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Qualche dubbio sull’ammissibilità e sulla fondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 38, comma 1, disp. att. c.c. - Judicium

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GIAMPAOLO FREZZA

(1) Qualche dubbio sull’ammissibilità e sulla fondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 38, comma 1, disp. att. c.c. (*).

SOMMARIO: 1. Premessa — 2. Rilevanza e ammissibilità della questione — 3.

Legittimazione “a far valere” il diritto e competenza — 4. Natura (de potestate) dei provvedimenti — 5. Attrazione per competenza e ragionevolezza — 6. Ascolto e giusto processo — Conclusioni: inammissibilità della questione.

1. La recente riforma della filiazione, avviata con la l. 10 dicembre 2012 n.

219 e portata a compimento con il d. lgs. 28 dicembre 2013 n. 154 ha, fra le principali innovazioni1, definitivamente riconosciuto il diritto “degli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti” (art. 317 bis c.c.).

Avendo l’art. 2 lett. p) l.n. 219 del 2012 delegato il Governo ad emanare le disposizioni sulla “legittimazione degli ascendenti a far valere rapporti significativi con i nipoti minori”, l’art. 96 lett. c) d.lgs. n. 154 del 2013 ha disposto, fra l’altro, che “sono, altresì, di competenza del Tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli artt. (…) 317 bis c.c.” (art. 38, comma 1, disp. att. c.c.).

Il diritto dei nonni di mantenere rapporti con i nipoti minorenni, dunque, riconosciuto sul piano sostanziale dall’art. 317 bis c.c., è tutelato, su quello processuale, da una disposizione che, nell’ambito della legittimazione a farlo valere in giudizio, determina la competenza del giudice minorile.

Nell’ordinanza qui in commento, il Tribunale dei minorenni di Bologna ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, comma 1, disp. att.

c.c., nella parte in cui prevede che “sono altresì, di competenza del Tribunale per i minorenni, i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317 bis c.c.”, limitatamente all’inciso in cui include l’art. 317 bis c.c., per violazione degli artt.

76, 77 e 3, 111 Cost.2.

Il merito della questione è opportunamente preceduto dall’analisi della sua rilevanza ed ammissibilità, aspetti, questi ultimi, sui quali vale la pena, nel paragrafo che segue, fare degli approfondimenti.

2. Se la questione di costituzionalità può bensì ritenersi rilevante — dalla sua soluzione dipende, infatti, la potestas decidendi del giudice rimettente — qualche osservazione deve farsi riguardo alla modalità con cui il Tribunale dei minorenni di Bologna ha inteso il parametro dell’ammissibilità.

(*) Di prossima pubblicazione in Dir. fam. pers., 2014, fasc. n. 4.

1 Per una prima e approfondita analisi delle novità introdotte dalla riforma, AA.VV., Riforma della filiazione, a cura di C.M. BIANCA, in Nuove leggi civ. comm., 2013, 437 ss. Nella trattatistica, vedi C.M.

BIANCA, Diritto civile, 2.1, La famiglia, Milano, 2014, 325 ss. Nella manualistica, ID., Istituzioni di diritto privato, con la collaborazione di M. BIANCA, Milano, 2014, 769 ss.

2 Il Tribunale dei minorenni di Bologna aderisce, nell’ordinanza qui in commento, alla teoria di G.

BUFFONE, Le novità del “decreto filiazione”, in Il civilista, 2014, Speciale riforma, 68 ss.

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La chiarezza del dispositivo oggetto di esame renderebbe infruttuosa, secondo il giudice a quo, l’interpretazione c.d. “adeguatrice” della norma censurata3.

Tale criterio di valutazione, in base alle indicazioni della Corte Costituzionale, è destinato ad operare, vale la pena ribadirlo, là dove siano possibili letture alternative della disposizione di legge di dubbia costituzionalità, onde la necessità di scegliere quella conforme a Costituzione: qualora, al verificarsi di tali presupposti, il giudice a quo non abbia esperito tale tentativo, la questione deve considerarsi inammissibile4.

