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Silvia Monego BURRO DI ARACHIDI. visita il blog

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Academic year: 2022

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Silvia Monego

BURRO DI ARACHIDI

visita il blog silvi@monego:

http://smonego@wordpress.com

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Bottiglie vuote, bicchieri sporchi, cicche buttate ovunque: quello era proprio il suo appartamento. L'orizzonte inclinato visto dal divano steso di traverso gli dava il mal di mare.

L'alito pesante gli fece ricordare vagamente la sera prima, quelle costolette all'agrodolce di Susan si erano rivelate indigeste, specie dopo aver accettato la sfida di Henry all'«Aspira Fagioli e Cipolle»: aveva vinto lui, ma ora quei tremiladuecentoventisette diavoletti rossi annegati nelle cipolle rimbalzavano ancora indomiti tra le pareti del suo stomaco.

Il giradischi continuava ad andare a vuoto nell'inutile attesa che qualcuno facesse ritornare la puntina sul microsolco.

Quel bilocale aveva bisogno di nuovo ossigeno, il fumo denso stratificava nell'aria disegnando una specie di alone grigiastro intorno alle cose, spalancò la finestra e il camion dell'immondizia gli diede il buongiorno, richiuse preferendo il suo tanfo personale.

Caffè, Alcaselzer e due uova crude con dietro la prima sigaretta della giornata: salve Moss, siamo ancora vivi? Pareva di sì nonostante le apparenze potessero ingannare.

Un grande avvocato: ecco cosa doveva diventare. Dopo tre anni però il sistema universitario tendeva ancora a sfuggirgli di mano, allora si disse:

Moss, quando finirai tu, probabilmente ognuno si farà giustizia da sè e senza neppure bisogno dell'avvocato, perciò si sentì in dovere di agire subito e possibilmente entro il secondo millennio.

Con un corso per corrispondenza prese la licenza di detective privato e anche se la polizia lo considerava l'ultima piattola sul prepuzio del mondo, lui con la sua pancia tenuta su da un paio di bretelle a righe marroni, la calvizie incipiente e il colesterolo alto, lui il suo mestiere lo conosceva bene e non era la prima volta che faceva calare le brache agli uomini in divisa blu.

Stava cercando di smettere di fumare, di bere, di mangiare cibi troppo conditi e avrebbe voluto anche smettere con quel lavoro che ormai sapeva troppo di rancido, di panna acida, di maionese impazzita: questo gli veniva in mente ogni volta che visitava l'obitorio con quei cadaveri spappolati in salsa rosa, ricoperti da gragnole di pallottole come fossero fette di pane spalmate con burro di arachidi: lui aveva sempre odiato il burro di arachidi, fin da bambino. Si sentiva stanco di questa vita, stanco di assassini, di sparatorie, di sangue versato a litri. Dopo quindici anni di questo copione, avrebbe voluto ritirarsi e iniziare una nuova attività, magari un allevamento di cani da difesa, oppure un ristorantino vegetariano o un vivaio di trote salmonate, c'era da farci un sacco di soldi intivando il momento giusto.

- Moooss? Dove sei Moss?

Cercò d'istinto la pistola sotto l'ascella sinistra ma non c'era, allora rimase con l'indice puntato verso la porta senza capire di chi fosse quella voce.

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Quella voce era la mia. No, io non sono il protagonista di questa storia, io sono solo un ragazzino di quindici anni, il protagonista è lui: il signor Morton, il nostro pensionante, o meglio una specie di pensionante.

Il detective Moss Morton ha l'ufficio-abitazione nel nostro stesso stabile, un giorno mia madre l'ha incontrato dal droghiere che si comperava due etti di pallida mortadella tagliata fina fina e un vasetto di cipolline sott'olio; lei s'intenerì e lo invitò a pranzo da noi e poi il giorno dopo e il giorno dopo ancora finché Moss, un po' imbarazzato ma più in carne di quando l'avevamo conosciuto, le propose di assumerla come cuoca personale a tutela del suo colesterolo alto.

Finalmente qualcuno la capiva, qualcuno le era riconoscente, così tutte le mattine trovo mia madre in cucina alla ricerca di un foglietto nuovo, bello bianco da infilare sul carrello della macchina per scrivere con gli occhiali calati sul naso e le dita rigide sui tasti che incomincia a pestare:

PRIMI PIATTI:... SECONDI PIATTI:... CONTORNI:... DOLCI:...

Io prima di andare a scuola salgo le scale di corsa, suono da Moss per avvisarlo del foglietto che butto sotto la porta e trenta secondi dopo lui mi restituisce il menu del giorno con le crocette sopra le sue preferenze.

