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“A chiare lettere - Confronti” • Quando l’etica è intolleranza

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Rivista telematica (https://www.statoechiese.it), fascicolo n. 9 del 2020 ISSN 1971- 8543

"A CHIARE LETTERE” - CONFRONTI"

Nicola Colaianni

(già ordinario di Diritto ecclesiastico nell’Università degli Sudi “Aldo Moro”

di Bari, Dipartimento di Giurisprudenza)

Quando l’etica è intolleranza

L’ultimo numero della Rivista ha ospitato un singolare intervento ad personam: la mia. Non intendo discutere nel merito le critiche mossemi, la cui consistenza, come lo stesso prof. Pacillo ammette, è affidata al dibattito, che, del resto, su questo tema si sta sviluppando in maniera virale. Sì, invece, la premessa - un intero paragrafo - sulla “necessità etica”, dalla quale egli si dice essere stato mosso in conseguenza del mio approccio, asseritamente privo di “forme rispettose e sempre dubitative” laddove Nanni Moretti ci ha parlato dell’importanza delle parole e Pacillo stesso di quella dei toni.

Non so da dove si possa obiettivamente desumere il tono di uno scritto. La percezione è evidentemente soggettiva e non si può che rassicurare, come volentieri faccio, che non era così. Posso occuparmi, invece, delle parole, che sono dati oggettivi. E, benché Pacillo non indichi alcuna mia parola dalla quale sia sorta la sua “necessità etica”, posso individuare dei tertia comparationis. Senza andare lontano, attingo dal suo scrigno: ideologismi preconcetti, fede cieca nelle proprie idee, completamente fuori bersaglio, apodittico, non riesce a dare ragione, opposizione ideologica, liquidazione delle norme vigenti, ecc. Debbo presumere che, alla luce della sua etica e del pensiero di Nanni Moretti, egli ritenga queste espressioni usate nei miei confronti rispettose e sempre dubitative. A me - il dubbio è d’obbligo - non sembra.

Comunque, sta di fatto che nessuna di queste o altre espressioni del genere ho usato nei suoi confronti. Pacillo è uno dei 19 (diciannove) autori da me citati, praticamente quasi tutti quelli intervenuti nel dibattito fino al 1° aprile (purtroppo, non anche il prof. Dalla Torre, e me ne duole perché sulle norme canoniche, dai più brandite contro la supposta arrendevolezza dell’autorità ecclesiastica, aveva offerto la chiave interpretativa a mio avviso risolutiva: l’avverbio opportune contenuto nel can. 843, § 1). A Pacillo specificamente (al netto, cioè, di suoi argomenti comuni ad altri autori, che ho commentato indistintamente) è dedicata poco più di mezza pagina sulle sedici

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dell’articolo. Ne ho riportato il testo e ho fatto la mia critica, in base esclusivamente al disposto normativo, senza apprezzamenti nei confronti dell’Autore o del suo metodo interpretativo o della sua posizione ideologica (che pure traspariva).

Quali parole, allora, hanno fatto vibrare l’etica di Pacillo, spingendolo, con le espressioni suindicate, a fargli battere il pugno sul tavolo? Nel dibattito scientifico l’etica è lo spirito critico: si replica e si controreplica. L’intolleranza alla critica rivolta ai propri argomenti è il contrario dell’etica. E quando muove dal bisogno di ripudiare un’argomentazione razionale perché “piuttosto radicale” sfocia nell’oscurantismo.

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