• Non ci sono risultati.

3. Ergasilo e i parassiti greci

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "3. Ergasilo e i parassiti greci"

Copied!
33
0
0

Testo completo

(1)

3. Ergasilo e i parassiti greci

Secondo Michaut126, tutte le figure di parassiti in Plauto sarebbero equivalenti e intercambiabili, e di conseguenza anche Ergasilo non costituirebbe altro che una maschera, un tipo fisso preso di peso dalla scena greca.

Una posizione del genere può essere facilmente smentita non solo da analisi come quella di Fraenkel, ma anche da un'attenta lettura di Asinaria, Bacchides, Curculio, Menaechmi, Miles gloriosus, Persa, Stichus e ovviamente Captivi, da cui appare chiaro che, ad esempio, l'anonimo galoppino delle Bacchides ha ben poco da spartire con un Saturio o un Gelasimo. Ciò nondimeno, non si può negare che vi siano dei tratti comuni ai diversi parassiti plautini, e che le somiglianze siano senz'altro dovute all'appartenenza dei personaggi ad una medesima categoria, di indubbia origine greca.

Proveremo ora a collocare la figura di Ergasilo nel solco della tradizione ellenica sul parassita, tradizione che ha le sue origini addirittura in Omero127. Per farlo

126 Pp. 220-6.

(2)

ricorreremo alla nostra fonte principale di materiali greci relativi ai parassiti, vale a dire il libro VI di Ateneo128.

Nel corso della loro dotta conversazione, i “sofisti a banchetto” si propongono di discettare sui parassiti, e il dotto Plutarco imbastisce sull'argomento un lunghissimo discorso129, cui Democrito aggiunge una trattazione relativa al κCλαξ, figura per molti versi affine130. I due fanno uso di una ricca messe di citazioni, tratte da scrittori degli ambiti più svariati: si passa con disinvoltura dall'GρχαJα alla µ5σL alla ν5α, passando per poesia epica, storiografia e oratoria, senza trascurare la letteratura filosofica e di erudizione, e proprio la varietà di fonti, punti di vista e problemi affrontati rende la trattazione non solo piacevole alla lettura, ma anche utilissima per lo studioso.

Nell'ambito degli studi sulla palliata, manca tuttora un lavoro di confronto serrato tra materiali plautini e greci relativi ai parassiti, e il presente capitolo vuol essere un

scorgere i tratti del parassita nel personaggio omerico di Pode (Il. 17.575-77):

Oσκε δ’ SνT ΤρVεσσι ΠοδY1 υ[\1 Ἠετ^ωνο1 G6νειC1 τ’ GγαθC1 τε· µcλιστα δ5 µιν τ^εν Ἕκτωρ δeµου, Sπε^ ο [ gταJρο1 Oην 6^λο1 εiλαπιναστe1

“Tra i Troiani era Pode, il figlio di Eezione, ricco e valente; sopra gli altri del popolo Ettore l'onorava, poiché gli era caro commensale.”

Il significato di εiλαπιναστe1 è così spiegato da Ateneo: «con “caro commensale” Omero intende “compagno durante il pranzo”».

128 Il testo di Ateneo proposto è quello di Kaibel. Per comodità di lettura si riporta la traduzione di Rimedio.

129 Ath. 6.234c-248c. 130 Ath. 6.248c-262a.

(3)

primo passo in questa direzione. Ancora una volta, l'idea sottesa a una simile operazione non è quella di rintracciare legami genetici tra passi, rivendicare presunte originalità o denunciare altrettanto presunte dipendenze dirette, bensì quella di mostrare la continuità tra la scena greca e quella romana, evidenziando tematiche ed elementi comuni ai due ambiti.

Condurre uno studio del genere in relazione a tutti i testi comici greci e latini di cui disponiamo131 sarebbe sicuramente interessante e proficuo, ma trascenderebbe le possibilità – nonché le finalità – di questo lavoro132. I termini del confronto saranno dunque da un lato, come detto, Ateneo, e dall'altro i soli Captivi: si tratta di un campo abbastanza ristretto da consentire un'indagine completa, ma abbastanza ricco da essere sicuramente indicativo rispetto a un livello di analisi più ampio.

131 Secondo la ricostruzione di Ribbeck, pp. 30-1 (che cita esaustivamente autori e titoli), il numero di commedie greche comprendenti κCλακε1 o parassiti sarebbe compreso tra 55 e 76, mentre la corrispondente produzione latina si aggirerebbe tra i 25 e i 42 titoli.

132 La complessità di un simile tentativo risulta bene da studi come quello di Antonsen-Resch, in cui l'idea è quella di gettare uno sguardo contemporaneamente generale e analitico su tutti i parassiti rappresentati in Plauto e Terenzio, ma il lavoro finisce spesso per risultare piuttosto dispersivo, e necessariamente incompleto.

(4)

3.1. Il parassita come scroccone

Dopo una serie di passi dedicati alla spiegazione dell'origine della figura (reale e letteraria) del parassita133, Ateneo presenta un brano da La speranza o La ricchezza di Epicarmo (fr. 32 K.-A. = Ath. 235f), in cui un parassita si presenta, descrivendo le sue attività quotidiane. I primi due versi recitano:

συνδειπν5ων τv λwντι, καλ5σαι δεJ µCνον, καT τv γα µx λιwντι, κωyδzν δεJ καλεJν 134

E' immediato il paragone con i vv. 69-70 dei Captivi,

Iuventus nomen indidit ‘Scorto’ mihi eo quia inuocatus soleo esse in conuiuio

In entrambi i casi, la prima cosa che il parassita dice di sé riguarda l'attività fondamentale del procacciarsi da mangiare gratis135. Ergasilo si vanta fin da subito

133 Cfr. Appendice 1.

134 “Pranzando con chi mi vuole: deve solo invitarmi / e con chi non mi vuole: non deve neppure invitarmi”.

135 E' interessante come nei Captivi sia invece praticamente assente la tematica del bere: l'unico accenno, decisamente incidentale e motivato più che altro dal gioco di accumulazione verbale, si

(5)

della sua capacità di “imbucarsi” ai banchetti altrui, e lo fa con un'espressione, inuocatus ... esse136, che rimanda da vicino non solo al v. 2 del frammento di Epicarmo, ma ad esempio anche al fr. 193 K.-A. di Antifane (dai Figliastri), vv. 2-7 (= Ath. 238e), τ\ν τρCπον µzν ο|σθc µου … δειπνεJν ~κλητο1 µυJα 137 e al fr. 31 K.-A. di Apollodoro di Caristo (dalla Ragazza sgozzata), vv. 2-3 (= Ath. 243e), καλw δz Χαιρε6wντα· κ€ν γρ µx καλw, / ~κλητο1 ‚ξει 138.

trova al v. 771, dove si parla di potationes. I parassiti della commedia greca desiderano generalmente dissetarsi di vino tanto quanto saziarsi di cibo: cfr. p. es. Epicarmo, fr. 32 K.-A. v. 7 (= Ath. 236a) πολλ κατα6αγVν, πCλλ’ Sµπιƒν (“dopo aver molto mangiato e bevuto”), Aristofonte, fr. 10 K.-A. „δωρ δz π^νειν βcτραχο1 (“per il bere acqua devi pensare a una rana”. Per il contesto di questo verso cfr. infra). Cfr. anche Diodoro di Sinope, fr. 2 K.-A., vv. 12.19-20 = Ath. 239c-d., in cui Zeus, indicato come ε‡ρετx1 dell'arte parassitica, Gριστ^σα1 gαυτCν, SντραγVν, πιVν (“offrendosi il pranzo, mangiando e bevendo”), imitato dal parassita umano: πcντων G πολαˆσα1 τwν παρατεθ5ντων, πιVν, / Gπ5ρχοµ’ ο‰καδ’(ε) (“godo di ogni portata, bevo, poi ... me ne torno a casa”).

