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1. Inquadramento geologico del Canale Industriale

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Academic year: 2021

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1. Inquadramento geologico del Canale Industriale

1.1 Generalità

L’area oggetto di studio è costituita da un tratto della sponda occidentale del Canale Industriale, una delle vie d’acqua destinate al traffico navale nella parte interna del Porto di Livorno. La fisionomia dell’area è caratterizzata dai piazzali portuali, dai moli e dai numerosi ed ampi specchi d’acqua che collegati direttamente al mare aperto, ad ovest, si inoltrano nell’entroterra permettendo l’accesso delle navi a questa parte interna del porto. I piazzali prospicienti, per la maggior parte asfaltati, e le banchine sono completamente in piano ad una quota di poco superiore a quella del mare e variabile intorno ai due metri.

La zona fa parte dell’area bassa, piatta e monotona a settentrione della città e del porto, cioè della piana (la cosiddetta "area depressa di Ponte Ugione”) che si estende verso la bassa valle dell’Arno e le conoscenze geologiche, oltre che dalla ricostruzione storica e paleogeografica del territorio, sono supportate da un gran numero di prospezioni geognostiche.

Malgrado le modificazioni antropiche abbiano alterato notevolmente gli elementi geomorfologici originari, è ancora oggi possibile osservare nei dintorni la fisionomia di un lido costiero di recente formazione. Tutta l’area portuale fra il Marzocco - Ponte Ugione - Scolmatore dell'Arno, ovvero la piana a nord della scarpata che delimita a meridione e ad oriente il Terrazzo di Livorno (la nota "Gronda dei Lupi" che dal cimitero dei Lupi si estende fino a Ponte Ugione e Suese), è stata fino a tempi recenti un golfo marino che si è successivamente trasformato in un ambiente lagunare per effetto della formazione di dune verso il mare, e infine palustre fino alle bonifiche ed alle colmate dei secoli scorsi. Tralasciando le ere geologiche più antiche, durante l’ultimo acme glaciale (IIIa glaciazione Würmiana – 18.000 anni fa) il paleo-Arno sfociava dopo un’ampia e profonda vallata a circa –100 m di quota a NO delle Secche della Meloria, ed uno dei suoi meandri fiancheggiava il limite settentrionale della piana di Livorno e delle Colline Livornesi più a nord. A queste ramificazioni fluviali è dovuto quasi certamente il livello di ciottoli e ghiaie che nel sottosuolo di Stagno – Calambrone – Porto Industriale viene individuato tra le profondità di 30 e 60 metri.

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Le ripetute oscillazioni eustatiche del mare, ed in particolare l’ultima ingressione (trasgressione Versiliana) determinarono il riempimento della valle del paleo-Arno.

Durante i periodi delle glaciazioni fino all’ultima trasgressione marina Versiliana (epoca protostorica o etrusco-romana), furono demoliti quasi interamente i preesistenti depositi del periodo Tirreniano (100.000 anni fa) che formavano la zona di Ponte Ugione. Furono risparmiati soltanto alcuni piccoli lembi di panchina (roccia calcarenitica), probabilmente già isolati da un’erosione lineare di tipo fluviale, che avrebbe scavato profondi solchi vallivi durante le fasi Würmiane (l’esistenza di scogli e bassifondi di panchina è testimoniata da numerose notizie storiche; sappiamo che la Torre del Marzocco fu eretta su scogli di panchina, evidentemente di età tirreniana, ed è molto probabile che anche le altre torri di Porto Pisano fossero state costruite su bassofondo di panchina). La trasgressione marina raggiunse il massimo sviluppo in epoca proto-romana, mentre in seguito, anche se il livello del mare ha continuato ad innalzarsi, è iniziato l’imponente fenomeno dell’avanzamento del delta dell’Arno.

Le sequenze delle situazioni paleogeografiche del territorio in studio, rivelano dunque una rapida evoluzione attribuibile alla repentina formazione dei lidi nel litorale fra Pisa e Livorno. Questo fenomeno è dovuto all’ingente quantità di sedimenti che furono sottratti alla loro naturale destinazione verso l’area dell’antico delta dell’Arno e scaricati direttamente in mare, a causa della riduzione artificiale della foce dell’Arno ad una sola bocca. I lavori, orientati in tal senso, si pensa possano aver avuto inizio già in concomitanza alla remota fondazione di Pisa, con lo scopo di migliorarne la salubrità. In seguito alla formazione di questi lidi, ampie aree interne furono sottratte al mare e ridotte a lagune e paludi. Conseguentemente si verificò un fenomeno di rapido avanzamento della linea di riva in un periodo caratterizzato invece, come accennato, da un seppur lieve movimento eustatico positivo, cioè ad un innalzamento del mare.

Il Canale Industriale nel XVI° secolo si trovava in corrispondenza dell’antica linea di riva, sul margine esterno di un tombolo litoraneo; nell’area retrostante si trovava l’antico golfo di Porto Pisano oramai ridotto ad una zona palustre. Nel XVIII° secolo anche la zona di mare di fronte al Canale Industriale era impaludata ed il tombolo risultava compreso tra le zone palustri de I Portacci e del Paduletto. Dal confronto della situazione relativa al XVIII° secolo con l’attuale, si comprende come il fenomeno di avanzamento della linea di riva verso occidente sia continuato anche in tempi

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recentissimi, dal momento che la costa attuale si presenta avanzata fino ad alcune centinaia di metri rispetto a quella antica.

