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Orientamenti recenti sull’art. 282 c.p.c. - Judicium

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BRUNO CAPPONI

Orientamenti recenti sull’art. 282 c.p.c. (*)

SOMMARIO:1.Premessa. – 2. L’equivoco della condanna alle spese di lite associata a decisione di rigetto e dell’art. 282 c.p.c. come norma riferita ai soli capi condannatori di merito. – 3. Il capo condannatorio associato al capo costitutivo: il caso dell’art. 2932 c.c. – 4. Segue. Il caso della revoca del decreto di tra- sferimento nella vendita forzata immobiliare. – 5. Segue. Il caso della revocatoria fallimentare di paga- menti. – 6. Segue. Il caso delle sentenze costitutive che contengono una condanna implicita. – 7. La sen- tenza di rigetto dell’opposizione all’esecuzione, l’art. 282 c.p.c. e l’art. 627 c.p.c. – 8. Segue. La sentenza di accertamento dell’obbligo del terzo ex art. 549 c.p.c.: l’art. 282 c.p.c. sembra fuori gioco e interviene a sorpresa l’art. 277 c.p.c. – 9. La perdita di efficacia del provvedimento cautelare a seguito dell’estinzione del giudizio di merito: non si applica l’art. 282 ma la norma “gemella” dell’art. 669 novies, comma 2, c.p.c. – 10. L’art. 282, l’art. 295 e l’art. 337, comma 2, c.p.c. – 11. Qualche considerazione sui casi esa- minati. – 12. In particolare, la sentenza delle Sezioni Unite n. 10027/2012.

1. – Un’acuta crisi di durata e di efficienza della giustizia civile, e della ordinaria co- gnizione in particolare, è stata, nel 1990, a base della riforma dell’art. 282 c.p.c.; la re- gola dell’esecutività immediata della sentenza di primo grado sembrò isolarci rispetto al contesto europeo continentale (1), e ciononostante il legislatore decise, forse affrancato da una piena consapevolezza del problema, di affermare quella regola con carattere di generalità. Senza limitarla, come pure da più parti era stato proposto, alla sentenza di condanna (2).

In una crisi di certo ancor più acuta, e che ha spinto l’attuale legislatore a intervenire sulla disciplina prima dell’inibitoria (3) e poi delle impugnazioni (4) mirando a rendere sempre più difficilmente riformabile la sentenza di primo grado, siamo a confrontarci con la lettura che la giurisprudenza ha offerto della norma.

Scopo di questo scritto non è presentare una rassegna tendenzialmente completa dei casi in cui i giudici hanno fatto applicazione della nuova norma, ma cercare di eviden- ziare qualche linea di tendenza.

2. – Forse la prima considerazione da svolgere è quella di una sostanziale imprepara- zione della nostra giurisprudenza al recepimento della novità, com’è dimostrato dalle gravi incertezze a lungo manifestate – sebbene oramai definitivamente superate – in me- rito al capo condannatorio sulle spese di lite assortito alla decisione di rigetto. L’esito della vicenda è a tutti noto (5) e non sembra il caso di risvegliare qui un problema in lar-

(*) Questo scritto è dedicato, con riconoscenza ed affetto, al prof. Romano Vaccarella, il quale nel corrente a.a. ha cessato il suo insegnamento di ruolo alla Sapienza di Roma.

1 Lo rilevò immediatamente, con la consueta lucidità, G. Tarzia, Il progetto Vassalli per il processo civile, in Riv. dir.

proc., 1989, 120 ss., part. 128 e la nota 13. Perplessità di eguale natura in C. Consolo (F.P. Luiso - B. Sassani), Com- mentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 255 ss.

2 La vicenda parlamentare è dettagliatamente ricostruita da G. Impagnatiello, La provvisoria esecuzione e l’inibitoria nel processo civile, I, Edizione aggiornata, Milano, 2010, 183 ss.

3 G. Impagnatiello, La nuovissima disciplina dell’inibitoria in appello, in Il giusto processo civile, 2012, 109 ss.

4 Si scrivono queste paginette nel pieno delle polemiche seguite all’improvvisa introduzione, con l’art. 54 del decreto- legge 22 giugno 2012, n. 83, degli artt. 348 bis e ter sulla inammissibilità dell’appello per prognosi negativa o infau- sta.

5 V. ancora G. Impagnatiello, La provvisoria esecuzione, cit., 312 ss.

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ga misura fittizio e, certo, immeritevole dell’attenzione che pure gli è stata tributata (6);

nondimeno, la vicenda va ricordata perché emblematica di un modo restrittivo quanto irragionevole di leggere la nuova disposizione, anche con riferimento alla stessa tutela di condanna.

Ora sembra definitivamente acclarato che l’ambito dell’esecutorietà provvisoria, che interessa in egual modo la sentenza di primo grado e quella d’appello (7), coincide al- meno con quello dell’esecuzione forzata secondo i modelli somministrati dal Libro III;

laddove vi sia possibilità di esecuzione nelle forme tipiche v’è certamente statuizione provvisoriamente eseguibile, saldandosi l’art. 282 con l’art. 474 c.p.c. (8). Dalla correla- zione non è esclusa la stessa tutela esecutiva indiretta, e non certo perché l’art. 614 bis c.p.c. definisca “condanna” anche il provvedimento che astringe ad un fare o non fare forzosamente non eseguibili (9), quanto perché ciò che potrà forzosamente eseguirsi in caso di inosservanza del provvedimento “condannatorio” è l’astreinte, vale a dire la condanna pecuniaria: non diversamente da quanto, ad esempio, avviene per il caso dell’art. 639 c.p.c. (10).

Ciò che conta registrare, ad uno stadio iniziale del nostro discorso, è che l’art. 282 c.p.c. non presuppone capi condannatori di merito, ma semplicemente capi condannato- ri.

Saremmo quindi portati ad affermare che qualsiasi capo condannatorio, isolatamente considerato, sarà soggetto alla regola dell’esecutività provvisoria (11); ma anche questa, come subito vedremo, non si pone come una verità assoluta.

3.- In un velocissimo passaggio, abbiamo infatti assistito ad un vero e proprio ribal- tamento di giurisprudenza in relazione al caso dell’art. 2932 c.c.; una sentenza del 2007 aveva ammesso l’autonoma esecutorietà dei capi condannatori richiamando appunto l’art. 282 c.p.c. (12) ma la pronuncia è stata immediatamente contrastata dalle Sezioni

6 V., se vuoi, Autonoma esecutorietà dei capi condannatori non di merito, in Riv. esec. forz., 2005, 757 ss., a com- mento della sentenza della Corte costituzionale 16 luglio 2004, n. 232 (est. Vaccarella), che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 282 e 474 c.p.c., nella parte in cui non preve- de che sia titolo provvisoriamente esecutivo anche il capo della sentenza di primo grado, di condanna al pagamento delle spese di lite, quando è accessorio a declaratoria di rigetto della domanda o di incompetenza, in riferimento agli art. 3, 24, 111, 2º comma, Cost.

7 Cass., Sez. III, 3 maggio 2011, n. 9697 (est. De Stefano).

8 V., ad esempio, C. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, III, Il processo di primo grado e le impugna- zioni delle sentenze, Torino, 2010, 69; B. Sassani, Lineamenti del processo civile italiano, Milano, 2008, 383; F.P.

Luiso, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, 6 ed., Milano, 2011, 204 ss., sia pure con personale impostazione orientata sulla rilevanza della sentenza quale «atto che impartisce tutela dichiarativa» valida dal mo- mento della pubblicazione, ed efficace con la formazione del giudicato; G. Monteleone, Manuale di diritto proces- suale civile, I, Disposizioni generali. I processi di cognizione di primo grado. Le impugnazioni, 5 ed., Padova, 2009, 519 ss.; C. Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Il processo ordinario di cognizione, 21 ed. a cura di A. Carratta, Torino, 2011, 326 ss., favorevole ad estendere l’applicazione dell’art. 282 c.p.c. anche alle sentenze costitutive; G.

Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Il processo ordinario, 2 ed., Bari, 2012, 204 ss.; G.F. Ricci, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione e le impugnazioni, 2 ed., Torino, 2009, 150.