Nel caso in esame, però, una lettura alternativa a quella testuale risultava impossibile, salvo a “spezzare”, per usare la terminologia del giudice a quo, il dato letterale della disposizione normativa5.

Se si considera, poi, come osservato in dottrina, che i profili attinenti alla competenza sarebbero oggetto di riserva di legge6, ne potrebbe conseguire che, là dove essi siano il risultato costruito attraverso lo schema della delega legislativa, l’ammissibilità della questione di costituzionalità si verrebbe ad imporre, come dire, in re ipsa7.

Il metodo e le conseguenze appena ipotizzate suscitano, secondo il nostro punto di vista, perplessità.

Occorre, infatti, domandarsi se tale metodologia sia compatibile con le indicazioni della Corte Costituzionale, la quale ha bensì indicato, quale filtro generale di ammissibilità, il criterio dell’interpretazione c.d. adeguatrice, ma, in casi particolari, ha escluso la sua competenza nelle materie — qual è, come dimostreremo di seguito, quella che qui ci occupa — caratterizzate dall’uso del

“potere discrezionale” da parte del legislatore8, il tutto, ovviamente, nei limiti in cui l’esercizio di tale potere non si trasformi in arbitrio.

Il problema così impostato può essere adeguatamente trattato solo attraverso l’analisi degli aspetti di merito della questione.

3. Secondo il giudice rimettente, il d.lgs. n. 154 del 2013 avrebbe, innanzitutto, ecceduto i poteri conferiti dalla l.n. 219 del 2012, la quale consentiva di disciplinare soltanto in merito alla “legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di

3 Corte cost. 12 marzo 1999 n. 65, in Giust. civ., 1999, I, 1244 ss.; in Giur. cost., 1999, 759 ss.

4 Per tutti, M.R. MORELLI, Doverosità della previa verifica di una possibile “interpretazione adeguatrice” ai fini dell’ammissibilità dell’incidente di costituzionale e diverso regime nel giudizio in via principale, in Giust. civ., 1997, I, 2351.

5 Sembra andare troppo oltre il dato letterale A. ARCERI, Il diritto dei nonni a mantenere rapporti con i nipoti al vaglio della Corte Costituzionale, in Fam. dir., 2014, 816, la cui teoria sarà analizzata qui di seguito (infra, § 5), là dove verrà trattata la questione avente ad oggetto la competenza per attrazione incidentale a favore del giudice ordinario nelle ipotesi in cui, attivato un procedimento di cui è competente il giudice minorile, sia già pendente un procedimento di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c.

6 F. DANOVI, Diritti dei nonni e competenza del giudice minorile: la parola alla Corte Costituzionale, in questa Rivista, 2014, …. (in corso di pubblicazione).

7 F.DANOVI, op. loc. cit.

8 Corte cost. 1 luglio 2009 n. 198, in Foro it., 2009, I, 2576 ss.; Corte cost. 13 dicembre 2006 n.

460, in Giust. civ., 2007, I, 559 ss.

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mantenere rapporti significativi con i nipoti”, senza indicare la possibilità per il decreto delegato di incidere sui profili processuali attinenti alla competenza, onde esso violerebbe gli art. 76 e 77 Cost.

Non può certamente essere questa la sede per approfondire le nozioni di legittimazione ad agire e di competenza.

Deve solo rilevarsi che, per quanto qui è utile, la legittimazione ad agire, quale condizione all’azione, va intesa, secondo costante giurisprudenza, quale diritto potestativo di ottenere una pronunzia, da parte del giudice, sul merito della domanda9, onde, di per sé, tale nozione non esclude l’individuazione dell’organo competente a cui domandare la tutela.

Il profilo della legittimazione ad agire è disciplinato dagli artt. 81 e 99 c.p.c.:

entrambe le disposizioni, piuttosto che coniugare il verbo “agire”, contengono la locuzione “far valere in giudizio”. Sotto questo aspetto, dunque, giova osservare che la legge delega si è mantenuta fedele al tradizionale modulo espressivo del codice di rito.