La geologia di superficie è quindi caratterizzata da sedimenti recenti ed attuali di origine lagunare, eolico-palustre, di colmata e da riempimenti di origine antropica che hanno sepolto anche i lembi residui di panchina qua e là precedentemente affioranti. Al di sotto dei sedimenti recenti si hanno depositi lagunari, fluvio-deltizi e marini attribuibili all’ultima trasgressione eustatica; il limite della loro estensione verso terra è rappresentato dalla citata scarpata che delimita a meridione e ad oriente il Terrazzo di Livorno, la Gronda dei Lupi. Dal punto di vista litologico i terreni che caratterizzano il sottosuolo più superficiale, ovvero la zona di transizione marino-lagunare-palustre, presentano notevoli diversificazioni sia in senso verticale che orizzontale, connesse essenzialmente con le variazioni di profondità del bacino di sedimentazione e con la presenza di sbocchi a mare da parte di linee d'acqua naturali importanti.

Si comprende pertanto come, pur trattandosi di terreni saturi in acqua, tendenzialmente limo-torbosi-sabbiosi e limo-torbosi-argillosi, le caratteristiche geomeccaniche degli stessi possano essere soggette a variazioni in funzione della diversa e locale “miscelazione” delle suddette componenti sabbiosa-limosa-argillosa, imputabile alle diverse condizioni di sedimentazione. Un ruolo importante ai fini delle caratteristiche geomeccaniche di questi terreni, normalmente scadenti, è attribuibile anche al diverso tasso di materia organica da mettere in relazione al contenuto algale e/o di marcite di ambiente lagunare. È da sottolineare la presenza, entro i primi 10-15 metri di profondità, di tracce di cordoni dunali sepolti (paleotomboli). Essi si sviluppano secondo allineamenti grossomodo paralleli alla linea di costa e vanno a costituire isole di terreno di diversi metri di spessore. Le qualità geomeccaniche di queste dune, costituite da sabbie medie e fini limose, per lo più con spessore di diversi metri, sono in genere discrete.

Per quanto riguarda gli aspetti idrogeologici, in questa zona depressa di dominio dei terreni limoso-argillosi-torbosi dell'area lagunare-palustre, i terreni posti al di sotto dei riporti, specialmente nella zona più prossima al mare, permangono in condizione di saturazione. Si può affermare che tutta l'area portuale in esame insiste su terreni completamente saturi in acqua salmastra e che la circolazione in essi risulta di chiara transizione con il battente marino. Lo scorrimento idrico di circolazione freatica ed anche quello di tipo confinato, è relegabile agli strati ghiaioso-sabbiosi più profondi.

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1.2 Indagini in sito

La progettazione di una qualsiasi opera di ingegneria richiede l’acquisizione di una certa quantità di informazioni e dati di carattere geometrico, caratteristiche dei materiali etc. Nell’ingegneria geotecnica è necessario caratterizzare dal punto di vista fisico-meccanico quella parte di sottosuolo che influenza il comportamento dell’opera in progetto. A tal fine occorre considerare elementi assai vari: costituzione del sottosuolo e geometria delle stratificazioni in esso presenti; presenza e regime delle acque sotterranee; proprietà fisico-meccaniche dei terreni; stato tensionale attuale e passato; etc. Tutti questi elementi devono essere determinati attraverso un complesso di indagini, che consentano di schematizzare la complessa situazione naturale in un modello sottoponibile all’analisi. Questa operazione viene detta caratterizzazione geotecnica del

sottosuolo, e rappresenta il fattore predominante nello stabilire quelle relazioni di

corrispondenza tra la realtà fisica e la realtà scientifica.

La raccolta di questi dati può essere effettuata direttamente in sito oppure mediante indagini di laboratorio sui campioni prelevati. I dati ottenuti non sempre danno un’indicazione delle caratteristiche ricercate ma spesso risultano indispensabili delle correlazioni attraverso cui ottenere il parametro desiderato: si dicono, quindi, indagini dirette quelle che forniscono il risultato ricercato, come la stratigrafia che si riesce a ricostruire da un carotaggio, mentre si dicono indagini indirette quelle che necessitano di un’interpretazione, come le prove penetrometriche, dilatometriche e le indagini geofisiche.

Il Canale Industriale è stato oggetto, negli anni, di diverse campagne geognostiche consistenti in indagini geomeccaniche ed indagini geofisiche. Per la redazione di questa tesi, l’Autorità Portuale ha messo a disposizione 10 carotaggi continui comprensivi di prove penetrometriche dinamiche e prove di laboratorio, 13 penetrometrie statiche, 4 dilatometrie e profili Vs. Elaborando tutti i dati messi a disposizione è stato possibile realizzare un profilo stratigrafico di buona parte del Canale Industriale lungo la direttrice NNE-SSO. Da questa elaborazione (Figura 1.1) si evince che, sotto una cospicua quota di terreno di riporto, si ha la progressiva sostituzione delle sabbie con materiale limoso nella direzione di uscita dal Canale Industriale, con una risalita a quote più alte della componente argillosa. L’area oggetto dell’intervento di banchinamento è situata alla destra del profilo stratigrafico qui riportato.

