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Le coperture assicurative delle responsabilità del primario ospedaliero

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Academic year: 2022

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Le coperture assicurative delle responsabilità del primario ospedaliero

Avv. Alberto Polotti di Zumaglia1

1. La normativa in tema di responsabilità dei pubblici dipendenti e l’atteggiamento della giurisprudenza riguardo la responsabilità medica

Per meglio inquadrare le problematiche relative all’assicurazione della responsabilità civile dei primari ospedalieri è il caso di richiamare preliminarmente alcuni riferimenti normativi che influiscono sul riconoscimento di loro responsabilità oltre che sulle responsabilità dei medici in genere.

Si può allora incominciare a ricordare come l’art. 25 d.p.r. 20/12/1979 n. 761 stabilisca al I comma che in materia di responsabilità dei dipendenti delle unità sanitarie locali si applicano le norme vigenti per i dipendenti civili dello Stato di cui al d.p.r. 10/1/1957 n. 3.

Ai medici è dunque applicabile l’art. 22 del predetto d.p.r. n. 3/57, che prevede che l’impiegato il quale nell’esercizio delle sue incombenze cagioni ad un terzo del danno ingiusto, sia personalmente obbligato a risarcirlo, nonché il successivo art. 23 il quale indica la nozione di danno ingiusto, specificando che è tale quello derivante da ogni violazione di diritti di terzi commessa per dolo o colpa grave, salve le responsabilità più gravi previste da leggi vigenti.

Anche il nuovo assetto organizzativo funzionale del Servizio sanitario nazionale previsto dal d.

lgs. 19/6/1999 n. 299 (Norme per la realizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’art.

1 della legge 30 novembre 1998 n. 419) non pare aver modificato la situazione. Infatti, al co. 14 dell’art. 3 bis del citato d. lgs. n. 299/99 si precisa che “il rapporto di lavoro del personale del Servizio sanitario nazionale è regolato dal decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, e successive modificazioni”; e l’art. 59 di quest’ultimo d. lgs. prevede espressamente che per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche resti “….. ferma la disciplina attualmente vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e contabile …..”.

Si può dire a questo punto che dal combinato disposto degli artt. 25 d.p.r. 761/79 e 22 e 23 d.p.r.

n. 3/57 non si ricava una distinzione tra danni a terzi dal medico nell’esercizio dell’attività sanitaria e danni da questi arrecati per altre mancanze ai propri doveri d’ufficio, come l’omesso controllo della salubrità degli ambienti o della sicurezza delle attrezzature in dotazione o per infedele certificazione.

Parrebbe dunque che qualunque sia la causa del danno provocato dal medico, il danneggiato possa convenire in giudizio il medico stesso solo in presenza di colpa grave o dolo.

Ma la stessa giurisprudenza di legittimità ha assunto un atteggiamento ben diverso, che viene così espresso: “La responsabilità dell’ente ospedaliero, gestore di un servizio pubblico sanitario, e del medico suo dipendente per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica, inserendosi nell’ambito del rapporto giuridico pubblico (o privato) tra l’ente ed il privato che ha richiesto ed usufruito del servizio, ha natura contrattuale di tipo professionale”.

Ne consegue che la responsabilità diretta dell’ente e quella del medico, inserito organicamente nella organizzazione del servizio, sono disciplinate in via analogica dalle norme che regolano la

1 Responsabile Contenzioso Sinistri Sai Assicurazioni - Torino

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responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto d'opera professionale, senza che possa trovare applicazione nei confronti del medico la normativa prevista dagli art. 22 e 23 d.p.r. 10/1/1957 n. 3, con riguardo alla responsabilità degli impiegati civili dello Stato per gli atti in violazione dei diritti dei cittadini2.

Ulteriore conseguenza dell’affermazione dell’esistenza di una responsabilità contrattuale anche per il medico dipendente di una struttura sanitaria pubblica è l’affermazione che da un lato il suo comportamento viene valutato alla stregua di quello di un debitore qualificato, come indicato dall’art. 1176 co II cc, il che comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti della professione medica, e dall’altro che detto medico può avvalersi direttamente e non in via analogica come in precedenza riconosciuto, dell’art. 2236 cc., per cui in presenza di problemi tecnici di speciale difficoltà sarà ritenuto responsabile solo in presenza di dolo o colpa grave per la mancanza di perizia, mentre risponderà anche per colpa lieve con riferimento ai danni causati per negligenza o imprudenza3.

Il costante riferimento fatto dalla giurisprudenza appena richiamata solo alle norme che regolano la responsabilità professionale medica, consente di osservare che non è da escludersi l’applicabilità degli artt. 22 e 23 del d.p.r. n. 3/57 ai casi in cui il danno provocato dal medico non sia riconducibile ad una sua attività medico-sanitaria in senso stretto.

Quest’ultima osservazione diventa particolarmente rilevante per il primario ospedaliero, che può veder affermata una sua responsabilità anche per fatti riconducibili alla sua attività dirigenziale e non solo alla sua attività professionale.

In sintesi può allora affermarsi che il medico (e soprattutto il primario) può essere responsabile a titolo contrattuale, in solido con la p.a. nei confronti del terzo danneggiato anche per colpa lieve, in presenza di non corrette prestazioni sanitarie, mentre non sarà responsabile nei confronti del terzo per danni provocati con colpa lieve al di fuori delle prestazioni sanitarie, e di tali danni dovrà rispondere solo l’ente pubblico a titolo di responsabilità extracontrattuale; se poi nel comportamento tenuto nelle prestazioni extra-sanitarie si ravvisasse dolo o colpa grave il medico ne risponderà a titolo extra-contrattuale in solido con l’ente dal quale dipende.

2. I compiti dei primari e le relative responsabilità

Riguardo le specifiche responsabilità dei primari è chiaro che la loro individuazione è direttamente influenzata dai compiti ad esso affidati, compiti che, anche attualmente, oltre all’attività di diagnosi e cura comprendono funzioni di direzione ed organizzazione da attuarsi, come detto al co. 6 art, 15 d. lgs. n. 502/92 come modificato dall’art. 13 d. lgs n. 229/99, “…..

nell’ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza, anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa, e l’adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio e per realizzare l’appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, attuati nella struttura loro affidata”.

Tali compiti sono in realtà espressamente attribuiti al cosiddetto dirigente di struttura complessa, posto che il predetto d. lgs. n. 299/99 al I co della norma dianzi richiamata, fa riferimento solo alla dirigenza sanitaria “….. collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali ed in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali”.

2 Così Cass. 11/4/1995 n. 4152 in Riv. It. Medicina Legale, 1997, 1073; in precedenza nello stesso senso Cass.

27/5/1993 n. 5939 in Mass. 1993 e soprattutto Cass. 1/3/1998 n. 2144 in Foro it. 1988, I, 2296 con nota di Princigalli.

3 V. Cass. 22/1/1999 n. 589 in Danno e responsabilità 1999, 294 con nota di Carbone cui si rinvia per ulteriori richiami.

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È così ora previsto un solo dirigente sanitario che, a seconda delle funzioni che gli sono affidate, può essere dirigente di struttura semplice, di struttura complessa, oppure, ove non sia a capo di una struttura, può svolgere funzioni di natura professionale, anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca, nonché funzioni ispettive, di verifica e controllo.