E' curioso e molto significativo il verso 109, in cui Ergasilo parla di se stesso ricordando episodi che l'hanno visto “ubriaco”, ebrius. Ma la fonte di questa ebbrezza... era il cibo, ingollato fino alla saturitas!

136 L'espressione inuocatus esse può contenere, a mio parere, un gioco di parole fondato sull'omografia degli infiniti di edo e sum: il parassita è vocato, ma anche e soprattutto mangia da in-vocato (cfr. anche la nota seguente). I commenti, tuttavia, non segnalano questa possibilità. 137 “Sono appunto così ... una mosca a mangiare non invitato”

138 “Invoco Cherefonte; infatti, pur se non lo invoco, verrà non invocato”. Sull'abitudine di entrare di straforo a pranzi e cene (ritenuta tipica di Cherefonte, parassita del prodigo Demozione, per cui cfr. Timocle, fr. 9 K.-A. = Ath. 243b-c), si vedano anche il fr. 29 K.-A. dello stesso Apollodoro di Caristo (= Ath. 243d), dalla Sacerdotessa:

καινCν γ5 6ασι Χαιρε6wντ’ Sν τοJ1 γcµοι1 ‹1 τ\ν Ὀ65λαν ~κλητον εiσδεδυκ5ναι

(“Dicono che un nuovo Cherefonte si è introdotto non invitato alle nozze da Ofela [...] piombò dentro e prese parte al banchetto”)

(6)

D'altronde, ai vv. 75-7, Ergasilo dirà chiaramente:

nos parasiti planius quos numquam quisquam neque uocat neque inuocat quasi mures edimus alienum cibum

riecheggiando il Pugile di Timocle (fr. 31 K.-A., vv. 1-3 = Ath. 246f.):

ε‡ρeσει1 δz τwν Sπισιτ^ων τοˆτων τιν’ ο δειπνοσιν Sσ6υδωµ5νοι τGλλCτρι’(α),139

il fr. 1 K.-A. di Timoteo (= Ath. 234d), dal Cucciolo:

πειρVµεθ’ ‡ ποδˆντ’ S1 τ\ δεJπνον Gπι5ναι. εi 1 gπτcκλινον δ’ Sστ^ν, ‹1 O6ραζ5 µοι, €ν µx παρcβυστC1 που γ5νηται Χαιρε6wν

(“Cerchiamo di andar furtivamente al pranzo. Ci sono fino a sette divani, così mi diceva, a meno che non venga per caso quell'intruso di Cherefonte”).

e il fr. 27 Dalby di Linceo di Samo (= Ath. 245a):

Χαιρε6wν δ5,

6ησ^ν, “ παρcσιτο1 εi1 γcµον ~κλητο1 εiσελθƒν…

(“Si dice che il parassita Cherefonte un giorno, recatosi non invitato a una festa di nozze…”)

Il primo esempio di ospite non invitato nell'ambito della commedia greca è costituito nientemeno che da Eracle, nell'Herakles ho para Folo di Epicarmo. Su Eracle come protettore dei parassiti (i quali originariamente erano addetti al suo culto, cfr. Ath. 234e. 235a), cfr. Curc. 358 inuoco almam meam nutricem Herculem, Stich. 223 Hercules te amabit prandio, cena tibi. Sul versante greco cfr. Ar. Vesp. 60 ἩρακλY1 τ\ δεJπνον SξαπατVµενο1.

139 “Troverai uno di questi che si guadagnano il vitto, i quali mangiano alimenti d'altri fino a scoppiare”. Notare il termine Sπισ^τιοι, considerato da Ateneo equivalente a παρcσιτοι. In questa sezione dei Deipnosofisti (246f-248c) si discute dei termini etimologicamente o semanticamente affini a παρcσιτο1, vale a dire (a parte il già discusso κCλαξ) Sπισ^τιο1 / Sπ^σιτο1 (“chi si guadagna il

(7)

e i ΚCλακε1 di Eupoli (fr. 172 K.-A., vv. 11-2 = Ath. 236f.):

ε| τ’ SπT δεJπνον SρχCµεσθ’ ~λλυδι1 ~λλο1 –µwν µ— ζαν Sπ’ GλλC6υλον 140

Ma i Captivi ci offrono anche la possibilità di vedere il parassita nel pieno dell'azione, quando ai vv. 172-7, con un misto di astuzia retorica e sfacciataggine, riesce ad estorcere a Egione un (magro) invito a pranzo:

ERG. Sed num quo foras vocatus es ad cenam?

HEG. Nusquam quod sciam. Sed quid tu id quaeris?

ERG. Quia mi est natalis dies; propterea <a> te uocari ad te ad <ce>nam uolo. HEG. Facete dictum! Sed si pauxillo potes

contentus esse.

vitto”), GπCσιτο1 (“lo schifiltoso”), οiκCσιτο1 (“chi vive del suo”), σιτCκουρο1 (“chi mangia a sbafo”), αyτCσιτο1 (“chi si porta la sua razione di cibo”), κακCσιτο1 (“l'inappetente”), ˜λιγCσιτο1 (“chi mangia poco”).

(8)

3.2. Le armi del parassita: il riso

Ma non sempre è così facile. Solitamente il parassita, per essere ammesso all'agognata tavola, ha bisogno di dare qualcosa in cambio al suo benefattore. E la sua arma principale, in questi casi, è costituita dall'umorismo e dalla parlantina sciolta: al v. 3 del già citato frammento 32 K.-A. di Epicarmo leggiamo

τηνεT δz χαρ^η1 τ’ εiµT καT ποι5ω πολ™ν γ5λωτα141

Sfogliando ancora Ateneo, troviamo il fr. 172 K.-A. di Eupoli (= Ath. 236E-f), dagli Adulatori, ai vv. 12-13:

οš δεJ χαρ^εντα πολλ τ\ν κCλακ’ εyθ5ω1 λ5γειν › ’κ65ρεται θˆραζε. 142

E, nei Poeti, Alessi fa dire a un personaggio (fr. 188 K.-A. = Ath. 241d)

οšτο1 γελ—σθαι κα T γ5λοι’ Gε T λ5γειν

141 “Lì [a tavola] sono di spirito e faccio ridere molto”.

142 “[L'adulatore] deve subito dire molte amenità o è cacciato via”. Sulla coppia κCλαξ / παρcσιτο1 cfr. l'eccellente Ribbeck 1883, e le pp. 88-121 di Nesselrath. Sull'adulazione nei Captivi cfr. infra.