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1.2.1 Indagini Geomeccaniche

1.2.1.1 Perforazioni di sondaggio

Le perforazioni di sondaggio hanno lo scopo di ricostruire il profilo stratigrafico, di prelevare campioni rappresentativi per il riconoscimento dei terreni e campioni indisturbati per l’esecuzione di prove di laboratorio. Vengono anche utilizzate per installare in profondità strumenti necessari all’esecuzione di altre prove.

L’utensile di perforazione più comune è costituito da un tubo di acciaio (carotiere) con una corona tagliente provvista di placchette di vidia. Le perforazioni a rotazione, di diametro usualmente compreso tra 75 e 150 mm, sono le più comuni ma non sono adatte nel caso in cui i terreni siano a grana grossa (ghiaie, ciottoli) per i quali sono più indicate quelle a percussione con diametri usuali variabili tra 100 e 600 mm. In tutti gli altri casi è possibile effettuare un carotaggio continuo adattando i vari parametri (velocità di rotazione, pressione sul fondo, portata del fluido di circolazione, etc.) alla natura del terreno. La qualità dei campioni, e quindi la loro rappresentatività delle caratteristiche dei terreni in sito, dipende fortemente dal grado di disturbo arrecato in fase di campionamento. Gli inconvenienti dovuti alla presenza del fluido di circolazione possono essere minimizzati con l’impiego di un carotiere doppio, costituito da due pareti delle quali solo l’esterna ruota mentre quella interna accoglie il materiale proteggendolo dall’azione dilavante del fluido. La perforazione senza circolazione di fluido (carotaggio a secco) è possibile solo per brevi tratti e provoca un sostanziale essiccamento del terreno dovuto al calore sviluppato per attrito dalla rotazione della corona.

Nei sondaggi a carotaggio continuo, l’avanzamento dell’utensile è realizzato applicando contemporaneamente ad una batteria di aste, che lo collegano alla superficie, spinta e rotazione. L’immissione di un fluido di perforazione (acqua, fango o aria compressa), attraverso le aste interne (circolazione diretta) o, meno sovente, attraverso le pareti del foro (circolazione inversa) aumenta sensibilmente la velocità di avanzamento ma conduce ad un carotaggio scadente in materiali teneri o poco coesivi.

In Figura 1.2 è riportato il risultato di un sondaggio a carotaggio continuo effettuato sulla Calata Bengasi, adiacente in direzione di uscita dal Canale Industriale alla zona dell’intervento di banchinamento. A parte il primo strato rappresentato dal manto

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stradale che non riveste nessuna importanza ai fini dell’indagine, si individuano i seguenti strati:

• Da -0,50 m a -7,70 m: limo argilloso con resti vegetali, passante ad argilla plastica con colorazione variabile dal grigio al nero, ricca in materiale organico e resti vegetali. Da inconsistente a poco consistente. Da -7,40 m a -7,70 m livello granulare costituito da ciottoli arrotondati (dmax = 3 cm) centimetrici parzialmente cementati (materiale di riporto).

• Da -7,70 m a -9,20 m: limo argilloso di colore marrone giallastro e livelli decimetrici intercalati di argilla grigia plastica. Poco consistente.

• Da -9,20 m a -22,00 m: argilla da debolmente limosa a limosa, con incrostazioni calcaree di forma tondeggiante (dmax = 3 cm). Presenti resti di lignite. Da consistente a molto consistente.

• Da -22,00 m a -23,10 m: ghiaia a matrice sabbiosa di colore grigio, calcarea con ciottoli centimetrici arrotondati di natura calcarea.

• Da -23,10 m a -25,00 m (fine sondaggio): sabbia grigia a tratti debolmente limosa con ciottoli arrotondati (dmax = 5 cm) di natura calcarea e resti di gusci di conchiglie. Addensata.

Questa schematizzazione è stata ottenuta integrando le caratteristiche dei materiali osservate in sito con i risultati di una serie di prove di laboratorio condotte sui campioni prelevati durante il carotaggio.

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1.2.1.2 Prove penetrometriche statiche

Le prove penetrometriche statiche, anche note come CPT (Cone Penetration Test) forniscono informazioni che possono essere utilizzate per la determinazione del profilo stratigrafico di un terreno, ma soprattutto per la valutazione delle sue caratteristiche fisiche e meccaniche. Possono essere eseguite in tutti i tipi di terreno, con l’eccezione dei depositi ghiaiosi che potrebbero danneggiare la punta.