Tuttavia, proprio l’art. 99 c.p.c. evidenzia come la domanda debba essere proposta — non ai fini della sua validità, ma solo per la sua deducibilità nel merito10

— ad un giudice competente. Ciò implica che in ogni caso in cui l’ordinamento giuridico riconosce l’esistenza di un diritto azionabile in giudizio ed attribuisce a taluno la legittimazione ad agire, deve necessariamente esservi un giudice competente.

Giacché, poi, secondo autorevole dottrina11, anche le regole sulla competenza determinano la legittimazione del giudice, e che tale legittimazione si misuri, non diversamente da quella delle parti, sul metro della domanda, non pare che il legislatore delegato abbia travalicato i limiti posti dalla delega delle Camere.

Il Governo, infatti, si è limitato ad individuare, tra gli uffici giudiziari esistenti, quale di essi fosse competente a decidere sulla domanda proponibile dagli ascendenti, codificando l’orientamento giurisprudenziale già esistente e consolidato.

Insomma, il Governo ha dato esecuzione alla legge delega senza introdurre novità nell’ordinamento giuridico, poiché la legittimazione dei nonni all’azione e la competenza del Tribunale dei minorenni costituivano, come si chiarità qui di seguito12, già ius receptum da tempo.

Appare, conseguentemente, eccessivamente formalistica e restrittiva l’interpretazione che il giudice rimettente propone dell’art. 2 lett. p) l.n. 219 del 2012, nella parte che qui interessa.

9 Fra le altre, Cass. 14 marzo 2001 n. 3732, in Giust. civ. Mass., 2001, 482; Cass. 27 luglio 2005 n.

15721, ibidem, 2005, fasc. 6.

10 A.PROTO PISANI, Dell’esercizio dell’azione, in Comm. del c.p.c., diretto da E. ALLORIO, I, t. 2, Torino, 1973, 1065.

11 E. FAZZALARI, Istituzioni di diritto processuale, Padova, 1989, 296.

12 Approfondimenti, infra, § n. 4

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Vale, inoltre, la pena riferire — al di là di quanto argomentato dall’ordinanza di remissione qui in commento — il punto di vista di una parte della dottrina13, la quale ritiene che l’eccesso di delega riguardi non già la legittimazione — su cui poi, a ben vedere, il decreto delegato avrebbe taciuto — ma il riconoscimento del diritto degli ascendenti in sé, quello disciplinato dal decreto delegato ex art. 337 bis c.c.:

tale eccesso di potere dovrebbe, dunque, ravvisarsi nella previsione, introdotta dal decreto delegato, avente ad oggetto il diritto soggettivo dei nonni di conservare rapporti significativi con i nipoti, assente nell’assetto giuridico precedente.

Contro questa impostazione, valga quanto argomentato, da anni, dalla dottrina più attenta e sensibile al riconoscimento di tale situazione giuridica soggettiva14, alla quale si rinvia per gli approfondimenti: si tratta di una concezione che, fra l’altro, ha fondato, ancor prima della emanazione dell’art. 317 bis c.c., il riconoscimento di tale diritto sull’(allora vigente) art. 155 c.c., introdotto dalla l.n. 54 del 200615.

Quanto appena riferito rappresenta un ulteriore argomento a sostegno del significato ampio che è necessario attribuire all’espressione “legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori”, contenuta nella l.n. 219 del 2012.

Appare discutibile, invero, ritenere che il legislatore abbia delegato il Governo a prevedere la mera legittimazione a far valere un diritto già esistente nel sistema, essendo ovvio che il titolare del diritto stesso, in quanto tale, già poteva agire per tutelarlo: prima della riforma della filiazione, come chiariremo qui di seguito16, la tutela del diritto in analisi si attuava attraverso l’applicazione delle norme di cui agli artt. 330 e ss. c.c., con particolare riguardo a quelle di cui agli artt. 333 e 336 c.c.