(9)

µετ  τ\ν ΚCρυδον µcλιστ’ œθηνα^ων πολˆ.143

Ancora una volta, l'affinità tra i protagonisti di questi frammenti ed Ergasilo è notevole. E ancora una volta nei Captivi troviamo prima un momento “teorico” e poi uno “pratico”: al v. 472 Ergasilo definisce i parassiti come uomini

quibus sunt uerba sine penu et pecunia,

la cui unica ricchezza, cioè, è costituita da una loquela agile ed efficace144. Non solo, essi sono, ai vv. 470 e 477, i ridiculi (e gli inopes) per definizione145. Ma come lavorano questi professionisti della risata? Nel suo secondo monologo (vv. 461-497) Ergasilo commenta e descrive i suoi falliti tentativi di procacciarsi un invito a pranzo al Foro. La scena è questa (vv. 478-486):

Nam <ego> ut dudum hinc abii, accessi ad adolescentes in foro: 'Saluete' inquam. 'Quo imus' [una] inquam 'ad prandium?' Atque illi [tacent.

'Quis ait: hoc? aut quis profitetur?' inquam. Quasi muti silent, neque me rident. 'Ubi cenamus <una>?' inquam. Atque illi abnuunt.

143 “Sì, certo, voglio essere tale da far ridere e dire sempre cose scherzose, molto più d'ogni altro Ateniese, eccetto Allodola”. Allodola è uno dei parassiti celebri menzionati da Ateneo. Di lui sempre Alessi dice che (fr. 229 K.-A., dalla Balia) “ ΚCρυδο1 οšτο1, “ τ γ5λοι’ εiθισµ5νο1 / λ5γειν, “ha l'abitudine di dire cose scherzose”.

144 Proverbiale è ovviamente la povertà dei parassiti, per l'appunto privi di penus et pecunia: cfr. p. es. il fr. 11 K.-A. dal Malevolo di Timocle (= Ath. 241a), in cui un parassita chiede il prezzo di tutti i pesci e alla fine compra il meno caro.

(10)

Dico unum ridiculum dictum de dictis melioribus, quibus soleba, menstrualis epulas ante adipiscier: nemo ridet. Scivi extemplo rem de compecto geri. Ne canem quidem irritatam uoluiti quisquam imitarier, saltem, si non arriderent, dentes ut restringerent.

Muovere al riso l'interlocutore (o gli interlocutori) è dunque lo strumento principe del parassita, tant’è vero che, per rendersi conto del proprio fallimento, Ergasilo non ha nemmeno bisogno che qualcuno gli rivolga la parola: basta vedere che nemo ridet (v. 484). E non solo nessuno ride di gusto: non c’è neanche nessuno che accenni una risatina o per lo meno un sorriso “di cortesia”. Lo scacco è totale.

E dire che far ridere è un'arte, una techne vera e propria per i parassiti, che hanno dispongono anche di precisi ferri del mestiere. La chiave del successo del parassita sta nel suo repertorio: nel subitaneo attacco agli adolescentes in foro, il primo tentativo è schietto, diretto ed esplicito fin quasi alla scortesia: quo imus ad prandium? “Dove si mangia?”146; il secondo, invece, è meno scoperto e più “professionale”. Ergasilo sposta il discorso e gioca la carta dell'umorismo (v. 483 dico unum ridiculum dictum), ma senza concedere nulla ad una rischiosa improvvisazione: egli sceglie il suo dictum da uno stock ben preciso e collaudato (v. 483 de dictis melioribus)147, che finora gli ha

146 Fino a qualche minuto prima, d'altronde, questo sistema aveva funzionato, tant’è vero che da Egione l'invito era arrivato.

147 Cfr. i logos ridiculos in volume posseduti – e messi all'asta – da Gelasimo nello Stichus (v. 221), e ancora di più il “tesoro” di Saturio nel Persa (vv. 391-6):

Ne te indotatam dicas, quoi dos sit domi: librorum eccilllum habeo plenum soracum:

(11)

sempre fruttato parecchio (v. 483 quibus solebam menstrualis epulas ante adipiscier). Ma anche così, niente da fare: questa volta gli tocca andar via a bocca asciutta, destino piuttosto comune tra i suoi “colleghi”148.

si hoc adcurassis lepide cui rem operam damus,

dabuntur dotis tibi sescenti logi,

atque Attici omnes; nullum Siculum acceperis. Cum hac dote poteris vel mendico nubere.

148 Cfr., poco sotto, il riferimento ad altri parassiti presenti al foro e rimasti a bocca asciutta: item alii parasiti frustra obambulabant in foro (v. 491). Una battuta sbagliata poteva rovinare la festa anche ai parassiti greci: cfr. quanto scrive Eupoli nei ΚCλακε1 (fr. 172 K.-A. = Ath 237a), vv. 15-6:

ο|δα δ’ œκ5στορ’ αyτ \ τ\ν στιγµατ^αν παθCντα· σκwµµα γρ ε|π’ Gσελγ51, ε|τ’ αyτ\ν “ παJ1 θˆραζε Sξαγαγƒν Oχοντα κλοι\ν παρ5δωκεν Οiνε J .,

(“Acestore ... fu spiritoso, ma offensivo, e subito lo schiavo lo spinse fuori dalla porta e lo diede a Eneo con la catena al collo”).

(12)

3.3. Le armi del parassita: l'adulazione

Il parassita greco è fondamentalmente un adulatore, tant’è vero che spesso i termini κCλαξ e παρcσιτο1 sono utilizzati come sinonimi 149. Ateneo cita a questo proposito numerosissimi passi, a partire ancora una volta dal fr. 32 K.-A. di Epicarmo, vv. 3-4 (= Ath. 235f - 236a), τηνεT δz … τ\ν [στιwντ’ Sπαιν5ω150.

Negli Adulatori di Eupoli il coro di κCλακε1 dice (fr. 172 K.-A. vv. 7-10 = Ath. 236f):

Sκε J δ’ Sπειδν κατ^δω τιν’ ~νδρα

Ÿλ^θιον, πλουτοντα δ’, εyθ™1 περ T τοτον εiµ^. κ~ν τι τˆχ L λ5γων “ πλοˆταξ, πcνυ τοτ’ Sπαιν w κα T καταπλeττοµαι δοκwν τοJσι λCγοισι χα^ρειν151

Nel Draconzio di Timocle (fr. 8 K.-A., v. 9 = Ath. 237e) si parla di un parassita:

149 Cfr. Ath. 236e, ο [ δ’ GρχαJοι ποιητα T το™1 παρασ^του1 κCλακα1 Sκcλουν, “I poeti antichi chiamavano i parassiti κCλακε1”. La diatriba sui due termini, che pure ha dato da pensare ai moderni (cfr. per fare un solo esempio, Ribbeck), risale già agli antichi, e riguarda sia l'ambito linguistico/letterario (sinonimia o meno delle voci), sia quello scenico/teatrale (eventuale differenza di costumi e maschere).

150 “Lì [a tavola] . . . tesso le lodi del mio ospite”.

151 “Là, se vedo un uomo sciocco, ma ricco, subito a lui mi incollo. E se per caso quel riccone dice qualcosa, lodo molto le sue parole, e mi stupisco, fingendo piacere a quanto egli dice”.