La prova consiste nell’infiggere a pressione una punta conica di caratteristiche normalizzate (Figura 1.3) alla velocità costante di 20 mm/s. Il diametro della punta è di 35,7 mm e l’angolo di apertura del cono è di 60°. Il manicotto, che segue la punta, ha una superficie laterale di 150 cm2. Nei penetrometri meccanici la punta conica è collegata ad una batteria di aste, coassiali ad una tubazione di rivestimento. In tal modo è possibile far avanzare per un tratto di 40 mm dapprima soltanto la punta, applicando la spinta alle aste interne, successivamente viene agganciato il manicotto; viene così misurata globalmente la resistenza all’avanzamento della punta e del manicotto. Infine la spinta viene applicata alle aste esterne facendo avanzare l’intero sistema e il procedimento viene ripetuto ad intervalli di 200 mm. Nei penetrometri elettrici (Figura 1.4), la punta è solidale ad una tubazione priva di rivestimento e la separazione tra resistenza alla punta ed attrito laterale è resa possibile da misure eseguite localmente con

trasduttori elettrici. Se alla normale punta penetrometrica elettrica vengono aggiunte una

Figura 1.3: punta Begemann

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o più piastre porose, collegate a trasduttori che consentano la misura della pressione neutra nell’intorno della punta durante l’infissione, si parla di CPTU e lo strumento utilizzato è detto piezocono. La profondità raggiungibile può superare i 40 m in argille tenere, ma oltre i 20 m possono già verificarsi deviazioni dalla verticale che possono rendere i risultati meno attendibili.

La misura della resistenza all’avanzamento della punta è solitamente indicata con il simbolo qc. Sottraendo il valore della spinta applicata nel tratto precedente è possibile risalire alla misura dell’attrito laterale, indicata con il simbolo fs. È quindi una peculiarietà del penetrometro statico il fatto che la resistenza alla punta e la resistenza per attrito laterale non si riferiscano esattamente alla stessa profondità.

Dal rapporto tra la resistenza all’avanzamento della punta e la resistenza laterale locale è possibile, mediante correlazioni empiriche, risalire con una certa approssimazione alla natura dei terreni attraversati:

s c

f q FR=

Questo rapporto dipende dalla composizione granulometrica dei terreni stessi. Nella

Tabella 1.1 seguente sono riportati i valori di FR (Friction Ratio) suggeriti dal metodo

Begemann.

FR LITOLOGIA FR < 15 Argilla organica e torba

15 < FR < 20 Limo e/o argilla inorganica 15 < FR < 20 Limo sabbioso e sabbia limosa

FR > 60 Sabbie o sabbia più ghiaia

Tabella 1.1: riconoscimento del terreno in base al rapporto FR (Cancelli, 1980)

Anche osservando direttamente il valore della resistenza alla punta si possono avere inidicazioni circa la litologia dei terreni. Infatti alle argille compete una resistenza qc (0-2 MPa) inferiore a quella che si ha nei terreni sabbiosi ((0-2-30 MPa), a causa dei più bassi valori della resistenza al taglio e a causa dell’influenza della pressione interstiziale. Possiamo affermare che i terreni granulari sono contraddistinti da valori generalmente più elevati e fortemente variabili di qc, mentre quelli coesivi da valori con andamento più continuo e comunque minori. In sabbie NC i valori di qc tendono a crescere con la profondità mentre in sabbie OC è possibile avere un andamento pressoché costante,

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considerata la variazione con la profondità della tensione orizzontale prodotta dai fenomeni di preconsolidazione. Analogo profilo può aversi però in sabbie NC la cui densità tenda a diminuire con la profondità, per cui sussistono, basandosi solo sulla qc, delle incertezze in sede di interpretazione. Occorre tener presente che un incremento della densità relativa e un incremento delle tensioni di confinamento comportano entrambi un aumento della qc, anche se di diversa entità.

I parametri geotecnici calcolabili per terreni incoerenti attraverso correlazioni dirette con la resistenza alla punta sono i seguenti:

• Angolo di attrito (φ’) : la relazione fra qc e φ ’è però influenzata da numerosi fattori e allo stato attuale si preferisce quindi correlare la resistenza alla punta con la densità relativa (DR) e poi risalire da questa al valore dell’angolo di attrito • Densità relativa (DR)

Figure 1.6-1.7: correlazioni della densità relativa (DR) con qc e φ'

• Modulo di deformazione o di Young (E50) : un metodo valido per le sabbie in genere normalmente consolidate è quello di Schmertmann

c

q

E= 52, ⋅ (kg/cm2)

• Modulo edometrico (M0) : il metodo di Robertson e Campanella è valido per le sabbie in genere (%) 79 , 0 ' 7 , 11 03 , 0 qc vo DR M = ⋅ + ⋅σ + ⋅ (kg/cm2) (1.2) (1.3)

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• Modulo dinamico di taglio (G0) : il metodo Imai e Tomachi è valido per tutti i tipi di terreno 611 , 0 0 28 qc G = ⋅ (kg/cm2) Per terreni coesivi, invece, si hanno le seguenti correlazioni:

• Coesione non drenata (cu) :

25 15÷ − = c vo u q c σ

che deriva da un procedimento basato su soluzioni di capacità portante. Questi procedimenti assimilano il problema ad un fenomeno di incipiente rottura trascurando ogni considerazione riguardante il campo delle deformazioni e sono basati sulla soluzione piana di Prandtl “qc =cuNcvo” con Nc fattore di

capacità portante dipendente dalla profondità relativa, dalla geometria del problema e dall’angolo di apertura del cono.