La delega legislativa deve, alla luce di quanto precede, avere un significato più ampio rispetto a quello indicato dall’ordinanza qui in commento: essa deve intendersi quale autorizzazione a legiferare sugli aspetti processuali inerenti

13 G.F. BASINI, Ascendenti, diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni e risarcimento del danno. Il, così detto, “diritto di visita degli avi dopo il d.lgs. n. 154 del 2013”, in Resp.

civ. prev., 2014, 367 ss.

14 M.BIANCA, Il diritto del minore all’“amore” dei nonni, in Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, II, Milano, 2006, 117 ss. ed in Riv. dir. civ., 2006, I, 155 ss.; posizione in seguito decisamente ribadita in ID., Il diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti, in L’affidamento condiviso, a cura di S. PATTI e L. ROSSI CARLEO, Milano, 2006, 163 ss. Per una rassegna delle diverse opinioni, F.PREITE,Rapporti con gli ascendenti, in AA.VV., Modifiche al codice civile e alle leggi speciali in materia di filiazione, Napoli, 2014, 119 ss.; R.CARRANO, Il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti, in Filiazione. Commento al decreto attuativo, a cura di M.

BIANCA, Milano, 2014, 160 ss.; A.FIGONE, La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Torino, 2014, 109 ss. Vedi, per una sintesi, G. GIACOBBE, P. VIRGADAMO, Il matrimonio, t. 2, Separazione personale e divorzio, in Trattato di diritto civile, diretto da R. SACCO, Torino, 2011, 331.

15 Così, anche, la Relazione illustrativa del d.lgs. n. 154 del 2013, secondo cui “il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti con i nipoti è stato espressamente disciplinato nel previgente articolo 155 c.c., come modificato dalla legge n. 54 del 2006”. Vedi, inoltre, R.CARRANO, op. cit., 161: “questa impostazione risulterebbe confermata dalla legge delega n. 219 del 2012, la quale, all’art. 2, lett p), indica tra i criteri direttivi la ‘previsione della legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori’, intendendo quest’ultimo come un diritto già esistente all’interno dell’ordinamento (…)”.

16 Approfondimenti, infra, § n. 4.

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all’azione volta a far valere il diritto degli ascendenti di mantenere rapporti con i nipoti minori, aspetti tra i quali rientra, in primis, l’individuazione del giudice competente.

4. L’eccesso di delega, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., risulterebbe particolarmente significativo, secondo il giudice a quo, in relazione alla natura dei provvedimenti relativi al diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.

Sul punto si contendono il campo due orientamenti, entrambi sintetizzati nell’ordinanza qui in commento.

Da un lato, si pone la prospettiva secondo cui quelli in esame sarebbero provvedimenti de potestate (artt. 330 e 333 c.c.), tesi, questa, seguita dai compilatori della relazione illustrativa del decreto e che giustifica la competenza del giudice specializzato.

Il legislatore della riforma ha, così, portato a compimento i principi, sostanziali e processuali, su cui si fondava l’assetto giuridico precedente: prima e dopo l’emanazione della l.n. 54 del 2006, infatti, la dottrina17 e la giurisprudenza18 riconducevano la tutela della situazione giuridica qui in analisi alle norme di cui agli artt. 330 e ss. c.c., e, in particolare, a quelle di cui agli artt. 333 e 336 c.c.

Tenuto conto che il rapporto dei nonni con i nipoti doveva rispondere — come risponde, all’evidenza, ancora oggi — all’interesse superiore dei minori, il genitore che ne impediva, anche solo occasionalmente, la sua piena realizzazione poneva in essere una forma, più o meno lata — a seconda dei casi, ma pur sempre rilevante — di “abuso” nell’esercizio della potestà, onde l’applicabilità dell’art. 333 c.c., e, in tema di legittimazione a ricorrere, dell’art. 336 c.c., a favore dell’ascendente, o, più in generale, dei parenti19.

Dall’altro, si contrappone la configurazione secondo cui i provvedimenti in analisi avrebbero ad oggetto i tempi di frequentazione della prole presso l’uno o l’altro genitore, con competenza del Tribunale ordinario: si verserebbe, in sintesi, non già nell’ambito delle c.d. limitazioni genitoriali, bensì in quello della regolazione dei rapporti fra genitori e figli, ex art. 337 ter c.c.

