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Iperglicemia da steroidi: meccanismi e trattamento

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(1)

M. Bonomo

SSD Diabetologia, AO “Ospedale Niguarda Ca’ Granda”, Milano

Corrispondenza: dott. Matteo Bonomo,

SSD Diabetologia, AO Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano, piazza Ospedale Maggiore 3, 20162 Milano e-mail: matteo.bonomo@ospedaleniguarda.it G It Diabetol Metab 2015;35:8-15

Pervenuto in Redazione il 02-02-2015 Accettato per la pubblicazione il 04-02-2015 Parole chiave: glucocorticoidi, diabete steroideo, ridotta sensibilità insulinica

Key words: glucocorticoids, steroid diabetes, reduced insulin sensitivity

Rassegna

Iperglicemia da steroidi:

meccanismi e trattamento

RIASSUNTO

I glucocorticoidi di sintesi sono una classe di farmaci dotata di po- tente azione antinfiammatoria e immunosoppressiva, estesamente utilizzata in ambito sia ospedaliero sia ambulatoriale. Uno dei prin- cipali effetti collaterali degli steroidi è la loro azione sul metabolismo glucidico, con effetto complessivamente iperglicemizzante e “dia- betogeno”, dovuto principalmente a una riduzione della sensibilità insulinica a vari livelli (epatico, muscolare, sul tessuto adiposo).

Inoltre agiscono a livello del pancreas endocrino, determinando riduzione della secrezione insulinica e aumento di quella di gluca- gone, e sull’asse delle incretine, interferendo con l’effetto insulino- tropico del GLP-1. Per controllare l’iperglicemia da steroidi, praticamente tutti i farmaci usati nel trattamento del diabete mel- lito di tipo 2 possono essere utilizzati: secretagoghi, come sulfo- niluree e glinidi, insulino-sensibilizzanti come metformina e glitazoni, insulina e, recentemente, analoghi del GLP-1 e inibitori dei DPP4. Nei casi di maggior impegno clinico, la prima scelta ri- mane quella della terapia insulinica, con schemi di somministra- zione variabili, e algoritmi che tengono conto delle caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche dei glucocorticoidi.

SUMMARY

Steroid-induced hyperglycemia: mechanisms and treatment Synthetic glucocorticoids are highly effective anti-inflammatory and immunosuppressive drugs, widely prescribed to treat a va- riety of acute and chronic illnesses. One of their main side effects, however, is their action on glucose metabolism, resulting in a hy- perglycemic and “diabetogenic” effect, mainly due to reduced in- sulin sensitivity at various levels (liver, muscle, adipose tissue).

They also act on the endocrine pancreas, reducing insulin se-

cretion and increasing glucagon, and on the gut-islet axis, inter-

fering with the insulinotropic effect of GLP-1. Almost all the drugs

employed for type 2 diabetes mellitus can be used to treat

steroid-induced hyperglycemia: secretagogues, such as sulfonyl -

ureas and glinides, molecules that boost insulin sensitivity such as

metformin and glitazones, insulin and, recently, GLP-1 agonists

and oral DPP-4 inhibitors. Insulin remains the first-choice for the-

rapy in most critical situations, with various protocols, and simple

G It Diabetol Metab 2015;35:8-15

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algorithms that take into account the pharmacokinetics and phar- macodynamics of glucocorticoids.

Premessa

L’inserimento di un argomento come quello della terapia ste- roidea in un numero monografico dedicato a Diabete e co- morbilità solo a prima vista potrebbe apparire fuori tema. Se in questo caso non si tratta, infatti, di esaminare i rapporti e le interrelazioni fra la malattia diabetica e una patologia spe- cifica, la diffusione “trasversale” di questa forma di trattamento in un ampio arco di malattie che possono riguardare il pa- ziente con diabete, in varie età e in varie fasi della sua storia clinica, rende di estremo interesse la conoscenza dei suoi ef- fetti sul metabolismo glicidico, e dei possibili mezzi per con- trastarli.