Al solo fine di evidenziare una certa evoluzione terminologica si può ricordare:

♦ L’art. 7 d.p.r. 27/3/1969 n. 128, contenente l’ordinamento dei servizi ospedalieri, prevedeva le attribuzioni dei primari, aiuti ed assistenti, elencando abbastanza minuziosamente i compiti dei primari stessi, compiti comprendenti, oltre l’attività medica, anche la vigilanza sul personale sanitario, la preparazione ed il perfezionamento tecnico-professionale di quest’ultimo, nonché altre attività di direzione e di carattere amministrativo;

♦ L’art. 63 d.p.r. 20/12/1979 n. 761, prendendo in considerazione le iscrizioni dei profili professionali alle qualifiche funzionali e le attribuzioni del personale delle USL, faceva riferimento al medico appartenente alla posizione apicale, a quello appartenente alla posizione intermedia ed a quello appartenente alla posizione iniziale ed anche qui i compiti del medico appartenente alla posizione apicale comprendevano attività di didattica, direzione e programmazione, oltre all’attività propriamente medica;

♦ L’art. 15 del d. lgs. 30/12/1992 n. 502, disciplinando la dirigenza del ruolo sanitario, prendeva due livelli di dirigenza ed al personale del secondo livello venivano attribuite nuovamente funzioni di direzione ed organizzazione della struttura di appartenenza.

Si può allora dire che il primario, dopo essere transitato per la posizione di medico in posizione apicale, è diventato il dirigente di secondo livello, per ritrovarsi ora in una generica posizione di dirigente con funzioni però correlate alle responsabilità professionali e gestionali che gli vengono attribuite, ma restando però sempre soggetto a responsabilità che da un lato fanno capo alla sua attività medica e dall’altro alla sua attività di direzione.

E proprio dall’espletamento dell’attività di direzione la giurisprudenza di merito ha fatto derivare precise responsabilità del primario anche per i danni patiti dai dipendenti.

Si è, infatti, individuato in esso primario il soggetto destinatario dell’obbligo di attuare le misure di sicurezza dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, nonché il soggetto che deve curare l’informazione e l’addestramento del personale nell’utilizzo delle attrezzature e che deve esigere l’utilizzo dei mezzi personali di protezione, rilevandosi sinteticamente che “….. nel sistema delineato dalla legislazione antinfortunistica, colui che dirige, o è comunque addetto all’immediata vigilanza dell’attività lavorativa, assume una posizione di garante dell’osservanza delle cautele doverose prescritte”4.

I soggetti che possono agire contro il dirigente sanitario chiedendo un risarcimento possono quindi essere oltre i pazienti che lamentino diagnosi o cure non appropriate anche i dipendenti del reparto ad esso assegnato; non è poi da trascurare il fatto che l’ente dal quale il dirigente dipenda potrà agire in rivalsa nei suoi confronti ove abbia dovuto, per fatto ad esso addebitabile, subire un esborso in proprio e che, infine, anche l’assicuratore della responsabilità civile dell’ente potrà agire contro di esso in surrogazione.

4 V. Pret. Torino 22/3/1989 in Foro it., 1990, II, 58 con nota.

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3. Le rivalse contro il medico pubblico dipendente

Si può a questo punto ricordare che il II co. Art. 22 d.p.r. n. 3/57 prevede che l’amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente possa rivalersi agendo contro quest’ultimo.

L’art. 1 1.14/1/1994 n. 20 (come modificato dall’art. 3 d.l. 23/10/1996 n. 543) ha stabilito che “la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”.

L’ambito di operatività dell’art. 22 d.p.r. n. 3/57 viene dunque implicitamente ridotto consentendosi di fatto alla Corte dei Conti di esercitare la rivalsa solo nei casi di dolo o colpa grave e con esclusione quindi dei casi di colpa lieve, per i quali invece, in passato, la Corte medesima poteva agire.

Tale rivalsa, poi, per l’art. 52 t.u. 12/7/1934 n. 1214 non si riferisce ai soli fatti relativi al maneggio di denaro, ma si estende ad ogni ipotesi di responsabilità per spese economiche sostenute dallo Stato o da enti pubblici da loro dipendenti che abbiano agito nell’esercizio delle loro funzioni e può essere quindi esercitata anche nei confronti del medico o del dirigente sanitario.

Riguardo l’azione surrogatoria esercitabile dall’assicuratore dell’ente dal quale il dirigente dipenda si può, per il momento, osservare che può essere basata sull’art. 1916 cc., che attribuisce appunto all’assicuratore che ha pagato l’indennità il diritto di surrogazione verso i terzi responsabili, oppure sull’art. 1201 cc., che consente al creditore che riceve un pagamento da un terzo di surrogarlo nei propri diritti.

Tale azione può ovviamente essere rinunciata dall’assicuratore stesso sia in via preventiva con apposito patto contrattuale, sia successivamente al verificarsi del fatto dannoso, nel qual caso può dirsi essersi verificata una normale remissione di debito che è causa di estinzione dell’obbligazione.

4. La garanzia assicurativa dell’ente pubblico

Occorre a questo punto esaminare i presupposti normativi del contratto di assicurazione della responsabilità civile che le unità sanitarie locali stipulano nel loro interesse e che chiaramente influiscono sul contenuto di tale contratto.

Norma fin troppo nota è sempre il co. II dell’art. 28 del d.p.r. n. 761/79, il quale prevede che le USL possono garantire anche il personale dipendente, mediante adeguata polizza di assicurazione della responsabilità civile, relativamente alla loro attività, senza diritto di rivalsa, salvo i casi di colpa grave o di dolo.

Tale norma vale di certo anche per i dirigenti medici, ed una prova sia pur indiretta si può vedere nel fatto che l’art. 75 del Provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12/9/1996, che autorizza il governo a sottoscrivere il contratto collettivo nazionale di lavoro per la dirigenza medica e veterinaria, elenca tutte le norme non più applicabili perché in contrasto con il nuovo contratto, ma tra le medesime richiama il predetto art. 28.

Pertanto ove l’ente decida di assicurare anche la responsabilità civile dei propri dipendenti si può dire che il predetto art. 28, escludendo il diritto di rivalsa dell’assicuratore, salvo i casi di colpa grave o dolo, impone in pratica all’assicuratore stesso un vero e proprio obbligo di rinuncia alla surrogazione per i casi di colpa lieve.

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E allora, se con la polizza che assicura l’ente si estendono le garanzie anche a favore dei dipendenti di esso ente, si deve ammettere che questi sono anch’essi assicurati, ma proprio per questo la garanzia che li riguarda deve essere limitata alla colpa lieve, in modo che i predetti dipendenti non risultino assicurati per la colpa grave; se così non fosse l’azione di surrogazione per la colpa grave sarebbe impossibile.

Tanto spiega come la maggior parte delle polizze esistenti sul mercato a garanzia della responsabilità civile delle Aziende sanitarie ed ospedaliere prevedano espressamente il diritto di rivalsa dell’assicuratore verso il medico dipendente, soltanto quando il danno è causato da un suo comportamento doloso o gravemente colposo ed estendano a suo favore le garanzie solo per i danni causati da colpa lieve. E poiché quest’ultima estensione rappresenta una delimitazione del rischio assicurato e non una limitazione di responsabilità dell’assicuratore, non si vede nemmeno la necessità del richiamo espresso rappresentato dalla doppia sottoscrizione ex art. 1341 cc.

Il quadro che allora si presenta per quanto riguarda il primario ed in presenza di copertura assicurativa con le caratteristiche appena delineate, può essere così sintetizzato: sia che il fatto dannoso sia riconducibile ad attività medica, sia che consegua ad attività direzionale, o comunque di altro genere, ma sempre collegata con il fatto dannoso riconducibile a colpa grave o dolo, potrà sussistere la surrogazione dell’assicuratore che ha pagato.

Nel caso in cui l’ente debba pagare in proprio, o perché non assicurato o perché si è verificata una qualsiasi causa di inoperatività delle garanzie, la rivalsa dovrà essere esercitata dalla Corte dei Conti, in ogni caso, ma limitatamente ai fatti commessi con dolo o colpa grave come previsto dall’art. 1 1. N. 20/1994 e con esclusione quindi dei casi riconducibili a colpa lieve. Per contro, come già accennato, il primario potrà essere convenuto in giudizio direttamente dal danneggiato sia per colpa grave che per colpa lieve allorché venga in essere una sua responsabilità collegata all’attività strettamente sanitaria, e solo ove sussista colpa grave negli altri casi.