Si cita, nell’ordinanza qui in commento, quella giurisprudenza secondo cui l’(allora vigente) art. 155 c.c. (oggi 337 ter c.c.), nel riconoscere il diritto dei minori, figli di coniugi separati, di conservare rapporti con gli ascendenti, affidava “al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell’articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata”20.

17 M.BIANCA, Il diritto del minore all’“amore” dei nonni, cit., 117 ss.; P.M. PUTTI, Il diritto di visita degli avi: un sistema di relazioni affettive che cambia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 897 ss.

18 Indicazioni puntuali in G.F. BASINI, op. loc. cit.

19 Date le argomentazioni di cui qui al testo, poco importa, allora, che, nella relazione illustrativa, i compilatori abbiano richiamato Cass. 17 giugno 2009 n. 14091, in Giust. civ. Mass., 2009, 935, ritenuta, dall’ordinanza qui in analisi, non propriamente attinente al problema trattato.

20 Cass. 11 agosto 2011 n. 17191, in Giust. civ., 2011, I, 1767.

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La Cassazione ha, però, fatto derivare da tale premessa ben precise conseguenze logico-giuridiche, le quali, a ben vedere, sembrano avvalorare la tesi opposta, quella che qui intendiamo sostenere.

Se è vero che il rapporto fra gli ascendenti ed i nipoti è parametro di valutazione nell’articolazione dei provvedimenti di affidamento, osserva sempre la S.C., questo stesso elemento non incide sulla natura e sull’oggetto dei giudizi di separazione e divorzio e, al tempo stesso, sulle posizioni e sui diritti delle parti in essi coinvolti e non consente, pertanto, di ravvisare diritti relativi all’oggetto o dipendenti dal titolo dedotto nel processo: sulla base di questo presupposto, si è esclusa l’ammissibilità di qualsivoglia intervento in giudizio a favore dell’ascendente21.

L’impostazione appare ineccepibile e permette di affermare che, sotto il profilo tecnico-giuridico, i profili oggettivi e soggettivi della vicenda processuale che coinvolge i nonni in rapporto ai nipoti sono distinti da quelli riguardanti l’affidamento della prole, in seno ai giudizi di separazione, di divorzio e, oggi, a quelli di cui all’art. 316 c.c.

È questa un’altra ragione che conferma la correttezza della riconducibilità dei provvedimenti di cui stiamo disquisendo nell’ambito di quelli c.d. de potestate.

5. Altro aspetto da trattare attiene al presunto contrasto fra l’art. 38, comma 1, disp. att. c.c., nella parte che qui interessa, e gli artt. 3 e 111 Cost., per intrinseca irragionevolezza e rottura con il principio di concentrazione processuale.

Quanto alla irragionevolezza, secondo il giudice rimettente, si verrebbe a creare la seguente aporia logico-giuridica: “i compilatori della riforma conducono l’art. 317 bis c.c. nella cornice semantica dell’art. 333 c.c.; da qui la contraddizione:

tutti i procedimenti ex art. 333 c.c. ― in virtù della l.n. 219 del 2012 ― possono essere trattati anche dal Tribunale ordinario se pendente procedimento ex art. 337 bis c.c. (…); i soli procedimenti ex art. 317 bis c.c., invece ― in virtù della legge delegata ― devono essere trattati sempre e comunque dal Tribunale minorenni”22.

Anche questa considerazione non può essere condivisa.

È bensì vero che la riforma ha introdotto una competenza per attrazione incidentale a favore del giudice ordinario nelle ipotesi in cui, attivato un procedimento di cui è competente il giudice minorile, sia già pendente un procedimento di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c.

21 Cass. 16 ottobre 2009 n. 22081, in Giust. civ., 2010, I, 923 ss.; Cass. 27 dicembre 2011 n. 28902, in Foro it., 2012, I, 779 ss., secondo cui “posto che le sole parti del giudizio di separazione giudiziale sono i coniugi, non sono legittimati ad intervenirvi, né in via principale, né litisconsortile, né adesiva, gli ascendenti, pur se a tutela dell’interesse dei minori, quanto al loro affidamento ed al regime degli incontri con gli stessi ascendenti”.

