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Malattie a trasmissione sessuale (2)

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Academic year: 2021

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Caleidoscopio

Giampiero Carosi

in collaborazione con Rosalba Li Vigni Alberto Bergamasco Silvio Caligaris Salvatore Casari Alberto Matteelli Alessandra Tebaldi

Malattie a trasmissione sessuale (2)

Direttore Responsabile Sergio Rassu

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I t a l i a n o

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Caleidoscopio

Giampiero Carosi

in collaborazione con Rosalba Li Vigni Alberto Bergamasco Silvio Caligaris Salvatore Casari Alberto Matteelli Alessandra Tebaldi

Clinica di Malattie Infettive e Tropicali Spedali Civili - Università degli Studi Brescia

Malattie a trasmissione sessuale (2)

Direttore Responsabile Sergio Rassu

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I t a l i a n o

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IN F O R M A Z I O N I G E N E R A L I. C a l e i d o s c o p i o pubblica lavori di carattere monografico a scopo didattico su temi di Medicina. La rivista segue i requisiti consigliati dall’International Committee of Medical Journal Editors. Gli Autori vengono invitati dal Direttore Responsabile. La rivista pubblica anche monografie libere, proposte direttamente dagli Autori, redatte secondo le regole della Collana.

TE S T O. La monografia deve essere articolata in paragrafi snelli, di rapida consultazione, completi e chiari. I contenuti riportati devono essere stati sufficientemente confermati. E’ opportuno evitare di riportare proprie opinioni dando un quadro limitato delle problematiche. La lunghezza del testo può variare dalle 60 alle 70 cartelle dattiloscritte. Si prega di dattilografare su una sola facciata del foglio formato A4 con margini di almeno 25 mm.

Usare dovunque doppi spazi e numerare consecutivamente. Ogni sezione dovrebbe iniziare con una nuova pagina.

FRONTESPIZIO. Deve riportare il nome e cognome dell’Autore(i) -non più di cinque- il titolo del volume, conciso ma informativo, la Clinica o Istituto cui dovrebbe essere attribuito il lavoro, l’indirizzo, il nome e l’indirizzo dell’Autore (compreso telefono, fax ed indirizzo di E-mail) responsabile della corrispondenza.

BIBLIOGRAFIA. Deve essere scritta su fogli a parte secondo ordine alfabetico seguendo le abbreviazioni per le Riviste dell’Index Medicus e lo stile illustrato negli esempi:

1) Björklund B., Björklund V.: Proliferation marker concept with TPS as a model. A preliminary report. J. Nucl.

Med. Allied. Sci 1990 Oct-Dec, VOL: 34 (4 Suppl), P: 203.

2 Jeffcoate S.L. e Hutchinson J.S.M. (Eds): The Endocrine Hypothalamus. London. Academic Press, 1978.

Le citazioni bibliografiche vanno individuate nel testo, nelle tabelle e nelle legende con numeri arabi tra parentesi.

La Redazione è collegata on-line con le più importanti Banche Dati (Medline, Cancerlit, AIDS etc) e fornisce ogni eventuale assistenza agli Autori.

TABELLE E FIGURE. Si consiglia una ricca documentazione iconografica (in bianco e nero eccetto casi particolare da concordare). Figure e tabelle devono essere numerate consecutivamente (secondo l’ordine di citazione nel testo) e separatamente; sul retro delle figure deve essere indicato l’orientamento, il nome dell’Autore ed il numero. Le figure realizzate professionalmente; è inaccettabile la riproduzione di caratteri scritti a mano libera. Lettere, numeri e simboli dovrebbero essere chiari ovunque e di dimensioni tali che, se ridotti, risultino ancora leggibili. Le fotografie devono essere stampe lucide, di buona qualità. Gli Autori sono responsabili di quanto riportato nel lavoro e dell’autorizzazione alla pubblicazione di figure o altro. Titoli e spiegazioni dettagliate appartengono alle legende, non alle figure stesse.

Su fogli a parte devono essere riportate le legende per le figure e le tabelle.

UN I T À D I M I S U R A. Per le unità di misura utilizzare il sistema metrico decimale o loro multipli e nei termini dell’International system of units (SI).

AB B R E V I A Z I O N I. Utilizzare solo abbreviazioni standard. Il termine completo dovrebbe precedere nel testo la sua abbreviazione, a meno che non sia un’unità di misura standard.

PRESENTAZIONE DELLA MONOGRAFIA. Riporre le fotografie in busta separata, una copia del testo e dei grafici archiviati su un dischetto da 3.5 pollici preferibilmente Macintosh, se MS-DOS il testo dovrà essere in formato RTF ed i grafici in formato PC.TIF o PC.Paintbrush.

Il dattiloscritto originale, le figure, le tabelle, il dischetto, posti in busta di carta pesante, devono essere spedite al Direttore Responsabile con lettera di accompagnamento. L’autore dovrebbe conservare una copia a proprio uso.

Dopo la valutazione espressa dal Direttore Responsabile, la decisione sulla eventuale accettazione del lavoro sarà tempestivamente comunicata all’Autore. Il Direttore responsabile deciderà sul tempo della pubblicazione e conserverà il diritto usuale di modificare lo stile del contributo; più importanti modifiche verranno eventualmente fatte in accordo con l’Autore. I manoscritti e le fotografie se non pubblicati non si restituiscono.

L’Autore riceverà le bozze di stampa per la correzione e sarà Sua cura restituirle al Direttore Responsabile entro cinque giorni, dopo averne fatto fotocopia. Le spese di stampa, ristampa e distribuzione sono a totale carico della Medical Systems che provvederà a spedire all’Autore cinquanta copie della monografia.

L’Autore della monografia cede i pieni ed esclusivi diritti sulla Sua opera alla Rivista Caleidoscopio con diritto di stampare, pubblicare, dare licenza a tradurre in altre lingue in Nazioni diverse rinunciando ai diritti d’Autore.

Tutta la corrispondenza deve essere indirizzata al Direttore Responsabile al seguente indirizzo:

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Editoriale

Q

uesto secondo volume completa il quadro delle malattie a trasmissione sessuale iniziato con lo studio delle infezioni da Chlamydia trachomatis, da Micoplasmi, da Trichomonas e candidosi per arrivare alle altre infezioni vaginali (vedi Caleidoscopio n. 102).

La prima malattia illustrata in questa monografia • la sifilide, che deve verosimilmente il suo nome al greco syn e philein (amare insieme) anche se alcuni ritengono che derivi piuttosto dalla parola siphlos (mutilato).

LÕincidenza di questa patologia • andata progressivamente aumentando a partire dalla metˆ degli anni 80 anche per lÕassociazione che si ha con lÕinfezione da HIV tanto che tutti i pazienti affetti da sifilide dovrebbero essere sottoposti ad indagini volte ad evidenziare la presenza di altri agenti causa di MST e soprattutto da HIV.

Inoltre, mentre si • registrata una riduzione dellÕincidenza tra gli omosessuali, viceversa si • verificato un incremento negli eterosessuali. Tutto ci˜ rende questa malattia quanto mai attuale.

I virus Herpes simplex, che vengono illustrati in successione, fanno parte degli Herpes virus. Questi comprendono anche il virus della varicella-zoster, il citomegalovirus, il virus di Epstein-Barr e lÕHerpes virus umano 6.

LÕinfezione da HSV-1 • molto diffusa ed oltre lÕ80% della popolazione in etˆ adulta ha contratto lÕinfezione anche se poi i soggetti che hanno delle manifestazioni cliniche sono molto meno. La caratteristica delle infezioni genitali da virus herpes simplex • la loro ricorrenza anche se con il tempo la frequenza e lÕintensitˆ della sintomatologia tende a diminuire.