(13)

Sπαιν5τη1 θαυµαστ\1 ο ο1 τwν 6^λων152

e il Timoniere di Alessi (fr. 121 K.-A. v. 10 = Ath. 237c) contiene l'efficace espressione κολακε^α1 GγVν “e' una gara d'adulazione”.

Ma l'esempio di adulazione in assoluto più simpatico (pur se dall'umorismo piuttosto greve) resta quello contenuto nell'Ereditiera di Diodoro di Sinope (fr. 2 K.-A., vv. 35-40 = Ath. 239f), in un frammento che tra l’altro Ateneo commenta dicendo ∆ιCδωρο1 …οyκ Gγλα6ˆρω1 τcδε 6ησ^ν, “Diodoro . . . si esprime con una certa eleganza”153: ο 1 Sπειδν προσερˆγ L ¢α6ανJδα κα T σαπρ\ν σ^λουρον κατα6αγVν, ‰α κα T ¢Cδα 6ασTν αyτ\ν Ÿριστηκ5ναι. Sπν δ’ Gποπcρδ L µετc τινο1 κατακε^µενο1 τοˆτων, προσcγων τxν ¢Jνα δεJθ’ α‡τ v 6ρcσαι· ‘πCθεν τ \ θυµ^αµα τοτο λαµβcνει1;’154

Ed Ergasilo? A quanto pare, l'adulazione non si addice al nostro parassita, che anzi ne fa un uso distorto e decisamente ironico: al v. 105 (quando comunque è solo in scena, per cui non si potrebbe comunque parlare di adulazione vera e propria), si

152 “Come straordinariamente elogia i suoi amici!”.

153 In realtà Ateneo non ha tutti i torti: il passo riportato è preceduto da 20 versi di delicato confronto tra i parassiti e Zeus 6^λιο1 (considerato “inventore” dell'arte parassitica) e da altri 10 in cui si parla dei parassiti addetti al culto di Eracle.

154 “Se ad essi rutta in faccia un signore, che ha mangiato ravanelli e un putrido siluro, “Hai mangiato viole e rose!” gli dicono. Se, sdraiato vicino a loro, un signore scoreggia, lo prega di dirgli: “Dove ti procuri questo profumo?” e il naso protende”.

(14)

lascia andare a un complimento per il suo padroncino, dicendo

Ille demum antiquis est adulescens moribus

frase che, detta su una scena romana, aveva un suo peso. Ma già al verso successivo la solennità del lusinghiero richiamo al mos maiorum viene prontamente smontata, quando, dicendo

cuius numquam uoltum tranquillaui gratiis,

Ergasilo rende evidente il fatto che l'apparente complimento derivava semplicemente dal fatto che Filopolemo è un patrono generoso, che elargisce abbondante cibo al solo contraccambio di un sorriso155.

Qualche verso dopo (138-145) abbiamo qualcosa di analogo, stavolta con la partecipazione di Egione:

HE. Ne fle.

ERG. Egone illum non fleam? Ego non defleam

155 Gratiis è evidentemente una parola-chiave per l'arte parassitica. E infatti la si ritrova anche nella commedia greca, ad esempio in un frammento dell'Etrusco di Antifane (fr. 208 K.-A. = Ath. 240f), complessivamente di dubbia interpretazione ma in cui è evidente il ricorrere del termine προJκα in relazione al parassita Titimallo:

{Α.} Gρετ x τ \ προJκα τοJ1 6^λοι1 ‡πηρετεJν. {Β.} λ5γει1 Oσεσθαι <τ\ν> Τι舵αλλον πλοˆσιον. ε i πρcξεται γρ µισθ\ν Sκ το  σο  λCγου παρ’ ο σι δειπνε J προJκα, συλλ5ξει συχνeν.

(“[A:] - Servire gratis gli amici è una virtù. [B:] - Intendi dire che Titimallo sarà ricco. Infatti, se egli, secondo quel che dici, sarà ricompensato da quelli con cui pranza gratis,

(15)

talem adulescentem?

HE. Semper sensi filio

meo te esse amicum, et illum intellexi tibi. <ERG.> Tum denique homines nostra intellegimus bona,

quom quae in potestate habuimus ea amisimus. Ego, postquam gnatus tuus potitust hostium, expertus quanti fuerit, nunc desidero.156

Anche qui probabilmente non si può parlare di adulazione, ma abbiamo comunque qualcosa di molto simile: Ergasilo pronuncia parole che sa di sicuro effetto sull'affranto Egione, pronto a commuoversi alla sola menzione del figlio. Proprio come nel caso precedente, il parassita rincara la dose con un'espressione carica di auliche implicazioni culturali, “ci si accorge del valore di ciò che si ha solo quando lo si perde”, immediatamente seguita da un momento di βcθο1. Stavolta però – data la presenza di un interlocutore che dev'essere “conquistato” – la demolizione del πcθο1 si serve di un'ironia molto fine: il genitivo di stima in expertus quanti fuerit, infatti, può sì riferirsi (e così sicuramente lo intende Egione) alla statura morale e al valore affettivo del giovane, ma anche (e c’è da credere che questo sia il senso che Ergasilo intende contrabbandare) al “valore” materiale di Filopolemo come costante fornitore di pasti

raccoglierà una grande virtù”).

156 Lo stesso concetto espresso in questo passo e nel precedente si ritrova (parecchio più esplicito) in un dialogo tra patrono e parassita nel Braciere di Alessi (fr. 205 K.-A. = Ath. 244e):

Στρcτιε, 6ιλεJ1 δeπου µε. {ΣΤΡ.} µ—λλον το  πατρC1· “ µzν γρ ο y τρ56ει µε, σ ™ δ z λαµπρw1 τρ56ει1.

“[Patrono:] Stratio, certo mi ami. [Parassita:] Più di mio padre. Non è lui infatti a nutrirmi, ma sei tu, e sontuosamente”

(16)

gratuiti157.

Un terzo e ultimo caso di “adulazione” ironica si trova ai vv. 835-6, quando Ergasilo (nel pieno dell'esaltazione) si rivolge a Egione con le parole

Oh mihi, quantum est hominum optimorum optime, in tempore aduenis.

Si tratta di un'apostrofe estremamente enfatica158, che formalmente si presterebbe benissimo a essere interpretata come frutto di adulazione. Tuttavia, a questo punto dell'azione, Ergasilo ha già in mano la chiave tanto della felicità di Egione quanto della propria, per cui non ha nessun bisogno di ingraziarsi il senex. Anzi, nella pomposità dell'espressione (che comunque potrebbe ricordare formule di saluto come l’oraziano dulcissime rerum) si avverte una certa supponenza che mal si addice ad un parassita, per definizione sottomesso. Lo stesso Egione lo nota (v. 837 fastidis), tanto da supporre che Ergasilo sia così baldanzoso perché ha trovato un più ricco invito a pranzo. I ruoli così si rovesciano: il parasitus triumphans diventa dispensatore di benefici, mentre il ricco senex arriva a dire Tum tu mi igitur erus es (v. 857) e a subire battute oscene (v. 867) da chi fino a poco prima era ridotto a mendicare da lui un invito a pranzo. E' probabile che nessuna commedia abbia mai conosciuto un parassita altrettanto di successo.