• Modulo edometrico (ED) : il metodo Mitchell e Gardner è valido per argille in genere

c

q

E =α⋅ (kg/cm2)

dove 1.7<α <5è un coefficiente variabile in funzione del tipo di terreno.

In Figura 1.8 sono riportate 3 prove CPT effettuate in direzione di uscita dal Canale Industriale nel tratto di banchina prospiciente la zona dell’intervento e adiacente alla Darsena Ugione. Queste confermano in linea di massima il carotaggio di cui sopra, con aumenti sporadici improvvisi della resistenza alla punta in prossimità probabilmente di piccoli strati di materiale granulare (sabbia o ghiaia) ma un sostanziale valore della resistenza alla punta caratteristico di materiali argilloso-limosi. A profondità maggiori di -25 m si ha un aumento del parametro osservato che fa pensare alla presenza di strati più ampi di sabbie addensate.

(1.6) (1.5) (1.4)

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1.2.1.3 Prove penetrometriche dinamiche

La prova penetrometrica dinamica SPT (Standard Penetration Test) è una prova eseguita nel corso di un sondaggio e consiste nell’infissione a percussione di un campionatore a pareti grosse. È una prova discontinua (in genere si hanno si hanno misure ad intervalli di 1,5 m, che in particolari condizioni possono ridursi a 0,75 m) che ha lo scopo di determinare i parametri meccanici dei terreni attraverso varie correlazioni empiriche. Il campo d’impiego ottimale è quello dei terreni sabbiosi anche se uno dei vantaggi di questa prova è quello di poter essere eseguita in tutti i tipi di terreno.

La SPT viene effettuata infiggendo nel terreno, alla profondità prefissata, per tre avanzamenti di 15 cm ciascuno, un campionatore standardizzato (campionatore Raymond) sotto i colpi di un maglio con peso di 63,5 kg e volata 76 cm. La resistenza alla penetrazione viene misurata attraverso la somma del numero di colpi necessari all’avanzamento nel secondo e terzo tratto, in quanto il primo risente del disturbo nel terreno provocato dalla realizzazione del foro:

3

2 N

N

NSPT = +

La prova andrebbe effettuata in fori di sondaggio aventi diametro compreso tra 65 mm e 115 mm, evitando diametri maggiori che possono avere un’influenza sui risultati della prova. Nel caso in cui al posto del campionatore Raymond si usi una punta conica piena, la prova si definisce SCPT (Standard Cone Penetration Test).

I risultati ottenuti vanno interpretati come una misura indiretta della resistenza a taglio e della compressibilità di tali materiali. Mentre non esiste attualmente in letteratura una correlazione fra il numero di colpi misurato con il penetrometro dinamico e la litologia degli strati, sono calcolabili per terreni incoerenti (componente sabbiosa o ghiaiosa dominante), attraverso le correlazioni dirette con i valori di NSPT, i seguenti parametri geotecnici:

• Densità relativa (DR)

• Tensione verticale efficace (σ’vo) • Angolo di resistenza al taglio (φ)

• Modulo di deformazione o di Young (E50) • Modulo edometrico (M0)

• Modulo dinamico (G0)

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Dalle prove SPT è possibile, infatti, trarre utili informazioni sullo stato di addensamento nei terreni granulari e sul grado di consistenza in quelli coesivi attraverso la misura della densità relativa (DR). Alla descrizione qualitativa proposta da Terzaghi e Peck (1948), Gibbs e Holtz (1958) hanno associato degli intervalli di variazione di DR (Tabella 1.2) Densità relativa NSPT (colpi / 30 cm) Terzaghi-Peck (1948) Gibbs-Holtz (1957) 0-4 Molto sciolta 0-15% 4-10 Sciolta 15-35% 10-30 Media 35-65% 30-50 Densa 65-85% Oltre 50 Molto densa 85-100%

Tabella 1.2: Terzaghi (1948) e Gibbs - Holtz (1958)

Questi ultimi hanno anche studiato per primi l’influenza delle tensioni efficaci sulla relazione DR – NSPT (Figura 1.9). Tale correlazione è da intendersi applicabile a sabbie

normalconsolidate e può comportare una sopravvalutazione della DR nel caso di sabbie sovraconsolidate o nel caso in cui la messa in opera sia effettuata con una tecnica tale da incrementare la tensione orizzontale oltre i valori che competono alle sabbie NC. In questi casi i valori di NSPT misurati ricadono tutti al di sopra della retta corrispondente a DR = 100% : Peck e Bazaara (1969) propongono di utilizzare in alternativa la correlazione di Bazaara (1967) riportata in Figura 1.10. Figura 1.9: correlazione DR – NSPT

(16)

Figura 1.10: correlazione di Bazaara per stima DR

Figura 1.11: correlazione tra NSPT e φ’

Le prove SPT eseguite durante il carotaggio di cui sopra hanno determinato i seguenti risultati:

• -4,00 m ca: NSPT = 2-3 • -15,00 m ca: 4 < NSPT < 9 • -25,00 m ca: NSPT > 20

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1.2.1.4 Prove dilatometriche

Sono prove in cui si infigge nel terreno, a mezzo di un apparecchio di spinta simile a quello utilizzato nella prova CPT, una lama metallica della larghezza di 95 mm e dello spessore di 14 mm. Una volta infisso lo strumento si mette in pressione, a mezzo di gas, un circuito di collegamento con una membrana metallica circolare del diametro di 60 mm posta su di un lato della lama. Raggiunta la profondità prescelta, si esegue la prova che si articola nelle seguenti fasi:

1. Si determina la pressione p1 corrispondente all’inizio del movimento della membrana verso l’esterno, segnalato con una interruzione di un contatto elettrico.

