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Altro autore cardine che scegliamo per provare a spiegare alcune svolte degli ultimi anni dell Ottocento artistico francese, che per convenzione

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Academic year: 2022

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Altro autore cardine che scegliamo per provare a spiegare alcune svolte degli ultimi anni dell’Ottocento artistico francese, che per convenzione definiamo post impressionismo, è Paul Gauguin (1848-1903).

Come dicevamo, se nella prima metà del secolo gli intellettuali e gli artisti avevano sperato di «changer la vie», come diceva Rimbaud, nel fervore degli anni delle rivoluzioni, dopo il 1848 (soprattutto dopo il colpo di stato con cui nel 1851 il presidente della Repubblica Luigi Napoleone ristabilisce l’Impero

autoproclamandosi Napoleone III), e ancor più dopo il 1871, la disillusione per la politica dilaga tra scrittori, poeti e pittori.

Una disillusione, un rifiuto verso l’intero «mondo borghese»: è il considerarsi estranei a una certa morale, un certo modo di vita, un’intera società. Vale ormai solo più la fuga dalla civiltà, ma individuale, i sogni comuni sono svaniti. E se abbiamo citato Rimbaud che a 19 anni rinuncia alla poesia per scomparire in Africa e abbruttirsi e poi tornare a vivere nella società finalmente duro e insensibile («ritornerò con membra di ferro, con la pelle scura, con occhi furibondi: per la maschera che avrò, sarò giudicato di una razza forte.

Avrò dell’oro, sarò pigro e brutale… Parteciperò agli affari politici. Salvo »). Possiamo dire di Baudelaire che nel suo Voyage scritto nel 1859, invoca la Morte perché lo porti via, in un luogo meno volgare del tempo presente*. Ma possiamo citare anche chi come Gauguin sceglie di «diventare selvaggio» per purificarsi in un fervore insieme mistico e naturalistico. È questo il rifiuto della corruzione della società, come egli scriverà, «criminale, male organizzata», e «governata dall’oro», che prende la forma di viaggi di fuga, come

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Gli inizi di Paul Gauguin sono vicini alle ricerche impressioniste. Di fatto entra nel gruppo impressionista, anche se inizialmente la pittura è solo un’attività di svago.

Partecipa però a molte esposizioni del gruppo, ad esempio opere come le due qui sopra denunciano una luce che è ancora impressionista, mentre è evidente la propensione per un certo realismo.

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La svolta avviene nel 1886 quando per la prima volta scopre la Bretagna, una regione della Francia che a quel tempo era ancora fortemente rurale e manteneva caratteri di vita così primitivi che conquistano Gauguin. Capisce là che la sua strada non potrà che portarlo fuori dalle città, lontano dalla corruzione del denaro, delle religioni e delle convenzioni sociali.

In questo senso è molto esplicito nelle sue lettere. E La danza delle quattro bretoni ci rivela le sue nuove scoperte: la figura umana, le tradizioni antiche espresse dagli abiti, una socialità antica e vera incarnata dal gruppo di donne che ballano danze

tradizionali: c’è ancora realismo, ma le pose delle figure sembrano già decorative, poco naturali.

Nel 1888 torna in Bretagna a Pont-Aven, e qui conosce il giovane pittore Emile Bernard con cui collaborerà. È proprio il bravo Bernard a fornirgli lo spunto per uno scarto potentissimo nella sua ricerca artistica: il

SINTETISMO

, cioè UN’ESTETICA

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Questa SEMPLICIFICAZIONE DELLE FORME prende spunto forte anche dalle stampe giapponesi, ad esempio di Hokusai, che tanto ispirarono gli impressionisti ma anche Van Gogh stesso. SONO VEDUTE SINTETICHE, IN CUI LE FORME SI RIDUCONO