5. Eventuale assicurazione estesa anche alla colpa grave del sanitario

Ci si può chiedere a questo punto se possa venir richiesta dalle Aziende sanitarie o ospedaliere una copertura assicurativa che comprenda anche la colpa grave dei medici e quindi con esclusione della rivalsa nei loro confronti. Quanto al dolo è chiaro che, trattandosi di ipotesi non assicurabile, non si potrà avere una garanzia che copra il fatto doloso dell’assicurato; ciò non esclude però che nella garanzia diretta a coprire la responsabilità civile dell’ente si coprano anche i fatti dolosi dei suoi dipendenti, salva ovviamente la rivalsa nei loro confronti.

Di fatto, la richiesta di una copertura che escluda la rivalsa dell’assicuratore a fronte di colpa grave del dipendente, potrebbe risultare incompatibile con una spesa superiore a quanto richiesto dalla lettera della legge e la Corte dei Conti ha precisato che “costituisce danno risarcibile il costo relativo alla copertura assicurativa dei rischi risultanti da colpa grave degli assicurati dipendenti da una USL, nonché quello relativo alla copertura dell’attività svolta dagli amministratori al di là dei compiti di istituto, cosicché sussiste la responsabilità dei componenti il comitato di gestione di una unità sanitaria che abbiano stipulato siffatte polizze di assicurazione”5.

Viene subito da osservare che se all’estensione della copertura assicurativa ai fatti connessi con colpa grave dai dipendenti delle USL non corrisponderebbe una maggiorazione del premio

5 Così Corte conti sez. giur. Reg. Veneto 15/5/1996 n. 185 in Rep. Foro It. 1997, 1848, n. 758; v. anche Corte Conti 4/2/1993 n. 833/A in Riv. Corte Conti, 1993, fasc. 2, 65 e Corte conti 29/11/1990n. 254 in Riv. Corte Conti 1990, fasc.

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assicurativo, non si potrebbe parlare di danno erariale per la mancanza di una spesa antigiuridica, che in realtà non esisterebbe.

Ma se il II co. Art. 28 DPR n. 761/79 prevede che le USL abbiano solo la facoltà di garantire il personale dipendente per il rischio della responsabilità civile unicamente per la colpa lieve, situazione leggermente diversa si può invece vedere per i medici convenzionati.

Il DPR 22.7.1996 n. 484 (Accordo Collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi dell’art. 4 c. 9 della l. n. 412/1991 e dell’art. 8 del D. lgs. n.

502/1992…..) all’art. 8 all. n. precisa, infatti, che “l’azienda provvede ad assicurare i medici incaricati ai sensi del presente accordo contro i danni da responsabilità professionali verso i terzi e contro gli infortuni subiti a causa ed in occasione dell’attività professionale espletata ai sensi dell’accordo stesso…..”.

In modo analogo l’art. 29 del DPR 29/7/1996 n. 500 (Accordo Collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali…..) prevede che l’azienda provveda

“….. ad assicurare gli specialisti comunque operanti negli ambulatori in diretta gestione contro i danni da responsabilità professionale verso i terzi e contro gli infortuni subiti a causa ed in occasione dell'attività professionale...".

Quest’ultima norma prevede, anche se per la responsabilità civile, che le polizze siano stipulate con un massimale di £. 1.500.000.000 per sinistro con il limite di £. 1.000.000.000 per persona e di

£. 500.000.000 per danni a cose o animali.

Situazione simile era d’altronde già ravvisabile in norme contenute in precedenti accordi, quali ad esempio: art. 13 DPR 13/3/1992 n. 261 (regolamento per il recepimento delle norme risultanti dall’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con gli psicologi ambulatoriali…..);

art. 24 DPR 14/2/1992 n. 218 (regolamento per il recepimento delle norme risultanti dall’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici addetti alle attività della medicina dei servizi…..).

Parrebbe allora che nei confronti dei medici convenzionati le A.S.L. si siano assunte con i predetti accordi collettivi un preciso impegno a sottoscrivere delle polizze di RC professionale anche per conto di detti medici, i quali, in virtù dell’art. 1891 c.c. rivestirebbero, a tutti gli effetti, la figura di assicurato di una polizza per la quale non è prevista alcuna limitazione relativa al grado della colpa.

Situazione diversa si ravvisa invece nel DPR 21/10/1996 n. 613 (accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti pediatri di libera scelta) in cui non è riportato alcun obbligo di assicurare da parte dell’USL. Per contro, nell’allegato H a tale decreto si prevedono due tabelle, che elencano le spese la cui variazione viene presa in considerazione al fine del calcolo dell’inflazione reale, e tra le medesime nella categoria “Servizi” si considera anche l’assicurazione di responsabilità professionale civile che dunque dovrebbe restare a carico del medico, con il ché non si potrebbero creare problemi in ordine al grado della colpa, come invece previsto in via generale laddove il costo dell’assicurazione resti a carico dell’ente pubblico.

6. La responsabilità dei dirigenti sanitari e le possibilità di copertura assicurativa Come si vede dai provvedimenti richiamati già esistono esempi, proprio nel settore sanitario, nei quali la questione dell’assicurazione della colpa grave è stata superata in sede di contrattazione collettiva di determinate categorie di medici, e ciò non dovrebbe essere impossibile da praticarsi anche per le posizioni dirigenziali, il ché potrebbe avvenire o con l’estensione delle garanzie dell’ente o con la previsione espressa di apposita polizza.

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Per tali posizioni, però, la situazione è complicata dai vari tipi di responsabilità in cui possono incorrere i dirigenti stessi e che sono collegate alle funzioni di direzione, coordinamento, addestramento, ecc., per cui si dovrebbero prevedere garanzie adeguate.

Se si considera che l’art. 15 d. lgs n. 502/92, quale modificato dall’art. 13 d. lgs n. 229/99, precisa che in sede di contrattazione collettiva nazionale siano previsti anche criteri generali per l’attribuzione del trattamento economico accessorio relativo agli incarichi dirigenziali correlato alle funzioni attribuite, si potrebbe anche ipotizzare in tale sede una forma di indennità specifica diretta alla copertura assicurativa dei rischi tipici dell’attività esercitata.

Difficoltà sul piano pratico potranno derivare al momento in cui si tratterà di delimitare il rischio assicurativo, visto che l’attività dirigenziale può essere fonte di danni nei confronti dei terzi, per errate diagnosi o cure, come pure per mancati controlli sulla pericolosità delle attrezzature o degli stessi locali del reparto, o addirittura per certificazioni inesatte o errate6, ma può anche provocare un danno indiretto alla amministrazione per esborsi che questa abbia dovuto affrontare a titolo di risarcimento di danni a terzi, come pure un danno diretto per i motivi più vari, ma chiaramente collegati ad esborsi che l’amministrazione medesima abbia dovuto affrontare sempre per fatti imputabili all’attività dirigenziale.

A titolo di esempio di danni direttamente reclamabili dall’amministrazione, si può ricordare essere stato affermato che “il primario, quale dirigente del reparto, diviene responsabile della custodia dei farmaci presi in carico sin dal momento della consegna, e ciò sia a titolo di agente contabile secondario (con conseguente possibilità di responsabilità contabile), sia comunque quale figura di vertice dell’anzidetta articolazione amministrativa (con conseguente possibilità di responsabilità amministrativa); ne consegue che, in caso di sottrazione di costosi medicinali non idoneamente custoditi in reparto contabile, rimane comunque assorbita la concorrente prospettata responsabilità amministrativa”7.