2. Si determina la pressione p2 necessaria per espandere la membrana al centro di un tratto pari ad 1,1 mm; anche il raggiungimento di questa configurazione viene segnalato in superficie da un contatto elettrico.

3. Si riduce la pressione applicata a tergo della membrana, fino a determinarne il valore p3 corrispondente al ritorno della membrana stessa nella configurazione iniziale.

L’attrezzo viene quindi infisso fino ad una nuova posizione di prova, che deve trovarsi ad almeno 20 cm di distanza dalla precedente. I valori rilevati vengono elaborati calcolando i seguenti parametri:

• Modulo dilatometrico ED =37,4⋅(p2 −p1)

• Indice di sforzo laterale

vo D u p K ' 1 σ − = • Indice del materiale

u p p p ID − − = 2 1 2

dove la tensione verticale efficace σ’vo e la pressione neutra u sono determinate a partire dal peso dei terreni sovrastanti la profondità di prova, ipotizzando che non vi sia stato

Figura 1.12: dilatometro piatto

(1.8) (1.9)

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disturbo a causa dell’infissione dello strumento, e dalla conoscenza del regime delle acque sotterranee. L’indice KD può essere correlato al coefficiente di pressione a riposo

k0, e quindi indirettamente al grado di sovraconsolidazione del terreno (Figura 1.13). I valori combinati di ID e ED consentono, tramite un abaco (Figura 1.14), di ottenere rispettivamente informazioni sul tipo e sulla consistenza o sul grado di addensamento. Marchetti (1980) e Schmertmann (1986) hanno suggerito correlazioni fra le misure dilatometriche e le caratteristiche meccaniche del terreno, per esempio la coesione non drenata cu.

In Figura 1.15 è riportato il risultato di una prova dilatometrica effettuata sulla Calata Bengasi, adiacente in direzione di uscita dal Canale Industriale alla zona dell’intervento di banchinamento.

Figura 1.13: correlazione tra l’indice KD e il coefficiente k0

Figura 1.14: correlazione tra il tipo di terreno e i valori di ID e ED

(19)
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1.2.2 Indagini Geofisiche

1.2.2.1 Metodo delle Onde Superficiali con tecnica multistazione (M.A.S.W.)

Il metodo MASW (Multichannel Analysis of Surface Waves) è una tecnica di indagine non invasiva (non è necessario eseguire perforazioni o scavi) che si basa sulla generazione di una perturbazione costituita prevalentemente da onde di Rayleigh e nella successiva registrazione di tali onde a diverse distanze da una sorgente mediante un allineamento di geofoni disposti in superficie. Le onde di Rayleigh viaggiano con una velocità correlata alla rigidezza della porzione di terreno interessata dalla propagazione delle onde e in un mezzo stratificato si dice che sono dispersive, cioè la velocità di fase (o di gruppo) apparente dipende dalla frequenza di propagazione. Questo significa che onde ad alta frequenza con lunghezza d’onda corta danno informazioni sulla parte più superficiale, invece onde a bassa frequenza interessano gli strati più profondi del suolo. Il metodo generalmente consente di ottenere una velocità di fase sperimentale apparente (o curva di dispersione) nel range di frequenze compreso tra 5 Hz e 70 Hz, quindi dà informazioni sulla parte più superficiale del suolo (sui primi 30 - 50 m) in funzione della sua rigidezza.

La sorgente è di tipo impulsivo o stazionario, quindi capace di generare onde con un contenuto in frequenza variabile. Le velocità sono calcolate tramite la nota espressione:

λ

= f

VR

dove f è la frequenza e λ la lunghezza d’onda; a quest’ultima è possibile risalire costruendo la cosiddetta curva di dispersione, per cui si ha:

) ( 2 f f d VR φ π ⋅ =

dove d è la distanza tra due ricevitori e φ(f) è la differenza di fase in radianti. La velocità VR con cui si propaga l’onda di Rayleigh sulla superficie è leggermente inferiore alla velocità Vs delle onde di taglio S (tra 0,862⋅ Vs e 0,955⋅ Vs) e dipende dal coefficiente di Poisson (ν) secondo la seguente relazione:

S R V V ⋅ + ⋅ + = ν ν 1 14 , 1 862 , 0 (1.13) (1.12) (1.11)

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Il metodo MASW consiste in tre fasi:

• la prima fase prevede il calcolo della velocità di fase apparente sperimentale (VR).

