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SUL PRINCIPIO DI INERZIA

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Academic year: 2022

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Breve sunto. Dopo aver valutato l’opportunità di considerare l’esistenza dell’etere, definendolo per quanto sia possibile, viene dedotto il principio di inerzia.

1. L’etere

Ciò che solitamente è chiamato “vuoto” è in realtà un “pieno” di materia non misurabile

1) onnipresente,

2) originaria e diveniente, 3) plasmabile e adattiva.

Più in dettaglio, tale materia invisibile, che sarà chiamata etere, presenta le seguenti caratteristiche.

1) L’etere è onnipresente.

La composizione dell’etere non è determinabile né misurabile, poiché le sue parti sono infinitesimamente piccole, così come è infinito l’Universo. Si pensi a un possibile grandissimo diametro D dell’Universo: sarà sempre possibile immaginare un diametro maggiore (la domanda che ci si pone è: “E oltre cosa c’è, se non una continuazione dell’Universo?”); quindi il diametro dell’Universo non è misurabile, o è infinito. Un esempio numerico: se esiste 10 , allora esiste anche 30 10 . Allo stesso modo, se si pensa a un possibile piccolissimo diametro 31  di una particella, sarà sempre possibile immaginare un diametro inferiore (la domanda è la stessa: “E oltre cosa c’è, se non qualcosa di più piccolo?”). Solito esempio numerico: se esiste 1030, allora esiste anche 1031. L’etere pervade tutto l’universo, dall’infinitesimo all’infinito, e il vuoto non esiste, semplicemente perché il vuoto

“non è”, mentre l’universo “è” in ogni sua parte.

2) L’etere è originario e diveniente.

L’etere è il sostrato a partire dal quale si è formato l’universo.(1) “In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era una massa senza forma e vuota…”: in uno o più punti dell’etere originario è avvenuto il primo evento di addensamento/rarefazione o di rotazione, che ha separato la massa da ciò che non è massa (quindi anche la materia ordinaria è un addensamento molto evoluto e strutturato di etere). Da allora è iniziato il divenire dell’etere, divenire che non è

1 Il Demiurgo dal Caos formò il Cosmo.

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più cessato. Da allora si può iniziare a misurare il tempo, che altro non è se non il divenire dell’etere.

3) L’etere è plasmabile e adattivo.

Questa è forse la caratteristica più interessante e meno ovvia dell’etere.

Concetti come quanto di etere, o particella di etere, oppure onda di etere sono astratti, rappresentazioni della mente umana, artifici per spiegare la realtà fenomenica senza introdurre troppi postulati, quindi comodi e utili artifici.

Qualche esempio può chiarire il concetto. Se con l’LHC, o futuro collisore più potente, si cerca un tipo di particella, e si prepara l’apparato strumentale appositamente per quel tipo di particella, lo strumento la rivelerà! E ciò sarà avvenuto perché l’etere è stato plasmato dallo stesso strumento di misura e si è adattato ad esso. Si consideri ad esempio l’occhio umano. Esso è in grado di distinguere abbastanza bene le frequenze delle onde elettromagnetiche dal rosso al violetto. Sembrerebbe che l’occhio, strumento di misura puramente passivo, riceva onde elettromagnetiche già dotate delle proprie frequenze e che abbia sensori in grado di oscillare in risonanza con le onde esterne e trasmettere impulsi al ricettore cerebrale. Ma è un inganno. L’energia elettromagnetica non ha una frequenza propria, ma viaggia con una certa energia e quantità di moto, e solo quando incontra l’occhio i sensori di quest’ultimo all’urto vibrano ad una certa frequenza propria facendo propagare un’onda interna fino al ricettore cerebrale. L’occhio ha le proprie frequenze di vibrazione che selezionano le energie e quantità di moto in arrivo; infatti, altri strumenti che funzionano come l’occhio hanno le proprie frequenze diverse da quelle umane che si attivano all’arrivo di altre energie che diciamo infrarosse o ultraviolette. La luce non ha in sé natura ondulatoria, ma lo strumento rivelatore inganna poiché vibra ad una certa frequenza. E non è nemmeno vero che la luce ha natura corpuscolare.