Quel giovedì io avevo compito di matematica perciò volevo arrivare a scuola un po' prima per mettermi d'accordo coi miei compagni sul codice da adottare per passarci i risultati, quindi salii da Moss con dieci minuti d'anticipo rispetto al solito e quando lasciai scivolare il foglietto nella fessura mi accorsi che la porta si muoveva e l'aprii quel tanto da infilarci la testa.

- Moss sono Henry, Moss ci sei?

- Ragazzo, hai rischiato di prenderti una pallottola in testa, lo sai vero?

- Come...come questo qui?

Disteso lungo l'entrata del suo ufficio-abitazione c'era un uomo col cranio trapassato da un proiettile, la faccia riversa a terra stava diventando leggermente verde come quella di Moss in quel preciso istante.

- Non l'avrai mica ucciso tu, vero Moss?

Il conato di vomito che Moss si sforzò di trattenere mi convinse della sua estraneità al fatto. Era il primo cadavere che vedevo in vita mia se non contiamo quello di mio nonno che però era un cadavere da morte naturale, non da morte ammazzata come questo.

Gli allungai il foglietto di mia madre.

- Immagino che tu non abbia voglia di sentir parlare di pasta con le sarde, lasagnette col pesto, crostata di riso e cavolfiore, lingua di vitello alle verdure, petti di pollo alla Carmen, spiedini di agnello con porri e carciofi...

Ad ogni pietanza che elencavo il suo volto cambiava sfumatura di verde, dal verde salvia al verde oliva fino al verde militare in corrispondenza della torta di datteri e mascarpone.

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A quel punto Moss non seppe più trattenersi e corse in bagno a scaricare il menu del giorno prima.

Quel morto non mi faceva paura, era un morto tranquillo, non il tipo di morto che spaventa i ragazzini, lo scavalcai per guardarlo da un'altra angolazione e mi accorsi che teneva una lettera nella mano sinistra mezza nascosta dal resto del corpo.

- Ehi Moss, qui c'è un messaggio, ascolta: «ATTENTO A NON CONFONDERE GLI INGREDIENTI». Ma tu lo conoscevi questo tipo?

Moss riapparve dalla porta del bagno sbiancato e mentolato.

- Sì, poteva essere un mio cliente, si chiamava Frank Pesci e lo ricattavano, ma io non avevo ancora accettato l'incarico, mi sembrava la solita farsa tra taglieggiatori, evidentemente avevo torto, quello che non capisco è come mai non mi sono accorto di niente. Ieri sera dopo la cena da te, qui come puoi vedere c'è stata una piccola riunione tra amici, ma io con la memoria arrivo circa fino alle due, due e mezza quando ancora Nat King Cole cantava

"Unforgettable" con sua figlia, poi è come se fossi morto e risorto tre minuti fa in questo mare di rifiuti, cadavere compreso. Oggi il mio stomaco mi dice che avrò bisogno di un assistente, tu avresti qualcosa in contrario?

- Immagino che la scuola non possa giustificare un mio eventuale rifiuto, vero Moss?

- Esatto Henry, ma scusa non dicevi sempre che ti sarebbe piaciuto fare anche a te il detective privato? Beh, oggi ti si presenta l'occasione, dimmi piuttosto, com'erano poi quei petti di pollo alla Carmen?

Un cadavere ci divideva e lui pensava al mangiare.

- Sono solo dei petti di pollo ripieni di mortadella, salvia, alloro, formaggio grana, fritti poi nel burro spumeggiante ma per te sarebbero semplicemente sbattuti su una padella antiaderente e lasciati morire di solitudine a fuoco lento. Cosa faccio, ci metto una croce sopra?

Moss fece segno di no, probabilmente quel giorno non avrebbe nemmeno avuto il tempo di pranzare.

Mi spiegò che quell'uomo steso per terra gestiva una catena di alberghi e sembrava facesse soldi a palate finchè uno dopo l'altro vennero distrutti da incendi di natura dolosa mandandolo praticamente in rovina. Si salvò solo un ristorante al quale il Pesci era molto legato perché ad avviarlo era stata la madre ormai defunta. Sembrava che la fama di questo posto fosse legata a una personale ricetta della vecchia Rosa Colasante vedova Pesci, per la spalla di maiale.

Ma per costruire la sua fortuna aveva pestato diversi piedi della zona e questo non era piaciuto ai boss della malavita, perciò vennero i primi ricatti, solo che Pesci era un orgoglioso, uno coi suoi principi e non voleva pagare, così vide andare in fumo il lavoro di una vita. Uno alla volta i suoi dodici apostoli, così chiamava i suoi alberghi, svanirono in cenere, ma al ristorante

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sua madre. Infondo era un sentimentale e così trovato il suo punto debole i suoi aguzzini gli si aggrapparono come sanguisughe. Lui aveva dovuto pagare ma ora volevano di più, volevano il segreto di mamma Rosa sulla spalla di maiale per la quale impazziva Joe Trevis, capomafia locale e cliente fisso di mamma Rosa.