• la seconda fase consiste nel calcolare la velocità di fase apparente numerica • la terza ed ultima fase consiste nell’individuazione del profilo di velocità delle

onde di taglio verticali Vs: vengono modificati opportunamente lo spessore h, le velocità delle onde di taglio Vs e di compressione Vp (o in maniera alternativa alle velocità Vp è possibile assegnare il coefficiente di Poisson ν ), la densità di massa ρ degli strati che costituiscono il modello del suolo, fino a raggiungere una sovrapposizione ottimale tra la velocità di fase sperimentale e la velocità di fase numerica corrispondente al modello di suolo assegnato. Il modello di suolo e quindi il profilo di velocità delle onde di taglio verticali possono essere individuati con procedura manuale o con procedura automatica o con una combinazione delle due procedure.

Generalmente si assegnano il numero di strati del modello, il coefficiente di Poisson ν, la densità di massa ρ e si variano lo spessore h e la velocità Vs degli strati. Nella procedura manuale l’utente assegna per tentativi diversi valori delle velocità Vs e degli spessori h, cercando di avvicinare la curva di dispersione numerica alla curva di dispersione sperimentale. Nella procedura automatica la ricerca del profilo di velocità ottimale è affidata ad un algoritmo di ricerca globale o locale che cerca di minimizzare l’errore tra la curva sperimentale e la curva numerica.

In genere quando l’errore relativo tra curva sperimentale e curva numerica è compreso tra il 5% e il 10% si ha un soddisfacente accordo tra le due curve e il profilo di velocità delle onde di taglio Vs. Il tipo di suolo sismico, di conseguenza, rappresenta una soluzione valida da un punto di vista ingegneristico.

Dopo aver determinato il profilo di velocità delle onde di taglio verticali Vs è possibile procedere al calcolo della velocità equivalente nei primi 30 m di profondità (Vs30) e quindi individuare la categoria sismica del suolo.

Nel nostro caso il profilo verticale delle velocità Vs ricavato è stato utilizzato per risalire al parametro Vs30, introdotto dalla recente normativa tecnica in materia di progettazione antisismica. L’indagine per onde superficiali è stata condotta secondo le seguenti specifiche:

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• acquisizione multistazione con array a 24 geofoni a 4,5 Hz, con passo intergeofonico pari a 3 m;

• set-up costituito da 5 punti di energizzazione di cui 2 con offset di ±6 m e 3 punti sorgente interni allo stendimento. L’energia impulsiva è stata prodotta con un martello ad azione verticale e sono stati effettuati 15 “stack” per ciascuno “scoppio” al fine di ottimizzare il segnale e il suo contenuto in frequenza.

SORGENTE POSIZIONE S1 -6 metri dal geofono G1

S2 sul geofono G1

S3 tra i geofoni G12 e G13 S4 sul geofono G24 S5 +6 metri dal geofono G24

La tecnica di trattamento dati utilizzata è basata sul “f-k processing”. Il sistema di acquisizione (sismografo) utilizzato per le misure è un SUMMIT Compact, prodotto dalla DMT (Germania), con 24 canali di registrazione e dinamica del convertitore analogico digitale a 24 Bit (Tecnologia Delta Sigma). Tali misure sono anche utilizzabili per ricavare il parametro Vs30, introdotto dalla normativa tecnica in materia di progettazione antisismica “O.P.C.M. n° 3274”, calcolato come sommatoria (nei primi 30 metri) dei valori delle velocità di intervallo pesati rispetto agli spessori associati alla stratificazione dei materiali; il risultato è una parametrizzazione in termini di caratteristiche meccaniche nel punto medio dello stendimento sismico.

1.2.2.2 Metodologia refraction microtremor (ReMi)

La tecnica di Refraction Microtremor (ReMi) consiste nella registrazione del rumore ambientale e mediante elaborazione del dato con apposito software fornisce un profilo verticale medio delle Vs relativo al volume di suolo al di sotto dello stendimento. L’analisi dei microtremori è stata effettuata utilizzando la strumentazione classica per la prospezione sismica a rifrazione disposta sul terreno con array lineare da 24 geofoni e, per ottenere una buona risoluzione in termini di frequenza, oltre ad utilizzare geofoni con bassa frequenza di risonanza 4,5 Hz, è stato indispensabile registrare in continuo per un tempo pari a 32 secondi. L’elaborazione del segnale consiste nell’operare una

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trasformata bidimensionale “numero d’onda-frequenza”(k-f) che analizzi l’energia di propagazione del rumore in entrambe le direzioni della linea sismica e ne rappresenti lo spettro di potenza.

L’elaborazione dei dati di campagna si compone delle seguenti fasi: 1. Pre-processing, per:

• Pulizia da fenomeni di disturbo sul segnale utile, dovuto a sorgenti ambientali non controllabili;

• Assemblaggio di array virtuali, per ovviare alla limitazione del numero di geofoni disponibili in campagna.

2. Analisi spettrale, mediante FFT, del sismogramma ottenuto.

3. Estrazione (manuale od automatica) della curva di dispersione sperimentale, e sua visualizzazione nel dominio della frequenza o della lunghezza d’onda, al fine di verificare gli andamenti coerenti associabili alle onde di Rayleigh a carattere dispersivo, nei modi fondamentali, impiegabili nell’analisi della curva di dispersione e nella ottimizzazione di un modello diretto.