157 I commenti, forse dandola per scontata, non segnalano questa possibilità.

158 Si pensi al celebre Cat. 2.2, o quantumst hominum uenustiorum: anche in quel caso l'enfasi della formulazione è ironicamente intesa a produrre un senso di solennità, in relazione a un evento dalla portata di per sé minima.

(17)

3.4. Le armi del parassita: l'aggressività

Tra le attività tipicamente parassitiche menzionate dai documenti di Ateneo si segnala una mansione che il nostro Ergasilo non può assolutamente svolgere nel corso della commedia: il costante appoggio offerto al patrono in caso di un suo diverbio con terze persone. Un appoggio che non conosce mezze misure: il parassita di Epicarmo (ancora dal fr. 32, vv. 5-6 = Ath. 236a) dice:

κα ‰ κc τι1 Gντ^ον λ^ L τeν ¯ λ5γειν, τeν ¯ κυδcζοµα^ τε κGπ’ °ν ŸχθCµαν159

Quello dei Figliastri di Antifane (fr. 193 K.-A., vv. 4-6 = Ath. 238e) si definisce

τˆπτειν κεραυνC1, Sκτυ6λον τιν’ Gστραπe, 65ρειν τιν’ ~ρα1 ~νεµο1, GποπνJξαι βρCχο1, θˆρα1 µοχλεˆειν σεισµ\1, εiσπηδ—ν Gκρ^1160

e, in modo simile, il parassita del Medico di Aristofonte (fr. 5 K.-A. 3-7) si vanta:

δεJ τιν’ ~ρασθαι µ5σον τwν παροινοˆντων, παλαιστxν νCµισον αyταργειον

159 “E se qualcuno vuole contraddirlo [scil. il mio ospite], io lo insulto e mi irrito per quello che dice”. 160 “Una folgore a dar[e pugni], un lampo ad accecare uno, un vento a sollevare uno e trascinarlo via,

(18)

µ’ “ρ—ν.

προσβαλεJν πρ\1 οiκ^αν δε J , κριC1· GναβYνα^ τι πρ\1 κλιµcκιον ... Καπανεˆ1· ‡ποµ5νειν πληγ1 ~κµων· κονδˆλου1 πλcττειν δ z ΤελαµVν· το™1 καλο™1 πει- ρ—ν καπνC1.161

Si può facilmente immaginare che, in assenza del patrono, un parassita come Ergasilo non avesse nessun interesse a gettarsi in una rissa. Anzi, da lui ci si potrebbe aspettare un comportamento simile a quello di un personaggio del Calcidese di Assionico (fr. 6 K.-A., vv. 9-13 = Ath. 239f), brillante esempio di diplomazia parassitica: ο ον 6^λερ^1 τ^1 Sστι κα T µcχετα^ τ^ µοι· µετεβαλCµην πρ\1 τοτον ±σα τ’ ε‰ρηκ5 µε κακw1 “µολογwν εyθ5ω1 ο y βλcπτοµαι. πονηρ\1 ²ν τε χρηστ\1 ε|ναι 6ησ^ τι1· Sγκωµιcζων τοτον Gπ5λαβον χcριν. 162

Due regole, dunque: sapersi scegliere il “protettore”, ed essere pronti a tutto.

161 “Si deve toglier di mezzo un ubriaco che reca molestie? Immagina in me di vedere un lottatore argivo. Si deve dar l'assalto alla casa di uno? Sono un ariete. Si deve salire su una piccola scala? [. . .] Capaneo. A sopportare i colpi sono un'incudine; un Telamone a dar pugni; fumo a provocar quelli belli”.

162 “Così se uno è attaccabrighe e litiga con me per qualche cosa, passo dalla sua parte e, accettando subito quanto di male ha detto di me, non subisco danni. Se poi un birbante dice di essere una brava persona, lo riempio di lodi e me lo ingrazio”.

(19)

3.5. Le armi del parassita: disponibilità e sopportazione

Essere pronti a tutto vuol dire in sostanza restare a disposizione del proprio τρ56ων ventiquattr’ore su ventiquattro, in ogni circostanza.

Nella commedia greca ciò significa innanzi tutto assisterlo nei suoi affari: nella “garbata caratterizzazione del parassita” (χαρακτηρ^ζει δ’ οyκ Gρρˆθµω1 τ\ν παρcσιτον “ποJC1 τ^1 Sστι ΤιµοκλY1 Sν ∆ρακοντ^ ¯ ο„τω1, Ath. 237d) offerta da Timocle nel Draconzio, si legge (fr. 8 K.-A. vv. 6-8 = Ath. 237e):

Sρ³1, συνεραστx1 Gπρο6cσιστο1 γ^γνεται. πρcσσει1 τι, πρcξει συµπαρƒν ± τι €ν δ5 L , δ^καια ταyτ  τ v τρ56οντι νενοµικV1163

Significa condividere con discrezione, nel bene e nel male, le sue sorti, e offrire un po’ di sostegno morale, come scrive Antifane nei Gemelli (fr. 80 K.-A. vv. 5-12 = Ath. 238 a-b):

SστTν πολυτελx1 τ v β^ ¯ τι1· ο y 6θονε J , µετ5χειν δ z τοˆτων ε´χετ’ αyτ v συµπαρVν. κGστTν 6^λο1 γενναJο1 Gσ6αλe1 θ’ µµα,

163 “Ami? Egli ti è premuroso compagno d'amore. Tratti un affare? Standoti vicino farà ciò che ti serve, e quanto è giusto per il suo patrono, lo è anche per lui”.

(20)

ο y µcχιµο1, ο y πcροξυ1, οyχ T βcσκανο1, ˜ργxν SνεγκεJν GγαθC1· €ν σκVπτL1, γελ ³ · (10) SρωτικC1, γελοJο1, [λαρ\1 τ v τρCπ ¯ ·

πcλιν στρατιVτη1 Gγαθ\1 εi1 ‡περβολeν, €ν ¶ τ \ σιτcρκηµα δεJπνον εyτρεπ51.164

Significa sopportarne le bizze. Assionico nel Calcidese (fr. 6 K.-A., vv. 1-3 = Ath. 239f) fa dire a un suo personaggio:

±τε το  παρασιτεJν πρwτον Ÿρcσθην µετ Φιλοξ5νου τY1 Πτερνοκοπ^δο1 ν5ο1 Oτ’ ²ν, πληγ1 ‡π5µενον κονδˆλων κα T τρυβλ^ων165

Infine, significa mantenere la calma trattenendo sempre la rabbia, come fa il “parassita arrabbiato” nella “riedizione” (Sν δz τ¸ διασκευ¸ το αyτο δρcµατο1) della Sinoride di Difilo (fr. 75 K.-A. = Ath. 247c):

˜ργ^ζεται; παρcσιτο1 ¹ν ˜ργ^ζεται;

164 “Se uno vive sontuosamente, non ne prova invidia, ma, standogli accanto, prega d'aver parte agli agi. Egli è nobile amico e insieme sicuro, non è litigioso, irritabile o maligno, ed è capace di sopportare la collera. Ride, se ti burli di lui: ed è per carattere incline all'amore, scherzoso, gaio. E poi è buon soldato al massimo grado, se per razione gli tocca un lauto pasto”.