Anche le infezioni genitali da papillomavirus stanno assumendo un ruolo sempre pi• rilevante e sono in costante crescita negli ultimi venti anni. Infatti, nella donna sono causa di frequenti alterazioni delle cellule epiteliali analizzate sullo striscio vaginale e si collocano comuque tra le prime cause di infezioni a trasmissione sessuale.

Il volume viene chiuso dai capitoli dedicati alle sindromi sistemiche che hanno un grande rilievo epidemiologico (infezioni da HBV, HCV ed HIV) ma soprattutto con la parte dedicata alla prevenzione delle MST.

Noi riteniamo che questa sia in realtˆ lÕelemento chiave che dovrebbe trovarci tutti

Caleidoscopio I t a l i a n o

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impegnati a sviluppare tutti i mezzi che ci permettano di agire modificando lÕapproccio, molto spesso sbilanciato della medicina, che tende a preoccuparsi degli aspetti curativi e, relativamente, molto poco della prevenzione.

Su questo aspetto in particolare, ed anche partendo da questi due numeri del Caleidoscopio, contiamo di promuovere delle iniziative che permettano di intervenire alle radici partendo proprio dalle scuole. In questo ci sentiamo impegnati e disponibili a promuovere degli incontri che permettano di diffondere la cultura di questo delicatissimo settore della medicina.

Il Prof. Carosi, con tutta la Sua Scuola, che abbiamo apprezzato e di cui abbiamo giˆ tracciato il profilo di una intensa attivitˆ professionale che scientificamente ha ottenuto la stima nazionale ed internazionale della comunitˆ scientifica, • pronto anche Lui a mettere a disposizione la propria competenza affinchŽ venga privilegiato lÕapproccio pi• corretto anche a queste patologie cos“ diffuse.

Nel precedente volume abbiamo giˆ sottolineato il rilievo epidemiologico che hanno queste malattie nel mondo e lÕimportanza che lÕOMS dˆ a queste patologie che, come sottolinea bene il Prof. Carosi, costituiscono una nuova disciplina ÒtrasversaleÓ che acquisterˆ sempre un maggior rilievo. Vogliamo in questa presentazione sottolineare anche gli aspetti economici.

Tra tutti i tests sierologici effettuati per numerosi tipi di malattie infettive:

infezione da HIV, epatite, rosolia, mononucleosi, herpes, sifilide, morbillo, malattia di Lyme ed altre, i tests pi• frequentemente impiegati sono proprio quelli per lÕHIV e lÕepatite. Le vendite in tutto il mondo dei tests sierologici per le malattie infettive (eseguiti al di fuori dei Centri Trasfusionali) avevano raggiunto i 450 milioni di USD nel 1990 ed i tests sierologici per epatite e HIV rendevano conto per circa i due terzi di tutte queste vendite. Calcolando una crescita di questo mercato del 15% annuo si dovrebbe aver raggiunto, nel 1996 appena chiuso, una dimensione del mercato di circa 1.15 miliardi di USD. Le ragioni di ci˜ sono nella crescita dei tests per lÕepatite B per lo screening delle gravide, la sempre maggior diffusione dei programmi di screening per lÕHIV con la disponibilitˆ di nuove opzioni terapeutiche e la diffusione dellÕinfezione nella popolazione eterosessuale, la diffusione dei dosaggi per la diagnosi di infezione da epatite C ed il monitoraggio della terapia oltre alla conversione di numerosi tests da manuali ad automatizzati.

A ci˜ va aggiunto il rilievo sempre crescente di altre metodologie come le sonde del DNA per le malattie infettive e questo • solo un piccolo aspetto del problema economico se si tiene presente che nel 1993 il mercato diagnostico ha rappresentato solamente lÕ11% del mercato globale per le malattie infettive, includendo in questo anche quello terapeutico che, da solo ha costituito il rimanente 89%. Ritengo che anche queste considerazioni potranno rendere la lettura di questa brillante monografia ancora pi• interessante.

Sergio Rassu

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Elenco abbreviazioni e sigle

AIDS: Acquired Immuno Deficiency Syndrome CDC: Centers for Diseases Control, Atlanta, USA CIN: Cervical Intraepithelial Neoplasia

e.v.: endo vena

HBV: Hepatitis B Virus HCV: Hepatitis C Virus

HIV: Human Immunodeficiency Virus HPV: Human Papilloma Virus

HSV: Herpes Simplex Virus i.m.: intra muscolo

MST: Malattie Sessualmente Trasmissibili PCR: Polymerase Chain Reaction

SNC: Sistema Nervoso Centrale

VaIN: Vaginal Intraepithelial Neoplasia VIN: Vulvar Intraepithelial Neoplasia WHO: World Health Organization

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Capitolo I - Sindromi ulcerative

1.1. Sifilide

1.1.1. Etiopatogenesi

L’agente eziologico della sifilide, Treponema pallidum varietà S, è un mi- crorganismo mobile, spiraliforme, appartenente all’ordine Spirochetales, com- prendente varie specie patogene per l’uomo. T. pallidum è indifferenziabile, con le comuni metodiche batteriologiche e immunologiche, daT. carateum e da T. pallidum sottospecie pertenue, agenti eziologici della Pinta o della Fram- boesia. Recenti studi eseguiti con la tecnica dell’ibridazione del DNA hanno confermato la grande omologia di sequenza esistente tra i DNA dei vari treponemi, indice di uno stretto grado di parentela esistente tra varie sottospecie.

T. pallidum ha lunghezza variabile fra i 6 ed i 15 µm ed una larghezza di soli 0.15 µm, inferiore quindi al potere di risoluzione del microscopio ottico.

Tuttavia, all’osservazione microscopica in campo oscuro, si potrà osservare il microrganismo nel preparato, rilevandone il caratteristico movimento ro- tatorio spiraliforme.

Come i microrganismi dei generi Borrelia e Leptospira, T. pallidum non è coltivabile in vitro; il suo metabolismo è tuttora poco noto e non è possibile l’esecuzione di antibiogrammi. In vivo, risulta sensibile alle β−lattamine (la penicillina rappresenta tuttora il farmaco di prima scelta), alle cicline ed in parte ai macrolidi.

T. pallidum genera in vitro sostanze chemiotattiche per i polimorfonucleati neutrofili e presumibilmente la componente C5 della cascata del comple- mento. Tuttavia il microrganismo resiste all’ingestione da parte dei fagociti, verosimilmente grazie alla struttura dello strato esterno della sua membrana che funge da vera e propria capsula.

Inoltre, benché in T. pallidum non siano finora state evidenziate né tossine convenzionali né il lipopolisaccaride A, alcuni studi hanno evidenziato come l’aderenza di questo microrganismo ad un tessuto induca un effetto istolesi- vo (Aldrete e al., 1980; Fitzgerald, 1982).

L’infezione treponemica si realizza per via sessuale, attraverso microle- sioni della mucosa genitale, anale ed orale in occasione di traumatismi mino- ri legati all’atto sessuale. La lesione iniziale si manifesta sul sito di penetra- zione ed è caratterizzata da un centro mucoide circondato da un infiltrato, prevalentemente costituito da linfociti localizzati in sede perivascolare. At- traverso la via linfatica i treponemi raggiungono i linfonodi regionali, dove verosimilmente si moltiplicano; da qui successivamente i microrganismi si immettono nel torrente circolatorio e vanno a localizzarsi in vari organi.