L’ampio uso dei glucocorticoidi di sintesi è legato alla loro po- tente azione antinfiammatoria e immunosoppressiva, riguar- dante sia il sistema immunitario innato sia quello adattativo. In pratica, queste sostanze inibiscono la capacità migratoria dei leucociti, impedendo la loro fuoriuscita dal torrente circolato- rio e, conseguentemente, il raggiungimento dei siti di infezione e di danno tessutale, bloccando in tal modo la risposta in- fiammatoria. Oltre a questo, essi contrastano la funzione fa- gocitaria dei macrofagi, e riducono la produzione di citochine infiammatorie, necessarie per la risposta infiammatoria. Ridu- cono, infine, l’attività del sistema immunitario acquisito, indu- cendo una deplezione dei T-linfociti, a fronte di un’alterazione di minima entità della funzione dei B-linfociti

(1)

.

Prodotti sinteticamente nell’immediato dopoguerra, questi far- maci furono introdotti definitivamente nella pratica clinica nel 1950

(2)

; da allora la loro utilizzazione si è enormemente dif- fusa, sia come farmaci ospedalieri sia nella pratica ambula - toriale: nei soli USA si calcolano oggi oltre 10 milioni di prescrizioni annuali di steroidi per via orale. Le indicazioni spa- ziano in un’ampia gamma di patologie infiammatorie e immu- nitarie, con maggiore frequenza in ambito nefrologico, gastroenterologico, pneumologico, infettivologico e, soprat- tutto, reumatologico e onco-ematologico.

L’effetto “diabetogeno” degli steroidi

Epidemiologia

Se non esistono dubbi su un effetto negativo dell’uso di ste- roidi sulla tolleranza glucidica e, conseguentemente, su un ef- fetto “diabetogeno” legato alla terapia steroidea, quantificare con precisione questo rischio è molto difficile, a causa di una serie di variabili che inevitabilmente possono condizionare il rischio di sviluppare un diabete “secondario” all’assunzione di steroidi. Bisognerà quindi considerare il tipo di molecola uti- lizzata, la sua posologia, la durata e lo schema del tratta- mento, ma anche le caratteristiche del paziente posto in terapia: età, corporatura, familiarità, stile di vita, oltre a pato- logie e altre terapie concomitanti. È importante, anche, l’indi-

cazione che porta alla prescrizione dello steroide: alcune delle malattie trattate comportano di per se stesse un’interferenza sull’omeostasi glicemica e, del resto, già lo stato di “malattia acuta” nel malato critico si associa spesso al rischio di iper- glicemia.

Questo spiega l’ampia variabilità dei dati riportati in lettera- tura, con una prevalenza di diabete molto differente nelle di- verse situazioni: si passa infatti da un Odd Ratio di 1,36 per somministrazione orale a bassa posologia

(3)

, a 2,31 in popo- lazioni più anziane

(4)

, fino a 5,82 in presenza di alti dosaggi

(5)

. È inoltre da considerare che queste stime si basano preva- lentemente sulla determinazione della sola glicemia a digiuno, mentre, come vedremo più avanti, l’effetto iperglicemizzante di questi farmaci si esplica in misura ancora maggiore sulle escursioni glicemiche postprandiali: è quindi molto probabile che i numeri sopra citati siano in realtà sottodimensionati. È si- gnificativo che un recente studio australiano

(6)

, condotto su pazienti non diabetici ospedalizzati sottoposti a trattamento steroideo ad alte dosi, controllati con glicemia capillare a di- giuno e 2 ore dopo i pasti principali, abbia evidenziato valori medi superiori a 8 mmol/mol (148 mg/l) nel 48% dei casi, su- periori a 10 mmol/l (180 mg/dl) nel 14%. Almeno un valore

> 8 mmol/l era inoltre riscontrato nell’86%, e uno > 10 mmol/l nel 71% dei pazienti.

Se questa è l’entità numerica del problema, alla luce delle evidenze ormai acquisite dell’effetto negativo di un’iperglice- mia di nuovo riscontro sull’outcome della degenza nei pa- zienti ospedalizzati e, più in generale, sull’evoluzione clinica della patologia di base

(7-9)

, è chiaro che occorra impostare una terapia efficace in grado di minimizzare (e, se possibile, di prevenire) questo effetto dello steroide. Per ottimizzare questo intervento è prima necessario rivedere i meccanismi fisiopatologici che stanno alla base di questo effetto ipergli- cemizzante; nei prossimi paragrafi verranno pertanto sche- maticamente ripresi i dati oggi acquisiti, anche sulla base di alcune rassegne di recente pubblicazione

(10-12)

. Le principali modificazioni che determinano questo effetto “diabetogeno”

sono schematizzate in figura 1.