9 Ci permettiamo di rinviare a Limiti dell’esecuzione indiretta, in Riv. esec. forz., 2011, 186 ss.

10 V., per tutti, A. Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 235 ss.

11 Non mancano in giurisprudenza affermazioni generalizzanti di questo genere: v., ad esempio, Cass., Sez. III, 4 giu- gno 2008, n. 14768 (est. Chiarini); Cass., Sez. III, 17 aprile 2008, n. 10152 (est. Massera).

12 Cass., Sez. III, 3 settembre 2007, n. 18512 (est. Frasca), in Riv. dir. proc., 2008, 1095 ss., con nota di F. Marelli, L’esecutività della sentenza costitutiva è limitata ai soli capi di condanna accessori?, in Giur. it., 2008, 947, con nota di R. Conte, Sentenze costitutive e provvisoria esecuzione dei capi condannatori: un condividibile passo avanti della

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Unite, che si sono preoccupate di preservare il valore della sinallagmaticità del contratto e con questo la parità delle parti sul riflesso del loro rispettivo interesse sostanziale (13);

nei seguiti, la III Sezione si è a sua volta preoccupata di precisare che la decisione delle Sezioni Unite non ha in principio negato il valore della regola in generale espressa dall’art. 282 c.p.c., perché il condizionamento della sinallagmaticità «si intende limitato alla sentenza costitutiva di cui all’art. 2932 c.c. e alle altre che sono apparentabili al suo modello» (14). E giacché il caso affrontato nel rendere tale motivazione era relativo alla revoca del decreto di trasferimento nell’espropriazione immobiliare (un caso, possiamo dire, speculare a quello dell’art. 2932 c.c., che tanto rumore ha prodotto), è opportuno esaminarlo un po’ più da vicino.

4.- Il quesito di diritto – ogni tanto tornano utili – proposto alla S.C. era il seguente:

«Dica l’Ecc.ma Corte se il capo di condanna alla restituzione del prezzo di vendita reso in dipendenza di altro capo che abbia pronunciato l’annullamento del decreto di trasfe- rimento di immobile formato dal g.e. in ambito di espropriazione forzata sia provviso- riamente esecutivo tra le parti ex art. 282 c.p.c.». La vendita immobiliare era infatti stata impugnata per aliud pro alio e la sentenza di accoglimento, avente indubbiamente natu- ra costitutiva, aveva travolto il decreto di trasferimento con effetti ex tunc.

Suprema Corte (con una digressione su alcuni problemi aperti), in Corr. giur., 2008, 350, con nota di G. Guizzi, I- nadempimento a preliminare di compravendita ed effetti della sentenza di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c. non ancora coperta dal giudicato: un equilibrio difficile, secondo la quale nel caso di pronuncia della sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c., le statuizioni di condanna consequenziali, dispositive dell’adempimento delle prestazioni a carico delle parti fra le quali la sentenza determina la conclusione del contratto, sono da ritenere im- mediatamente esecutive ai sensi dell’art. 282 c.p.c., di modo che, qualora l’azione ai sensi dell’art. 2932 c.c. sia stata proposta dal promittente venditore, la statuizione di condanna del promissario acquirente al pagamento del prezzo è da considerarsi immediatamente esecutiva.

13 La sentenza n. 18512/2007 ha infatti suscitato un vivissimo dibattito essendosi notato, da vari commentatori, come non rispondesse ad un equo contemperamento degli interessi delle parti che l’una – quella tenuta al pagamento del prezzo – fosse soggetta alla regola dell’esecutività immediata e l’altra – quella tenuta alla prestazione del consenso definitivo – ne fosse esonerata, con la conseguenza per cui la sentenza ex art. 2932 c.c. avrebbe prodotto i suoi effetti costitutivi (diversi da quelli provvisoriamente esecutivi) soltanto col passaggio in giudicato. Tornata la questione all’esame delle Sezioni Unite, con la sent. 22 febbraio 2010, n. 4059 (est. Mazziotti Di Celso), tra l’altro in Riv. esec.

forz., con nota di M.A. Iuorio, La provvisoria esecutività delle sentenze costitutive e l’art. 282 c.p.c.: ultimissime dal- la suprema corte, queste hanno affermato che nell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un con- tratto di compravendita, l’esecutività provvisoria, ex art. 282 c.p.c., della sentenza costitutiva emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c., è limitata ai capi della decisione che sono compatibili con la produzione dell’effetto costitutivo in un momento successivo, e non si estende a quelli che si collocano in un rapporto di stretta sinallagmaticità con i capi costitutivi relativi alla modificazione giuridica sostanziale. Essa, pertanto, non può essere riconosciuta al capo deci- sorio relativo al trasferimento dell’immobile contenuto nella sentenza di primo grado, né alla condanna implicita al rilascio dell’immobile in danno del promittente venditore, poiché l’effetto traslativo della proprietà del bene scatu- rente dalla stessa sentenza si produce solo dal momento del passaggio in giudicato, con la contemporanea acquisi- zione dell’immobile al patrimonio del promissario acquirente destinatario della pronuncia.

Ne risulta che la provvisoria esecuzione del capo relativo al pagamento del prezzo, producendo un effetto che si pone in rapporto di stretta sinallagmaticità rispetto al capo che regola il trasferimento forzoso del bene, non può essere af- fermata appunto perché si verte in tema di art. 2932 c.c.: nel caso di condanna del promissario acquirente al paga- mento del prezzo della vendita, non è possibile riconoscere effetti esecutivi a tale condanna, altrimenti si verrebbe a spezzare il nesso tra il trasferimento della proprietà derivante in virtù della pronuncia costitutiva ed il pagamento del prezzo della vendita … si verificherebbe un’alterazione del sinallagma.

14 Così Cass. [ord.], Sez. III, 25 ottobre 2010, n. 21849 (est. Frasca), stabilendo che la sentenza - avente natura costi- tutiva - che dispone la caducazione di un decreto di trasferimento emesso in un’esecuzione forzata immobiliare, così risolvendo il trasferimento avutosi con la vendita forzata, e la conseguente condanna alle restituzioni, è immediata- mente esecutiva quanto alle statuizioni di condanna.

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La S.C. tiene anzitutto a precisare che la sentenza delle Sezioni Unite n. 4059/2010 non pregiudica il caso da decidere, avendo quella affermato che «la possibilità di antici- pare l’esecuzione delle statuizioni condannatorie contenute nella sentenza costitutiva va riconosciuta in concreto volta a volta a seconda del tipo di rapporto tra l’effetto accessi- vo condannatorio da anticipare e l’effetto costitutivo producibile solo con il giudicato

… possono ritenersi anticipabili i soli effetti esecutivi dei capi che sono compatibili con la produzione dell’effetto costitutivo in un momento temporale successivo, ossia all’atto del passaggio in giudicato del capo di sentenza propriamente costitutivo».

Prosegue la Sezione III affermando che l’annullamento del decreto di trasferimento non è «apparentabile al modello» dell’art. 2932 c.c., perché «l’effetto costitutivo della sentenza è regolato dallo stesso legislatore sostanziale in modo da non operare a far tempo dalla pronuncia della sentenza, bensì retroattivamente e, quindi, con riferimento ad un accertamento del modo di essere del rapporto sostanziale riguardo al quale la sen- tenza, pur spiegando effetti costitutivi, li dispiega accertandoli in riferimento ad un momento anteriore alla sua pronuncia. L’effetto costitutivo non è, dunque, collegato alla sentenza».

In conseguenza, la condanna alla restituzione del prezzo versato deve giudicarsi provvisoriamente esecutiva in forza dell’art. 282 c.p.c.

È evidente, però, che nel caso del decreto di trasferimento revocato i termini del si- nallagma sono invertiti rispetto all’art. 2932 c.c. – fatto acquisitivo, evento risolutivo – ma pur sempre esistenti: e ciò che andrebbe escluso, alla luce della sentenza delle Se- zioni Unite n. 4059/2010, è che, sulla scorta della sentenza che abbia riconosciuto esi- stente il vizio dell’aliud pro alio, l’acquirente alla vendita forzata possa recuperare im- mediatamente il prezzo versato (capo provvisoriamente esecutivo), restando formalmen- te proprietario del bene subastato sino al passaggio in giudicato della sentenza che pro- duce l’effetto risolutivo (capo costitutivo).