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Malgrado sperimentalmente sia possibile indurre l’infezione anche con un piccolo inoculo di treponemi, gli studi epidemiologici condotti nell’uomo hanno evidenziato valori di contagiosità bassi e variabili. Il rischio di tra- smissione in occasione di un rapporto sessuale in cui un partner viene a con- tatto con lesioni di sifilide primaria in fase precoce è stimato pari al 30-35%.

Altra modalità potenziale di trasmissione dell’infezione treponemica è la via parenterale, ad esempio tramite scambio di siringhe nel caso di soggetti tossico-dipendenti. La sifilide può trasmettersi altresì per via transplacenta- re sviluppando nel neonato un’infezione connatale.

L’immunobiologia della sifilide nell’uomo è poco conosciuta. Durante lo stadio primario (sifiloma + linfoadenopatia satellite) vi è una attivazione della risposta immunitaria sia cellulo-mediata (produzione di sostanze chemiotattiche per i neutrofili, comparsa di un infiltrato linfocitario perivascolare) che anticorpale (produzione di anticorpi diretti verso antigeni treponemici come l’FTA-ABS, presente in questa fase nell’80% dei casi o il TPHA; iniziale produzione di immunocomplessi che si estrinsecherà mag- giormente nel periodo secondario). La comparsa di queste manifestazioni indica che l’infezione viene controllata dalle difese immunitarie e coincide con un iniziale decremento del numero dei treponemi, anche se questi sono ancora presenti, soprattutto in sede extracellulare.

Lo stadio secondario è legato sia alla diffusione ematogena dei treponemi che coincide con la comparsa di lesioni cutanee (localizzazione prediletta dai microrganismi per la ridotta temperatura) ed alla presenza di una risposta immuno-mediata prevalentemente anticorpale: gli anticorpi prodotti nel cor- so dell’infezione sifilitica appartengono sia alla classe IgG che IgM e sono di- retti contro singole proteine di membrana. Generalmente i titoli anticorpali risultano più elevati nei soggetti HIV-negativi rispetto agli HIV-positivi nel- la fase precedente la terapia convenzionale (Goeman e al., 1995). Nella fase di sifilide primaria si osserva una diminuzione del numero e del tasso dei linfociti CD4+ mentre nel corso della sifilide secondaria si evidenzia una di- minuzione dei linfociti CD8+ (Jensen e From, 1982). Tali meccanismi sareb- bero responsabili della variabilità delle manifestazioni cliniche e dell’evolu- zione della malattia e quindi della maggiore aggressività dei sintomi clinici nonché delle complicanze e recidive neurologiche che frequentemente si os- servano in soggetti presentanti coinfezione con HIV (Hutchinson e al., 1994;

Malone e al., 1995).

1.1.2. Quadri clinici

La classificazione clinica distingue differenti stadi evolutivi: sifilide pri- maria, sifilide secondaria (e recidive fino al quinto anno), sifilide latente asintomatica e sifilide terziaria (cutanea, neurologica, cardiovascolare).

Sifilide primaria. E’ caratterizzata dalla comparsa del sifiloma nel punto di inoculo e dell’adenopatia satellite. Dopo un periodo di incubazione di 10-

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90 giorni, la lesione iniziale si manifesta in forma di una piccola papula ro- tondeggiante di colorito roseo, lievemente infiltrata, che ingrandisce lenta- mente, trasformandosi in nodulo, e raggiungendo mediamente le dimensio- ni di 1 cm. di diametro. Contemporaneamente la superficie si abrade e il no- dulo presenta un’area centrale ulcerata (Fig. 1.1); la lesione è tipicamente in- dolente, tanto da poter passare inavvertita. Alla palpazione si apprezza la caratteristica durezza di tipo pergamenaceo o condroide dei margini (sifilo- sclerosi). Il sifiloma è generalmente unico, multiplo solo in caso di inocula- zioni multiple al momento del contagio o di autoinoculazioni nel corso della prima d’infezione (Chapel, 1984). Nel 90% dei casi è localizzato in sede geni- tale. Nell’uomo le sedi maggiormente interessate sono il solco balano-prepu- ziale, il frenulo del pene, il meato uretrale ed il glande. Nella donna il sifilo- ma passa per lo più inosservato salvo quando si localizza a livello dei genita- li esterni: grandi e piccole labbra, clitoride, commessura posteriore e forchet- ta vulvare. La localizzazione ano-rettale è frequente nei maschi omosessuali, quella buccofaringea è estremamente rara.

L’adenopatia satellite compare 4-7 giorni dopo il sifiloma ed è più fre- quentemente unilaterale. Si apprezzano linfonodi multipli, mobili, indolenti, la cui sede dipende dalla localizzazione del sifiloma.

E’ frequente l’associazione fra sifilide primaria ed altre MST; in particola- re, nel 2-10% dei casi con l’infezione gonococcica (Ramel e al., 1989) e nel- l’11% con l’uretrite da C. trachomatis (Janier e al., 1990).

Sifilide secondaria. Esprime la fase di disseminazione setticemica del T.

pallidum e si manifesta circa 6 settimane dopo la comparsa del sifiloma. E’ ca- ratterizzata da un’eruzione cutanea polimorfa che può includere le seguenti lesioni:

- la roseola, eruzione maculosa del tronco, fugace, spesso indifferenziabi- le da manifestazioni di tipo allergico;

- i sifilidi secondari, eruzioni papulose o papulo-squamose o vegetanti, talvolta pustolose o bollose, evolventi a p o u s s é e s, che possono manifestarsi sia in zone delimitate che in forma generalizzata. Nella regione ano-genitale e nelle pieghe cutanee è possibile l’evoluzione in senso erosivo delle lesioni papulose (Fig. 1.2). Sono state descritte anche forme nodulari, soprattutto durante la fase secondaria precoce. La localizzazione palmo-plantare è del tutto evocatrice;

- le placche mucose, localizzate a livello genitale e buccale, che determi- nano aspetti particolari quali la lingua “a carta geografica” e le placche leu- coplasiche vaginali.

L’alopecia sifilitica può presentarsi in questa fase in associazione alle le- sioni precedenti o come manifestazione isolata.

I segni generali d’accompagnamento sono classici: febbre (38-38.5 °C), ce- falea, mialgie, micropoliadenopatie. Sono state descritte forme neuromenin- gee, in cui il Treponema è stato riscontrato, nel 45% circa dei casi, nel liquido

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cefalo-rachidiano. Risultano in aumento i casi di pachimeningite con vasculi- te. Clinicamente i segni rivelatori sono essenzialmente le manifestazioni va- scolo-cerebrali transitorie. La diagnosi è garantita da un esame del liquido cefalo-rachidiano che evidenzia linfocitosi e positività sierologica dei tests per sifilide (VDRL+nel 20-50%, TPHA+nel 75% dei casi).

Sifilide latente. Una fase latente asintomatica e di lunga durata fa, in ge- nere, seguito alla fase secondaria. La sifilide latente si definisce “precoce” nei casi in cui vi sia documentata una sieroconversione o un incremento di 4 vol- te dei titoli della VDRL entro 12 mesi da un contatto sessuale con persona af- fetta da sifilide precoce (confermata o presunta) ovvero una storia di sifilide primaria o secondaria non-trattata (CDC, 1991). In assenza di questi criteri, la sifilide latente è classificata come sifilide latente “tardiva”.