ALL’ESSENZIALE. Emile Bernard gli mostra una possibile via alla semplificazione, che è quella usata già in occidente dai vetrai della grandi vetrate delle cattedrali

medievali: FORME DAI GRANDI CONTORNI NERI RIEMPITE DI UNIFORMI

CAMPITURE DI COLORE. SENZA OMBRE E LUCI, SENZA SFUMATURE, POCHISSIMI DETTAGLI, TUTTO PIATTO, TUTTO E’ CONCENTRATO SUL COLORE USATO PER EVOCARE UN’ATMOSFERA, UNO STATO D’ANIMO. Dirà Gauguin:”Il colore è

enigmaticamente nelle sensazioni che esso desta in noi. Così lo si deve usare anche in modo enigmatico, se ci si serve di esso non per disegnare, ma per amore della sua propria natura, della sua forza intima, misteriosa, allusiva”. IL SIMBOLISMO DEL COLORE E DELLE FORME DIVENTA ORA CENTRALE!

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Gauguin ha finalmente trovato la sua strada, PER USCIRE DAL NATURALISMO IMPRESSIONISTA, QUELL’”ABOMINEVOLE ERRORE DEL NATURALISMO” DI CUI SCRIVERA’ ALL’AMICO BERNARD. Bisogna tornare “al principio”, “alla pura arte cerebrale, all’arte primitiva”. Ecco allora la sua risposta pittorica: La visione dopo il sermone in quello stesso folgorante 1888. Quest’opera riceve parecchie critiche, sia dall’amico Pisarro che lo accusa di aver abbandonato le ricerche impressioniste di tipo “SOCIALE, ANTIAUTORITARIE E ANTIMISTICHE”, e Bernard lo rimprovera di aver fatto sue teorie elaborate da altri, e di fatto copiando in rosso proprio la sua stessa opera su fondo verde.

A parte le critiche, anche fondate, cosa colpisce in quest’opera? 1. prima di tutto il tema, religioso, il primo di una lunga serie di opere religiose (qui Giacobbe lotta con un uomo che si rivelerà intermediario di Dio, in una lotta simbolica tra umanità e Dio).

2. poi il LA NATURA VISIONARIA DEL QUADRO, cioè la visione che le donne bretoni, le vere protagoniste, avrebbero dei due lottatori: L’ARTISTA VUOLE DIRCI COME

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Un ulteriore evoluzione Gauguin l’avrà nel 1891 inviato a Tahiti dal Ministero dell’istruzione e belle arti francese per studiare costumi e paesaggi di quel paese. Quello che riporterà da quell’incontro però sarà ben diverso da un reportage etnografico dei posti e della gente. NON RIPRODURRA’ LE CONDIZIONI DI VITA, MISEREVOLI, DELLA POPOLAZIONE (devastata

dall’alcolismo e vessata dai missionari cattolici e dai mercanti di schiavi ) E NEANCHE LA NATURA LO INTERESSERA’, MA EVOCHERA’ UN MONDO PRIMITIVO DI SOGNO, PURO, PRIMORDIALE, PIENO DI SPIRITUALITA’ NATURALE e PAGANA, esattamente quello che cercava fuggendo dalla Francia. Quello che ci ispirano le opere a prima vista è la pace e piacevolezza di un giardino dell’eden senza tempo, IN REALTA’ NELLE DEFORMAZIONI DELLE FIGURE, NELLE AGGIUNTE SINCRETISTICHE DI ELEMENTI ESTRANEI (come gli idoli giavanesi in Da dove veniamo? Che nulla c’entrano con Tahiti) CI FANNO LEGGERE QUESTE OPERE COME TENTATIVI DI RENDERE CON GLI STRUMENTI DELL’ARTE OCCIDENTALE QUALCOSA CHE NON E’ AFFERRABILE, FORSE PERCHE’ SOLO MITO, FORSE PERCHE’

TROPPO LONTANO DA NOI: L’INNOCENZA INDIGENA, LA PUREZZA DELLE ORIGINI.