Azione sulla sensibilità insulinica

Una riduzione complessiva della sensibilità all’insulina indotta dai farmaci steroidei è nota da tempo. Con la tecnica del

“clamp” euglicemico, Rizza et al. dimostrarono che un rad- doppio dei livelli ematici di cortisolo, ottenuto con infusione ev di idrocortisone, era in grado di ridurre la sensibilità insuli- nica (il glucose infusion rate, GIR) di circa il 50% in soggetti non diabetici

(13)

. Analogamente, una riduzione della sensibi- lità insulinica di entità simile è stata ottenuta in volontari sani con la somministrazione ad alte dosi di prednisone per os per 7 gg

(14)

, e in soggetti di ambo i sessi non obesi con desame- tasone

(15,16)

. Quest’effetto, già presente con posologie non elevate dei farmaci, è poi risultato essere tendenzialmente dose-dipendente

(17)

.

Studi successivi hanno poi meglio definito il ruolo delle modi-

ficazioni che si verificano nei diversi organi dove principal-

mente si esplica l’azione insulinica: soprattutto fegato e

muscoli periferici.

(3)

A livello epatico

È stato osservato che dosi farmacologiche di glucocorticoidi sono in grado di aumentare la produzione epatica di glucosio, con un effetto prevalente di aumento della gluconeogenesi, determinato, da un lato, da un’azione favorente l’espressione e l’attività di enzimi chiave in questo processo metabolico, quali la glucosio-6-fosfatasi e, soprattutto, la fosfoenolpiru- vato-carbossilasi (PEPK), dall’altro, da un’aumentata dispo- nibilità di substrati, conseguente a “breakdown” delle proteine periferiche e dei depositi di grasso. C’è, infine, il potenzia- mento dell’effetto di altri ormoni controregolatori come il glucagone e l’adrenalina. Quest’insieme di azioni sulla pro- duzione epatica di glucosio è conseguente all’induzione di una resistenza dell’effetto inibitore dell’insulina sui processi prima descritti, che, in corso di terapia acuta o cronica con glucocorticoidi, può in alcuni casi risultare ridotto anche del 50%

(13,18,19)

.

A livello muscolare

L’“uptake” del glucosio da parte delle cellule muscolari rap- presenta il principale meccanismo di regolazione insulino- mediata della glicemia postprandiale. L’insulina interviene in questo meccanismo sia direttamente a livello cellulare, con una serie di processi fosforilativi post-recettoriali a cascata

(20)

, sia indirettamente, favorendo il reclutamento capillare a livello del tessuto muscolare, con un’azione vasodilatatrice favorita dal rilascio di ossido nitrico da parte delle cellule endote- liali

(21,22)

, in questo modo espandendo la superficie disponibile per lo scambio di nutrienti.

Numerosi studi hanno evidenziato come il trattamento steroi-

deo interferisca con tutti questi processi, come conseguenza dell’induzione di un’insulino-resistenza i cui meccanismi ri- mangono ancora non del tutto chiariti. Un ruolo è certamente svolto dall’inibizione della cascata fosforilativa successiva al le- game insulina-recettore

(23)

, ma anche l’azione litica svolta sul metabolismo lipidico e proteico, determinando un aumento dei livelli circolanti di acidi grassi liberi (non-esterified fatty acids, NEFA) e di aminoacidi, può essere responsabile di una riduzione dell’azione insulinica sull’“uptake” del glucosio

(24-26)

. Oltre a ciò, studi condotti con la microscopia capillare hanno documentato un effetto dose-correlato dello steroide inibente il reclutamento capillare prima citato

(27)

. Nell’insieme, quindi, la somministrazione di glucocorticoidi nel breve-medio termine determina un complesso meccanismo di inibizione dell’azione insulinica sul muscolo scheletrico, che è alla base dell’effetto iperglicemizzante comunemente riscontrato in fase post- prandiale.

Nel caso di trattamenti a lungo termine, può inoltre interve- nire una riduzione della massa muscolare per atrofia indotta dagli steroidi, in tal modo compromettendo ulteriormente la captazione del glucosio circolante

(28)

.