Posto che tra le due operazioni (acquisto della proprietà - pagamento del prezzo) c’è quel vincolo di sinallagmaticità che impone la pari tutela delle parti, ci sembra evidente – sebbene ciò non risulti dal testo dell’ordinanza n. 21849/2010 – che il ragionamento della Corte presupponga l’efficacia immediata anche del capo risolutivo della vendita. E però, ci permettiamo di osservare, ai fini che qui interessano non sembra possa ricono- scersi rilevanza dirimente al tempo di produzione dell’effetto – se ex tunc, come pacifi- camente è nel caso di revoca del decreto di trasferimento, o ex nunc, come normalmente è per la sentenza costitutiva – e non anche a quello di efficacia della sentenza: occorren- do stabilire, in verità, se quell’effetto – prescindendo da quando esso si produca in base alla normativa sostanziale – sia un portato, sempre retroattivo, della pubblicazione della sentenza di primo grado o se la sua produzione debba necessariamente essere rinviata alla formazione del giudicato.

Sul punto, l’ordinanza non sembra abbastanza chiara. Appaiono sovrapposti il piano della produzione degli effetti sostanziali e quello dell’acquisto di efficacia (provvisoria o rimessa alla formazione del giudicato) della sentenza che quegli effetti è destinata a produrre. Come sembra fotografato nel passaggio che esclude ogni collegamento tra sentenza ed effetto costitutivo: come se questo derivasse da un fenomeno del tutto e- straneo a quella pronuncia.

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Ma una cosa è certa: se, nel caso della revoca del decreto di trasferimento, l’acquirente resti proprietario del bene subastato sino al passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa del vizio della vendita forzata per aliud pro alio, la conseguenza sarà una chiara disparità di trattamento col (non tanto diverso) caso dell’art. 2932 c.c., perché un problema di corrispettività – scambio di cosa contro prezzo – si pone identico in entrambi.

Quindi, l’unica soluzione conforme all’insegnamento della sentenza delle Sezioni Unite n. 4059/2010 è … quella contrastante col principio di diritto affermato dal supre- mo Organo di legittimità: anche il capo costitutivo della sentenza di annullamento, con la revoca ex tunc del decreto di trasferimento, è da considerarsi immediatamente effica- ce. E però, la spiegazione non potrà essere quella che la III Sezione ha dato, verosimil- mente per sfuggire alle forche caudine delle Sezioni Unite. Ma si tratterà comunque – per quanto qui in particolare interessa – di spiegazione fondata sull’art. 282 c.p.c., pur dichiarato inapplicabile al caso dell’art. 2932 c.c. dall’arresto delle Sezioni Unite da cui la III Sezione ha dichiarato, formalmente, di non volersi discostare.

5.- La recente giurisprudenza della S.C. in tema di capi di condanna accessori a pro- nunce costitutive ha interessato anche la revocatoria fallimentare (15). La Sez. I della Cassazione ha premesso che la sentenza costitutiva, alla pari di quella di accertamento mero che peraltro non è destinata a spiegare effetti ex art. 2908 c.c., «produce la modifi- cazione della situazione giuridica solo con il passaggio in giudicato» (16). Tuttavia, il punto è «se debba in ogni caso escludersi che, nelle more del giudizio di impugnazione, sia ammissibile l’anticipazione in via provvisoria, ai fini esecutivi, degli effetti discen- denti dalle statuizioni costitutive, sia cioè ammissibile il compimento di atti di esecu- zione provvisoria della sentenza nei casi nei quali l’adeguamento della realtà materiale al decisum, che tali atti sono destinati a produrre, sia reso necessario dalla pronuncia di condanna che accede all’accertamento costitutivo ... Anticipazione che l’art. 282 c.p.c., come modificato dalla L. n. 353 del 1990, prevede – nel contesto del rinnovato sistema di rapporti tra il giudizio di primo e secondo grado che va “letto” alla luce non solo dell'art. 24 Cost., ma anche del novellato art. 111 Cost. – per tutte le sentenze di primo grado, non contenendo alcuna esclusione nell’applicazione di tale regola in relazione a particolari tipi di sentenze. È vero che la sentenza costitutiva è in sé insuscettibile di e- secuzione in senso stretto, ma si tratta di un limite intrinseco, non di una preclusione di fonte normativa afferente alla provvisoria esecutività di ogni sentenza costitutiva. Una preclusione siffatta invero non si rinviene neppure nel disposto degli artt. 2908 e 2909 c.c.: la prima norma fa riferimento alla tutelabilità in sede giurisdizionale delle azioni costitutive, e la seconda stabilisce per la sentenza costitutiva, come per le altre sentenze in generale, l’ambito di efficacia derivante dal giudicato».

15 Cass., Sez. I, 29 luglio 2011, n. 16737 (est. Scaldaferri).

16 La regola è costantemente riaffermata dalla giurisprudenza di legittimità: Cass., Sez. III, 13 luglio 2007, n. 15721 (est. Vivaldi); Cass., Sez. II, 26 marzo 2009, n. 7369 (est. Migliucci), la cui massima è: Al di fuori delle statuizioni di condanna consequenziali, le sentenze di accertamento (e quelle costitutive) non hanno, ai sensi dell'art. 282 cod. proc. civ., efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato, atteso che la norma citata, nel prevedere la provvisoria esecuzione delle sentenze di primo grado, intende necessariamente riferirsi soltanto a quelle sentenze (di condanna) suscettibili del procedimento disciplinato dal terzo libro codice di procedura civile.

Più di recente, Cass., Sez. III, 10 aprile 2012, n. 5636 (est. Travaglino).

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Quindi, per quanto interessa il tema della revocatoria, e tenuto conto dell’insegnamento della sentenza delle Sezioni Unite, n. 4059/2010, «il nesso tra la sta- tuizione condannatoria e l’accertamento costitutivo si presenta come di mera dipenden- za: la condanna alla restituzione delle somme ricevute con gli atti solutori dichiarati i- nefficaci – non diversamente, ad esempio, da quella alla restituzione del bene locato conseguente alla risoluzione del contratto di locazione – dipende dall’accertamento cir- ca la sussistenza, o non, del titolo in base al quale tali somme sono state acquisite, ma non è in un rapporto di stretta sinallagmaticità tra i due capi, quale quello sopra descrit- to. Ne deriva di necessità la conclusione che la anticipazione degli effetti esecutivi di ta- le capo condannatorio - cioè l’adeguamento della realtà materiale al decisum - non è nella specie incompatibile con la produzione dell'effetto costitutivo al momento succes- sivo del passaggio in giudicato».

Sulla compatibilità di tale disciplina con quella specifica del fallimento, la Corte ag- giunge a rinforzo un argomento che, a ben vedere, finisce per indebolire, piuttosto che coonestare, la sua ricostruzione: osserva infatti la I Sezione che «le somme che l’accipiens restituisca alla curatela in ottemperanza, spontanea o coatta, alla sentenza di primo grado non ancora passata in giudicato non sono distribuibili (dovendo essere trat- tenute e depositate nei modi stabiliti dal g.d.), atteso il disposto della L. Fall., art. 113, u.c., introdotto dal D. Lgs. n. 5 del 2006, che ha reso cogente una regola di condotta in- vero già praticata dagli uffici fallimentari», e, d’altra parte, «sia la L. Fall., art. 71, (a- brogato dal D. Lgs. n. 5 del 2006) sia la L. Fall., art. 70, commi 2 e 3, (nel testo intro- dotto dal D. L. n. 35 del 2005, convertito in L. n. 80 del 2005), nel prevedere, una volta che l’accipiens abbia restituito alla massa le somme ricevute, l’ammissione al passivo del suo credito inefficacemente estinto dall’atto revocato (o comunque del credito d’importo corrispondente a quanto restituito), non contengono alcun riferimento alla condizione che tale restituzione sia avvenuta in forza di sentenza definitiva».