165 “Quando, ancor giovane, insieme a Filosseno ‘Rovina-prosciutti’, mi prese la voglia di fare il parassita, tolleravo pugni e lanci di coppe e di ossi”.

Analogamente Timocle, nel Pugile (fr. 31 K.-A. vv. 2-3 = Ath. 246f), parla degli Sπισ^τιοι (cfr. supra §§§ in questi termini:

gαυτο™1 Gντ T κωρˆκων λ5πειν παρ5χοντε1 GθληταJσιν

(21)

{Β.} οyκ Gλλ’ G λ ε^ψα1 τxν τρcπεζαν τ ¸ χολ ¸ (20) 0σπερ τ  παιδ^’ α‡τ\ν GπογαλακτιεJ166

Ebbene, tutti e quattro questi requisiti sono soddisfatti da Ergasilo.

La prima (e unica) persona che incontra in scena è Egione. Egione non è propriamente il suo patrono, ma è un potenziale (benché non molto attraente) ospite. Il parassita, quindi, si fa carico dei suoi problemi. Certo, a modo suo: appena si rende conto che i loro interessi coincidono, solidarizza con lui, manifesta partecipazione emotiva (ovviamente egoistica: cfr. p. es. vv. 148-9:

Alienus? Ego alienus illi? Aha, Hegio

Numquam istuc dixis neque animum induxis tuum. Tibi ille unicust, mi etiam unico magis unicus)

e interesse intellettuale (cfr. i vv. 98-9). Ben presto, però, torna a concentrarsi sulle sue esigenze private, e si dimentica del senex (praticamente dal v. 194 al v.768), salvo poi assumere con travolgente entusiasmo il ruolo di salvatore dello sventurato padre, ponendo la sua firma sullo scioglimento della vicenda. Forse non è molto, ma d'altronde abbiamo visto che il parassita, semplicemente, «Standoti vicino farà ciò che ti serve».

Le fondamenta del rapporto Ergasilo/Egione, così come si delinea nel corso della commedia, sono evidenti dai vv. 98-103:

166 “[A:] è arrabbiato?

(22)

nunc hic occepit quaestum hunc fili gratia inhonestum [et] maxime alienum ingenio suo; homines captiuos commercatur, si queat aliquem inuenire suum qui [cum] mutet filium. Quod quidem ego nimis quam cupio † ut impe<t>ret; nam ni illum recipit, nihil est quo me recipiam.

Il parassita, lo abbiamo detto, è vicino a Egione. E nonostante, sulla base di motivazioni perfettamente altruistiche (il quaestum è inhonestum e alienum ingenio suo), non condivida le sue scelte, ne condivide la sofferenza (certo, per suoi egoistici motivi167, ma cfr. il passo citato dei Gemelli, «prega d'aver parte agli agi»). Ed è lo stesso Egione – qui oggetto di una punta d'ironia per la sua ingenuità – a dargliene atto, quando dice (v. 151) laudo, malum cum amici tuum ducis malum.

I mala derivanti da un patrono assente sono un'eccezione, ma la vita ordinaria dei parassiti non è affatto tutta rose e fiori. Abbiamo visto un parassita greco lamentarsi di colpi e pentolate in testa (verosimilmente ricevuti dal patrono in qualche momento di stizza), e scopriamo che Ergasilo conosce bene il problema, ma lo considera una condizione necessaria della – tutto sommato comoda – condizione di parassita, dato che ai vv. 88-90 dice:

167 La coesistenza, in Ergasilo, di un'anima altruista e di un'anima egoista si manifesta anche, p. es., nell'a-parte dei vv. 129-132:

Aegre est mi hunc facere quaestum carcerarium propter sui gnati miseriam miserum senem. Sed si ullo pacto ille huc conciliari potest, uel carnuficinam hunc facere possum perpeti.

(23)

Et hic quidem hercle, nisi qui colaphos perpeti potis parasitus frangique aulas in caput, uel ire extra portam trigeminam ad saccum licet.

E nel suo lamento sui mala tempora che corrono per la sua antica arte, chiama i parassiti (v. 472) plagipatidas, “arnesi da schiaffi”.

Ma il parassita tollera tutto, non perde la calma, e se si scoraggia è solo per un attimo, in attesa della soluzione. Ergasilo ne dà un'egregia prova nel suo secondo monologo, recitato al ritorno dal foro, dopo la cocente delusione di non essere riuscito a trovare un ospite nonostante gli sforzi profusi. Il primo istinto è quello di compiangere o maledire tutti: se stesso (vv. 461-63 miser homo est... ille est miserior... ille miserrimust), il tempo (v. 464 nam hercle ego huic die, si liceat, oculos effodiam lubens), il suo mestiere (v. 469 ilicet parasiticae arti maxumam malam crucem), i mala tempora e le nuove generazioni (significative le iterazioni di iam, “ormai”, e i riferimenti a iuuentus e adolescentes). Ma in definitiva la rabbia sbollisce presto, e cede il posto alla risolutezza, che a sua volta si traduce in un proposito concreto, quello di rimettersi in moto per cercare una soluzione alternativa al problema. Perché c’è una sola cosa che il parassita non riesce a tollerare se non con estrema difficoltà: la fame.

(24)

3.6 Il parassita affamato

La fame è il peggiore incubo dei parassiti: è contemporaneamente l'origine della loro attività, il motore delle loro azioni, la pena per i loro fallimenti.

Nel Seguace di Pitagora di Aristofonte (fr. 10 K.-A. = 238c-d) troviamo la sarcastica descrizione di un pitagorico, condotta secondo un procedimento antonomastico, per cui ad ogni caratteristica del personaggio è associata una figura che la rappresenta al massimo grado. Ai vv. 3-9 si legge

„δωρ δz π^νειν βcτραχο1, Gπολασαι 舵ων λαχcνων τε κcµπη, πρ\1 τ\ µx λοσθαι ¢ˆπο1, ‡πα^θριο1 χειµwνα διcγειν κCψιχο1, πνJγο1 ‡ποµεJναι καT µεσηµβρ^α1 λαλεJν τ5ττιξ, Sλα^¯ µηδz χρ^εσθαι τ\ π—ν κονιορτC1, GνυπCδητο1 ½ρθρου περιπατεJν γ5ρανο1, καθεˆδειν µηδz µικρ\ν νυκτερ^1.168

168Per il bere acqua devi pensare a una rana, a un bruco per il godere di timo e verdure, a una lordura per il non lavarsi,per il passar l'inverno all'aperto a un merlo, per il sopportar la calura e ciarlare a mezzodi' a una cicala, per il non ungersi mai d'olio a un polverone, a una gru per il passeggiare scalzo all'alba, a un pipistrello per non dormire neppure un poco”.

(25)

Ma il paragone che apre la serie (tra l'altro l'unico tratto dall'ambito umano) è quello con il parassita:

πρ\1 µzν τ\ πεινYν Sσθ^ειν τε µηδz ¾ν νCµιζ’ “ρ—ν Τι舵αλλον › Φιλιππ^δην.169

E Titimallo e Filippide (due tipici nomi di parassiti) sono immediatamente associati alla fame e al digiuno.