Si possono anche ricordare, in tale ambito, i danni rappresentati da maggiori costi ingiustificatamente patiti dall’ente pubblico per eventuali violazioni del cosiddetto obbligo di appropriatezza dei farmaci, quale previsto dall’art. 15 decies di cui al d. lgs. n. 229/99, o per l’omessa adozione da parte del dirigente sanitario di provvedimenti organizzativi da cui derivi un difettoso funzionamento dei servizi od intralcio al conseguimento degli obiettivi programmati.

Tali danni direttamente provocati all’amministrazione, a proposito dei quali si parla normalmente di danno erariale, rientrano peraltro sempre nell’ambito della responsabilità amministrativa, riguardo la quale dovrebbero operare le norme regolanti la responsabilità degli impegni pubblici, con la conseguenza che se ne risponde solo in presenza di colpa grave o dolo.

Ma la risarcibilità di tali danni trova la sua causa nello stesso rapporto di lavoro ed anche nelle cautele poste dalla legge a tutela della finanza pubblica, nell’ottica di rendere sempre più responsabile ed economica l’attività dei pubblici dipendenti, tanto che l’art. 1 l. n. 20 (94 prevede una responsabilità personale degli stessi per i fatti commessi con dolo o colpa grave, pur tenendo ferma l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, ed estende inoltre l’obbligazione risarcitoria ai loro eredi, nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di indebito arricchimenti degli eredi stessi.

6 La Suprema Corte ha infatti ritenuto che il privato che assuma di aver subito un danno per certificazioni inesatte o errate può rivolgersi alla magistratura ordinaria per far accertare “….. l’esistenza in concreto di situazioni di diritto soggettivo meritevoli di tutela risarcitoria” Cass. 10/2/1996 n. 1030 in Foro amm. 1997, 1043.

7 V. Corte Conti sez. giur. Reg. Basilicata, 2/12/1997 n. 256 in Resp. Foro It. 1998 p. 1856 n. 791.

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Si tratta allora di un tipo di responsabilità non riconducibile ai canoni ermeneutici civilistici, che si pone in modo diverso dalla responsabilità civile verso terzi, per cui ci si può anzitutto chiedere se una tale responsabilità contabile–amministrativa sia in astratto assicurabile.

La risposta dovrebbe essere positiva, visto che tale responsabilità ha senz’altro natura risarcitoria. Se poi anche si volesse dire che il risarcimento così previsto ha un fine sanzionatorio, il risultato non cambierebbe poiché “il rischio che si assume attiene al debito derivante da un’obbligazione di risarcire che può depauperare il patrimonio dell’assicurato”.

È sufficiente che esistano i presupposti del fatto illecito e dell’obbligazione di risarcire per sostenere l’assicurabilità sotto il profilo del rischio. Neppure sotto il profilo della garanzia e del sinistro ha influenza la finalità sanzionatrice che caratterizza il risarcimento8.

L’eventuale nullità totale o parziale del contratto potrebbe aversi solo ove il contenuto del contratto medesimo sia contrario all’ordine pubblico, come nel caso di un’assicurazione contro ammende penali o sanzioni economiche, o sussista una precisa norma che lo impedisca, il ché però non sembra esistere nel caso di specie.

Ci risulta anzi che coperture a garanzia della responsabilità contabile-amministrativa di dirigenti e funzionari dell’amministrazione finanziaria siano già state studiate; non si vede quindi perché analoga iniziativa non possa venir assunta anche per i dirigenti, per i quali d’altronde la predetta responsabilità dovrebbe avere un peso meno importante, tenuto conto che le loro attribuzioni, al di là di casi simili a quelli in precedenza richiamati, non dovrebbero comportare, in linea di massima, attività cui consegua l’erogazione di spese o il recupero di entrate patrimoniali.

È chiaro però che se una garanzia diretta a coprire anche tale responsabilità venisse concepita come estensione delle garanzie dell’ente, come ora previsto per la responsabilità civile dei dipendenti delle USL, si avrebbe una situazione per la quale il soggetto danneggiato sarebbe il contraente della polizza che, proprio per questo, non potrebbe rientrare tra quei terzi (intesi come soggetti estranei al contratto) i cui danni costituiscono appunto l’oggetto del risarcimento previsto dalla polizza, per cui si dovrebbe trovare una soluzione pratica che consenta di coprire anche tale rischio.

Il fatto è che, mentre per il personale medico in genere potrebbe essere sufficiente una polizza che prenda in considerazione la sola responsabilità professionale medica, senza limiti basati sul grado della colpa, ed escludendo pertanto anche possibili rivalse dell’amministrazione pubblica, per i dirigenti sanitari occorre pensare ad una copertura assicurativa che comprenda anche i danni riconducibili all’attività di direzione ed organizzazione della struttura, nonché quelli riconducibili a responsabilità contabile-amministrativa.

7. La responsabilità per l’attività intramuraria

Occorre inoltre tener presente che gli incarichi di direzione di struttura, semplice o complessa, implicano il rapporto di lavoro esclusivo (co 5 art. 15 quinquies d. lgs. n. 229/99), il quale comporta a sua volta il diritto all’esercizio di attività libero-professionale individuale, al di fuori dell’impegno di servizio, nell’ambito delle strutture aziendali.

È in sostanza previsto che l’attività professionale individuale venga esercitata nella cosiddetta forma intramuraria9, mentre per coloro che intendono mantenere l’opzione per l’esercizio della

8 V. A. D. Candian – Responsabilità civile e assicurazione – Milano 1993, p. 141.

9 Si ricorda che l’attività professionale intramuraria è richiamata dall’art. 4 c. 10 d. lgs n. 502/92, riguardo il quale è stata sollevata questione di incostituzionalità, risolta peraltro dalla Corte Costituzionale, la quale ha deciso che la

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libera professione extramuraria è semplicemente previsto che tanto comporti “…… la totale disponibilità nell’ambito dell’impegno di servizio, per la realizzazione dei risultati programmati e lo svolgimento delle attività professionali di competenza” (art. 15 sexies d. lgs. n. 229/99).

Per meglio inquadrare la fattispecie occorre anzitutto ricordare che il co 10 dell’art. 4 l. n. 502/92 prevede che all’interno dei presidi ospedalieri e delle aziende sanitarie locali siano riservati spazi adeguati per l’esercizio della libera professione intramuraria oppure, in mancanza di tali spazi, vengano stipulati appositi contratti con case di cura private o altre strutture sanitarie pubbliche o private.

Con l’art. 1 co. 10 della l. 23/12/1996 n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) si è fissato al 31/3/97 il termine entro il quale i dipendenti del Servizio sanitario nazionale dovevano esercitare l’opzione tra l’esercizio dell’attività libero professionale intramuraria od extramuraria, mentre con decreto 31/7/1997 del Ministero della Sanità (in G. U. 5/8/97 n. 181) si sono stabilite le linee guida dell’organizzazione dell’attività libero professionale intramunitaria.

La definizione delle caratteristiche dell’attività professionale intramuraria è stata affidata dal D.

L. 20/6/1997 n. 175 (convertito dalla legge 7/8/1997 n. 272) al Ministero della Sanità, il quale vi ha provveduto con proprio decreto 31/7/1997 (in G. U. 2/9/97 n. 204), ma il termine ivi previsto è stato spostato al 31/7/1999 con D. M. 31/8/1998 (in G. U. 11/8/1998 n. 186).

Detto decreto precisa all’art. 1 che per attività libero professionale intramuraria si estende quell’attività che il personale medico “….. esercita fuori orario di lavoro, in regime ambulatoriale sia nelle strutture ospedaliere che territoriali, di day hospital o di ricovero, in favore e su libera scelta dell’assistito e con oneri a carico dello stesso o di assicurazioni o fondi sanitari integrativi”.