Sifilide terziaria. Il 25% circa delle sifilidi latenti non trattate evolve ver- so una sifilide terziaria. Fattori favorenti l’evoluzione al terziarismo sono: al- coolismo, tabagismo, diabete, stress fisici e psichici, traumi. Le lesioni terzia- rie si verificano solitamente a distanza di 10-15 anni dall’infezione primaria, sono di tipo granulomatoso, scarse di numero, povere di treponemi (Clark e al., 1964). Hanno tendenza distruttiva, evoluzione cronica, si risolvono con esiti cicatriziali e possono interessare tutti gli organi ed apparati, sia pure con livelli di prevalenza nettamente differenziati. La cute è interessata nel 30% dei casi, l’apparato cardiocircolatorio nel 30%, il sistema nervoso nel 20%, le mucose nel 15%, altri organi ed apparati nel restante 5% dei casi. Le lesioni cutaneo-mucose possono essere eccezionalmente precedute dalla co- siddetta “roseola terziaria”, rappresentata da focolai eritematosi di tonalità cianotica, di alcuni cm di diametro, che assumono figurazioni circinate, loca- lizzate al tronco ed agli arti, ad evoluzione lenta fino alla risoluzione senza esiti. Le manifestazioni tipiche sono il sifiloderma nodulare e le gomme. Il si- filoderma nodulare è costituito da noduli rotondeggianti, di colorito rosso rameico, della grandezza di una lenticchia, leggermente rilevati sul piano cu- taneo. Possono essere unici o multipli ma comunque in numero limitato, lo- calizzati preferenzialmente al volto, ai genitali e agli arti inferiori. L’evolu- zione è cronica (mesi-anni), con scarsa tendenza alla guarigione spontanea, con esito atrofico-cicatriziale e possibili discromie.

Le gomme sono formazioni nodulari granulomatose con degenerazione (necrosi caseosa), rammollimento centrale fino all’ulcerazione ed eliminazio- ne di un materiale gommoso filante e giallastro. La gomma evolve cronica- mente, con cicatrizzazione che può comportare deturpazione e danno fun- zionale nelle sedi di predilezione, in particolare il viso e le gambe.

Nella sifilide cardio-vascolare il treponema esplica azione elettiva sui va- si e in particolare sulle arterie di grosso e medio calibro determinando un processo di panarterite che interessa tutte le tuniche della parete vasale. Tipi- co esempio ne è l’aortite luetica che rappresenta l’80% delle manifestazioni cardio-vascolari (Jackman e Radolf, 1989).

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La sifilide nervosa rappresenta il 20% delle forme tardive e si verifica nel 6,5% dei soggetti non curati (Morel e Janier, 1990). L’interessamento nervoso configura diversi quadri clinici:

- neurosifilide non-parenchimatosa asintomatica in cui sono presenti so- lo alterazioni patologiche del liquor;

- forma meningo-vascolare in cui gli infiltrati gommosi coinvolgono vasi meningei di grosso e medio calibro sia della volta che della base del cervello;

clinicamente si può manifestare con crisi epilettiche, paresi e paralisi dei ner- vi cranici, neuriti periferiche, nevralgie radicolari, afasia, amaurosi (Simon, 1985);

- tabe dorsale in cui sono interessate inizialmente le meningi e le radici dei nervi spinali, con estensione successiva del processo ai cordoni posteriori del midollo e demielinizzazione delle fibre nervose, degenerazione ed atro- fia dei cilindrassi. In fase avanzata il processo evolve in scleroatrofia. La sin- tomatologia è variegata, dalla perdita di sensibilità al dolore, all’atassia, alla riduzione ed all’abolizione di riflessi;

- paralisi progressiva in cui si evidenzia un vero e proprio quadro di me- ningo-encefalite.

La sifilide congenita può interessare un feto di madre infettata a partire dal 3° mese di gestazione. Essa può manifestarsi alla nascita (forma “preco- ce”) o tardivamente (forma “tardiva”). La gamma di manifestazioni cliniche che si osservano è estremamente ampia e, specie nella forma tardiva, difficil- mente induce il sospetto diagnostico.

La forma “precoce” può essere sospettata in caso di basso peso alla nasci- ta e di placenta ipertrofica: l’esame istologico della placenta può indicare l’infezione luetica per la presenza di lesioni endo e perivascolari proliferati- ve, ricche di linfociti e per la flogosi plurifocale dei villi. Clinicamente il neo- nato potrà manifestare pemfigo, coriza, stomatite, eruzioni cutanee, osteo- condrite delle ossa lunghe, periostite, epatosplenomegalia, ittero, alterazioni renali, meningee, genitali, polmonari, corioretiniche.

La forma “tardiva” solitamente esordisce tra i 5 e i 10 anni ma può anche manifestarsi più precocemente o, al contrario, in età adulta con corioretinite, cheratite interstiziale, sordità, denti di Hutchinson, idrarto del ginocchio, manifestazioni neurologiche, gomme cutaneo-mucose e, a volte, perforazio- ne palatina.

E’ attualmente frequente il riscontro di sifilide in corso di infezione da HIV, solitamente in soggetti tossicodipendenti eterosessuali e in omosessua- li. Nei casi sintomatici, il quadro è peraltro inusuale: lesioni cutaneo-mucose estese, sintomi generali esacerbati, elevata frequenza di forme neurologiche estremamente precoci con quadri di meningite, paralisi dei nervi cranici, in- teressamento cerebro-vascolare, retinite, sordità. E’ interessante notare come questi quadri clinici si manifestino non di rado anche in soggetti trattati cor- rettamente per sifilide primo-secondaria. Sulla base di tali dati si ammette

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che nei soggetti HIV-positivi il trattamento della sifilide debba essere più prolungato e i tests diagnostici di controllo debbano comprendere la puntura lombare (Hutchinson e al., 1994; Malone e al., 1995). Peraltro è da tenere in considerazione che, in corso di infezione da HIV, i tests biologici possono es- sere modificati sia per false positività che per false negatività della VDRL e talora anche dei tests treponemici.

1.1.3. Diagnosi

Poiché il T. pallidum non è suscettibile di isolamento colturale in vitro, la diagnosi batteriologica si avvale esclusivamente dell’esame diretto e della sierologia.

L’esame diretto si esegue con microscopio ottico in campo oscuro e per- mette di evidenziare il treponema nelle secrezioni di lesioni recenti quali il sifiloma o le placche mucose. L’identificazione diretta può essere effettuata anche con microscopio a fluorescenza, ove il campione venga cimentato con anticorpi antitreponema fluorescenti che ne evidenziano la morfologia ma non la mobilità.

Numerosi tests sierologici sono impiegati nella diagnosi della sifilide e vengono sinteticamente indicati nella Tab. 1.1.

Itests lipidici utilizzano antigeni non-treponemici. Pratici e di semplice impiego, tuttavia possono dare risultati falsi positivi in caso di concomitanti infezioni virali o parassitarie, di malattie autoimmuni, di disprotidemie e in corso di gravidanza. La VDRL (Venereal Disease Research Laboratory) è un test di agglutinazione che si positivizza tra l’8° e il 15° giorno dalla comparsa del sifiloma. Nei Paesi in via di sviluppo viene preferenzialmente utilizzato per la sua notevole praticità, il t e s t R P R (Rapid Plasma Reagin) che non necessita di microscopio.

Tests non-treponemici Tests treponemici

•VDRL •TPHA

•RPR •FTA-Abs (IgG e IgM)

•TPI

•ELISA

•Western blot

Tabella 1.1. Tests sierologici attualmente disponibili per la diagnosi di sifilide.