Ma più di ogni altra cosa la fame è la base della loro comicità, se anche Orazio, dovendo nominare questi eredi di Dossennus, li qualifica con l'eloquente aggettivo edax.

La fame del parassita è più che un'esigenza fisiologica, è una ragione di vita: Timocle, nel fr. 10 K.-A. delle Lettere, vv. 2-5 (= Ath 240d-f), dice

Τι舵αλλο1 οyδεπVποτ’ Ÿρcσθη 6αγεJν ο„τω σ6Cδρ’ (…) οy ΚCρυδο1 Gσˆµβολο1 κινεJν ˜δCντα1.170

169A Titimallo o a Fidippide devi pensare per l'essere affamato e non mangiare proprio niente”. 170Mai Titimallo amò tanto mangiare [...] ne' Allodola muovere i denti senza pagar lo scotto” (sott.

(26)

La voglia di mangiare (possibilmente gratis) è così totalizzante nel parassita da diventarne il carattere distintivo. Ed è così travolgente da essere paragonabile all'amore. In effetti, come l'amante con l'amata, il parassita non pensa ad altro che al suo cibo e non perde occasione per goderne: dice un personaggio del Medico di Aristofonte (fr. 5 K.-A. = Ath. 238b)

~ν τι1 gστι³, πcρειµι πρwτο1, 0στ’ ¿δη πcλαι [....] ζωµ\1 καλαι171

Come l'amante dell'amata, non ne ha mai abbastanza: scrive Antifane nei Figliastri (fr. 193 K.-A. v. 7 = Ath. 238e):

µx ’ξελθεJν 6ρ5αρ172

Questa espressione è stata interpretata in due modi:173 per Quincey 1963 p. 96 il paragone si riferisce alla presunta capacità del parassita di bere enormi quantità di vino senza dover andare in bagno; per Bailey 1840 p. 59 l'idea è che sarebbe più facile smuovere un pozzo che fare andar via il parassita da un banchetto. Se la prima spiegazione ha il vantaggio di mantenersi, per così dire, in un ambito “idrico”,

171Se uno organizza un banchetto, io sono il primo, sicché già da tempo [...] mi chiamano ‘zuppetta’”.

172Un pozzo a non andar via”.

173Meineke ad loc., ritiene improprio il paragone con il pozzo, considerando preferibile quello con un uomo caduto nel pozzo (e che, quindi, non può andare da nessuna parte), e perciò ha proposto di considerare corrotto 6ρ5αρ. Kock 1884, vol II p.94, invece, si limita a dire che una parola tra 6ρ5αρ

(27)

presenta sicuramente il difetto di essere piuttosto laboriosa e dalla non scontata comprensibilità. L'idea di Bailey, invece, sembra più economica, in quanto la nozione di “senza fondo” e quella di staticità sono immediatamente associabili all'immagine del pozzo. Non solo: la prima parte del verso, che abbiamo già visto174, si riferisce al momento in cui il parassita si presenta non invitato al banchetto, e un accenno al fatto che non si decide mai ad andarsene (continuando a rimpinzarsi) contribuirebbe a caratterizzare appieno la sua ostinazione nell'imporre la propria presenza alla tavola altrui.

E la similitudine del pozzo – specialmente in senso alimentare – sarebbe senza dubbio calzante per Ergasilo, come ben sa Egione, che all'arguzia battuta Ergasilo (vv. 179-81)

nisi qui meliorem adferet

quae mihi atque amicis placeat condicio magis, quasi fundum uendam, meis me addicam legibus.

risponde (v. 182):

Profundum uendis tu quidem, haud fundum, mihi.

Eppure, nonostante sia consapevole della clamorosa voracità di Ergasilo, Egione

(28)

finisce per rinnovare l'invito, dicendo proprio al verso successivo:

Sed si venturu's, temperi.

Nonstante provi a scoraggiare il parassita prospettandogli una cena ben magra, il senex non riesce a rifiutargli un pasto, vuoi per innata gentilezza, vuoi perché memore delle parole del Parassita di Difilo (fr. 62 K.-A. = Ath.238f-239a):

GγνοεJ1 Sν ταJ1 GραJ1

± τι Oστιν, ε‰ τι1 µx 6ρcσει’ ˜ρθw1 “δ\ν › πρ Sναˆσει’ › δια6θε^ρει’ „δωρ, › δειπνιεJν µ5λλοντα κωλˆσαι τινc.175

Ma quali sono le maledizioni che un parassita può infliggere? Cosa può augurare a un ospite reticente o troppo parsimonioso? è Ergasilo stesso a darne un saggio ai vv. 494-5:

inrogabo multam, ut mihi cenas decem

meo arbitratu dent, cum cara annona sit. Sic egero.

Insomma, anche nella vendetta, l'unico orizzonte di azione e di pensiero del 174<testo greco>, “una mosca a mangiare non invitato”. Cfr. supra.

175Tu ignori la forza delle maledizioni lanciate contro chi non indica bene la strada o provoca un incendio o avvelena l'acqua, o si oppone a uno che ha voglia di mangiare”.

(29)

parassita è quello che Crampon176 chiama l'obsession de la nourriture. Certo, se vogliamo si tratta di un'ossessione piuttosto selettiva: al parassita non basta nutrirsi, vuole nutrirsi bene. Non appena, infatti, Egione gli dà motivo di temere un pasto troppo parco, Ergasilo mette subito le mani avanti (vv. 175-80):

ERG ...<a> te uocari ad te ad <ce>nam uolo. HEG Facete dictum! Sed si pauxillo potes

contentus esse.

ERG. Ne perpauxillo modo;

Nam istoc me assiduo uictu delecto domi. Age sis, roga emptum: nisi qui meliorem adferet quae mihi atque amicis placeat condicio magis...

Comunque vadano le cose, dunque, il parassita non si vincola a un solo benefattore, ma si lascia aperta la possibilità di cercare qualcosa di meglio. Ancora una volta abbiamo una dimostrazione pratica (vv. 183-91):

HEG: Sed si uenturu's, temperi.

ERG. Em, uel iam otium est.

HEG. I modo, uenare leporem. Nunc irim tenes. Nam meus scruposum uictus commetat uiam. ERG. Numquam istoc uinces me, Hegio; ne postules.

(30)

Cum calceatis dentis ueniam tamen. HEG. Asper meus uictus sane est.

<ERG.> Sentisne essitas?

<HEG> Terrestris cena est.

ERG. Sus terrestris bestia est.

<HEG.> Multis holeribus...

<ERG.> Curato aegrotos domi.

