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L’emigrazione italiana in Tunisia (1881-1939)

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Lo stretto braccio di mare che, insieme, divide e unisce le sponde meridionali dell’Europa e i paesi del Maghreb, da sempre è stato attra- versato da una moltitudine in cerca di condizioni di vita migliori. Sor- prende non pochi, però, apprendere che c’è stata un’epoca nella quale, ad affrontare gli appena centoqua- ranta chilometri che separano la Sicilia dalla Tunisia, erano gli italia- ni, spesso in fuga da malattie e miseria. Non fu solo, dunque, la

“Merica” ad accogliere, alla fine del- l’Ottocento, le moltitudini dolenti, ma anche l’Egitto, il Marocco, l’Alge- ria e, soprattutto, la Tunisia. Da un censimento degli italiani all’estero effettuato nel 1924, risulta che in Tunisia risiedevano ben 91 mila ita- liani e che altri 94 mila vivevano tra l’Egitto, il Marocco e l’Algeria; e si trattava, per lo più, di un’immigra- zione proletaria, risalente a un’epo- ca anteriore all’occupazione france- se del maggio 1881. E questa pagi- na spesso dimenticata della storia italiana è stata oggetto di un accu- rato studio di Daniela Melfa, docen- te di Storia ed istituzioni dell’Africa presso l’Università di Catania, i cui risultati hanno portato alla pubbli- cazione di “Migrando a sud”. Coloni italiani in Tunisia 1881-1939 (Arac- ne, Roma, 2008, pp. 258).

Gli immigrati che, a partire dal 1870 individuarono la Tunisia come la loro terra promessa, provenivano in gran parte dal Sud dell’Italia. Dei circa 80 mila italiani censiti all’inizio del Novecento, oltre il 70 per cento era siciliano, tanto che, nei docu- menti ufficiali dell’epoca, si parla spesso dei siciliani, facendo riferi- mento, più in generali, agli italiani.

Le condizioni climatiche molto simili a quelle del paese d’origine e l’assenza, almeno fino alla fine del-

l’Ottocento, di formalità burocrati- che per entrare in Tunisia, spinse- ro molti a sceglierla come meta per la creazione di un nuovo possibile futuro. Tra gli stessi siciliani, poi, la Tunisia divenne la nuova patria per interi nuclei familiari composti, per lo più, da persone provenienti dalle province di Palermo e Trapa- ni, nonché dall’isola di Pantelleria.

I panteschi erano così numerosi da essere riportati spesso, nelle tabel- le statistiche e in alcuni documenti ufficiali dell’epoca, come un gruppo separato.

Dei siciliani vengono unanime- mente riconosciute la resistenza al lavoro e la praticità d’idee. La mag- gior parte di loro trovò lavoro nei cantieri per la realizzazione di stra- de, ferrovie, porti, caserme e fortifi- cazioni. Molti furono gli addetti all’agricoltura ma è soprattutto nel settore viti-vinicolo che gli italiani si distinsero divenendo produttori di vino in terra musulmana. Da lì pre- sero il via intere genie di viticoltori, che stravolsero, nel bene e nel male, le tecniche di coltivazione delle viti e della produzione vinicola. Furono i siciliani a introdurre alla fine del- l’Ottocento, l’uva moscato, detta anche zibibbo o moscato d’Alessan- dria. Le disposizioni governative provarono a vietare l’introduzione di questi vitigni, ma l’ingegno dei pan- teschi fu più tenace dei controlli doganali francesi e i vitigni si tra- sformarono in clandestini. Giusep- pe Gabriele racconta che «alcuni viticoltori costruirono una grande gabbia fatta con sarmenti di vigna di moscato, intrecciati tra loro, ed all’interno di questa misero delle galline. Quindi affidarono il tutto ad una vecchia contadina che veniva per la prima volta in Tunisia, semia- nalfabeta, che non parlava l’italiano

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e ancor meno il francese, ma solo il pantesco stretto. Arrivò su una barca a remi con la sua famiglia.

Quando queste persone sbarcarono a Kelibia, i doganieri francesi videro quei poveri contadini, con le loro misere masserizie e la gabbia con le galline e li lasciarono transitare, senza alcun problema. Non poteva- no mai immaginare che in quella gabbia c’erano gli innesti del Mosca- to d’Alessandria d’Egitto, l’oro di Pantelleria. E così in dieci anni il Frontignan sparì dalla Kelibia».

Ma tra la varietà di viti coltivate nei vigneti italiani in Tunisia c’erano anche altri legnaggi importati dalla Sicilia come il caterratto, l’inzolia e il perticone. Gli italiani, dunque, più che colonizzatori furono coloni e in qualche modo lasciarono delle trac- ce indelebili in quei posti.

Ma a giungere in terra tunisina clandestinamente non furono solo i vitigni: numerosi esuli politici d’orien- tamento anarchico, repubblicano, socialista e comunista, vi si rifugiaro- no. Tra questi l’anarchico Nicolò Con-

verti che, condannato in Italia a ven- tidue mesi di prigione, giunse a Tuni- si nel 1887; e negli Trenta del secolo successivo, arrivarono in Tunisia anche militanti antifascisti come Giorgio Amendola e Velio Spano, diri- genti del partito comunista. Ma la terra maghrebina offrì, inconsapevol- mente, rifugio anche ai renitenti alla leva obbligatoria imposta dopo l’unità d’Italia. E non mancarono pure quan- ti tentarono, approdando clandesti- namente in Tunisia, di fuggire alla mafia siciliana.

«Uno degli aspetti che mi ha col- pito ed interessato di più durante le mie ricerche – spiega Daniela Melfa – è che la presenza italiana nei ter- ritori del protettorato francese, emerge in modo più che positivo, quasi come se il tempo trascorso avesse messo un velo a coprire ten- sioni che pure ci furono. Ma del resto, noi italiani sembriamo aver completamente rimosso dal nostro patrimonio culturale l’esperienza coloniale».

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