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Tali tests, utilizzati per le procedure di screening hanno un valore orienta- tivo ed i risultati positivi devono essere sempre confrontati con la clinica e gli antecedenti del paziente, secondo uno schema riportato nella Tab. 1.2. Il quadro sierologico caratteristico dei vari stadi della malattia è evidenziato nella Tab. 1.3.

VDRL- in assenza di segni clinici di forma recente, esclude la diagnosi di sifilide.

TPHA- Nel dubbio ripetere dopo una-due settimane.

VDRL+ dati anamnestici e titoli bassi ai tests quantitativi (VDRL<4; TPHA<1280) TPHA+ depongono per una forma di vecchia data trattata.

Mancando questi dati, eseguire test di conferma.

VDRL+ spesso si tratta di falsa positività. Ripetere comunque dopo due settimane ed TPHA- eseguire tests di conferma.

VDRL- spesso caratterizza una sifilide precedentemente trattata e “decapitata”.

TPHA+ Eseguire tests di conferma per escludere una falsa positività.

Tabella 1.2. Screening sierologico della sifilide. Quadri possibili e loro interpretazione.

PRIMARIA VDRL positivo debole (1-2) FTA, TPHA positivo IgM positive TPI negativo

SECONDARIA VDRL positivo medio (4-8)

FTA, TPHA positivo forte (3200-6400 e 2560-5120) IgM positive

TPI positivo debole (10-50)

LATENTE VDRL positivo medio (4-8)

FTA, TPHA positivo medio (800-1600 e 320-1280) IgM negative

TPI positivo forte (400-1000)

TERZIARIA VDRL positivo medio (4-8)

FTA, TPHA positivo forte (3200-6400 e 2560-5120) IgM positive

TPI positivo forte (400-1000)

Tabella 1.3. Forme di sifilide e relativi quadri sierologici.

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I tests t r e p o n e m i c i utilizzano antigeni specifici, prodotti da treponemi non-patogeni:

- TPHA (Treponema Pallidum Haemoagglutination Assay). E’ una sem- plice reazione di emoagglutinazione passiva che si positivizza intorno alla decima giornata dalla comparsa del sifiloma. Di semplice esecuzione, viene considerato il test di screening per eccellenza, unitamente alla VDRL, in quan- to è un metodo sensibile e specifico che si negativizza assai tardivamente, ta- lora mai.

- FTA-Abs (Fluorescent Treponema Antibody Absorbent). E’ una metodi- ca d’immunofluorescenza, estremamente sensibile e dotata di elevata specifi- cità, che si positivizza assai precocemente, in seconda-terza giornata del sifi- loma (Romanowski e al., 1987). In soggetti trattati tardivamente la reazione può restare positiva anche per tutta la vita. Risultati falsi positivi si possono tuttavia riscontrare in presenza del fattore reumatoide o in concomitanza di infezioni con altre spirochete, ad esempio nella malattia di Lyme.

-Test di Nelson. Indicato anche col termine di Test dell’immobilizzazio- ne dei treponemi (TPI, Treponema Pallidum Immobilization), utilizza tre- ponemi vivi come antigene e si positivizza tardivamente, usualmente qual- che settimana dopo la comparsa del sifiloma. La sensibilità e la specificità so- no eccellenti ma per la sua indaginosità viene riservato ai soli casi di difficile interpretazione.

Oltre ai metodi classici sopra elencati, sono disponibili metodiche alterna- tive, di impiego non routinario quali E L I S A (Enzyme Linked Immuno- Sorbent Assay), Western blot, PCR. Mentre i tests immunoenzimatici non of- frono tuttora garanzie di elevata specificità (Lefevre e al., 1992), la PCR e la Western blot prospettano importanti applicazioni, specialmente per la dia- gnosi di sifilide congenita (Norgard, 1993).

Il riscontro di anticorpi IgM nel siero di un paziente ha significato di in- fezione luetica in fase attiva. Usualmente il titolo più elevato viene riscontra- to tra il terzo e il sesto mese d’infezione ma la ricerca può risultare positiva anche nella fase secondaria e in quella terziaria. Solo in caso di forme latenti o trattate le IgM specifiche risultano negative. La ricerca di anticorpi di clas- se IgM può essere eseguita classicamente con metodi di immunofluo- rescenza indiretta (FTA-Abs IgM) oppure con metodi ELISA o Western blot.

Nella donna gravida, la VDRL in alcuni casi può dare risultati falsamente positivi che pertanto dovranno sempre essere confermati con l’impiego di al- tri tests, in particolare TPHA e FTA-Abs.

Un importante problema diagnostico è presentato dalla sifilide congeni- ta e consiste nello stabilire se un neonato da madre portatrice dell’infezione non adeguatamente trattata, sia effettivamente infetto. Non essendo applica- bili i consueti criteri sierologici, a causa del trasferimento passivo di IgG ma- terne, le indicazioni diagnostiche per la sifilide congenita si basano su più metodi, ritenuti singolarmente specifici ma non sufficientemente sensibili,

(17)

quali la ricerca delle IgM specifiche o del genoma treponemico mediante PCR su liquido amniotico fetale ovvero l’evidenziazione diretta del micror- ganismo mediante test di immunofluorescenza su siero e liquido cefalorachi- diano del neonato (Sanchez e al., 1993; Stoll e al., 1993; Bromberg e al., 1993).

E’ altresì fondamentale sottolinare come i tests sierologici di screening nel- la madre possano non evidenziare una sifilide di recente acquisizione e quindi, in particolare, la sieronegatività al parto possa non essere un indice certo di non-infezione materna. E’ quindi raccomandato, in caso di madre a rischio per fattori comportamentali o epidemiologici, ritestare la donna e il figlio, nei mesi successivi al parto, specie qualora il bambino presenti febbre o sintomi sospetti (Sanchez e al., 1991).

Le treponematosi non-veneree, sono attualmente di possibile riscontro anche in Europa a causa del crescente incremento del volume dei viaggi e dei movimenti di migrazione. Tali infezioni possono creare confusione dia- gnostica con la sifilide poiché i tests sierologici, compreso il test di Nelson, non sono in grado di discriminarle dalla forma venerea.

1.1.4. Terapia

Il trattamento della sifilide si basa tuttora sull’impiego della penicillina poiché da parte di T. pallidum non si è sviluppato alcun fenomeno di resi- stenza. Gli schemi posologici variano a seconda dello stadio dell’infezione e sono indicati nella Tab. 1.4 (CDC, 1991; OMS, 1991).

In caso di allergia alle beta-lattamine, disponiamo di vari farmaci alter- nativi, egualmente efficaci e somministrabili per os (in particolare tetracicli- ne) (Tab. 1.4) ma la cui durata di trattamento può creare problemi di c o m - pliance.

Particolare attenzione va posta nel distinguere una vera allergia alla peni- cillina dalla reazione di Jarisch Herxheimer. Quest’ultima, caratterizzata da malessere, febbre, cefalea, mialgie, nausea e tachicardia, insorge poche ore dopo la prima dose di antibiotico e verosimilmente si tratta di una reazione immunitaria secondaria alla mobilizzazione di antigeni treponemici conse- guenti all’azione battericida della penicillina. Sebbene più frequente nelle forme precoci tuttavia è più grave nelle forme tardive.

Il trattamento terapeutico in g r a v i d a n z a non si discosta da quello s t a n - dard ma presenta, come unica alternativa riconosciuta, l’eritromicina per os.

E’ infine da ricordare che alcuni autori empiricamente propongono l’utili- tà di trattamenti ripetuti in situazioni di sifilide secondaria o di immunode- pressione da HIV, anche se non vi sono evidenze documentate che la ripeti- zione della dose di penicillina (a distanza di una settimana) offra in queste situazioni una maggiore efficacia della dose singola (Malone e al., 1995).