A livello adiposo

Un’interferenza sul segnale insulinico da parte degli steroidi, analoga a quella esercitata nel fegato e nel muscolo, è stata dimostrata anche nel tessuto adiposo: questo comporta una riduzione dell’azione dell’insulina di inibizione della lipolisi, con conseguente aumento dei livelli di NEFA

(19)

, e di stimolo dell’“uptake” del glucosio da parte degli adipociti

(29)

che, sep- pure in misura modesta, contribuisce all’effetto iperglicemiz- zante complessivo di questi farmaci. Sempre nel tessuto

Sensibilità insulinica

Gluconeogenesi Produzione di glucosio

Sensibilità insulinica Lipolisi

NEFA Uptake glucosio

Ridistribuzione tessuto adiposo Profilo diabetogeno citochine

Secrezione insulina Secrezione glucagone

Effetto insulino-tropico GLP1

Reclutamento capillare Sensibilità insulinica

Massa muscolare Uptake di glucosio

GLUCOCORTICOIDI

Figura 1 Meccanismi del- l’azione iperglicemizzante dei glucocorticoidi.

10 M. Bonomo

(4)

adiposo, va anche tenuta presente la redistribuzione favorita dagli steroidi, con aumento del grasso viscerale

(30)

, e l’impor- tante effetto che essi svolgono sulla produzione di citochine, determinando un profilo prevalentemente “diabetogeno”

(31,32)

: riduzione dell’adiponectina e aumento di resistina e leptina.

Azione sulla beta-cellula

Oltre agli effetti negativi sulla sensibilità insulinica, anche un’azione diretta a livello pancreatico, con compromissione della produzione beta-cellulare di insulina, concorre a deter- minare l’alterazione glicometabolica propria della terapia ste- roidea. Quest’azione è stata dimostrata a livello sperimentale, con studi in vitro che evidenziano una riduzione sia della se- crezione sia della sintesi di insulina, anche con apoptosi delle beta-cellule

(33,34)

, ed è confermata da numerose evidenze in vivo nell’uomo. La somministrazione di glucocorticoidi è in- fatti in grado di determinare acutamente una riduzione della fase precoce di risposta insulinica allo stimolo con glucosio, e della produzione di insulina indotta da arginina

(35)

, mentre si è dimostrato che un trattamento prolungato in soggetti su- scettibili riduce la capacità della beta-cellula di rispondere adeguatamente allo stato di insulino-resistenza tessutale in- dotta dagli stessi steroidi, risultando in una diminuzione dell’“indice di disposizione” e, di conseguenza, in un tenden- ziale aumento dei livelli glicemici

(36,37)

.

Altri meccanismi: azione sulle cellule alfa e sull’asse delle incretine

Un effetto dose-dipendente sulla secrezione di glucagone a digiuno e postprandiale è stato dimostrato dopo trattamento prolungato con steroidi

(19,38)

: l’aumento dei livelli ematici del- l’ormone, in conseguenza della sua nota azione su gluco- neogenesi e glicogenolisi epatica può pertanto contribuire all’iperglicemia causata da questi farmaci.

Più recentemente è stata posta l’attenzione anche su un altro possibile punto di attacco di queste sostanze, diretto sul GLP-1 e, più in generale, sugli ormoni incretinici di produzione inte- stinale. Dopo prime segnalazioni di una riduzione dei livelli di GLP-1 nell’animale

(39)

, nell’uomo il trattamento infusionale ste- roideo è stato dimostrato interferire non direttamente con le concentrazioni ematiche del GLP-1, ma con il suo effetto insulino-tropico, diminuendone l’effetto sulla secrezione insu- linica indotta dal glucosio

(40-42)

. Se confermate, queste osser- vazioni aprirebbero nuovi orizzonti anche sulla gestione terapeutica dell’iperglicemia da steroidi, aggiungendosi ai trat- tamenti attualmente più diffusi.

Come controllare l’iperglicemia da steroidi

L’approccio terapeutico all’iperglicemia indotta dal tratta- mento steroideo non ha al momento regole certe: pratica- mente tutti i farmaci comunemente usati nella terapia del

diabete rientrano fra le opzioni possibili. Anche se in assenza di evidenze forti a favore di una o dell’altra scelta terapeu- tica, indicazioni senz’altro utili possono venire, oltre che dai meccanismi fisiopatologici ricordati nei paragrafi precedenti, anche dalla considerazione delle caratteristiche farmacoci- netiche e farmacodinamiche dei singoli preparati steroidei comunemente usati nella pratica clinica ospedaliera e am- bulatoriale.