Ed ecco che entra in scena Moss: Pesci va da lui, disperato gli racconta questa storia patetica perché vorrebbe che trovasse i cattivi da consegnare alla giustizia, lui però perde troppo tempo per rifletterci su e così ha perduto anche il cliente.

Mentre Moss mi raccontava questa specie di fumetto a fosche tinte, avevamo lasciato la scientifica al loro lavoro attorno al cadavere di Pesci e mi stava trascinando verso la sua auto d'epoca, una Oldsmobile del '55 bianca e rossa battuta a un'asta di auto sequestrate dalla polizia.

- A parte il fatto che dovrei essere nel mio banco già da ore e che nessuno mi crederà quando giustificherò la mia assenza con un omicidio beccandomi così un bel "ENNECI" che farà crollare la mia media, a parte questo, si può sapere dove diavolo mi stai portando?

- Henry, lo sai che non ti credevo così noioso? Tu stai per scrivere un pezzo di storia, altro che la tua stupida matematica. Un giorno potrai dire di aver contribuito all'arresto del capo mafia Joe Trevis, ti rendi conto?

- No, assolutamente, poi cosa c'entra Trevis, non era mica Trevis che minacciava Pesci, fammi capire.

Accendendosi la terza sigaretta consecutiva, cercò di spiegarmi che i ricattatori di Pesci non erano altro che dei pesci piccoli (ah-ah-ah rise Moss) e se si andava a guardare bene nel curriculum vitae di un Jack Cassetti o dell'altro compare Frank Santapaula, scoprivamo che non erano dei liberi professionisti, bensì dei lavoratori dipendenti. E alle dipendenze di chi?

- Ma di Joe Trevis ovviamente, il pesce più grosso di tutti, solo che in questo fritto misto non ho ancora uno straccio di prova che lo possa incriminare almeno per l'omicidio di Pesci. Ecco cosa stiamo cercando:

prove, indizi che possano incastrarlo, perché Trevis rispettava sì mamma Rosa, ma per lui il figlio Frank era 'nu fetente, con i suoi affari gli dava troppo fastidio e se era ancora in vita lo doveva proprio a quello stinco della santa mamma sua.

Avevamo imboccato un vicolo che pareva il deposito della nettezza urbana, Moss accostò e quando scesi dall'auto l'odore di piscio di gatto mi fece venire la nausea.

- Coraggio! Mi disse Moss fermo davanti al 4037 di st.Joseph Street con l'indice ficcato in un campanello la cui targhetta diceva: "Madame Valenska:

medium, cartomante".

Presi Moss per un braccio cercando di impedirgli di suonare ancora, ma la porta era già scattata e Moss con un sorriso divertito mi tirò dentro.

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- Non fare quella faccia, non mi dirai che hai paura delle maghe, vero? E' una specie di collaboratrice che consulto per i casi più difficili, vorrei fare due chiacchiere con mamma Rosa e suo figlio se possibile, ma per lui non so se le comunicazioni siano già aperte, sai hanno dei tempi da rispettare anche loro prima di poter entrare in contatto con i vivi.

Moss dovette richiudermi la mandibola pendula che era rimasta spalancata mentre lo ascoltavo: morti, lui voleva parlare con i morti, capite? Mai in vita mia rimpiansi tanto di aver saltato la scuola! Finchè si trattava di un morto ammazzato, passi, ma questo mi sembrava ridicolo, o meglio, mi metteva una fifa boia!

Già mi vedevo Madame Valenska con la sfera di cristallo, le mani sul tavolino semovente che va in trance e parla con la voce cavernosa tipo l'esorcista, no, io là dentro non ci volevo andare neanche dopo morto, figuriamoci da vivo!

Tutto questo doveva leggersi molto chiaramente sulla mia faccia imberbe visto che Moss mi alzò da terra come fossi una pianta d'appartamento e mi depositò sullo zerbino di Madame Valenska dove già aspettava il suo "Mozz garrrizzimo" come lo chiamò lei, prima di stampargli quattro paia di labbra rosa antico sulle guance rilassate di Moss.

Ci fece entrare, cioè, Moss mi fece entrare, e invece di trovarmi nel classico antro da maga Magò con tanto di tende frangiate, tavolini trigambici, candele accese da atmosfera occulta, mi sembrò di entrare nelle pagine di una rivista d'arredamento: tutto molto hi-tech, bianchissimo, con giochi di luci e trasparenze, mobili in plexiglas e marmo rosa, geometrie essenziali e purezza di linee. Non era molto grande ma sembrava che ogni ambiente ne generasse un altro con un effetto labirintico.

