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Per raggiungere questo obiettivo la Commissione ha emanato il Regolamento CE n.

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I NTRODUZIONE

La crescente globalizzazione, che ha caratterizzato gli ultimi anni, e, di conseguenza, l’evoluzione dei mercati finanziari, ha evidenziato le problematiche legate alla non confrontabilità dei bilanci redatti in base a principi contabili molto diversi, basti pensare alle difficoltà legate al consolidamento in presenza di gruppi con società sparse in diversi Paesi.

L’applicazione a livello internazionale di una serie di principi contabili per la redazione dei bilanci rappresenta quindi un passo importante ed inevitabile per assicurare un’informazione finanziaria comparabile e trasparente, elemento essenziale per la realizzazione di un mercato dei capitali europeo integrato, competitivo ed attraente agli occhi degli operatori mondiali.

Per raggiungere questo obiettivo la Commissione ha emanato il Regolamento CE n.

1606/2002 che, come noto, ha imposto l’obbligo di adottare dal 2005, per la redazione del bilancio consolidato, i principi contabili internazionali alle società i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati, lasciando ai singoli Stati membri la facoltà o l’obbligo di adottare i principi IAS/IFRS anche ai fini della redazione del bilancio d’esercizio per le società quotate e non.

L’Italia è intervenuta con il Decreto Legislativo 28 febbraio 2005 n. 38, e quindi, a partire dal 2005, alcuni soggetti economici si sono trovati a fare i conti con la necessità di adeguare la propria struttura organizzativa gestionale per predisporre i dati contabili sulla base dei nuovi principi.

Il problema di trovare una modalità di rapporto tra bilancio IAS/IFRS e le regole di

determinazione dell’imponibile fiscale si pone, in quanto, unica tra i grandi paesi

europei, l’Italia ha previsto l’applicazione, in linea generale, con il D. Lgs n. 38 del

2005, del bilancio redatto secondo i principi IAS/IFRS anche al bilancio individuale e

non solo a quello consolidato che era previsto come obbligatorio dal regolamento

comunitario.

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Detto questo, si fa presente che la transizione ai principi contabili internazionali comporta la soluzione di alcuni problemi di carattere fiscale limitatamente al bilancio di esercizio, perché, per quanto riguarda il bilancio consolidato, non si pone alcun problema data l’irrilevanza dello stesso ai fini tributari.

Le implicazioni di ordine fiscale trovano la loro origine nel principio di derivazione, che comporta la necessità di muovere dal risultato economico del bilancio e di pervenire all’imponibile fiscale IRES mediante le variazioni in aumento e/o diminuzione, e nella consistente differenza che esiste tra le tradizionali regole di contabilizzazione fondate su aspetti preminentemente giuridico – formali, cui fa pure riferimento il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, e i principi contabili internazionali che privilegiano aspetti economico – sostanziali.

E poiché i principi contabili internazionali, introdotti per effetto di un regolamento comunitario, avente diretta applicazione, oltre che per effetto del D. Lgs. n. 38/2005, non possono essere modificati a livello nazionale, il coordinamento (o la convergenza) non può che avvenire mediante l’adeguamento delle norme del T.U.I.R. sul reddito d’impresa ai principi IAS/IFRS, principi, che si ricorda ancora una volta, si basano su obiettivi, approcci e criteri di valutazione delle poste di bilancio differenti rispetto a quelli vigenti nell’ordinamento italiano.

Con il D. Lgs. n. 38/2005 sono state apportate al T.U.I.R. “solo quelle modifiche strettamente indispensabili a consentire l’applicazione ai soggetti che utilizzeranno i principi contabili internazionali, salvaguardando, nei limiti del possibile, la neutralità dell’imposizione rispetto ai diversi criteri di redazione del bilancio di esercizio”, così come risulta dalla relazione illustrativa al provvedimento.

Tale intervento dunque si è limitato a confermare il principio di derivazione del reddito imponibile dal risultato economico di bilancio, a salvaguardare il principio di neutralità dell’imposizione, inteso come tentativo di evitare discriminazioni di ordine fiscale in relazione all’adozione o meno degli IAS/IFRS, e a modificare, quando strettamente indispensabile, le disposizioni tributarie che disciplinano operazioni che sotto il profilo contabile e di bilancio si discostano notevolmente dalla disciplina nazionale (es.

leasing).

Proprio per queste limitate modifiche alla normativa fiscale in materia di reddito d’impresa, l’intervento operato dal D. Lgs. n. 38/2005 è stato definito di tipo

“minimalista” considerato anche l’assetto altamente innovativo degli IAS/IFRS e, alla

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luce delle esperienze maturate, si è rilevato quindi non sufficiente ad affrontare in modo organico la materia.

Prendendo atto delle difficoltà di carattere operativo, legate al proliferare di disallineamenti fra valori contabili e fiscali sempre più difficili da monitorare con il passare degli anni, in cui versavano le imprese che, per obbligo o per scelta, applicano i principi contabili internazionali, la Finanziaria 2008 (L. 24 dicembre 2007, n. 244, art.