Insomma, la Corte sembra dire che la soluzione imposta dalla regola dell’esecuzione provvisoria, da ritenersi in linea di principio applicabile ai capi condannatori dipendenti da capi costitutivi, appare tutto sommato cauterizzata dalla stessa disciplina fallimenta- re, perché se è vero che da un lato le somme si recuperano, è altrettanto vero, dall’altro, che non si distribuiranno. E così, tutto sommato, si limitano anche i pericoli della gene- ralizzata esecutorietà del capo condannatorio, evitando i rischi di possibili dispersioni e le difficoltà di eventuali recuperi.

E però, non c’è dubbio, la regola dell’esecutività provvisoria si ricava ancora una volta dall’art. 282 c.p.c.

6. – C’è un caso, che sempre viene ricordato, il cui la Cassazione ha ammesso l’esistenza di condanne implicite (17) riconoscendo il carattere provvisoriamente esecu- tivo di una sentenza costitutiva (nella specie, si trattava della costituzione di servitù co- attiva ex artt. 1051-1052 c.c.).

17 Cass., Sez. III, 26 gennaio 2005, n. 1619 (est. Segreto), in Corr. giur., 2005, 1229 ss., con nota di C. Petrillo, Da un’apprezzabile premessa (l’esecutività di tutti i capi condannatorii) un benvenuto ripensamento sulla esecutività della condanna alle spese.

Al caso possiamo aggiungere, più di recente, Cass., Sez. III, 31 gennaio 2012, n. 1367 (est. Carluccio), secondo cui la revoca dell’assegnazione della casa familiare è titolo esecutivo anche quando non contenga una esplicita condanna al rilascio, implicita nella stessa revoca.

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La decisione è partita dalla premessa secondo cui «a norma dell’art. 474, comma 2, sono titoli esecutivi le sentenze ed i provvedimenti ai quali la legge attribuisce espres- samente l’efficacia esecutiva. Quanto alle sentenze, in relazione alla classica tipologia di questo provvedimento, sono ritenute idonee a costituire titolo esecutivo soltanto le sentenze di condanna, con esclusione di quelle di mero accertamento o costitutive», uti- lizzando poi per gli specifici fini in discussione il concetto di «condanna implicita», per la quale «l’esigenza di esecuzione della sentenza deriva dalla stessa funzione che il tito- lo è destinato a svolgere … Ritenere che sia possibile emettere una sentenza di costitu- zione coattiva di servitù di passaggio che non contenga anche la condanna implicita ad immettere il titolare della stessa nel materiale esercizio (possesso) di tale servitù e quin- di del passaggio, significa snaturare la funzione di questa sentenza. Quindi, per quanto la sentenza in questione sia costitutiva, la funzione della stessa è caratterizzata da un’esigenza di esecuzione, che non può trovare altra alternativa che ritenere che la sen- tenza contenga – per la struttura del diritto sostanziale azionato – una condanna implici- ta al rilascio».

Ne deduciamo che, nello specifico caso di specie e negli altri analoghi, il carattere

«esecutivo» è stato riconosciuto alla statuizione implicita di condanna, non anche alla statuizione costitutiva (art. 2908 c.c.). La sentenza è utile ai fini d’un eventuale discorso sulla interpretazione o integrazione del titolo esecutivo, ma ha importanza piuttosto li- mitata nell’ambito di quello che si sta svolgendo. L’esecuzione provvisoria deriva dall’art. 282 c.p.c., ed è relativa, come di norma, ad un capo di condanna che la Corte ha scovato tra le pieghe di una pronuncia costitutiva.

7. – Nella recente giurisprudenza di legittimità si incontrano applicazioni dell’art.

282 c.p.c. anche laddove la dottrina (18) recisamente esclude l’applicabilità della norma, vale a dire in tema di sentenza di accertamento mero: ad esempio, in tema di opposizio- ne all’esecuzione. È noto che sulla natura di tale sentenza si fronteggiano almeno due orientamenti: per il primo, si tratta appunto di una sentenza dichiarativa, ovvero di ac- certamento negativo (19); per l’altro, si tratterebbe di una sentenza costitutiva che mira alla declaratoria d’invalidità totale o parziale degli atti dell’esecuzione (o di quelli ad essa preliminari) (20). Quale che sia la soluzione, è evidente che il problema si intreccia con l’interpretazione dell’art. 282 c.p.c. sul carattere provvisoriamente esecutivo della sentenza, diversa da quella di condanna (21).

18 V., per tutti, G. Tarzia, Lineamenti del processo civile di cognizione, 3 ed., Milano, 2007, 274: «è da escludere che l’esecutorietà provvisoria possa applicarsi alle sentenze di mero accertamento. L’“autorità” di queste sentenze, quan- do siano invocate in un diverso processo e concernano cause pregiudiziali, è indipendente dall’esecutorietà e può e- ventualmente determinare la sospensione del processo pregiudicato, se la sentenza è impugnata (art. 337, comma 2, c.p.c.)». Egualmente orientato R. Vaccarella, Lezioni sul processo civile di cognizione. Il giudizio di primo grado e le impugnazioni, Bologna, 2006, 254.

19 È senz’altro l’orientamento più diffuso: v., tra gli altri, R. Vaccarella, voce Opposizioni all’esecuzione, in Enc.

Giur. Treccani, Roma, XXI, 1990, 7 ss.; R. Oriani, voce Opposizione all’esecuzione, in Dig. Civ., IV ed., XIII, Tori- no, 1995, 598 ss.; G. Olivieri, L’opposizione all’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2003, 237

20 Opinione minoritaria che risale a E.T. Liebman, Le opposizioni di merito nel processo esecutivo, Roma, 1936, 168 ss.

21 Sul punto cfr. soprattutto gli studi di G. Impagnatiello, La provvisoria esecuzione, cit.; Esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre e provvisoria esecutività della sentenza, in Il Giusto Processo Civile, 2010, 515 ss.; Effica- cia dell’accertamento e provvisoria esecutività, in Il Giusto Processo Civile, 2009, 875 ss.; Sentenze costitutive, con- danne accessorie e provvisoria esecutorietà, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 751 ss.; Provvisoria esecuzione senza inibitoria?, in Foro it., 2005, I, 546 ss.; La provvisoria esecutorietà delle sentenze costitutive, in Riv. trim. dir. proc.

civ., 1992, 47 ss.

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Nell’affrontare il problema, dobbiamo prendere preliminarmente atto della mancan- za, nel Libro III, di una norma esplicita che regoli l’efficacia della sentenza di opposi- zione all’esecuzione, con la conseguenza di dover ragionare in base ai princìpi generali.

In ordine all’efficacia, immediata o differita, della sentenza che accoglie l’opposizione all’esecuzione, non constano neppure pronunce dirette della Cassazione fondate sull’art. 282 c.p.c.; in argomento ci permettiamo, per brevità, di rinviare ad altro recente scritto (22).

Esistono invece precedenti per il caso speculare in cui, una volta sospesa l’esecuzione ex art. 624 c.p.c., l’opposizione all’esecuzione sia rigettata. L’art. 627 c.p.c. prevede che in tal caso «il processo esecutivo deve essere riassunto con ricorso nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione e, in ogni caso, non più tardi di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunica- zione della sentenza d’appello che rigetta l’opposizione». La norma sembra dare rilievo all’esecutorietà della sentenza d’appello, non anche a quella di primo grado, ed è coe- rente con l’impianto originario del codice che assegnava esecutorietà generalizzata alla sentenza d’appello, non anche a quella di primo grado. Dopo la riforma dell’art. 282 c.p.c., ed anche sul riflesso della ritenuta (ma non pacifica) (23) natura cautelare del provvedimento di sospensione, autorevole dottrina si era espressa a favore dell’implicita abrogazione della norma, con la conseguenza che l’accertamento, anche con sentenza non passata in giudicato (e, così, anche con la sentenza di primo grado), dell’inesistenza del diritto a cautela del quale il provvedimento cautelare (qui, la sospensione) era stato concesso, valesse senz’altro a caducare la misura provvisoria (art. 669 novies, comma 3, c.p.c.) (24).