L’attività di consulenza (art. 5) nei servizi sanitari di altra azienda od ente con cui sia stato stipulato apposito accordo è riservata ai dirigenti che hanno optato per l’attività libero professionale intramuraria e rientra nei compiti istituzionali, salvo venga esercitata fuori dell’orario di lavoro, nel qual caso è considerata attività libero-professionale intramuraria ed i relativi compensi sono assimilati, ai soli fini fiscali, a quelli di lavoro dipendente (come d’altronde già precisato in via generale dal co 7 art. 1 l. n. 662/96).

Il diritto all’esercizio dell’attività professionale nell’ambito dei servizi, presidi e strutture dell’USL era d’altronde già riconosciuta al personale medico con rapporto di lavoro a tempo pieno dall’art. 35 co 2 lett.d) del D.P.R. n. 761/79.

predetta norma “….. non è in contrasto con gli art 116, 117, 118 e 119 Cost., nella parte in cui stabilisce che nell’interno delle aziende e dei presidi ospedalieri, siano riservati adeguati spazi per l’esercizio della professione intramuraria e una quota di posti letto per l’istituzione delle camere a pagamento, poiché tale norma non può essere considerata di dettaglio, lasciando alle regioni un margine di discrezionalità per l’esercizio dei poteri di organizzazione ed è d’altra parte diretta a disciplinare un punto rilevante del nuovo sistema di assistenza sanitaria che vuole garantire ai medici, in relazione alle norme sulla incompatibilità, la possibilità di esercitare la libera professione all’interno dell’ospedale e di permettere alle aziende ospedaliere di beneficiare di nuove entrate.” (Corte Costit. 28/7/1993 n. 355 in Cons, Stato 1993, II, 1251). Per considerazioni sull’argomento v. A. De Roberto, “L’attività intramuraria ed extramuraria del personale sanitario”, oggi in Cons. Stato, 1997, II, 1293. Riguardo ad un aspetto di carattere penale si può ricordare essere stato affermato che “commette il reato di appropriazione indebita il medico dipendente ospedaliero che svolgendo attività libero professionale “intramunitaria” ometta di versare alla USL quota percentuale del suo onorario per l’utilizzo delle strutture ospedaliere. Non è tuttavia in tale ipotesi configurabile l’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera, ex art. 61 n. 11 c.p., perché il professionista in tal caso non esercita alcuna opera, ma è tenuto, nell’espletamento della sua attività libero-professionale, soltanto al pagamento di un canone per la locazione della struttura messa a disposizione, indipendentemente del concreto sistema concordato per il pagamento stesso, nonché dal rapporto di lavoro preesistente fra USL e il medico altrimenti operante”, Pret. Arezzo 9/5/1994 in Giust. Pen. 1994, II, 563.

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Ma durante l’attività professionale intramuraria non opererà la copertura dei servizi, presidi e strutture della responsabilità civile prevista nella polizza contratta dall’ente pubblico per i suoi dipendenti relativamente all’attività da essi prestata durante il servizio ed ecco allora che si presenta la necessità di una copertura assicurativa anche per tale attività professionale.

Se quest’ultimo tipo di copertura assicurativa, sotto il profilo teorico, può non presentare grosse problematiche, trattandosi, in sostanza, di una pura e semplice assicurazione della responsabilità professionale medica del singolo, sotto il profilo pratico potranno invece insorgere complicazioni allorché si dovrà giungere all’accertamento della responsabilità in seguito ad un evento dannoso.

Un conto, infatti, è il danno conseguente ad errore di diagnosi o cura, altro è invece il danno provocato da difetto delle attrezzature o da negligenza o imperizia del personale paramedico, nel qual caso la responsabilità dell’ente che ha fornito attrezzature inidonee o personale impreparato potrà concorrere la responsabilità del medico per l’attività professionale svolta, quando non gli venga addirittura eccepito che come responsabile del reparto doveva aver adeguatamente addestrato quel personale che ha poi concorso a provocare il danno.

Si tenga anche presente che l’art. 4 co 10 d. lgs. n. 502/92 prevede che per l’attività intramuraria i medici siano tenuti ad utilizzare i moduli delle strutture sanitarie pubbliche da cui dipendono, ma che queste ultime, nell’impossibilità di assicurare spazi idonei, possano, previa autorizzazione della Regione, reperirli presso case di cura o altre strutture pubbliche o private e così possono ben immaginarsi le svariate ipotesi di concorso di responsabilità che si possono presentare.

Da ciò deriva anche l’esigenza che nella polizza che il dirigente sanitario stipula direttamente od in altro modo, venga espressamente prevista la possibilità di attività presso enti diversi da quello di appartenenza, che potrebbero venir identificati sia pur solo con il riferimento a quelli scelti e messi a sua disposizione dall’ente di appartenenza.

8. I danni coperti con le garanzie di responsabilità civile

Come già evidenziato, è chiaro dunque che il dirigente sanitario può essere tenuto ad un esborso, in forza di responsabilità ad esso derivanti dalla sua attività propriamente medica, dalla sua attività di dirigente e dal suo inquadramento tra pubblici dipendenti.

Questo comporterà anzitutto che diversi soggetti potranno agire contro di esso dirigente a seconda del tipo di responsabilità invocato, così i malati per responsabilità professionale, i dipendenti o l’ente per negligenze nella direzione e nuovamente l’ente per responsabilità contabile- amministrativa.

A questo punto occorre però tener presente che le polizze che coprono la responsabilità civile delle aziende sanitarie ed ospedaliere prevedono che l’assicurato venga tenuto indenne di quanto debba pagare, quale responsabile civile, a titolo di risarcimento per danni involontariamente cagionati a terzi, per morte e lesioni personali o per distribuzione e deterioramento di cose.

Ma quando l’ente pubblico agisce contro il dipendente invocando una sua responsabilità contabile–amministrativa, chiede il rimborso di somme per perdite patrimoniali ad esso arrecate con un determinato comportamento, e non potrà certo dimostrare di aver patito una lesione personale né un danno a cose, per cui se anche si volessero estendere le garanzie previste dalle polizze stipulate dagli enti alla responsabilità dei dipendenti per danni arrecati ad essi enti, si dovrebbe modificare il tipo di danno preso in considerazione inserendovi le perdite patrimoniali.

Situazione diversa si ha invece allorché l’assicuratore privato agisca in rivalsa nei confronti del medico per la presenza di colpa grave o dolo, perché in tal caso l’assicuratore stesso esercita

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l’azione surrogatoria, in forza della quale si trova nella stessa posizione giuridica del soggetto nei cui diritti è subentrato, subendo quindi tutte le eccezioni ad esso opponibili.

In sintesi può allora dirsi che il dirigente sanitario è garantito con la polizza dell’ente, che estende le garanzie anche al personale dipendente per i danni da esso arrecati nell’esercizio della sua attività a persone o cose, salvo, comunque, quanto detto per la rivalsa per i casi di colpa grave o dolo. Con tale polizza il dirigente non è però garantito per i danni arrecati durante l’attività intramuraria, e non è comunque garantito per le perdite patrimoniali che arrechi all’ente.

A tutela del suo patrimonio il dirigente può allora stipulare un polizza personale che lo garantisca per i rischi in tal modo esclusi.

In tal caso occorre però tener presente che un conto è la polizza che garantisca per l’attività strettamente sanitaria e che interverrà in tutti i casi in cui il dirigente esplichi un’attività medica, altro è il caso in cui venga espressamente garantita l’attività di dirigente presso una determinata struttura che ovviamente interverrebbe anche per i danni riconducibili all’attività di direzione, salvo però sempre, anche in quest’ultima ipotesi, quanto detto relativamente al tipo di danno preso in considerazione e quindi alle difficoltà relative alla copertura delle perdite patrimoniali.