Ergasilo, invitato a cena, contesta preventivamente il menu: pur dichiarandosi disposto a mangiare qualunque cosa (anche un cibo spinoso come un porcospino, o che scruposam177 ... commetat uiam), preme perché gli venga servita una cena sostanziosa (sus terrestris bestia est) e ricca di gusto (“Con le verdure curaci gli ammalati!”), e comunque anche dopo essersi assicurato la promessa del pasto, continua ugualmente a cercare per ogni dove un invito piu' ricco. L'idea di ridursi a mangiare verdura sembra davvero uno spauracchio: Egesandro (fr. 10, FGH IV p. 415 = Ath. 250e-f) mette in scena un parassita, tra l'altro soprannominato Σετλον, “Bietola”, che dice

“ Καπανεˆ1, O6η, “ ‡π\ το Εyριπ^δου εiσαγCµενο1 Sν ταJ1 Ἱκ5τισιν

177Questo scruposam, di cui in questa sede è chiaro il senso generale, risulta a mio parere piuttosto oscuro quanto al significato letterale. Cosa significa “il mio cibo percorre una via sassosa”? Sarei tentato – senz'altra motivazione che la pura affinità lessicale – di accostarlo agli altrettanto “misteriosi” vv. 20-1 del fr. 5 Gow di Macone (= Ath. 244d), in cui del parassita Archefonte si dice: <testo greco>, “e' suo costume avito, poiché è qui senza pagar lo scotto, non far torto ad alcun pesce portatore di sassolino”. Se su scruposam nessun commentatore sembra avere nulla da dire, sullo scrupulum di Macone la critica si è esercitata parecchio, senza peraltro trovare una spiegazione

(31)

‡περαστεJο1 Ãν

‘µισwν τραπ5ζα1 ±στι1 SξογκοJτ’ ~γαν.’178

Eppure, in caso di emergenza, il parassita sa rassegnarsi e far fronte alle circostanze: la frase di Ergasilo (vv. 80-1)

quasi quom caletur cocleae in occulto latent suo sibi suco uiuont, ros si non cadit

e' esemplificata, fuor di metafora, dal fr. 20 K.-A., vv. 2-6 di Timocle, dai Cauni (= Ath. 240e): “ γρ Τι舵αλλο1 ο„τω1 Gνεβ^ω κοµιδ¸ τεθνηκV1, τwν Gν’ ˜κτƒ τοyβολο θ5ρµου1 µαλcξα1. οyκ Gπεκαρτ5ρησε γρ SκεJνο1, Gλλ’ Sκαρτ5ρησ’, ° 6^λτατε, πεινwν. 179 sufficiente (per la discussione cfr. Gow pp.68-9 e Rossi 1967, pp. 213-26).

178Capaneo, quello che Euripide porta sulla scena nelle Supplici, era un uomo assai fine, 'poiché odiava chi riempiva troppo di cardi le sue mense'”. La finta citazione si rifà al v. 864 (6εˆγων τραπ5ζαι1 ±στι1 SξογκοJτ’ ~γαν) delle Supplici, e gioca sul v. Sξογκοσθαι, “vantarsi”, rietimologizzandolo sulla base della voce σCγκοι, “cardi”. Lo spinoso vegetale, tra l'altro, ricorda anche al porcospino e ai calceati dentes di Ergasilo ai vv. 184-7.

179Cosi' ritornò in vita Titimallo, che già era morto del tutto, ammorbidendo lupini di quelli da otto misure per un obolo. Non si lasciò morire di fame, lui, mio caro, ma sopportò pazientemente di aver fame”.

(32)

Perché, alla fin fine, se c'e' una cosa che non può mancare al parassita è lo spirito di adattamento, insieme alla salda fiducia nelle proprie possibilità: se in passato è andata bene, anche se il presente è magro l'ottimismo non viene mai meno, e così Assionico dice nel Calcidese (fr. 6 K.-A. vv. 14-6 = Ath. 240b)

γλαˆκου βεβρωκƒ1 τ5µαχο1 g6θ\ν τeµερον α´ριον Äωλον τοτ’ Oχων οyκ ~χθοµαι. τοιοτο1 “ τρCπο1 SστTν – 6ˆσι1 τ5 µου180

E questa è un po' la parabola di Ergasilo: ha gustato le gioie di un vitto abbondante, gratuito e garantito; una volta venuta a mancare la fonte di quella ricchezza non si è dato per vinto e si è prontamente attivato, e alla fine la buona sorte lo ha favorito, mettendogli a disposizione ricchezze (ovviamente culinarie) mai nemmeno sognate. Il trattamento che egli riserverà a queste maximas opimitates opiparasque (v. 769) è prima pregustato da lui stesso (vv. 901-8), e infine descritto attraverso il filtro dello sguardo sgomento di un puer domesticus, con le cui parole si conclude, in apoteosi, il trionfo del parassita (vv. 909-21):

ERG. Illic hinc abiit, mihi rem summam credidit cibariam. di inmortales, iam ut ego collos pertruncabo tegoribus! quanta pernis pestis ueniet, quanta labes larido,

180Se oggi sono riuscito a mangiare una fetta di glauco lessato, non soffro se domani lo mangio stantio. Tali sono il mio carattere e la mia natura”.

(33)

quanta sumini apsumedo, quanta callo calamitas, quanta laniis lassitudo, quanta porcinariis!

nam si alia memorem, quae ad uentris uictum conducunt, morast. nunc ibo ut pro praefectura mea ius dicam larido,

et quae pendent indemnatae pernae, is auxilium ut feram.

PVER Diespiter te dique, Ergasile, perdant et uentrem tuom, parasitosque omnis, et qui posthac cenam parasitis dabit. clades calamitasque intemperies modo in nostram aduenit domum Quasi lupus essuriens metui ne in me faceret impetum:

ubi uoltus * * sur * * ntis * * * * * * * * * * * * impetum nimisque hercle ego illum male formidabam, ita frendebat dentibus. adueniens deturbauit totum cum carni carnarium:

arripuit gladium, praetruncauit tribu' tegoribus glandia; aulas calicesque omnis confregit, nisi quae modiales erant. coquom percontabatur possentne seriae feruescere.

cellas refregit omnis intus recclusitque armarium.

adseruate istunc, stulti, serui. ego ibo ut conueniam senem, dicam ut sibi penum aliud [ad]ornet, siquidem sese uti uolet; nam | hic quidem | ut adornat aut iam nihili est aut iam nihil erit.

Riferimenti

Documenti correlati

Ho chiesto al direttore Ezio Mauro di poter usare lo stesso slogan perché vorrei davvero che Genova e la Liguria, come ai tempi delle repubbliche marinare, potessero tornare ad

Questo significa che la stragrande maggioranza dei fisici (per non dire degli scienziati di altre discipline) non è affatto in condizione di esprimere un giudizio basato su

In secondo luogo si ponga perciò l’at- tenzione sulla necessità di valutare tempestivamente i comportamenti da- toriali che appaiano inadeguati, ostili, vessatori o

(FATTE SALVE LE VERIFICHE DI COMPETENZA DELL'UFFICIO NAZIONALE PER IL SERVIZIO CIVILE) NAZNZ0179117102931NNAZ. Insieme

– Cosa si intende per “Novità””: l’invenzione rivendicata nel brevetto non deve essere già stata divulgata prima del deposito della domanda di brevetto, né deve essere compresa

Alto Magro Divertente Puzzolente Stretto Corto Dolce Liscio Caldo Pulito Ordinato Silenzioso Luminoso Veloce Forte Calmo Buono Lontano.. Grasso Debole Basso Largo Lento Buio Lungo

I bambini saranno stimolati a condurre ricerche individuali da svolgere a casa (individualmente o in coppia) o in classe; saranno organizzati lavori di gruppo attraverso il

Sono servizi disponibili on line, cioè su internet, molto utili a chi lavora, a chi ha dei figli a scuola, a chi vuole parlare con il servizio