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S. PRIMARIA

benzatil-penicillina G 2.4 milioni U.I. i.m. monodose oppure

procain-benzil-penicillina acquosa 1.2 milioni U.I./die i.m. per 10 giorni se allergia: doxiciclina mg 100 x 2/die per os per 14 giorni

tetraciclina mg 500 x 4/die per os per 14 giorni eritromicina mg 500 x 4/die per os per 14 giorni ceftriaxone mg 250/die i.m. per 10 giorni

S. SECONDARIA/LATENTE PRECOCE benzatil-penicillina G 2.4 milioni U.I. i.m.

oppure

benzatil-penicillina G 2.4 milioni U.I. i.m./settimana per due settimane se allergia: doxiciclina mg 100 x 2/die per os per 14 giorni

tetraciclina mg 500 x 4/die per os per 14 giorni eritromicina mg 500 x 4/die per os per 14 giorni ceftriaxone mg 250/die i.m. per 10 giorni

S. TERZIARIA

benzatil-penicillina G 2.4 milioni U.I. i.m./settimana per tre settimane se allergia: doxiciclina mg 100 x 2/die per os per 14 giorni

tetraciclina mg 500 x 4/die per os per 14 giorni eritromicina mg 500 x 4/die per os per 14 giorni ceftriaxone mg 250/die i.m. per 10 giorni

NEUROSIFILIDE

penicillina G cristallina 12-24 milioni U.I./die e.v. per 10-14 giorni se allergia: doxiciclina mg 200 x 2/die per 21 giorni (non standardizzato)

S. CONGENITA

benzilpenicillina G acquosa 100 000-150 000 U.I./kg/die in 2-3 somministrazioni per 10-14 giorni e. v.

COINFEZIONE DA HIV

Se manca coinvolgimento SNC trattamento come per HIV-negativi.

Se coinvolto SNC: benzatil-penicillina G 12-24 milioni U.I./die e.v. per 10-14 giorni

oppure

procaina-penicillina 2.4 milioni U.I./die i.m. + probenecid per os per 14 giorni se allergia: doxiciclina mg 400/die per 21 giorni

Tabella 1.4. Trattamento della sifilide nei vari stadi.

(19)

1.2. Infezioni da Herpes simplex

1.2.1. Etiopatogenesi

Il virus dell’Herpes simplex umano (HSV) appartiene alla famiglia delle Herpesviridae, sottofamiglia delle Alphaherpesviridae.

La particella virale è di tipo icosaedrico e misura 180-200 nm di diametro.

Il virione completo è costituito da un nucleo cilindrico proteico o core, attor- no al quale si avvolge il genoma virale costituito da una molecola lineare a doppia elica di DNA; esso è rivestito da un capside (Fig. 1.3) e da un peri- capside da cui protrudono proiezioni lunghe 8-10 nm costituite da glicopro- teine.

Sulla base di differenze antigeniche tra queste glicoproteine vengono di- stinti due differenti sierotipi: HSV 1 e HSV 2 (Dowdel e al., 1967). In sistemi cellulari in vitro i due sierotipi presentano proprietà biologiche differenziali indipendentemente dal substrato cellulare utilizzato (Su e al., 1995). Benchè l’herpes genitale sia causato più frequentemente da HSV 2, si ammette che nel 30% dei casi circa sia in causa HSV 1, agente usuale dell’herpes labiale.

Sia per HSV 1 che per HSV 2 sono stati individuati ceppi distinti, suscetti- bili di coinfettare uno stesso individuo e di evolvere attraverso cicli replicati- vi autonomi (Raab, 1986).

L’infezione avviene sia per contatto diretto cutaneo-mucoso con una le- sione erpetica ovvero, in corso di infezioni asintomatiche, per contatto con li - quidi biologici (saliva, secrezioni cervicali o uretrali) contenenti il virus. La primo-infezione induce l’attivazione di meccanismi immunitari di difesa che contribuiscono a inibire la replicazione dell’HSV a livello delle lesioni prima-

Figura 1.3. Infezione da HSV. Immagine al microscopio elettronico di un preparato di virioni da coltura. Particelle virali intracitoplasmatiche a differenti stadi di maturazione (colorazione negativa con acetato di uranile e citrato di piombo, 60000X).

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rie cutaneo-mucose. La reazione immunitaria tuttavia non impedisce che il virus migri per via assonale fino ai gangli nervosi sensitivi loco-regionali e penetri nelle cellule nervose (Roizman e al., 1987). A questa fase “di invasio- ne” fa seguito una fase “di latenza” in cui il DNA virale persiste nella cellula ospite sia integrato nel genoma cellulare che allo stato libero. L’equilibrio co- sì stabilito tra virus e difese dell’ospite può tuttavia spezzarsi. Il genoma vi- rale torna allora ad esprimersi con replicazione e migrazione dei virioni, in senso centrifugo lungo gli assoni fino al territorio cutaneo-mucoso ad essi tributario, ed ivi determina le manifestazioni cliniche tipiche della recidiva, erpetica.

Le cause di questa rottura dell’equilibrio “di latenza” non sono note ma appaiono dipendenti da un d e f i c i t più o meno transitorio della i m m u n i t à cellulare correlato a fattori quali stress emozionali, affaticamento fisico, feb- bre, traumi cutanei, esposizione ai raggi ultravioletti. Gli stati di immuno- depressione profonda (AIDS, morbo di Hodgkin) provocano frequentemente recidive gravi, prolungate e persino croniche (McGrath e Newman, 1994).

Sul finire degli anni ‘70 i risultati di alcune ricerche epidemiologiche ave- vano fatto ipotizzare un probabile ruolo dell’HSV 2 nella patogenesi del can- cro cervicale. Indagini sierologiche avevano infatti dimostrato che il rischio di sviluppare un carcinoma del collo uterino era più elevato nelle donne HSV 2-positive rispetto alla popolazione generale (Aurelian, 1984). Concordi con questi dati erano i risultati di talune ricerche genetiche che avevano di- mostrato come alcuni frammenti genomici virali erano, con frequenza eleva- ta, riscontrabili nelle displasie di differente grado e nei carcinomi invasivi ma solo raramente nei tessuti indenni (Park e al., 1983) mentre da altre inda- gini in vitro si era evidenziato un potere trasformante di alcune sequenze ge- nomiche di HSV (Cameron e McNab, 1980).

Attualmente si ritiene che HSV 2, anziché svolgere un ruolo eziologico nella genesi della neoplasia, agisca piuttosto come co-fattore, a differenza di alcuni tipi di HPV che invece sarebbero riconosciuti quali diretti responsabili delle displasie e dei carcinomi della cervice uterina.

In considerazione della elevata prevalenza di HSV nella popolazione femminile in età fertile, il rischio di infezione erpetica neonatale non deve es- sere sottovalutato (Cone e al., 1994). Durante la gravidanza è verosimile che deficit immunitari transitori siano responsabili della maggior frequenza di lesioni erpetiche genitali: 1/1000 contro 0,3/1000 al di fuori di questo periodo. In effetti il rischio di herpes neonatale è stato valutato dieci volte più elevato in caso di antecedente infezione erpetica della madre (Hutto e al., 1987). A questa aliquota vanno inoltre aggiunte le infezioni fetali conse- guenti a infezione materna primaria in prossimità del parto e che risultano pertanto difficilmente prevedibili (Hensleigh e Nguyen, 1994). I danni provocati nel nascituro (Tab. 1.5) sono variabili a seconda del periodo in cui avviene l’infezione erpetica (Eyraud e Blanc, 1989). Il neonato generalmente

(21)

si infetta durante il passaggio nel canale del parto. Tuttavia non va trascu- rata la possibilità di un’infezione ascendente propagata da lesioni cervico- vaginali anche in caso di membrane integre (Stone, 1989) ovvero ematogena per via transplacentare. In effetti la negatività degli isolamenti cervico- vaginali in prossimità del parto non esclude completamente il rischio del contagio del nascituro; pertanto anche il ricorso sistematico al taglio cesareo non permette di attuare una prevenzione assoluta (Stone e al., 1989).