Se si considerano le difficoltà intese nella stessa valutazione dei rischi “dirigenziali”, si vede però come per gli assicuratori sia di difficile valutazione un tasso di premio che consenta la forma di garanzia più ampia, e come sia quindi per essi preferibile garantire la sola attività strettamente medica.

È chiaro peraltro che anche la semplice assicurazione della sola responsabilità medica comporta determinate attenzioni, soprattutto con riferimento alla descrizione del rischio assicurato; il fatto ad es. di garantire un determinato medico per la sua attività di chirurgo non comporterà anche la copertura della sua responsabilità ove svolga attività anestesista, sia pure avendone ottenuto la relativa specializzazione, e ciò perché in sede di assunzione del rischio l’assicuratore ha preso in considerazione le caratteristiche del rischio connesso alla chirurgia e non quelle connesse al rischio dell’anestesia.

Come si vede, la responsabilità anche diretta del dirigente sanitario attiene ad una situazione particolarmente complessa, la cui soluzione pratica potrà essere forse più facilmente risolta con l’intervento del legislatore o con diverso atteggiamento della Corte dei Conti o con adeguate clausole di contratti collettivi, in sintonia con quanto già si è verificato per i medici convenzionati.

9. La pluralità di assicurazioni

A questo punto si può ancora ricordare che la presenza di una polizza stipulata direttamente dal dirigente sanitario, può portare alla contemporanea assicurazione del medesimo rischio nei casi in cui lo stesso risulti anche assicurato tramite una polizza stipulata a suo favore dall’ente pubblico dal quale dipende.

Ad evitare la contemporanea operatività dei due contratti si prevede talora una precisa clausola, in fora della quale le varie assicurazioni si dispongono in successive l’una con l’altra, in modo che la successiva operi solo ad esaurimento od in mancanza della garanzia antecedente.

Si parla in tal caso di assicurazioni di primo e secondo rischio.

Quando invece non si ha una clausola del genere, la contemporanea operatività delle due polizze, portando alla sovrapposizione delle rispettive garanzie, determina i presupposti per l’applicazione dell’art. 1910 c.c., che regola appunto l’ipotesi dell’assicurazione presso diversi assicuratori.

Tale norma prevede che l’assicurato dia avviso di tutte le assicurazioni a ciascun assicuratore non restando tenuti gli assicuratori stessi se vi è stata omissione dolosa dell’avviso; in caso di

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sinistri l’assicurato deve darne avviso a tutti gli assicuratori e l’assicuratore che ha pagato può regredire nei confronti degli altri per la ripartizione proporzionale dell’indennità.

Circa l’identificazione del soggetto che al momento del sinistro deve dare l’avviso, è il caso di ricordare che la Suprema Corte, modificando un suo precedente atteggiamento, ha di recente affermato che occorre far riferimento a colui che beneficia della garanzia assicurativa e non al contraente del contratto10.

Nel caso di specie il dirigente sanitario dovrebbe quindi provvedere a dare l’avviso alle compagnie interessate alla presenza di ciascuna.

10. La gestione della lite

A conclusione di quanto sin qui detto, si possono ancora formulare alcune brevi e sintetiche osservazioni riguardo la gestione della lite che il danneggiato proponga contro il dirigente sanitario.

Sia le polizze che prendono in considerazione la responsabilità dell’ente pubblico che quelle relative alla responsabilità del singolo sanitario contengono normalmente una clausola, in forza della quale l’assicuratore assume, fino a quando ne ha interesse, la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale, sia civile che penale, a nome dell’assicurato, incaricando a proprie spese legali o consulenti; sono escluse le spese affrontate dall’assicurato per legali o consulenti che non siano stati designati dall’assicuratore e sono del pari escluse multe, ammende e spese di giustizia penale.

Tale clausola pone in essere un patto di gestione della lite che non obbliga l’assicuratore ad assumere sempre e comunque la gestione della vertenza, proprio perché può provvedersi fino a quando ne abbia interesse. Resta però sempre, laddove venga assunta la gestione della lite, l’obbligo di curare gli interessi dall’assicurato e la conseguente responsabilità in caso di inadempimento, tanto che in quest’ultima ipotesi si parla di responsabilità per mala gestio.

Come noto, le spese affrontate a tal fine vengono regolarmente dal III co. dell’art. 1917 c.c., il quale prevede che le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato restino a carico dell’assicuratore nel limite di un quarto della somma assicurata, mentre vengano invece ripartite tra assicuratore ed assicurato in proporzione ai rispettivi interessi in caso di superamento di tale somma.

Si è di recente ribadito in giurisprudenza che il I ed il III co. del richiamato art. 1917 cc. “….

Regolano la prestazione complessiva dell’assicuratore, che forma oggetto di due distinte obbligazioni, di cui una principale e l’altra accessoria.

L’obbligazione principale (che può definirsi in quanto corrispondente all’essenza del contratto) è prevista dal comma I e concerne la rifusione, da parte dell’assicuratore, di tutto quanto l’assicurato debba pagare al terzo danneggiato e, quindi, comprende anche le spese per l’accertamento e la liquidazione giudiziale del danno, che, essendo state sostenute dal danneggiato vittorioso, debbono essergli rimborsate dal danneggiante assicurato…...

L’obbligazione accessoria, prevista dal comma III, trova il suo necessario presupposto, nell’obbligazione principale, ma ha un oggetto diverso, perché, corrispondendo all’interesse dell’assicurato (comune anche all’assicuratore) di difendere la propria sfera giuridico-patrimoniale dall’azione del terzo….. riguarda il rimborso, da parte dell’assicuratore (ed entro limiti prestabiliti), delle spese sostenute dall’assicurato per resistere all’azione del danneggiato”11.

10 V. Cass. 19/8/1997 n. 8947 in Giust. Ci. 1996, I, 115 v. anche A. Polotti di Zumaglia – Brevi note in tema di assicurazione cumulativa a commento di Cass. 23/12/1993 n. 12763 in Dir. Ed econ. nell’assic. 1994, 937.

11 Così Cass. 26/6/1998 n. 6340 in Giust. Civ. 1999, I, p. 831 con nota.

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Nell’ambito delle vertenze relative alla responsabilità medica si possono creare talvolta delle situazioni particolari per la presenza di interessi magari contrapposti, data la possibilità del coinvolgimento di più soggetti, come può succedere nel lavoro d’équipe.

Si può allora verificare che il legale officiato dall’assicuratore, nell’assumere la difesa dell’ente e dei medici ritenuti responsabili, possa eventualmente trovarsi in situazione d’incompatibilità, non potendo certo, per difendere un soggetto, sostenere l’esistenza di colpa altro soggetto, dal quale ha avuto il mandato defensionale.

In casi di questo genere pare lecito ritenere che, laddove un soggetto venga a trovarsi privo di difensore, possa venir richiamata l’obbligazione accessoria prevista dall’art. 1917 cc., con il ché le spese del legale nominato da tale soggetto debbano far capo all’assicuratore. Nella pratica però situazioni di questo genere vengono facilmente risolte, magari con l’intervento dell’assicuratore, che garantisce la responsabilità civile del singolo medico, il quale provvede alla nomina di legale di sua fiducia.

Per completare il quadro si può infine ricordare che molto spesso gli enti stipulano anche polizze di tutela giudiziaria, con le quali l’assicuratore assume a proprio carico gli oneri giudiziali, extragiudiziali e peritali sostenuti in conseguenza di fatti ed atti compiuti dai dipendenti e connessi all’espletamento del servizio e dell’adempimento dei compiti d’ufficio.

Tali oneri si concretano in pratica nelle spese legali, peritali, di giustizia e nelle spese di soccombenza.

La garanzia predetta opera in genere in secondo rischio rispetto all’assicurazione di responsabilità civile, per cui opererà di certo nei casi in cui l’assicuratore della responsabilità non abbia assunto la gestione della lite, perché ha contestato l’operatività della garanzia.