Farmacocinetica e farmacodinamica degli steroidi

I preparati cortisonici più utilizzati per via orale, prednisone e predinosolone, raggiungono un picco ematico circa un’ora dopo l’assunzione, con un’emivita plasmatica di circa 2 h 30 ′

(43)

, e i dati non differiscono molto per il desametasone ev

(44)

. Guardando invece alla farmacodinamica, gli effetti sulla tolle- ranza glucidica sono più prolungati, per azione genomica, con un’attività che raggiunge il suo massimo dopo 4-8 ore per prednisone e prednisolone, e perdura poi per circa 12- 16 ore

(43)

; più scarsi i dati sul desametasone, che sembrerebbe però avere effetti di maggiore durata: la sua somministrazione in volontari sani è infatti in grado di determinare un’aumentata produzione di insulina ancora rilevabile a distanza di 20 ore

(45)

. Per quanto ci sia tuttora una carenza di studi pubblicati sul- l’andamento circadiano delle glicemie nei pazienti in terapia steroidea, come atteso sulla base dei dati sopra riportati, sia con i controlli tradizionali di glicemia capillare

(46,47)

sia con il monitoraggio continuo CGM

(48)

, si è rilevato come la som - ministrazione di glucocorticoidi per os al mattino determini iperglicemie più elevate dopo pranzo, mentre minore è l’in- cremento di quelle dopo cena e al risveglio; anche modifi- cando l’orario di assunzione, comunque il picco glicemico si verifica dopo circa 5 ore.

È pertanto condivisibile l’indicazione, riportata nell’ultima edi- zione degli “Standard di Cura”

(49)

, sulla necessità di educare i pazienti al controllo della glicemia capillare dopo pranzo e prima di cena, dato che le rilevazioni effettuate in mattinata potrebbero sottostimare l’iperglicemia da steroidi. Da qui de- rivano anche indicazioni terapeutiche generali sulla terapia ipoglicemizzante in corso di trattamento steroideo, con l’orientamento verso farmaci attivi soprattutto nel periodo tra mezzogiorno e mezzanotte

(48)

.

Scelta del trattamento farmacologico Farmaci non insulinici

Come detto, i farmaci utilizzati per contrastare l’iperglicemia da steroidi sono, in pratica, tutti quelli disponibili per il tratta- mento del diabete mellito di tipo 2, quindi sia farmaci orali

“classici” (insulino-sensibilizzanti o secretagoghi) sia insulina (con vari schemi di somministrazione)

(50)

sia, più recente- mente, i farmaci attivi sull’asse delle incretine.

Per quanto riguarda gli antidiabetici orali, i primi a essere im-

piegati sono state le sulfoniluree a lunga durata di azione, uti-

lizzate nei pazienti sottoposti a trapianto renale, con discreta

(5)

percentuale di risposta positiva e, successivamente, anche in altre situazioni cliniche trattate con steroidi

(51)

. È una catego- ria di farmaci che ha il vantaggio del basso costo, oggi però meno utilizzata per una serie di limiti, fra i quali la scarsa ma- neggevolezza, legata anche alla loro farmacocinetica, che li rende poco adatti a controllare l’andamento circadiano del- l’iperglicemia, ed espone al rischio di ipoglicemia in occasione di trattamenti steroidei di breve durata, o in corso di “tape- ring” del dosaggio. Teoricamente altri secretagoghi di più re- cente introduzione, come gliclazide e glinidi potrebbero rispondere meglio a queste esigenze grazie alla loro azione più rapida e limitata nel tempo, ma mancano studi a sostegno di una loro indicazione definitiva.

Un razionale per l’uso della metformina esiste certamente, dovendo confrontarsi con un’alterazione del metabolismo gli- cidico prevalentemente conseguente a insulino-resistenza farmaco-indotta

(52)

. Con i limiti legati alle ben note controindi- cazioni generali della molecola (stati di ipossia tessutale, in- sufficienza renale ed epatica), peraltro spesso presenti proprio in situazioni che richiedono la terapia steroidea, in caso di trat- tamento cortisonico prolungato con dosaggio stabile, la met- formina ha quindi un suo spazio; anche in questo caso, tuttavia, mancano evidenze in letteratura.

