polmoni dove vengono adsorbite dalle cellule, creando così danni alla salute;

- il rapporto area/massa delle particelle più grandi è inferiore a quello delle particelle più piccole e di conseguenza a parità di massa, risulta minore la loro capacità di trasportare molecole di gas adsorbite attraverso l’organismo;

- gli strumenti come precipitatori elettrostatici e collettori a ciclone, usati per allontanare i particolati dall’aria, sono efficaci solo nei confronti delle particelle grossolane.

(36)

Fig. 2.2.1.1- Deposizione delle particelle inalate nelle varie regioni dell’apparato respiratorio in funzione delle dimensioni delle particelle (Marconi A, 2003).

Fig. 2.2.1.2- Principali livelli di deposizione polmonare a seconda del diametro delle particelle (Marconi A, 2003).

Figura

Fig.  1.2.1-  Convenzioni  per  il  campionamento  delle  diverse  frazioni  espresse  come  percentuali  delle  particelle  sospese  totali  negli  ambienti  di  lavoro  e  di  vita  (Marconi A, 2003)
Figura 1.2.2- Composizione del Materiale Particolato.
Figura 1.2.4- Materiale particolato di origine naturale .
Tab. 1.4.1-  Sorgenti di Particolato Fine.
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