22 Si è, a tal proposito, affermato (A.FIGONE, op. cit., 112) che “accedendo ad un’interpretazione più svincolata dal dato testuale della norma, si potrebbe (…) ipotizzare un intervento davanti al giudice ordinario dei parenti, titolari tanto di un diritto soggettivo ai rapporti con i nipoti, quanto di un interesse, se conforme all’interesse del minore”. Una simile interpretazione deve, però, secondo il nostro punto di vista, escludersi, tenuto conto del dato letterale dell’art. 38, comma 1, disp. att. c.c., il quale rimette la competenza per i procedimenti ex art. 317 bis c.c. al giudice minorile, senza eccezione alcuna.

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La norma sulla competenza per attrazione ha, però, un ben preciso limite soggettivo di applicabilità: “l’attrazione avanti al Tribunale ordinario dei procedimenti altrimenti riservati al giudice specializzato postula, infatti, l’identità delle parti coinvolte”23.

A ciò consegue che, “legittimati a proporre i procedimenti di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c. sono esclusivamente i genitori-coniugi, mentre gli artt.

330 e 333 c.c. individuano una più ampia gamma di soggetti legittimati a chiedere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale. È, allora, evidente che si potranno “trasferire” avanti al Tribunale ordinario solo i procedimenti proposti davanti al Tribunale per i minorenni tra i genitori, perché solo in questo caso vi sarà identità di parti nel senso richiesto dal comma 1 dell’art. 38 disp. att. c.c.”24.

Per quanto appena chiarito, appare discutibile l’impostazione secondo cui, allo scopo di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione qui in esame, deve sempre ritenersi applicabile la regola della “concentrazione processuale disciplinata dall’art. 38 disp. att. c.c. nel caso di contemporanea pendenza di un procedimento della crisi familiare”25.

Per avvalorare tale impostazione, si osserva che oggi non è “più così granitica la considerazione secondo la quale, da un lato, il procedimento di separazione veda, quali parti necessarie ed uniche, i soli genitori, e dall’altro, che il procedimento di cui all’art. 317 bis c.c. veda, quali parti coinvolte, i soli nonni”26.

Quella in esame, a tacer d’altro, più che una lettura costituzionalmente orientata rappresenta un’interpretazione antiletterale dell’art. 38, comma 1, ultimo periodo, disp. att. c.c., come tale da disattendere. La previsione dei procedimenti ex art. 317 bis c.c. all’interno dell’ultimo inciso della norma oggetto di esame implica, infatti, già a livello testuale, la sua esplicita sottrazione alla regola dell’attrazione incidentale contemplata nella prima parte della disposizione stessa.

Oltre al dato tecnico-giuridico sopra riferito, è stato, altresì, osservato, e l’orientamento appare condivisibile, che, dal punto di vista della ratio, il legislatore ha inteso, con la separazione delle competenze, “dare prevalenza all’interesse della coppia in crisi”, ovvero quello “di evitare ingerenze da parte di terzi, rispetto all’interesse pubblico finalizzato alla realizzazione del simultaneus processus, in

23 M.A. LUPOI, Il procedimento della crisi tra genitori non coniugati avanti al Tribunale ordinario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 1289 ss., il quale opportunamente afferma che quello in esame è un limite molto importante, che “lascia al Tribunale per i minorenni un certo margine di manovra anche in pendenza di un procedimento sulla crisi genitoriale avanti al giudice ordinario”. L’Autore richiama, a sostegno di tale tesi, anche V. MONTARULI, Il nuovo riparto di competenze tra giudice ordinario e minorile, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, 231. Si veda, infine, a favore della tesi illustrata nel testo, F.S. DAMIANI, Filiazione e processo all’indomani della l. 219 del 2012, in Riv. dir. civ., 2014, I, 80, ed ivi la nt. n. 24. Contra, invece, andando oltre il dato letterale dell’art. 38, comma 1, disp. att. c.c., che presuppone un giudizio attraente fra le “stessi parti”, M. CEA, Profili processuali della l. 219 del 2012, in Giusto proc. civ., 2013, 226.