Pare quindi potersi concludere riconoscendo che sotto il profilo della difesa giudiziale il sanitario sia adeguatamente tutelato.

Visto peraltro che le garanzie della tutela giudiziaria non intervengono di norma quando tra il dipendente e l’ente sussista conflitto di interessi, si può ritenere che il dirigente sanitario, nei cui confronti l’ente agisca invocando una sua responsabilità amministrativa, corra il rischio di difendersi in proprio.

Anche su tale aspetto si potrebbe quindi cercare una soluzione, sempre che la via già prospettata per la copertura della stessa responsabilità contabile-amministrativa non risolva automaticamente il problema.

11. Il rischio 2000…

Come ormai sin troppo noto, il cambio di millennio potrà comportare problemi particolari ai sistemi informatici non adattati al cambio della data, e ciò perché gli standard che per indicare la data prendono in considerazione sei cifre (come ad es. 31/12/99), al 1 gennaio del 2000 indicheranno 01/01/00, con il risultato che i predetti sistemi potranno confondere l’anno 2000 con l’anno 1900.

Altro problema sarà quello del 29 di febbraio, visto che il 2000 è anno bisestile in base alla regola per la quale sono bisestili gli anni divisibili per quattro, tranne i secoli, che invece sono tali solo se divisibili per quattrocento, come appunto 2000.

Esempi di disservizio provocati dalla situazione appena chiamata, già evidenziati nella pratica, sono stati quello del computer della società di autonoleggio americana che ha rifiutato le patenti in scadenza nel 2000 perché considerate già scadute, come pure quello del computer di una grande

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catena di supermercati alimentari inglese che mandò al macero gli ordini di derrate alimentari considerate erroneamente avariate.

Nel campo medico gli esempi di disservizi che si possono immaginare spazierebbero dalle liste d’attesa di malati completamente modificate, con possibili ripercussioni su quei malati nei cui confronti si debba intervenire con determinate cure da effettuarsi con scadenze precise, alle errate interpretazioni di esami clinici, al non utilizzo di determinati farmaci considerati erroneamente scaduti.

Occorre a questo punto chiedersi anzitutto chi possa venir considerato responsabile dei possibili suindicati disservizi e dei conseguenti danni.

Si può allora ricordare che con direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10/9/1999 (in G.U. 25/9/1999 n. 226) avente oggetto appunto l’adeguamento dei sistemi informatici al cambio di data dell’anno 2000, si è evidenziata la necessità di “….. predisporre i piani di continuità ed emergenza per la gestione delle conseguenze derivanti dai possibili malfunzionamenti……” perché

“….. oltre a garantire la sicurezza delle persone, è necessario che non subiscano interruzioni né disfunzioni i servizi fondamentali per la collettività”, per cui le amministrazioni competenti dovranno assumere “….. tutte le iniziative necessarie affinché siano assicurate:

- l’erogazione dei servizi fondamentali quali, ad esempio, energia, telecomunicazioni, poste, distribuzione dei combustibili, distribuzione dell’acqua potabile e per uso industriale, smaltimento dei rifiuti e delle acque, trasporti, sanità, sistema dei pagamenti, finanza e credito, distribuzione alimentare, servizi di emergenza;

- la sicurezza degli stabilimenti in generale, degli stabilimenti industriali e, in particolar modo, degli stabilimenti che trattano sostanze pericolose;

- la sicurezza dei luoghi pubblici”.

12.… e i suoi eventuali riflessi sulla responsabilità del dirigente sanitario.

La predisposizione di piani diretti a garantire la sicurezza delle persone e ad evitare disfunzioni nei servizi è dunque principalmente indirizzata alle amministrazioni e quindi a coloro che le rappresentano.

Il dirigente sanitario non può dirsi rientrare in tale categoria di soggetti, ma è peraltro tenuto a funzioni di direzione e di organizzazione della struttura alla quale è preposto, adottando anche le decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio e per realizzare l’appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative.

E allora il dirigente sanitario, ove non abbia ricevuto assicurazione dall’amministrazione dell’avvenuto adattamento al cambio di data delle attrezzature informatiche del suo reparto, dovrebbe farsi carico anche solo di segnalare il problema a chi di dovere.

Una volta poi che si sarà giunti all’anno 2000, diligenza imporrebbe che il dirigente sanitario aumenti i controlli sulle attrezzature del suo reparto, onde evitare possibili malfunzionamenti, provvedendo subito, in presenza degli stessi, ad adottare le misure del caso.

Allo stato e con tutte le riserve su di una materia ancora non giunta all’esame della giurisprudenza, non si vede cos’altro si potrebbe pretendere dal dirigente sanitario, fermo restando che in mancanza di tali adempimenti potrebbe venirgli attribuita quanto meno una corresponsabilità per i danni che eventualmente si verificassero.

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13. Inoperatività della polizza che garantisce la responsabilità dell’ente pubblico

Si pongono ora due problemi, e cioè se le polizze che garantiscono gli enti sanitari ed ospedalieri intervengano in caso di danni provocati dal millennium bug e se, in presenza di corresponsabilità o responsabilità esclusiva dei dirigenti sanitari, l’estensione della copertura a loro favore intervenga o meno.

La risposta al primo quesito dovrebbe essere negativa in caso di dolosa omissione delle necessarie cautele da parte di chi ha la responsabilità dell’ente, proprio perché l’assicurazione di responsabilità civile esclude i danni derivanti da una condotta dolosa dell’assicurato.

Resta però “….. da valutare se ed in quale misura la mancata effettuazione di interventi volti a precludere o ridurre le conseguenze del rischio 2000 possa configurare comportamenti definibili soltanto colposi (sia pure, al limite, in termini di colpa grave) o anche dolosi (nelle diverse accezioni del dolo specifico, del dolo generico e del dolo eventuale che l’esperienza giuspenalistica individua), nel qual caso andrebbe stabilito a monte quali siano i limiti di trasferibilità alla materia civilistica di categorie concettuali nate in ambito penale. Né va dimenticato che il dolo non preclude la risarcibilità del danno quando questo sia riconducibile alla condotta non solo colposa, ma anche dolosa del dipendente…..”12.

A completamento di quanto così autorevolmente affermato ci si chiede solo se l’enorme pubblicità data in ogni sede al rischio 2000 non consenta già di ravvisare in ogni caso una forma di dolo eventuale nel comportamento di chi, per qualsivoglia ragione, si sia disinteressato al problema, o comunque non abbia controllato l’operato del personale sottoposto.

Si può, infatti, ragionevolmente ritenere che l’omissione di cautele in una situazione così complessa e così nota evidenzi che si è accettato il rischio che l’evento dannoso possa verificarsi13.

Oltre tutto una tale omissione sarebbe in netto contrasto con quanto chiaramente indicato dalla surrichiamata direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Pare dunque non azzardato, in presenza di un’omissione di adeguate cautele, prevedere la mancata copertura dell’ente per danni conseguenti al rischio 2000.

Visto che le polizze in genere escludono i danni riconducibili alla internazionale mancata osservanza e violazione di disposizioni di legge o di regolamenti, ci si può ad abundantiam chiedere se dopo la predetta direttiva non possa operare anche tale esclusione.

È comunque da rilevare che lo stesso meccanismo del contratto di assicurazione di responsabilità civile porta ad escludere la copertura dei danni derivanti da incuria o negligenza nell’adeguamento dei sistemi informatici al cambio di data.

Non si dimentichi infatti che tale tipo di assicurazione generalmente prende in considerazione, nell’ambito dei fatti colposi, solo quelli accidentali.

12 V. la relazione svolta dall’avv. L. Desiderio (Capo del servizio legale ISVAP) alla Conferenza nazionale sull’adeguamento informatico all’anno 2000 – Roma 17-18 giugno 1999.