L’herpes neonatale comporta un tasso di mortalità fino al 40%; in caso di infezione connatale i primi segni si manifestano tra il 2° ed il 20° giorno di vita con la comparsa di elementi eritemato-vescicolari. La diffusione sistemica è molto grave, soprattutto quando interessi il sistema nervoso centrale. La sindrome è contraddistinta da encefalite acuta e coinvolgimento polmonare, epatico ed oculare. La presenza delle tipiche lesioni cutanee permette di riferire questa sindrome all’infezione erpetica. Esistono anche forme minori e talvolta asintomatiche di infezione neonatale da HSV che si risolvono senza sequele.

L’herpes genitale, così come altre MST ulcerative e non, conferisce mag- giore suscettibilità all’infezione da HIV e, reciprocamente, nei soggetti HIV- positivi l’infezione erpetica presenta una maggiore frequenza di recidive ed una maggiore gravità clinica (Harawi e Kurban, 1988; LaGuardia e al., 1995).

Le lesioni appaiono in genere estese e provocano ulcerazioni profonde, so- vente in prossimità degli orifizi, ad esempio perianali. Anche le localizzazio- ni profonde ano-rettali, come pure le sovrainfezioni batteriche, sono estre- mamente frequenti.

La persistenza per oltre un mese di lesioni cutaneo-mucose erpetiche in un soggetto HIV-positivo rappresenta una condizione indice di AIDS concla- mata (CDC, 1987).

1.2.2. Quadri clinici

Si individuano quattro principali manifestazioni cliniche di herpes geni- tale (Tab. 1.6).

Fino al 5° mese Dopo il 5° mese (20asettimana)

•aborto •prematurità

•embriopatia

•fetopatia

Tabella 1.5. Rischi relativi per il nascituro durante la primo-infezione in gravidanza.

(22)

Infezione genitale primaria. E’ caratteristica del soggetto senza storia di precedenti lesioni erpetiche genitali e sieronegativo per anticorpi anti-HSV.

Le manifestazioni cliniche insorgono solitamente dopo alcuni giorni, tal- volta fino a tre settimane dal contagio, con carattere acuto; sono spesso più gravi nella donna che nell’uomo.

Nell’uomo le lesioni si localizzano tipicamente nella regione balano-pre- puziale. Iniziando con una o più placche eritematose, sovente pruriginose, le lesioni evolvono rapidamente in vescicole e successivamente in erosioni dai contorni policiclici, talvolta confluenti (Fig. 1.4). E’ anche possibile osservare la presenza di pustole. Le lesioni sono generalmente causa di prurito, brucio- re, spesso di dolori. La guarigione avviene tra la decima e la ventesima gior- nata, dopo una fase di crostizzazione. Si osserva frequentemente adenopatia infiammatoria satellite.

Nella donna la primo-infezione si manifesta con un eritema localizzato o generalizzato della vulva (Fig. 1.5) con possibile interessamento vaginale.

L’edema della mucosa è quasi sempre presente. Rapidamente compaiono vescicole che successivamente evolvono in formazioni erosive fortemente dolenti. Lo stato generale è compromesso per la comparsa di febbre, cefalea, mialgie e, talvolta, sindrome meningea. Eccezionalmente le lesioni periure- trali possono causare ritenzione acuta di urina. L’esame con speculum, scon- sigliato per il dolore intenso generato nella paziente, evidenzia una mucosa cervico-vaginale eritemato-edematosa, costellata di erosioni talvolta con- fluenti. Sono state descritte nevralgie associate a parestesie a livello degli arti inferiori. Adenopatie satelliti dolorose possono completare il quadro clinico.

In assenza di complicanze ed in particolare di sovrainfezioni, la primo-in- fezione erpetica si risolve in 15-20 giorni.

Herpes genitale non-primario. Si riferisce al primo episodio riconosciuto di herpes genitale in soggetto già in precedenza riscontrato positivo per anti- corpi anti-HSV.

Le manifestazioni sono meno acute che nell’herpes primario anche se più accentuate che nella malattia recidivante; in ogni caso la distinzione tra epi- sodio primario e non-primario di herpes genitale non può essere fatta clini- camente ma solo su base sierologica.

•Herpes genitale primario: manifestazioni cliniche acute; sieroconversione.

•Recidive erpetiche: forme lievi ma ripetibili in serie; sieropositività.

•Herpes asintomatico: assenza di sintomi; sieropositività.

Tabella 1.6. Definizione delle differenti manifestazioni cliniche di herpes genitale.

(23)

Infezione erpetica genitale post-primaria recidivante. Si tratta general- mente di forme cliniche di minor intensità e durata (circa 10 giorni): recidi- vano solitamente nello stesso sito della manifestazione primaria e sono ad al- to rischio di trasmissione virale. E’ noto che un ampio spettro di fattori pos- sono condizionare la riattivazione del virus (stress fisici, psichici, alimentari, modificazioni ambientali e climatiche, patologie intercorrenti) ma a tutt’oggi non è stato chiarito l’esatto meccanismo patogenetico delle recidive. I dati di osservazioni cliniche suggeriscono che l’intervallo medio tra malattia erpeti- ca primaria e ricorrente post-primaria sia di circa 120 giorni. Nel 50% dei ca- si il paziente accusa sintomi prodromici (prurito, parestesie) nelle 24-48 ore precedenti la comparsa delle lesioni. Un’adenopatia inguinale satellite si evi- denzia nel 10% dei casi. In concomitanza possono manifestarsi lesioni cervi- cali o uretrali anche indipendentemente dalla presenza di lesioni esterne. Re- cidive a livello rettale si possono riscontrare nella donna ed in maschi omo- sessuali: queste si manifestano con dolori rettali, tenesmo e scolo di essudato muco-sanguinolento. La frequenza di recidive delle infezioni genitali è generalmente più elevata nelle infezioni da HSV 2 ma è possibile anche nelle infezioni da HSV 1.

Herpes asintomatico. Si riferisce ai casi caratterizzati da presenza di vi- rus infettante in assenza di lesioni o anche soltanto di sintomi (Mertz e al., 1985). Anche se la quantità di virus eliminata è minore rispetto ai casi con le- sioni clinicamente apparenti, si ammette che tali “portatori asintomatici”

possano trasmettere l’infezione e sostenere pertanto un ruolo di fondamen- tale importanza da un punto di vista epidemiologico.

1.2.3. Diagnosi

Nella maggior parte dei casi la diagnosi di herpes genitale è clinica. Tut- tavia l’isolamento del virus a partire da secrezioni (liquido di vescicola) ov- vero dai tessuti rappresenta il metodo diagnostico di riferimento. Con le me- todiche colturali in uso l’80% dei campioni positivi sono individuati nell’ar- co di 4 giorni; la sensibilità sale al 95% se l’osservazione viene protratta per 7 giorni. Per campioni a bassa carica virale o per prelievi effettuati da casi asintomatici è tuttavia necessario un periodo di osservazione di 10-14 giorni che consente di evidenziare l’effetto citopatico tipico dell’HSV.