Anche la maga non aveva per niente l'aspetto della classica maga, le mancava il turbante e la chincaglieria che di solito si mettono addosso, portava un semplice completo di seta bianca e i capelli li teneva raccolti sulla nuca con un fermaglio a forma di farfalla; quando però una manica di quel kimono le scivolò lungo il braccio sinistro, scoprì un inquietante tatuaggio con un teschio dai bulbii oculari invasi da serpenti che mi fece ricordare i morti, le voci, l'esorcista e m'impietrì in mezzo alla stanza. Moss invece le volteggiava intorno come un ballerino russo senza sospensorio e questo mi diceva che la madame doveva essere qualcosa di più che una semplice collabolatrice.

Ci fece sedere per terra attorno a un cubo di plastica con una luce verdina dentro, la Valenska si sciolse i capelli ramati e li rovesciò sul cubo lasciando che le coprissero il volto, poi prese le nostre mani, le strinse intorno ai capelli e cominciò a sussurrare: mammarosamammarosamammarosa... Io mi vedevo riflesso nel cubo verde come fossi un ectoplasma e mi aspettavo che mamma Rosa uscisse da lì ululando, ma dopo cinque minuti di sussurri la

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Madame Valenska si raccolse i capelli e guardò Moss dicendogli che mamma Rosa non poteva parlare per il troppo dolore, le aveva solo mostrato una lettera e una chiave.

Tornammo all' ufficio-appartamento di Moss che frugò tra la posta e prese una busta che gli aveva mandato lo stesso Pesci. Intanto il suo cadavere era sparito lasciando solo una sagoma bianca tracciata col gesso, Moss mi riprese per un braccio e mi fece salire ancora in macchina.

- Ti lascio alla Deutsche Bank, prendi questa e portami quello che trovi in quella cassetta di sicurezza, svelto!

Mi consegnò una piccola chiave con un numero sopra, quando tornai avevo un pacco di carta grezza da macellaio, chiuso con un paio di graffette. Moss l'aprì e tirò fuori un'audiocassetta e un'altro pezzo della stessa carta ma un po' macchiata con su scritto qualcosa in una calligrafia incerta.

« Spalla di maiale al Porto»

Ingredienti per 16 - 18 persone spalla di maiale...kg.5

burro...gr.100 funghi secchi...gr.25

Una bottiglia di Porto, una carota, una cipolla, sedano, basilico, prezzemolo, alloro, farina, sale, pepe.

Mettere a bagno la carne la notte prima in acqua fredda, tritare gli odori, scolare la spalla, metterla in casseruola con gli aromi, i funghi, il Porto e l'acqua filtrata. Cuocere per circa quattro ore a fuoco lento. Sgrassare il sugo, portarlo a ebollizione aggiungendovi il burro lavorato con la farina finché sarà denso e versarlo in una salsiera.

Mentre Moss leggeva a voce alta aveva inserito la cassetta nel mangianastri, schiacciò PLAY e dopo strani fruscii si sentì la voce di Frank Pesci.

«Se state ascoltando questo nastro probahbilmente io sarò già morto. Joe Trevis voleva impossessarsi della ricetta segreta di mia madre e poi eliminarmi, ma uno dei suoi uomini lo ha tradito rivelandomi la sua allergia ai chiodi di garofano che assunti anche in minima quantità gli provocano una gastrite perforante. Tutti i giovedì Trevis viene da noi per gustarsi la spalla di maiale al Porto, confesso di aver alterato gli ingredienti sostituendo al tocco segreto di mammà un etto di chiodi di garofano causando, spero, la morte di Joe Trevis. Il caso è risolto detective Morton, ho solo accelerato il corso della giustizia.

Il segreto che mia madre mi confessò sul letto di morte con il sorriso sulle labbra nacque in realtà da un errore, mescolando infatti per sbaglio con un cucchiaio sporco di burro di arachidi, diede al sugo quel gusto così pastoso e trovandolo particolare ne corresse la dose fino ad aggiungere quel sapore che nessuno si sapeva spiegare. Continuerò a domandarmi per l'eternità se ne è valsa la pena morire per un cucchiaio di burro di

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Era giovedì ed era l'una passata. Moss mise in moto e si precipitò al ristorante Pesci, già da lontano si sentivano le sirene e quando arrivammo le luci blu dell'ambulanza invadevano la strada. Trevis era scivolato sotto il tavolo in preda agli spasmi, Moss si fece largo tra la folla e in cambio del segreto di mamma Rosa strappò a Trevis la confessione dell'omicidio di Frank Pesci. Joe Trevis prima di accartocciarsi su se stesso in un rantolo finale disse con lo stesso sorriso che doveva aver avuto mamma Rosa: - Burro di arachidi? ...Io ho sempre odiato il burro di arachidi.

- Anch'io. Disse Moss, ma ormai Trevis non poteva più sentirlo.

Un mese dopo questo duplice omicidio incrociato mi ritrovai con un'insufficienza in matematica ma socio paritario del vivaio di trote salmonate della ditta "Henry & Moss Fish and Service".

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