13 Si ricorda che “il dolo eventuale si contraddistingue dalla colpa cosciente per l’elemento della volontà, in quanto in entrambe le ipotesi il soggetto si rappresenta l’evento antigiuridico che è conseguenza della sua azione o omissione, ma mentre nel primo caso agisce, accettando il rischio che l’evento possa verificarsi, nel secondo caso agisce nella certezza che l’evento non si verificherà ed, in ogni caso, egli non vuole, neanche per ipotesi, che l’evento si verifichi. Per poter accertare l’elemento soggettivo del reato occorre valutare le circostanze di fatto esistenti e note all’agente nel momento in cui la condotta è stata posta in essere, desumendone delle stesse l’atteggiamento psichico. (Fattispecie relativa all’uccisione della figlia da parte di soggetto, in stato di ubriachezza, il quale per scherzo, aveva volontariamente sparato in un locale di limitate dimensioni, alla presenza di 5 persone. La S.C. ha confermato l’imputazione dell’omicidio a titolo di dolo eventuale.)” Cass. Pen. Sez. I, 23/10/1997 n. 5969 in Riv. Pen. 1998, 342.

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Con tale termine viene qualificato un evento il quale si verifica quando, pur essendo l’attività dell’agente predisposta con le cautele necessarie ad evitare l’altrui pregiudizio, intervengano circostanze estranee alla predetta attività e che concretino l’astratta potenzialità dannosa dell’attività medesima a provocare uno specifico danno ad un terzo14.

Non si avrebbe invece accidentalità quando l’evento dannoso si verifichi naturalmente in dipendenza della sola attività dell’agente e delle stesse modalità con le quali essa è stata preordinata.

Nel caso che ci interessa è chiaro che l’omissione delle cautele dirette a neutralizzare il rischio 2000, diventa il presupposto per il verificarsi di eventi dannosi, ed essendo tale omissione riconducibile ad un comportamento dell’assicurato e non a circostanze ad esso estranee, si deve concludere escludendo la presenza dell’accidentalità, cosicché non si vede come ne possa venire invocata l’operatività nelle polizze che richiedano tale requisito.

Non pare invece che l’omissione di cautele per evitare il rischio 2000 possa consentire di sostenere che dolosamente non sia stato adempiuto l’obbligo di salvataggio e che di conseguenza, per il combinato disposto degli artt. 1914 e 1915 cc., l’assicurato perda ogni diritto.

La più recente giurisprudenza di legittimità, ha infatti affermato che l’art. 1914 cc “….. prende in considerazione soltanto gli interventi che l’assicurato deve compiere per evitare il danno; ossia non riguarda le azioni dell’assicurato precedenti il sinistro” e ciò perché in tale norma “….. ribadisce che nei contratti di assicurazione i due momenti del sinistro, inteso come fatto causale e danno, hanno autonoma rilevanza, e, nel collegare il dovere dell’assicurato al danno, indica in modo incontestabile che l’obbligo disciplinato riguarda esclusivamente i comportamenti dell’assicurato influenti su questo momento e non anche quelli influenti sul sinistro”15.

Non si potrà dunque far riferimento all’obbligo di salvataggio per le omissioni di cautele prima che si sia giunti a superare l’anno 2000 e si siano evidenziati malfunzionamenti nei sistemi elettronici con relative conseguenze dannose.

È piuttosto da rilevare che:

- il contratto di assicurazione anche nella fase della sua esecuzione richiede l’osservanza di un comportamento improntato a buona fede, come previsto in via generale dall’art. 1375 cc.;

- tra le obbligazioni poste a carico dell’assicurato vi è di certo quella di mantenere un comportamento che non agevoli eventi dannosi prevedibili;

- l’inadempimento, nei contratti a prestazioni corrispettive, da parte di uno dei contraenti, consente all’altro di chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto a sensi dell’art. 1453 e ss. cc. e, per consentire la risoluzione del contratto, l’art. 1455 cc., richiede che l’inadempimento sia di non scarsa importanza, come può di certo venir considerato l’inadempimento in questione.

14 V. Cass. 4/2/1992 n. 1214 in Dir. Econom dell’assic. 1992 con nota di D. De Strobel; di recente, però, la Suprema Corte ha assunto una posizione più favorevole all’assicurato precisando che “…… la clausola di un contratto di assicurazione che preveda la copertura del rischio per danni conseguenti a fatti accidentali è correttamente interpretata nel senso che essa si riferisce semplicemente alla condotta in contrapposizione ai fatti dolosi”, Cass. 10/4/1995 n. 4118 in Resp. Civ e Prev. 1995, 528.

15 Così in motivazione Cass. 7/11/1991 n. 11877 in Arch. Civ. 1992, 418.

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Se quanto appena detto è vero, se ne deve dedurre che l’assicuratore può alternativamente chiedere che l’assicurato si adegui alle necessità richieste dal caso o addirittura risolvere il contratto16.

Resta infine da valutare se l’omissione delle dovute cautele non rientri comunque nella fattispecie regolata dall’art. 1898 cc, rappresentando, nella migliore delle ipotesi e sempreché non sia da escludersi l’operatività delle garanzie per altro motivo, un aggravamento di rischio con tutte le relative conseguenze.

14. Il dirigente sanitario e la possibile copertura di sua responsabilità per il rischio 2000

Visto allora che il rischio 2000 non è scoperto con la polizza dell’ente, ci si può ora chiedere cosa succeda per il dirigente sanitario, sotto il profilo assicurativo, in presenza di una responsabilità in ordine al rischio in esame.

Occorre premettere che l’obbligo di adeguare i sistemi informatici fa capo a soggetti ben diversi e con funzioni di tutt’altro genere.

Pertanto il dirigente sanitario, come già accennato, potrà venir coinvolto solo se per mancanza di sue adeguate segnalazioni o di efficienti controlli venga arrecato un danno del quale possa essere considerato responsabile, danno che dunque potrebbe rientrare tra i fatti colposi coperti dal contratto che estenda anche ad esso le garanzie, sempreché la polizza non escluda espressamente ogni danno comunque riconducibile al rischio 2000.

E la situazione non dovrebbe risultare molto diversa per la polizza che esso dirigente sanitario abbia contratto in proprio.

Resta il dubbio se la mancanza di controlli o di segnalazioni possa venir considerata, data l’importanza e la gravità del fenomeno, alla stregua di un’omissione dolosa; si tratta peraltro di valutazione di fatto, che potrebbe anche risultare eccessiva ove portata alle conseguenze più estreme.

È comunque chiaro che varranno le considerazioni fatte in precedenza in tema di colpa grave per i danni provocati a terzi, e di danno erariale per i danni provocati all’ente pubblico; riguardo questi ultimi danni pare però eccessivo ritenere che per comportamento di altro soggetto la Corte dei Conti agisca in rivalsa solo perché un soggetto non abbia verificato l’operato di altri, pur non avendone l’espressa competenza.

Resta la posizione del dirigente sanitario, allorché eserciti l’attività professionale intramoenia, nel qual caso, poiché le attrezzature fanno capo all’ente, non dovrebbero sorgere problemi diversi da quelli appena ricordati.

A conclusione di quanto sin qui detto resta infine la considerazione che, dei danni provocati dal rischio 2000, potranno eventualmente essere ritenuti responsabili, magari in via di regresso, i soggetti che hanno fornito apparati informatici non adeguati o che hanno effettuato adeguamenti dei medesimi non corrispondenti alle reali necessità.

16 Il ragionamento è stato tratto dalle considerazioni svolte, sia pur in fattispecie diversa e contro l’assicuratore, da Corte d’Appello Perugia 13/10/1990 n. 219 in Arch. Civ. 1991, 578.

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