La Cassazione ha mutato prospettiva, pur senza trascurare del tutto l’argomento de- sumibile dalla (supposta) natura cautelare del provvedimento sospensivo. Ha affermato, prescindendo da quella questione, che il potere di riassumere il processo esecutivo so- speso nasce già con la pubblicazione della sentenza di primo grado che abbia rigettato l’opposizione di merito (25). In pratica, l’orientamento – sulla premessa dell’efficacia esecutiva ex art. 282 c.p.c. di tutte le sentenze di primo grado, e non soltanto di quelle condannatorie (soluzione che abbiamo visto senz’altro presente, ma di certo non costan- te né stabile nella giurisprudenza della S.C.) – distingue il finale termine di riassunzione previsto dall’art. 627 c.p.c. dall’insorgenza del potere di riassumere «che può essere e- sercitato anche prima del passaggio in giudicato della sentenza ed indifferentemente ri- spetto alla sua impugnazione», con la conseguenza che «dev’essere lasciata la scelta all’esecutante sul se riassumere il processo immediatamente o aspettare il consolida- mento con la sentenza di appello della pronuncia di rigetto dell’opposizione di primo grado». La sentenza, nell’ampia motivazione, afferma esplicitamente il carattere provvi- soriamente esecutivo anche delle sentenze di accertamento mero, richiamando – come se un filo rosso le tenesse insieme – le affermazioni della Cass., Sez. III, n. 18512/2007, in poco o nulla scalfite dalla successiva Sezioni Unite, n. 4059/2010, in quel rapido mo-

22 Vicende del titolo esecutivo nell’esecuzione forzata, in Corr. giur., 2012, …

23 V., ad esempio, le condivisibili considerazioni di C. Petrillo, Commento all’art. 624 c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di A. Briguglio e B. Capponi, Vol. II, Processo di esecuzione, Padova, 2007, 612 ss.; v. anche, se vuoi, il nostro Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2010, 367 ss.

24 R. Oriani, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli art. 615 e 624 c.p.c.), in Riv. esec. forz., 2006, 209 ss.

25Cass., Sez. III, 21 novembre 2011, n. 24447 (est. Frasca), seguita dalla Cass., Sez. III, 9 maggio 2012, n. 7053 (est.

Ambrosi).

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vimento di stop-and-go che abbiamo sopra ricordato. E consideriamo che, tra la senten- za delle Sezioni Unite e questa, c’è, opera dello stesso estensore, l’ordinanza n.

21849/2010 in tema di revoca del decreto di trasferimento.

Chiave di volta è appunto e sempre l’art. 282 c.p.c., perché la soluzione deriva «dal principio dell’immediata efficacia della sentenza di primo grado»; il potere di riassume- re l’esecuzione sospesa, coerentemente, nasce già con la pubblicazione di tale sentenza

«in conseguenza dell’immediata efficacia della sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione ex art. 282 c.p.c.».

8.- Ci sono altri casi in cui, invece, la giurisprudenza prescinde dall’applicazione dell’art. 282 c.p.c., e purtuttavia afferma l’efficacia immediata della sentenza di accer- tamento mero; è, ad esempio, quanto è dato registrare per la sentenza che definisce l’accertamento dell’obbligo del terzo nell’espropriazione presso terzi, nel noto contesto degli artt. 548 e 549 c.p.c. che nulla dicono sul regime d’efficacia della sentenza (26).

Secondo la giurisprudenza di legittimità (27) per affermare l’immediata efficacia di tale sentenza occorrerà muovere non dall’art. 282 c.p.c., ma dall’art. 277 c.p.c.

In particolare, motiva la sentenza della Sezione lavoro n. 23325/2010 che «deve rile- varsi l’inconferenza del riferimento fatto nella sentenza impugnata al disposto dell’art.

282 c.p.c. … atteso che la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado disposta da tale norma non può essere riferita, al di fuori delle statuizioni di condanna conse- quenziali, alle sentenze di accertamento quale indubbiamente è quella pronunciata ai fi- ni dell’accertamento dell’obbligo del terzo ex art. 548 c.p.c., ma soltanto alle pronunce di condanna suscettibili di esecuzione secondo i procedimenti disciplinati dal terzo libro del codice di rito civile». Il problema va dunque affrontato muovendo dall’esegesi dell’art. 277 c.p.c. e dalla formula, presente nell’art. 549 c.p.c., di «sentenza che defini- sce il giudizio»: «erroneamente – motiva ancora la sentenza – la locuzione “sentenza che definisce il giudizio” … viene letta dai ricorrenti alla stregua di pronuncia passata in cosa giudicata formale. Al contrario, la sentenza di primo grado che definisce il giu- dizio (nel senso sopra precisato) deve contenere, ove sia stata accertata l’esistenza del diritto del debitore nei confronti del terzo, la fissazione del termine perentorio per la prosecuzione del processo esecutivo. La perentorietà di tale termine impone poi, a pena di estinzione, che il procedimento esecutivo (come pacificamente avvenuto nella fatti- specie) sia proseguito nel rispetto del medesimo, indipendentemente dall’essersi o me- no formato il giudicato sulla sentenza che lo ha stabilito. Solo nell’ipotesi – non ricor- rente nel caso che qui ne occupa – che la sentenza che abbia definito il giudizio abbia omesso di fissare il termine per la riassunzione, giusta quanto già ritenuto da questa Corte di legittimità (cfr. Cass. n. 7760/2007) (28), dovrà farsi riferimento, in difetto di

26 In riferimento al quale la dottrina dominante, con l’avallo autorevole della Corte costituzionale (sent. 8 maggio 1998, n. 160, che ha argomentato in termini di certezza delle attribuzioni patrimoniali che hanno luogo per il tramite dell’esecuzione forzata), esclude la provvisoria esecutorietà della sentenza ex art. 549 c.p.c.: v. per tutti, ed anche per riferimenti, A. Saletti, Il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, in Riv. dir. proc., 1998, 996 ss., spec. 1025- 1026. Contra, ma con argomenti diversi da quelli accolti dalla giurisprudenza di cui si riferisce nel testo, C. Consolo - E. Merlin, Profili relativi alla interpretazione sistematica dell’art. 549 c.p.c., in Riv. esec. forz., 2000, 388 ss.

27 Cfr. Cass., Sez. lav., 18 novembre 2010, n. 23325 (est. Bandini).

28 Quasi per ironia della sorte, la Cass., Sez. III, 29 marzo 2007, n. 7760 (est. Mazza), si occupa anche dell’art. 627 c.p.c.: «La norma dell'art. 627 c.p.c. dispone che, in mancanza del termine perentorio fissato dal giudice dell'esecu- zione, il processo esecutivo debba essere riassunto nel termine di sei mesi “dal passaggio in giudicato della sentenza

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una specifica ipotesi alternativa di fissazione, alla norma di cui all’art. 297 c.p.c. e, quindi, alla data di passaggio in giudicato della sentenza resa nella causa che ha deter- minato la sospensione».

Non è possibile non notare la confusione di piani: sentenza che definisce il giudizio a norma dell’art. 277 (e 278, 279) c.p.c. è espressione che interessa il contenuto decisorio del provvedimento, ma nulla dice sulla sua efficacia che potrà essere provvisoria o rin- viata al momento della formazione del giudicato. Una sentenza definitiva – nel senso inteso dalla S.C.: per aver essa deciso «tutte le domande proposte e le relative eccezioni definendo il giudizio» (art. 277, comma 1, c.p.c.) – può infatti essere (ma servirà il ri- flesso dell’art. 282 c.p.c., o di altra norma che si stimi pertinente) provvisoriamente ese- cutiva ovvero può dover attendere, per acquistare efficacia, il passaggio in giudicato. La contraddizione insita nella motivazione di questa sentenza è davvero esemplare (anche se nessuna Cassazione potrebbe per questo mai cassarla): da un lato, si afferma che l’art.

282 c.p.c. è fuori gioco, vertendosi in materia di sentenza di accertamento mero;

dall’altro lato, l’omologo dell’art. 282 viene ravvisato in una norma – l’art. 277 c.p.c. – che nulla dice e nulla potrebbe dire sulla produzione dell’efficacia, a titolo provvisorio oppure no, della sentenza.