Altra opzione è quella dei tiazolidinedioni, in passato usati in schemi di associazione con sulfoniluree e insulina in pazienti trapiantati trattati cronicamente con steroidi

(53-55)

. Oggi rimane disponibile il solo pioglitazone, ma la latenza dell’effetto, e la sua “coda” che, come per le sulfoniluree, espone al rischio di ipoglicemia fra un ciclo e l’altro di steroidi, e al momento del calo dei dosaggi, rendono questa scelta decisamente se- condaria, anche alla luce della frequenza di alcuni effetti col- laterali (in particolare del rischio di fratture, che potrebbe sommarsi all’osteoporosi provocata da un uso prolungato dei cortisonici)

(56)

.

Analoghi del GLP-1 e inibitori DPP4

Sempre guardando ai meccanismi fisiopatologici finora iden- tificati, un’altra classe di farmaci logicamente indicata per il controllo degli effetti “diabetogeni” degli steroidi è quella, di abbastanza recente introduzione, agente sull’asse incretinico:

sia agonisti del GLP-1 iniettivi sia inibitori dei DPP-4 per os.

I primi, in particolare, grazie all’azione di rallentamento dello svuotamento gastrico

(57)

di potenziamento della secrezione in- sulinica ai pasti

(58)

e di riduzione della secrezione di gluca- gone

(59)

, interferiscono potenzialmente con alcune delle cause principali dell’iperglicemia indotta dai cortisonici, con un ef- fetto principalmente mirato sulla fase postprandiale. Anche se le evidenze finora disponibili a conferma di questa azione protettiva sono finora limitate a prove in acuto su piccole ca- sistiche, con infusione ev di GLP-1

(60)

, in prospettiva l’indica- zione degli agonisti, e degli inibitori dei DPP4 sembra prevalentemente per un uso cronico della terapia steroidea, con il vantaggio, rispetto ad altre scelte terapeutiche, di un ri- schio minimo di ipoglicemia. Su questo approccio, però, in letteratura mancano al momento studi randomizzati, e si di- spone solamente di report aneddotici: su 4 pazienti diabetici in terapia steroidea precedentemente trattati con insulina, la

somministrazione di exenatide due volte al giorno si è dimo- strata in grado di controllare in modo soddisfacente l’ipergli- cemia, con minore variabilità e riduzione del peso corporeo

(61)

. Altri studi sono evidentemente necessari, su casistiche mag- giori, con osservazione più prolungata, e con alterazione gli- cemica più marcata, prima di proporre un uso più esteso di questi farmaci nell’iperglicemia da steroidi.

Nei casi di maggior impegno clinico, la prima scelta rimane quella della terapia insulinica.

Insulina

Le caratteristiche dell’iperglicemia da steroidi, conseguenti alla farmacocinetica e farmacodinamica di queste sostanze, con valori elevati soprattutto nelle ore diurne e in fase post- prandiale, ha determinato tradizionalmente la scelta degli schemi insulinici adottati per contrastarla, orientando verso la somministrazione di boli di insulina rapida ai pasti (insulina regolare in passato e, più recentemente, analoghi rapidi). I ri- sultati di questo approccio sono solitamente buoni, ma lo schema terapeutico che ne deriva, richiedendo iniezioni mul- tiple nella giornata, risulta inevitabilmente impegnativo e com- plesso, in pazienti che nella maggior parte dei casi non sono classificabili come “insulino-dipendenti” in senso stretto. Negli ultimi anni è stata invece proposta una gestione alternativa, partendo dal presupposto che, se è vero che gli steroidi de- terminano anche un’alterazione della secrezione insulinica a livello beta-cellulare, la componente principale del loro effetto

“diabetogeno” rimane legata a una diminuzione della sensi- bilità insulinica a livello tessutale. Questo effetto ha un anda- mento temporale che, come abbiamo visto, si sviluppa nell’arco di 6-8 ore dopo la somministrazione dello steroide, che avviene solitamente al mattino. L’iperglicemia postpran- diale rientra in effetti all’interno di questa fascia oraria com- plessiva, ed è quindi probabilmente dovuta, più che a una carenza di secrezione insulinica in risposta al pasto, al so- vrapporsi del rialzo glicemico al pasto su una resistenza in- sulinica “di base”. In questo quadro possono inserirsi le insuline ad azione protratta: sia la isofano, i cui tempi di azione sono quasi coincidenti con quelli di prednisone e prednisolone, sia gli analoghi “long-acting”, che meglio si pre- stano a contrastare l’iperglicemia più prolungata di desame- tasone.