Considerando come secondo esempio l’effetto fotoelettrico, non si deve ritenere che la luce sia composta da fotoni; è più corretto pensare che il fotone si forma al momento dell’urto(2) dell’etere con gli elettroni o con altre particelle. In realtà, il ricettore ha plasmato l’energia elettromagnetica e l’ha adattata a sé, dandole quella forma corpuscolare chiamata fotone. Non si resta forse un po’ confusi quando si sente dire che la luce a volte, a seconda del fenomeno considerato, ha natura corpuscolare, e altre volte ondulatoria? In realtà l’energia elettromagnetica non è né onda, né corpuscolo, ma si manifesta nell’una o nell’altra forma adattandosi al ricettore (o strumento di misura) che la plasma. Con i collisori la situazione si complica ulteriormente, poiché nasce spontaneo il dubbio che facendo collidere frontalmente fasci di protoni a 750 TeV (e in futuro chissà quali saranno le energie!), lo strumento di misura (il sincrotone o altra macchina acceleratrice) potrebbe generare particelle che in natura non esistono, plasmando l’etere in modo imprevedibile. L’errore di molti scienziati moderni è quello di

2 Urto nel senso più ampio possibile: fenomeno relativamente rapido in cui si distinguono un prima e un dopo, e non si sa esattamente cosa avviene durante.

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credere che nuove particelle rivelate preesistano all’urto, mentre questo è a priori una falsità; e su questa assurda certezza basano nuove teorie sull’origine dell’universo! Inoltre si cercano particelle sempre più piccole, alla ricerca della particella ultima, il mattone primario dell’universo, forse non sapendo che trovatane una, è giocoforza che ne esistano di più piccole. La particella unificatrice, origine dell’universo è un’ illusione, tanto quanto la quadratura del cerchio. La si può solo immaginare, perché si riesce a misurare  solo con una unità di misura più piccola di . Se esiste 1030, esiste anche 1031; ma l’etere arriva a qualunque dimensione lo strumento di misura voglia, e in sé può arrivare a 10. Esistono teorie cosmogoniche intricate, che sembrano solo abili giochi matematici, ma una sola semplice idea è da postulare: l’etere diveniente è. Questa frase significa che dell’etere non si potrà mai trovare un inizio temporale, poiché il divenire onnipresente non può incontrare l’immobilità.

Dedurre e interpretare è un’arte.(3) Si pensi ancora all’effetto fotoelettrico.

Ad una determinata frequenza  della luce incidente avviene l’estrazione dell’elettrone dalla superficie metallica, cioè nulla accade fino al raggiungimento di un valore  tale che h è uguale all’energia di estrazione dell’elettrone dalla superficie metallica. Errore è dedurne che la luce è quantizzata in fotoni di energia h. Invece, il metallo ha plasmato il fotone, perché è il metallo che assorbe e quantizza in pacchetti h l’energia incidente, e che quindi stabilisce la frequenza h . L’esperimento rivela che, aumentando l’intensità della luce, aumenta il numero degli elettroni emessi, ma non la loro energia cinetica, la quale dipende solo dal valore h di estrazione. Anche in questo caso si deve pensare che è il metallo ad assorbire, in unità discrete da lui stesso imposte, molta più energia elettromagnetica, e nulla ci autorizza ad arguire la preesistenza del fotone. Pensare che il fotone preesista al fenomeno è pura comodità rappresentativa, che si traduce in un comodo modello matematico. Einstein ha accantonato il concetto di etere, ma ha postulato l’esistenza dei fotoni: ciò è una palese contraddizione, secondo il presente modello. La spiegazione dell’effetto fotoelettrico fornita da Einstein ha avuto successo (premio Nobel nel 1921 per la Fisica), perché in effetti matematicamente si può fare a meno dell’etere e pensare ai fotoni come particelle reali: ciò facilita i calcoli, e non è poco. Tuttavia, nulla è come appare, e la matematica ha, tra gli altri compiti, quello di rappresentare ciò che è misurato, cioè di rappresentare il fenomeno, l’apparenza della realtà. Se la fisica fosse soltanto una scienza che misura e rappresenta matematicamente ciò che si misura, sarebbe veramente molto limitata e poco produttiva. Lo stesso Einstein afferma che l’intuizione deve essere maggiormente valorizzata. Dopo averla intuita, Einstein ha scelto la “strada del fotone”, adatta alle conoscenze dell’epoca. L’indiscussa genialità di Einstein non deve però ostacolare il progresso della scienza. Possono e devono esistere teorie interpretative superiori a quelle da