Siamo forse dinanzi ad un’applicazione occulta o inconsapevole dell’art. 282 c.p.c.

perché, escluso che l’esecutorietà provvisoria possa derivare dall’art. 277 c.p.c. (che non si occupa affatto del problema), la sentenza non individua una norma diversa per regola- re la fattispecie; essa pertanto non può non lasciare perplessi, tenuto anche conto del fat- to che, per ragioni legate alla garanzia degli interessi coinvolti (specie dei terzi) ed alla stabilità degli accertamenti così come delle attribuzioni patrimoniali che hanno luogo nell’esecuzione (29), la dottrina assolutamente prevalente (30) ritiene che la sentenza ex art. 549 c.p.c. debba proprio attendere il passaggio in giudicato (31).

9.- In altre occasioni, la S.C. ha richiamato o non richiamato l’art. 282 c.p.c. per ri- solvere problemi di diversa natura.

Ad esempio, Cass., Sezioni Unite, 16 luglio 2012, n. 12103 (est. Vittoria), ha dovuto risolvere il contrasto esistente tra le Sezioni semplici a proposito della perdita di effica- cia del provvedimento cautelare a seguito di pronuncia di estinzione ancora suscettibile di essere impugnata. Le Sezioni Unite, risolvendo il contrasto nel senso della caduca- zione immediata non diversamente da quanto avverrebbe per la pronuncia di merito che neghi l’esistenza del diritto cautelato, hanno motivato che «la provvisoria esecutività, che l’art. 282 c.p.c. riconosce alla sentenza di primo grado, attiene esclusivamente alle sentenze di merito (Corte cost., sentenza n. 232 del 2004) e non anche a quelle che defi-

di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l’opposizione”. Cosicché, non essendo stata pronunciata sentenza di appello di rigetto dell'opposizione, risulta la inapplicabilità dell'art. 627 c.p.c. predetto e, mancando nell’art. 549 c.p.c. una alternativa alla ipotesi di fissazione, da parte del giudice, del termine per la riassun- zione, devesi far applicazione della norma dell'art. 297 c.p.c., stante la sostanziale assimilabilità, sotto il profilo che interessa, della fattispecie in oggetto a quella della sospensione ex art. 295 c.p.c.».

29 Sulla stabilità dell’ordinanza di assegnazione v., da ultimo, Cass., Sez. III, 13 aprile 2012, n. 5895 (est.

D’Ambrosio).

30 Prevalenza peraltro contestata da C. Consolo (F.P. Luiso - B. Sassani), Commentario, cit., 264.

31 Cfr. infatti R. Rossi, Il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, in Scritti sul processo esecutivo e fallimen- tare in ricordo di Raimondo Annecchino, Napoli, 2005, 591 ss., 643; R. Vaccarella, voce Espropriazione presso terzi, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992, 116 ss., 119.

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niscano il giudizio con una pronuncia in rito la quale, ove tempestivamente impugnata, non può determinare la perdita di efficacia del provvedimento cautelare strumentale alla tutela del diritto fatto valere nel giudizio di merito nel quale sia intervenuta la detta pro- nuncia di estinzione»; il problema però, scacciato dalla porta, è destinato a rientrare dal- la finestra perché il giudice, in assenza di contestazioni sul fatto estintivo, dichiarerà con ordinanza l’inefficacia della misura cautelare mentre, in presenza di contestazioni, dovrà decidere la questione con sentenza «che lo stesso primo (in realtà, secondo) comma dell’art. 669 novies dichiara provvisoriamente esecutiva ed è perciò tale da poter essere accompagnata dalle misure volte a restaurare la situazione, giuridica e di fatto, anteriore all’attuazione della misura cautelare». Proseguono le Sezioni Unite osservando che «se, una volta dichiarata, l’inefficacia della misura cautelare propaga la sua incidenza, a ri- troso, fino al momento della sua attuazione, tale effetto è tuttavia prodotto da sentenza che, se non passata in giudicato, è assistita solo da provvisoria esecutività. Ciò comporta che la provvisoria esecutività può cedere alla sospensione che ne sia pronunciata dal giudice dell’impugnazione (art. 283 c.p.c.) e cederà alla riforma della sentenza che se ne abbia nei gradi di impugnazione».

Il rischio del ragionamento è nel corto circuito: da un lato, si afferma che l’art. 282 c.p.c. non è applicabile (perché la norma riguarda le sole decisioni di merito), dall’altro lato non si può non riconoscere che l’art. 669 novies, comma 2, afferma esattamente la stessa regola di provvisoria esecutività (32). Se il problema è quello dell’individuazione della regola, e non della norma che in concreto la fissa, è evidente che il ragionamento mostra una pericolosa circolarità. L’approccio ricorda molto da vicino quello che per anni la stessa S.C. ha osservato circa la non esecutività dei capi condannatori non di me- rito (retro, n. 2); a ben vedere, infatti, l’art. 282 non parla né di sentenza a contenuto di merito, né di sentenza a contenuto processuale, né di sentenza condannatoria per capi di merito, né di sentenza condannatoria per capi non di merito. La norma, molto sempli- cemente (e sono gli interpreti, per questi aspetti, a complicarla), parla di «sentenza di primo grado». Del resto, che perfetta analogia ci sia tra art. 282 e art. 669 novies, com- ma 2, deriva dal richiamo che la stessa Corte opera all’art. 283 c.p.c.: norma che, se l’art. 282 fosse riferito alle sole sentenze di merito, facilmente potrebbe essere ritenuta inapplicabile dal giudice d’appello, non potendosi sospendere l’efficacia esecutiva di una sentenza non di merito e perciò non provvisoriamente esecutiva.

Ne deduciamo che il fenomeno della provvisoria esecutività (e in conseguenza dell’inibitoria) potrà riguardare anche sentenze diverse da quelle di merito. E, una volta registrato quel fenomeno, poco importerà stabilire se l’esecutorietà dipende dalla regola generale del Libro II, o da quella particolare e meramente ricognitiva che nel Libro IV è stata ripetuta per il processo cautelare uniforme.

32 Non è peraltro chiara la ragione della precisazione contenuta nell’art. 669 novies, comma 2, a fronte della regola generale dell’art. 282 c.p.c. S. Recchioni, I procedimenti sommari e speciali, II, Procedimenti cautelari, a cura di S.

Chiarloni e C. Consolo, Torino, 2005, 674, ritiene che la norma speciale stia a significare che la caducazione della misura cautelare opera anche all’esterno del processo a prescindere dal passaggio in giudicato della sentenza, alla stregua di un peculiare effetto espansivo esterno (art. 336, comma 2, c.p.c.). Forse è preferibile pensare che il legisla- tore, a fronte della possibilità di pronunce dichiarative (cfr. E. Merlin, Le cause della sopravvenuta efficacia del provvedimento, in Il processo cautelare, a cura di G. Tarzia e A. Saletti, 4 ed., Padova, 2011, 445 ss., part. 476-477), abbia preferito tagliar corto, pur scontando il rischio di un’inutile ripetizione.

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10.- Un’importante decisione è quella della Cass., Sezioni Unite, 19 giugno 2012, n.

10027 (est. Vittoria), in riferimento al caso in cui pendevano in grado di appello sia il giudizio di riconoscimento della paternità naturale, dichiarata in primo grado, sia il giu- dizio che, sulla base di quella sentenza di prime cure, aveva accolto la domanda di peti- zione d’eredità; in sede di regolamento di competenza avverso l’ordinanza di sospen- sione pronunciata nel secondo giudizio, la Corte ha dovuto decidere se il secondo giudi- zio dovesse essere sospeso, ex art. 295 o 337, comma 2, c.p.c., in attesa del giudicato sul primo, ovvero se potesse proseguire indifferente qualora il giudice della petizione d’eredità non intendesse riconoscere l’autorità dell’altra decisione.