24 M.A. LUPOI, op. loc. cit.

25 A. ARCERI, op. cit., 816.

26 A. ARCERI, op. loc. cit.

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quanto, nel bilanciamento degli interessi in gioco, il legislatore ha ritenuto tale soluzione processuale maggiormente idonea a realizzare un più giusto diritto di famiglia”27.

Non sembra neppure persuasivo il paragone, effettuato nell’ordinanza di rimessione qui in analisi, fra la situazione che qui ci occupa e l’intervento autonomo, nei giudizi di separazione e divorzio, da parte dei figli maggiorenni28.

Il diritto al mantenimento di questi ultimi, se contestato, è, infatti, oggetto necessario del processo, mentre la questione relativa ai rapporti con gli ascendenti è oggetto meramente eventuale29 ed è distinta, tanto giuridicamente quanto concettualmente, da quella afferente all’affidamento e alla tutela della prole nella crisi familiare.

Può, allora, conclusivamente ritenersi rispondente al parametro di ragionevolezza la norma qui in commento, onde essa non contrasta neppure con l’art. 3 Cost.

6. Secondo il giudice a quo, infine, la disposizione censurata violerebbe il principio del giusto processo, consacrato nell’art. 111 Cost., per due ragioni.

Si osserva, da un lato, che potrebbe ravvisarsi la necessità di ascoltare due volte il minore (una prima volta, ad esempio, in seno al procedimento di separazione, instaurato presso il Tribunale ordinario ed una seconda nel contesto del giudizio relativo al diritto di frequentazione degli ascendenti), con presumibile danno per il minore stesso; e, dall’altro, che il mancato rispetto della concentrazione delle tutele verrebbe a minare la certezza del diritto.

Riguardo al primo aspetto, occorre considerare, in senso contrario, da un lato, che il legislatore della riforma ha inteso l’ascolto quale adempimento del giudice che non deve contrastare con il preminente interesse del minore30, tanto da potersi ipotizzare persino un diritto “a non essere ascoltato”31, e, dall’altro, che l’audizione non è un mezzo di prova32, ma rappresenta un elemento indirettamente strumentale all’acquisizione di elementi di decisione del giudice33, onde appare malamente scomodato, a tal proposito, l’art. 111, commi 1 e 2, Cost.

27 R. CARRANO, op. cit., 167; F. PREITE, op. cit., 129 ss., secondo cui “l’aver attribuito la competenza al Tribunale per i minorenni, esclude che gli ascendenti possano essere presenti quali intervenienti nei procedimenti di affidamento instaurati dai genitori per i quali ora la competenza è sempre del Tribunale ordinario. Peraltro, la scelta è stata ben ponderata dal legislatore delegato al fine di che evitare la presenza dei nonni in tali procedimenti possa acuire la conflittualità”.

28 Cass. 19 marzo 2012 n. 4296, in Il civilista, 2012, 4, 18 ss.

29 Ammette la profonda differenza tra le due ipotesi, sia pur in una prospettiva diversa da quella proposta qui nel testo, F.DANOVI, op. loc. cit.

30 P.VIRGADAMO, L’ascolto del minore in famiglia e nelle procedure che lo riguardano, in questa Rivista, 2014, … (in corso di pubblicazione).

31 Parla efficacemente di diritto del minore, talvolta, “a non essere ascoltato”, G.BALLARANI, Contenuto e limiti del diritto all’ascolto nel nuovo art. 336 bis c.c.: il legislatore riconosce il diritto del minore a non essere ascoltato, ibidem, 841 ss.

32 Cass. 26 marzo 2010 n. 7282.

33 Cass. 5 giugno 2009 n. 12984, in Giust. civ., 2010, I, 1442 ss.; Cass. 26 gennaio 2011 n. 1838, ibidem, 2011, I, 1483 ss.