3 Se si tolgono le zampe a una pulce e le si ordina di saltare, essa non salta. Quindi una pulce senza zampe è sorda. Oppure: gli apostoli sono dodici, Pietro è apostolo, quindi Pietro è dodici.

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lui proposte, senza che ciò offuschi la sua fama e il suo lume, allo stesso modo in cui il superamento della filosofia aristotelica non fa di Aristotele un pensatore di second’ordine.

Nulla è come appare: con questa consapevolezza, i corpuscoli di etere, inesistenti e apparenti al pari dei fotoni, saranno chiamati fationi(4), particelle che riempiono densamente tutto l’universo, così come l’insieme dei numeri razionali è denso nell’insieme dei numeri reali.

2. Principio di inerzia

Il sistema di riferimento di riposo di un corpo è quello rispetto al quale il corpo è in quiete e non è soggetto a forze.(5)

Si supponga l’esistenza (non dimostrabile) di un sistema di riferimento K0 rispetto al quale il moto caotico dei fationi è mediamente isotropo e omogeneo. Un tale sistema di riferimento potrebbe dirsi privilegiato rispetto ad ogni altro.

Per un corpo immobile in esso, in assenza di forze esterne, K0 è un sistema di riposo. Poiché la forza implica una variazione di velocità (ammessa la conservazione della massa), se il corpo è immobile rispetto ad un sistema K , in moto rettilineo uniforme rispetto a K0, anche il sistema K è di riposo. Dunque K è sistema di riposo. Sembrerebbe tuttavia che l’osservatore solidale con K perda il privilegio di osservare un universo isotropo, nonostante K e K0 siano a pari merito sistemi inerziali, cioè tali da osservare leggi fisiche, accelerazioni, rappresentabili dalle stesse equazioni. Apparente aporia, poiché a questo punto è possibile “correggere il tiro” con una nuovo modo di definire il termine isotropia, che non è più l’isotropia dello spazio usuale, né quella dello spazio delle velocità, ma quella dello spazio delle accelerazioni. Cioè i sistemi di riferimento K e K0 osservano i fationi accelerati nello stesso modo in ogni direzione. Da questo punto di vista, la presente teoria sarebbe in completo accordo con la recente scoperta (anno 2011) dell’accelerazione dell’espansione dell’Universo. Questo decisivo risultato sperimentale sarà valorizzato nell’articolo 04, dove sarà proposta una teoria sull’origine della gravitazione. Qui si accenna soltanto al fatto che, in virtù della legge Fma, in un universo etereo in espansione accelerata uniforme ogni entità a massa nulla subisce da parte dei fationi una forza che provoca un’accelerazione infinita, e raggiunge istantaneamente la velocità massima consentita, qualunque sia la direzione sotto la quale viene osservato. Ciò spiega perché la velocità della luce è la medesima in tutti i sistemi di riferimento

4 In onore a Nicolas Fatio de Duillier (1664 – 1753), che tentò con coraggio di spiegare l’origine della gravitazione immaginando l’esistenza di particelle esterne alle masse (la prima teoria push della gravitazione) e rifiutando l’idea dell’azione a distanza.

5 Ciò esclude le forze apparenti.

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inerziali. Si realizzi che l’esperimento di Michelson – Morley fallisce perché gioca sulle velocità e non sulle accelerazioni. Può sembrare banale, ma la velocità della luce è invariante perché essa viaggia in un mezzo in accelerazione uniforme e isotropa, il quale è causa di questo viaggiare. Se il valore di tale accelerazione uniforme e isotropa cambiasse, cambierebbe anche la velocità della luce.

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