La Corte motiva che «nell’interpretazione sistematica della disciplina del processo sia da riconoscere un ruolo decisivo alla disposizione che, a seguito della L. 26 novem- bre 1990, n. 353, si trova ora ad essere dettata dall’art. 282 del codice di rito. Col rico- noscere provvisoria esecutività tra le parti alla sentenza di primo grado il legislatore ha determinato una cesura tra la posizione delle parti in controversia tra loro nel giudizio di primo grado – che è tendenzialmente paritaria e solo provvisoriamente alterabile da mi- sure anticipatorie o cautelari – e la situazione in cui le stesse parti vengono poste dalla decisione del giudice di primo grado, che, conosciuta la controversia, dichiara lo stato del diritto tra loro. L’ordinamento, anche allo scopo di scoraggiare il protrarsi della lite, che al contrario risulterebbe favorito se all’impugnazione si attribuisse l’effetto d’un ri- pristino delle posizioni di partenza, proclama il valore del modo di composizione della controversia, che è dichiarato conforme a diritto dal giudice terzo e imparziale (art. 111 Cost., comma 2). Il diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario di lite e giustifica sia l’esecuzione provvisoria, quando a quel diritto si tratti di adeguare la realtà materiale, sia l’autorità della sentenza di primo grado nell’ambito della relazione tra lite sulla cau- sa pregiudiziale e lite sulla causa pregiudicata».

Quindi, secondo la Corte la rilevanza della decisione di primo grado riflette un fe- nomeno sostanzialmente unitario, che prende il nome a volte di esecutorietà, altre volte di autorità; ciò equivale a dire che l’art. 282 c.p.c. non interessa la sola esecuzione provvisoria che è il biglietto d’accesso all’esecuzione forzata (per l’adeguamento della realtà materiale, in cui l’esecuzione forzata consiste) (33), ma riguarda anche quel possi- bile vincolo che deriva da qualsiasi sentenza, cui si riferisce l’art. 337, comma 2, c.p.c.

E, salvo non sia la legge ad imporre che la composizione della lite debba attendere la formazione del giudicato «sull’elemento di connessione tra le situazioni giuridiche col- legate e controverse», sarà compito del giudice verificare, volta per volta, se l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado debba essere sospesa (art. 283 c.p.c.) o se la sua autorità provvisoria debba essere altrettanto provvisoriamente rifiutata (art. 337, comma 2, c.p.c.) sospendendo il giudizio pregiudicato in attesa della verifica, nel passaggio dei gradi, di quanto ha deciso il primo giudice.

Seguono considerazioni di sistema: «La duplice connessa circostanza che la decisio- ne del primo giudice giustifichi a questo punto il passaggio sia alla sua esecuzione coat- tiva, se pur provvisoria, e il correlativo restringersi degli elementi di novità suscettibili di essere introdotti nel giudizio di impugnazione consente di ritenere che l’ordinamento

33 R. Vaccarella, Esecuzione forzata, in Riv. esec. forz., 2007, 1 ss.

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si appaghi ora in linea generale del risparmio di attività istruttoria e preferisca nell’attesa del giudicato la possibilità che il processo sulla causa dipendente riprenda as- sumendo a suo fondamento la decisione, ancorché suscettibile di impugnazione, che si è avuta sulla causa pregiudicante, perché, come si è detto, essendo il risultato di un accer- tamento in contraddittorio e provenendo dal giudice, giustifica la presunzione di con- formità a diritto». Quindi, «il bilanciamento degli opposti interessi delineato dalla nor- ma non appare affidato alla paralisi della cognizione imposta dalla sospensione necessa- ria; al contrario, bene si presta ad essere realizzato consentendo che gli esiti del giudizio sulla filiazione naturale possano essere tenuti in considerazione al fine di stabilire se proseguire in quello dipendente di petizione ereditaria, con una sentenza di accoglimen- to o di rigetto, ovvero sospenderlo, e di autorizzare o no e, se sì, con quali cautele la di- visione». L’ordinanza di sospensione viene pertanto cassata.

11. – Abbiamo iniziato queste brevi note rammentando che la ratio dell’introduzione del nuovo testo dell’art. 282 c.p.c. non va ricercata in eleganti ragioni o in obbligati e- quilibri di sistema; si è trattato di una delle tante e forse inadeguate misure, mettendo in campo le quali il legislatore del 1990 ha tentato di fronteggiare la dilagante crisi della giustizia civile. A distanza di vari lustri, possiamo forse rammaricarci del fatto che quel- le misure non siano state maggiori di numero, o più incisive nella qualità, se è vero – ma è lecito dubitarne – che da esse dipendeva un cambio di passo nell’andamento asfittico delle nostre controversie civili.

Era ragionevole prevedere che la novità dell’art. 282 avrebbe dovuto essere metabo- lizzata dalla giurisprudenza, e così è stato in effetti. Il processo di adattamento ha ri- guardato in buona misura anche la dottrina, sebbene con risultati non collimanti (34) e che consentono di definire il nostro tema tra i più incerti e controvertibili della materia.

L’opinione più tradizionale, in via di superamento, è senz’altro quella che traccia un collegamento stretto tra l’art. 282 e l’art. 474 c.p.c., vale a dire tra efficacia provvisoria ed esecuzione forzata; a tale contesto vanno ascritte sia le decisioni che in via interpreta- tiva ravvisano capi di condanna in statuizioni di diversa natura, favorendo l’accesso all’esecuzione forzata di sentenze che non vi erano esplicitamente destinate, sia le deci- sioni che, distinguendo tra acquisto dell’efficacia dei capi costitutivi pregiudiziali ed e- secutività provvisoria dei capi di condanna dipendenti, ammettono l’applicazione dell’art. 282 a questi ultimi, sia pure non giustificata da una pronuncia su capi pregiudi- ziali costitutivi che sia già efficace. Abbiamo avuto modo di notare che la III Sezione della Cassazione, di fatto, non si è adeguata alle indicazioni che le Sezioni Unite hanno fornito con la “fondamentale” sentenza n. 4059/2010, ed hanno isolato il caso dell’art.

34 Cfr., ad esempio, G. Tarzia, Lineamenti, cit., 274 ss., che in una precedente edizione del suo manuale si era dichia- rato favorevole al riconoscimento dell’esecutività provvisoria alle sentenze costitutive (non anche a quelle di accer- tamento mero), ma poi ha opinato: «pare più coerente concludere che, fin quando il capo della sentenza sulla doman- da pregiudiziale costitutiva non produce effetti, neppure possa produrne – almeno per ciò che concerne l’esecutività – il capo dipendente di condanna».

Ad impostazioni di questo tipo, diffusissime (v. la nota 8), si contrappone quella di chi – v., ad esempio, C. Ferri (L.P. Comoglio - M. Taruffo), Lezioni sul processo civile, I, Il processo ordinario di cognizione, 5 ed., Bologna, 2011, 634 ss. – ritiene che l’art. 282 c.p.c. abbia «esteso ad ogni effetto ricollegato alla sentenza di primo grado l’esecutività provvisoria», pur riconoscendo al tempo stesso che la contraria opinione è tuttora quella maggioritaria, ma ingiustificata perché «la suddivisione tra tipi di effetti (meramente dichiarativi, costitutivi o di condanna) ha delle ragioni di carattere sistematico, scolastiche e giustificate ma risalenti ad un quadro dogmatico del processo civile che oggi può essere messo in discussione per quanto riguarda il momento della produzione degli effetti stessi».

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2932 c.c. alla stregua di una curiosa eccezione che finisce, all’infuori appunto di quel particolare caso, per confermare la regola dell’esecutività provvisoria di tutti i capi con- dannatori.

Per altro verso, quando la giurisprudenza è chiamata ad affermare l’esecutorietà, o efficacia, o autorità provvisoria (35) delle sentenze costitutive in sé, e non dei capi logi- camente pregiudiziali a quelli direttamente condannatori, le risposte sono invariabilmen- te e tradizionalmente negative. Sembra anzi chiaramente percepibile, nei collegi di legit- timità, una linea di fondo tendente a riaffermare la vigenza delle vecchie concezioni pur nel contesto di una sempre maggiore apertura verso il nuovo, che infatti viene preferi- bilmente presentato come un’eccezione alla regola mai ufficialmente abbandonata. Di tale tendenza abbiamo registrato numerose testimonianze.