La verità in fondo è che non solo non c’è realtà in questi miti di purezza originaria, ma neanche può esserci evasione, fuga. L’Eden si rivela un inferno e Paul Gauguin letteralmente un «morto di fame e disperazione» (come scriverà Maurice Malingue) che dopo aver

conosciuto il carcere (per aver denunciato i traffici degli schiavisti collusi con le autorità

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Osserviamo ora per un momento ciò che resta dell’Impressionismo in questi tardi anni ‘80 e ‘90

dell’Ottocento. Abbiamo detto di come la sua crisi era dovuta a un allontanarsi da quella pittura di idee, pensiero e narrazione – di contenuto insomma – da cui all’incirca tutti gli impressionisti erano partiti. Ora, per gli artisti che ancora fanno ricerca, i problemi sono il rapporto tra scienza e pittura, la tecnica, la luce, l’obiettività nella trascrizione pittorica della visione della scena.

La parte più interessante di quest’ultima stagione impressionista è quella proposta dal movimento che verrà chiamato Neoimpressionismo dal critico Felix Fénéon. Tra i suoi artisti più noti troviamo il vecchio impressionista Camille Pisarro, poi Georges Seurat e Paul Signac. LA LORO PROPOSTA RADICALIZZA L’AUTONOMIA DELLA VISIONE E LA TOTALE LIBERTA’ DELLA RESA PITTORICA degli IMPRESSIONISTI, accettando il principio impressionista per cui è la luce il fondamento della visione: E LO FA ACCOSTANDO PICCOLE TACCHE O PUNTI DI COLORI PURI NON MESCOLATI MA ACCOSTATI, perché se prima per ottenere il viola si mescolavano sulla tavolozza un pigmento blu ed uno rosso prima di stenderli sulla tela, Seurat, invece accosterà una miriade di punti blu e rossi che, visti a distanza, darà ugualmente la percezione del viola, solo molto più luminoso di quello ottenuto con le mescolanze sulla tavolozza. Parliamo quindi meglio di POINTILLISME.

Ma Seurat va anche oltre nei suoi esperimenti: ad esempio seguirà LA TEORIA DEL CONTRASTO SIMULTANEO DEL FISICO FRANCESE CHEVREUL. Chevreul sosteneva che "mettere il colore sulla tela non

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Quest’opera, Une dimanche a la Grande Jatte, suscita scalpore alla mostra impressionista e al Salon des Independents del 1886: figure che sembrano "Assiri coperti da nugoli di insetti” è il commento sdegnato di pittori e dei critici, contrari alla tecnica di Seurat,. E’ REALIZZATA LAVORANDO SU MOLTISSIMI BOZZETTI TRA STUDI PREPARATORI DAL VIVO E POI ELABORAZIONI IN STUDIO (SI TORNA A SENTIRE L’ESIGENZA DI LAVORARE IN STUDIO!). Gli studi preparatori ci dicono che Seurat prima prepara il paesaggio e poi inserisce le figure, come fossero manichini, giustapposti nella loro rigida fissità (data anche dalla posa sempre di profilo o frontale) da manichini anatomici o statue primitiviste DEFINITE DA UN NETTO CONTROLUCE: SONO FORME NATURALI RIDEFINITE COME FORME GEOMETRICHE PROPRIO COME CERTE FIGURE DI PIERO DELLA FRANCESCA. NON C’E’

PROFONDITA’, NON C’E’ MASSA, CI SONO SOLO PIANI BIDIMENSIONALI SOVRAPPOSTI come un collage.

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Anche in quest’opera Seurat lavora per punti separati, seguendo la regola del

CONTRASTO SIMULTANEO DEI COLORI FONDAMENTALI (O PRIMARI) CHE ACCOSTATI DANNO LA PERCEZIONE DI UN NUOVO COLORE, in realtà non accosta solo colori primari ma spesso sotto i punti di colore inserisce stesure più ampie di colori uniformi (quindi è una tecnica più complessa la sua): il problema è che alcuni colori nel tempo si sono scuriti e ossidati come il giallo di cromo usato per i tocchi di arancione chiaro nelle parti soleggiate, e quindi ABBIAMO PERSO IN PARTE L’EFFETTO VOLUTO

DALL’ARTISTA.

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Il risultato inaspettato e forse anche un po’ paradossale, nonostante l’artificialità della scena, è l’impressione straniante ma molto vivida e veridica di una scena di una domenica di svago al fiume della buona borghesia parigina.

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