4. Generazione di una curva di dispersione, basata su modello sintetico di ottimizzazione per confronto coi dati sperimentali, mediante la caratterizzazione, per ciascuno strato, dello spessore dello strato stesso e della velocità delle onde

S.

5. Inversione del modello sintetico in modalità interattiva o automatica (inversione basata sulle velocità delle onde S o sugli spessori degli strati) al fine di giungere al modello diretto del terreno.

A seguito dell’interpretazione eseguita viene fornito anche il valore della Vs30 del sito, consentendone la classificazione secondo le normative tecniche, attualmente in corso, in materia di progettazione antisismica.

1.2.2.3 Risultati delle Indagini sismiche

I risultati sono riportati nelle Figure 1.16-1.17-1.18 mediante le curve sperimentali di “Match” e profili di velocità MASW e ReMi.

Risultati - MASW

La distribuzione di velocità di propagazione delle onde di taglio Vs mostra valori compresi tra circa 97 m/s e 755 m/s. In particolare si osserva:

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- un secondo strato, dello spessore di 5,2 metri, mediamente caratterizzato da Vs = 172 m/s;

- un terzo strato di 5,5 metri di spessore e con velocità delle onde Vs = 161 m/s; tale strato manifesta un’inversione di velocità con la profondità rispetto alla distribuzione generale;

- un quarto strato, di circa 11,7 metri di spessore, che presenta caratteristiche di compattazione via via crescenti (velocità media pari a 282 m/s);

- in profondità, un quinto strato che è mediamente caratterizzato da Vs = 755 m/s e da uno spessore di 5,7 metri.

Per ottenere il parametro Vs30 è stata utilizzata la caratterizzazione stratigrafica sopra descritta. Il suddetto parametro, calcolato rispetto ai valori medi delle velocità di intervallo al di sotto del piano campagna, è ottenuto mediante l’espressione

= N i i V h Vs 1 30 1 30 In particolare si è considerato: - strato 1, spessore 2 m, Vs = 97 m/s - strato 2, spessore 5,2 m, Vs =172 m/s - strato 3, spessore 5,5 m, Vs =161 m/s - strato 4, spessore 11,7 m, Vs =282 m/s - strato 5, spessore 5,7 m, Vs =755 m/s Il valore calcolato di Vs30 è pari a 225 m/s.

Risultati - ReMi

La distribuzione di velocità di propagazione delle onde di taglio Vs mostra valori compresi tra circa 97 m/s e 465 m/s.

L’andamento stratigrafico generale del sito di indagine ottenuto con tecnica passiva è risultato concorde con la distribuzione di velocità media delle onde ottenuta con metodologia MASW (attiva). Schematicamente si osserva:

- un primo strato mediamente caratterizzato da Vs = 97 m/s, dello spessore di 1,9 metri circa;

- un secondo strato mediamente caratterizzato da Vs = 172 m/s, dello spessore di 5,2 metri.

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- un terzo strato con velocità delle onde Vs = 161 m/s, dello spessore di 5,5 metri; tale strato manifesta un’inversione di velocità con la profondità rispetto alla distribuzione generale. La base di tale orizzonte è ubicata alla profondità di 12,6 metri dal piano campagna;

- un quarto strato, di circa 11,6 metri di spessore con caratteristiche di compattazione via via crescenti (velocità media pari a 279 m/s);

- un quinto strato mediamente caratterizzato da Vs = 465 m/s, dello spessore di 5,8 metri.

L’analisi del profilo di velocità di propagazione delle onde di taglio Vs permette di calcolare il parametro Vs30.

Sostituendo i valori nell’espressione (1.14) si ottiene: - strato 1, spessore 1,9 m, Vs = 97 m/s

- strato 2, spessore 5,2 m, Vs = 172 m/s - strato 3, spessore 5,5 m, Vs = 161 m/s - strato 4, spessore 11,6 m, Vs = 279 m/s - strato 5, spessore 5,8 m, Vs = 465 m/s Il valore calcolato di Vs30 è pari a 221 m/s.

Conclusioni

Da quanto rilevato ed esposto si evince che:

• le misure sismiche attive (MASW) e passive (ReMi) hanno messo in evidenza una stratificazione complessa e caratterizzata da n°5 strati con differenti valori della velocità di propagazione delle onde di taglio.

• I profili di velocità (Figura 1.18) ottenuti con l’impiego delle due metodologie sono risultati generalmente concordanti;

• le differenze nei valori delle velocità medie ottenute per ogni strato sono legate essenzialmente alla diversa sensibilità dei metodi di acquisizione utilizzati. Il metodo MASW infatti, al contrario del ReMi, manifesta una maggior sensibilità e accuratezza per gli strati superficiali dei terreni indagati nel definire la distribuzione delle velocità di propagazione delle onde.

L’utilizzo delle due differenti metodologie ci ha consentito di raggiungere gli obiettivi prefissati e quindi di ricavare il valore del parametro Vs30 secondo la normativa vigente. I valori di Vs30 ottenuti (225 m/s e 221 m/s rispettivamente con il MASW e con il ReMi)

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oltre che permettere una classificazione univoca dei suoli investigati, indicano la validità di impiego dei due metodi sismici.

Figura 1.16: curva di dispersione MASW

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