Una serie di pronunce relative a sentenze di accertamento mero mostra peraltro che la Cassazione non intende aderire a quegli orientamenti dottrinali che, magari con aper- ture in ordine a quella costitutiva, comunque salvano dall’onnivora forza espansiva dell’art. 282 la tutela dichiarativa (36); anzi, proprio in relazione a tale forma di tutela è stato argomentato in modo nettissimo che «anche le sentenze di mero accertamento e quelle costitutive sono in linea generale produttive di effetti immediati» ed in particolare è stata riaffermata la regola «dell’immediata efficacia delle sentenze di mero accerta- mento, tra le quali va compresa la sentenza di rigetto dell’opposizione all’esecuzione (come, del resto, in genere ogni sentenza di rigetto della domanda e la stessa sentenza di accoglimento dell’opposizione, quale sentenza di accertamento)» (37).

La dottrina, dal canto suo, ancora nel vigore del vecchio testo dell’art. 282 c.p.c. a- veva rilevato che il concetto di “esecuzione provvisoria” non era correlato alla sola ese- cuzione forzata, ma veniva in rilievo come anticipazione di qualsiasi effetto della sen- tenza (38). L’osservazione apre certamente la strada agli svolgimenti più problematici.

A nostro avviso, occorre rifuggire da una pericolosa semplificazione: quella di con- trapporre, da un lato, l’art. 282 dedicato alla tutela di condanna, dall’altro lato l’art. 337, comma 2, c.p.c., riferito al fenomeno dell’autorità della sentenza e così alla tutela costi- tutiva e di accertamento mero; le due norme alludono infatti a meccanismi diversi che a volte potranno addirittura coincidere, e coincidono quando la pronuncia di condanna presenti un capo logicamente pregiudiziale, espressione di altre forme di tutela.

È vero che, per molti versi, i problemi dell’efficacia della sentenza sono comuni, e non altrimenti articolati nelle diverse espressioni in cui si esercita la giurisdizione civile (39); con l’inevitabile conseguenza di risultare comune anche il problema dell’applicazione dell’art. 282.

Anche in relazione alle sentenze diverse da quelle di condanna possono distinguersi gli effetti dell’irretrattabilità – che presuppongono la formazione del giudicato – dagli effetti legati alla rilevanza della sentenza sul piano dei rapporti sostanziali, così come sul piano del processo. D’altra parte, l’esistenza di un vincolo siffatto trova un testuale riscontro nella norma dell’art. 337, comma 2, c.p.c., il quale presuppone che una senten-

35 Cfr. M. Fornaciari, La provvisoria efficacia delle sentenze di accertamento e costitutive: una prospettiva possesso- ria, in Il giusto processo civile, 2012, 385 ss.

36 Abbiamo visto, peraltro, che la sentenza n. 23325/2010 afferma l’immediata efficacia della sentenza ex art. 549 c.p.c. … prescindendo dall’art. 282 c.p.c.!

37 I periodi virgolettati sono tratti dalla motivazione della Cass n. 24447/2011, cit.

38 F. Carpi, La provvisoria esecutorietà della sentenza, Milano, 1979, 59 ss.; da ultimo, E. Zucconi Galli Fonseca, Attualità del titolo esecutivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 67 ss.

39 M. Fornaciari, op. loc. cit.; G. Impagnatiello, La provvisoria esecuzione, cit., 320 ss., passim.

(15)

za ancora impugnabile, o addirittura già impugnata, assistita da esecutorietà oppure no, possa avere «autorità» in un diverso processo, ed in conseguenza prevede una fattispe- cie di sospensione non necessaria, bensì discrezionale: rimessa, cioè, ad una valutazione di ragionevolezza e di economia da parte del giudice investito del processo (che potreb- be risultare) pregiudicato (40).

Si è parlato, al riguardo degli effetti diversi da quelli strettamente vocati all’esecuzione forzata, di fenomeni o funzioni quali l’efficacia caducatoria, l’efficacia conformativa (41). Un’efficacia, insomma, che si affianca a quella strettamente esecutiva e che a ben vedere inizia a vincolare, per primo, il giudice che emette la pronuncia di condanna sulla base di statuizioni non ancora coperte dall’irretrattabilità (42) e che, ov- viamente, è per sua stessa natura proiettata al di fuori del processo nel quale quella con- danna è pronunciata.

Se tutto questo è vero, occorre riconoscere che è stata nel giusto quella dottrina che, all’indomani della riforma dell’art. 282 c.p.c., aveva affermato «la necessità di ripensare in modo totalmente nuovo il problema dell’efficacia (di accertamento, costitutiva e non solo esecutiva) della sentenza, anticipata rispetto al momento del suo passaggio in giu- dicato» (43). Il problema, come sempre dinanzi a mutamenti degli assetti consolidati, è quello di leggere il nuovo nel contesto del vecchio, cercando di interpretare nel modo più ragionevole, rispettando i vincoli che sempre ha l’interprete, istituti e regole conce- piti e vissuti nel precedente contesto.

12.- Va certamente sottolineata l’importanza della sentenza delle Sezioni Unite n.

10027/2012.

Essa colloca l’art. 282 in una posizione centrale, anzi “decisiva”,

«nell’interpretazione sistematica della disciplina del processo»; potrà non piacere, ed a molti certamente non piacerà, ma siamo giunti al punto di dover considerare l’efficacia immediata della sentenza di primo grado una soluzione tecnica inserita in un contesto di

«progressivo restringersi degli elementi di novità suscettibili di essere introdotti nel giu-

40 Punto assolutamente pacifico: v., oltre alla Sezioni Unite n. 10027/2012 di cui s’è già detto, Cass., Sez. lav., 25 ot- tobre 1997, n. 10523 (est. Celentano), secondo cui quando l’autorità della sentenza, avverso la quale sia stata propo- sta impugnazione, venga invocata in un diverso processo, il giudice, ove non ritenga di esercitare la facoltà di so- spensione a norma dell’art. 337, 2º comma, c.p.c., può risolvere direttamente la controversia attribuendo alla pro- nunzia la cui autorità è invocata quell’influenza che in via provvisoria l’ordinamento le attribuisce, ed in tal caso ha l’obbligo di spiegare le ragioni che lo inducono, per sua libera valutazione, a condividere o meno gli accertamenti nella stessa contenuti, potendo incorrere in caso contrario nel vizio di motivazione su un punto decisivo della contro- versia. Cfr. anche Cass.[ord.], Sezioni Unite, 26 luglio 2004, n. 14060 (est. Preden), secondo cui poiché l’art. 295 c.p.c., la cui ragione fondante è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati, fa esclusivo riferimento all’ipotesi in cui fra due cause pendenti davanti allo stesso giudice o a due giudici diversi esista un nesso di pregiu- dizialità in senso tecnico-giuridico e non già in senso meramente logico, la sospensione necessaria del processo non può essere disposta nell’ipotesi di contemporanea pendenza davanti a due giudici diversi del giudizio sull’an debea- tur e di quello sul quantum, fra i quali esiste un rapporto di pregiudizialità solamente in senso logico, essendo in tal caso applicabile l’art. 337, 2º comma, c.p.c., il quale, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità sia sta- ta invocata in un separato processo, prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di tale processo, e tenuto conto altresì del fatto che, a norma dell’art. 336, 2º comma, c.p.c., la riforma o la cassazione della sentenza sull’an debeatur determina l’automatica caducazione della sentenza sul quantum anche se su quest’ultima si sia for- mato un giudicato apparente, con conseguente esclusione del conflitto di giudicati.

41 G. Impagnatiello, La provvisoria esecuzione, cit., 242 ss., 255 ss.

42 C. Consolo, Il cumulo condizionale di domande, I, Padova, 1985, 291; C. Petrillo, Da un’apprezzabile premessa, cit., 1235; e, se vuoi, il nostro L’esecutività della sentenza di primo grado e l’efficacia espansiva esterna della sen- tenza di riforma nella legge n. 353/1990, in Documenti giustizia, 1993, n.1/2, 99 ss.

43 A. Proto Pisani, La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, 195.

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