Un semplice algoritmo insulinico basato su queste conside- razioni

(11)

è stato messo a punto dal gruppo di JN Clore a Rit- chmond (USA), prevedendo una monosomministrazione giornaliera di insulina isofano o dosata tenendo conto del peso corporeo e della posologia dello steroide in uso. Il do- saggio insulinico viene inizialmente stabilito a 0,4 U/kg, come dose di partenza nei pazienti “naif”, o in aggiunta in quelli già in terapia insulinica. Lo schema, in origine concepito per in- sulina NPH, nella tabella 1 è stato esteso anche agli analoghi

“long-acting” glargine e determir.

Naturalmente uno schema terapeutico di questo tipo non esclude, a fronte del persistere di iperglicemie post- prandiali, l’aggiunta di boli preprandiali di insulina rapida, ri- proponendo quindi un modello “basal-bolus” adattato nella posologia.

12 M. Bonomo

(6)

Prospettive e conclusioni

Alla luce delle evidenze accumulatesi in questi anni sullo stretto rapporto esistente fra iperglicemia (anche non nota precedentemente) ed evoluzione clinica in molte forme mor- bose, sia nel paziente ambulatoriale sia durante il ricovero ospedaliero (in questo caso con un’importante ricaduta sul- l’outcome della degenza), il controllo degli effetti della terapia steroidea sul metabolismo glicemico ha progressivamente as- sunto un’importanza di primo rilievo.

Prospettive nuove potrebbero aprirsi nel prossimo futuro con la disponibilità di farmaci, attualmente allo studio, in grado di conservare l’azione antinfiammatoria degli steroidi, in assenza dei loro effetti collaterali, compresi quelli sul metabolismo glu- cidico. Fra i più interessanti di questi “modulatori” sono gli agonisti dissociati del recettore dei glucocorticoidi (selective glucocorticoid receptor agonists, SEGRAs); il razionale del loro uso risiede nella considerazione dell’azione genomica degli steroidi, successiva al loro legame con il recettore intra- cellulare: l’azione antinfiammatoria e immunomodulatrice sembra infatti principalmente conseguenza della “trans- repressione” dei geni bersaglio da parte del complesso ormone- recettore, mentre, al contrario, i principali effetti collaterali sa- rebbero effetto di un processo di “trans-attivazione”

(62)

. Una serie di composti potenzialmente più efficaci nella “trans-re- pressione” che nella “trans-attivazione” sono stati proposti negli ultimi anni, con risultati però ancora incerti

(63-66)

. Al momento, pertanto, la modulazione farmacologica del- l’azione steroidea, con i SEGRAs o con altri tipi di approccio, per quanto affascinante, non rappresenta ancora un’alterna- tiva reale alla terapia con glucocorticoidi, che rimane quindi un cardine insostituibile nel trattamento di patologie di grande diffusione nella popolazione generale. La possibilità di gestirne in modo soddisfacente gli effetti collaterali, limitando le con- seguenze sull’equilibrio glicemico, è pertanto di grande im- portanza nella pratica clinica, e in effetti le conoscenze acquisite sui meccanismi patogenetici dell’effetto iperglice- mizzante, sulla farmacocinetica e farmacodinamica di questa classe terapeutica dovrebbero consentire oggi un intervento mirato, basato sulle principali classi di farmaci comunemente

utilizzate nella cura del diabete. Come si è visto, anche se la metformina mantiene uno spazio importante, soprattutto nel paziente non acuto in terapia steroidea cronica, e se l’impiego in questo campo dei farmaci attivi sull’asse delle incretine pare essere molto promettente, al momento il ruolo principale spetta alla terapia insulinica, più maneggevole, e adatta, con schemi diversificati, sia in fase acuta sia per terapie prolun- gate.

Conflitto di interessi

Nessuno.

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(11)

.

Dosaggio di prednisone Dosaggio insulinico

(mg/die) (U/kg/die)

≥ 40 0,4 30 0,3 20 0,2

10 0,1

(7)

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