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Non sembra poi, a tutto concedere, contrastare con il principio del giusto processo la possibilità che il giudice specializzato ascolti il minore, in seno al procedimento attivato dal nonno, se non sia stato già ascoltato, su quello specifico aspetto, dal giudice della crisi coniugale. Ovviamente, qualora quanto appena indicato si sia già verificato, dell’audizione potranno darne atto al giudice specializzato i genitori del minore, coinvolti nel processo attivato dall’ascendente.

In tal modo, se non ci inganniamo, la soluzione legislativa non sembra essere contraria alle regole del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.

La mancata concentrazione delle tutela non appare, per quanto fin qui osservato, minare la certezza del diritto, la quale rappresenta, conviene ribadirlo, una meta solo tendenziale ed esito dell’attività interpretativa a fini applicativi.

A prescindere, per quanto già chiarito, dai limiti soggettivi di applicabilità della vis attractiva ipotizzata dall’art. 38, comma 1, disp. att. c.c., vale la pena ricordare che l’esigenza relativa alla concentrazione delle tutele, ad onta della ratio legis, può scontrarsi con regole inderogabili di diritto processuale.

Non è certamente questa la sede per trattare diffusamente una simile problematica.

Allo scopo di avvalorare l’affermazione addotta, vale la pena considerare, ad esempio, il caso inverso a quello previsto, alla lettera, dalla disposizione qui in commento: si tratta della fattispecie in cui il Tribunale per i minorenni non sia adito per primo ma dopo l’instaurazione di un procedimento di separazione, di divorzio o ex art. 316 c.c. In tale ipotesi, può discutersi sull’operatività della vis attractiva, perché potrebbe configurarsi una forma di “incompetenza” sopravvenuta, contraria alla regola della perpetuatio iurisditionis di cui all’art. 5 c.p.c.34.

La traslatio iudicii è, inoltre, dubbia nel caso in cui il giudizio non penda in primo grado avanti al Tribunale, come pretende il dispositivo in analisi, ma in appello. Essa è, poi, certamente inattuabile qualora la causa sulla crisi genitoriale penda in Cassazione.

Se la ratio legis, in sintesi, impone la vis attractiva del giudice ordinario, possono darsi casi in cui tale concentrazione della tutela non sia attuabile e ciò, di per sé, non mina la certezza del diritto, la quale deve sempre essere intesa come meta tendenziale dell’ordinamento giuridico.

7. Per tutte le ragione sopra esposte, deve ritenersi che la questione di costituzionalità sollevata dal giudice rimettente appare infondata nel merito.

Poiché, però, la individuazione della “competenza” rappresenta un’attività discrezionale del legislatore, occorrerebbe domandarsi se quella in esame sia una questione inammissibile, prima ancora che infondata: la stessa Corte Costituzionale, elaborando i più svariati parametri di ammissibilità, ha escluso, in applicazione dell’art. 28 l.n. 87 del 1953, ogni suo sindacato su materie particolarmente rimesse

34 Pone il dubbio M.A. LUPOI, op. loc. cit., ed ivi altre indicazioni di dottrina. Si veda, in particolare, la posizione di V. MONTARULI, op. cit., 230, secondo la quale la perpetuatio iurisditionis assume rilevanza costituzionale.

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all’uso del potere discrezionale del legislatore35, il tutto, ovviamente, entro i limiti in cui tale potere non sia, come si spera di aver dimostrato nelle pagine che precedono, esercitato in modo irragionevole o, addirittura, in modo arbitrario.

Si noti, a tal proposito, che uno dei campi elettivi delle dichiarazione di inammissibilità, da parte della Corte Costituzionale, è proprio quello relativo alle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento a disposizioni con le quali il legislatore ordinario determina la competenza, o disciplina aspetti meramente processuali: in questo campo, invero, è la stessa Corte a riconoscere ampia discrezionalità al legislatore, il quale, per costante giurisprudenza incontra, appunto, il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà36.

35 Corte cost. 1 luglio 2009 n. 198, cit.

36 Corte cost. 13 dicembre 2006 n. 460, cit.

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