Sono peraltro disponibili metodi di diagnosi rapida fondati su tecniche citologiche, immunologiche, di microscopia elettronica e di ibridazione mo- lecolare.

Per quanto concerne la diagnosi citologica, essa si effettua a partire da uno scraping della lesione e successiva colorazione con metodo di Papanico- lau o Wright-Giemsa (citodiagnostica di Tzanck). Questo test, specifico, sem- plice e poco costoso, risulta tuttavia poco sensibile quando applicato a lesio- ni genitali.

Il test di immunofluorescenza (IF)-diretta è preferibile al precedente,

(24)

presentando una sensibilità del 70-95% rispetto al metodo colturale di riferi- mento.

Sempre nell’ambito delle metodiche immunologiche rapide è da annove- rarsi la tecnica E L I S A , che offre il vantaggio di fornire anche una risposta quantitativa mediante lettura spettrofotometrica. All’ELISA si ascrive un li- vello di sensibilità paragonabile al test IF e dell’ordine del 70-90% rispetto al metodo colturale.

L’identificazione di particelle virali in lesioni vescicolari mediante micro- scopia elettronica rappresenta un test utile in casi di infezione neonatale ov- vero in biopsie di tessuto cerebrale, quale complemento dell’isolamento col- turale, mentre risulta poco sensibile ed eccessivamente costoso nei casi di herpes genitale.

Un recente approccio alla rapida identificazione di HSV nei campioni pa- tologici si basa sull’applicazione di tecniche d’ibridazione molecolare. L’in- troduzione di sonde a DNA non-radioattive, di cui le più diffuse sono mar- cate con biotina, ha reso questa indagine più facilmente realizzabile in labo- ratori diagnostici, evidenziando caratteristiche di sensibilità e specificità comparabili al metodo di immunofluorescenza.

La diagnosi differenziale tra HSV 1 e HSV 2, utile sul piano epidemiolo- gico e prognostico, può essere effettuata utilizzando reazioni di neutralizza- z i o n e con antisieri specifici ovvero mediante t e s t s i m m u n o l o g i c i ( I F , E L I S A) che utilizzano anticorpi monoclonali specifici diretti contro i ceppi prototipi. La tipizzazione virale può altresì effettuarsi con metodi d’ibrida- zione molecolare poiché i DNA genomici dei due tipi di HSV presentano so- lo il 45% di omologia di sequenza e, se sottoposti a digestione enzimatica con endonucleasi di restrizione, danno origine ad una serie di bande diffe- renti tra HSV 1 e HSV 2 (Fig. 1.6).

La sierologia, che evidenzia la presenza di anticorpi circolanti prodotti a seguito dell’infezione da HSV, non riveste un ruolo diagnostico nell’indivi- duo adulto. La ricerca delle IgM non ha mostrato alcuna utilità nella diffe- renziazione dell’infezione primaria dagli episodi ricorrenti. Peraltro nel cor- so della primo-infezione l’aumento del tasso di anticorpi IgG tra il primo e il secondo prelievo, effettuato a distanza di almeno 15-21 giorni è rilevabile più tardivamente rispetto all’isolamento colturale. Solo nel caso di infezione neonatale la positività delle IgM, evidenziabile nelle prime 4 settimane di vi- ta e persistendo per parecchi mesi, può rappresentare un utile ausilio dia- gnostico.

Nel corso di recidive si evidenziano solitamente elevati livelli di anticorpi specifici ma, in linea di massima, non si assiste ad alcun movimento anticor- pale significativo se non, in maniera incostante, ad una fugace comparsa di IgM specifiche.

(25)

COLT. CITOL. M.E. IF ELISA IBRID.

MOL.

SENSIBILITA’ +++ + + ++ ++ +++

SPECIFICITA’ +++ ++ ++ +++ +++ +++

FATTIBILITA’ +++ +++ + +++ +++ ++

Tabella 1.7. Raffronto tra diverse metodiche per la ricerca di HSV in lesioni genitali.

Figura 1.6. Analisi mediante ibridazione molecolare di DNA virali provenienti da isolati di HSV 1 (1, 2) e HSV 2 (3), digeriti con l’enzima di restrizione BamHI.

(26)

1.2.4. Terapia

Di fatto non disponiamo tuttora di alcun trattamento curativo radicale dell’herpes genitale, in quanto i farmaci antivirali sono virostatici e agiscono su virus completi o in fase di replicazione, risultando pertanto inefficaci sul genoma virale latente. Tuttavia con l’introduzione degli analoghi dei nu- cleosidi sono stati ottenuti nella pratica clinica sostanziali progressi terapeu- tici. La 5-iodo-2-desossiuridina (idrossiuridina), la citosina arabinoside (vi- darabina) e l’adenina arabinoside monofosfato sono utilizzabili in forma to- pica ma non vengono impiegati per via sistemica a causa della loro elevata tossicità.

L’acicloguanoside o aciclovir è un analogo dei nucleotidi che agisce ini- bendo la DNA-polimerasi virale. La posologia classica dell’aciclovir consiste in un trattamento per os di 1g/d i e per una durata di 7 giorni, iniziando la somministrazione il più precocemente possibile (Reichman e al., 1984).

In caso di primo-infezione la durata del trattamento può essere prolungata a 10 giorni. In questi casi l’impiego dell’aciclovir si rivela importante soprat- tutto perché abbrevia significativamente la durata della p o u s s é e, dell’escre- zione virale e riduce il numero di nuove lesioni.

La terapia delle forme recidivanti si avvale sempre dell’aciclovir con regimi terapeutici di: 1 g/die in 5 somministrazioni per 5 giorni oppure 1,2 g/die in 3 somministrazioni per 5 giorni oppure 1,6 g/die in 2 somministrazioni per 5 giorni. In caso di frequenti recidive, 6 o più l’anno, si può far ricorso ad un trattamento soppressivo che riduce del 60% la frequenza degli episodi clinicamente evidenti pur senza annullare la trasmissibilità del virus.

Secondo le più recenti indicazioni dei CDC il dosaggio di aciclovir consi- gliato in tali casi è di 0,8-1 g/die da proseguire per un anno; il trattamento ri- sulta efficace nel 75% dei casi. Dopo un anno la terapia soppressiva dovreb- be essere sospesa per valutare l’evoluzione delle recidive ed evitare poten- ziali fenomeni di tossicità cumulativa anche se finora per l’aciclovir non so- no stati segnalati effetti collaterali tossici significativi, neppure per tratta- menti protratti fino a 5 anni (CDC, 1993).

In definitiva, la tollerabilità di questi schemi terapeutici a lungo termine appare decisamente soddisfacente. Tuttavia la valutazione dell’efficacia ri- sulta difficile in quanto possono interferire nella valutazione sia la compliance del paziente che l’emergenza di nuovi ceppi virali. Recentemente infatti sono stati isolati in vitro ceppi resistenti all’aciclovir, in particolare in individui immunodepressi e in pazienti con AIDS (Ehrlich e al., 1989; Kirsch e Schooley, 1989).

La prescrizione di aciclovir in gravidanza è limitata esclusivamente alle infezioni da HSV disseminate, potenzialmente in grado di mettere a repenta- glio la vita della madre (Ciraru-Vigneron e al., 1987) sebbene studi di terato- genicità su animali non abbiano evidenziato il rischio di anomalie neonatali (Moore e al., 1983).

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