1, c. 58 e ss.) ha avviato un intervento che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe essere di semplificazione e razionalizzazione.

La stessa Relazione tecnica alla Legge Finanziaria 2008, con riguardo alle modifiche IRES, afferma che il provvedimento si è reso necessario in quanto “…il D. Lgs. n.

38/2005 si è rivelato alla luce delle esperienze maturate in questi primi anni, non sufficiente ad affrontare in maniera organica la materia avendo esso lasciate inalterate, anche per i soggetti IAS, la maggior parte delle norme che disciplinano la trasformazione del dato originario (risultato di bilancio) in quello derivato (reddito imponibile) senza adeguarle ai nuovi criteri di redazione del bilancio”.

La scelta compiuta dal legislatore è stata, quindi, quella di dare maggiore rilevanza ai risultati di bilancio nella determinazione dell’imponibile IRES “sacrificando” il principio di neutralità di imposizione che si è rivelato difficilmente conciliabile con quello di derivazione.

In questo senso particolarmente significativa è la disposizione, ora prevista all'art. 83 del Testo Unico, secondo cui per i soggetti IAS valgono, anche in deroga alle tradizionali regole fiscali, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai principi medesimi. Le imprese IAS dunque, a partire dal 2008, assumono le vicende gestionali ai fini fiscali in base non più alle qualificazioni giuridico – formali degli atti negoziali, ma al principio della prevalenza della sostanza sulla forma che caratterizza i principi contabili IAS/IFRS.

Questo lavoro si pone l’obiettivo di analizzare, anche alla luce delle recenti modifiche sul tema introdotte dalla Legge n. 244/2007, alcune questioni di natura tributaria che emergono a seguito dell’adozione dei nuovi criteri per la redazione del bilancio di esercizio.

Il tema delle conseguenze derivanti dall’adozione dei nuovi criteri contabili in merito

alla determinazione del reddito di impresa ha suscitato un rinnovato interesse sulla

fiscalità d’impresa, con particolare riferimento ai principi generali, identificabili nei

principi di competenza, di derivazione e della previa imputazione a conto economico.

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Le implicazioni fiscali che meritano approfondimenti in relazione ai nuovi principi contabili internazionali sono numerose e molte sarebbero le tematiche che dovrebbero essere affrontate e uno studio che avesse la pretesa della esaustività sarebbe forse eccessivamente velleitario.

Considerato quanto detto, ho ritenuto opportuno strutturare così il mio lavoro: dopo alcune brevi considerazioni sistematiche aventi finalità introduttiva, che si trovano nel capitolo 1, sono passata, nel capitolo 2, ad analizzare, trattando alcuni argomenti di carattere generale, l’evoluzione normativa in ambito tributario subita dai principi contabili internazionali, partendo dal D. Lgs. n. 38/2005 fino ad arrivare al decreto del ministero dell’Economica e delle finanze in materia di determinazione del reddito per i soggetti IAS firmato in data 2 Aprile 2009.

Nel capitolo 3 ho preso di riferimento alcune voci del bilancio di esercizio, e dopo averne spiegato gli aspetti tecnico – contabili previsti dagli IAS/IFRS, ho analizzato la relativa disciplina fiscale alla luce delle recenti novità legislative.

Brevi considerazioni finali concludono il mio studio.

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CAPITOLO I

I PRINCIPI IAS/IFRS

L’applicazione dei principi contabili internazionali (IAS) ai bilanci delle società italiane rappresenta il frutto dell’azione di “armonizzazione contabile” svolta dall’Unione Europea. Nel caso degli IAS, lo scopo è quello di giungere ad una equivalenza di linguaggi contabili delle società aventi sede nei Paesi aderenti all’Unione, per rendere trasparenti ed univoche le informazioni di contenuto patrimoniale, economico e finanziario rese dalle società a tutela degli interessi dei terzi, dei creditori, degli investitori e dei soci.

L’ armonizzazione contabile comunitaria è il risultato di un percorso iniziato già a partire dall’ultimo trentennio del secolo scorso nello scenario internazionale.

Nel 1973 fu costituito dagli organismi rappresentativi degli ordini professionali di dieci paesi - Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Messico, Olanda, Gran Bretagna, Irlanda e Stati Uniti - un’associazione di tipo privatistico e di carattere spontaneo, detta International Accounting Standards Committee (IASC) con lo scopo di individuare dei principi contabili comuni - International Accounting Standards (IAS) - utilizzabili nella redazione dei bilanci societari. Gli IAS rappresentarono inizialmente delle best practices, cioè degli indirizzi di massima, che nell’applicazione pratica ammettevano numerose alternative tecnico-valutative e che furono seguiti e utilizzati soprattutto nella redazione dei bilanci delle società anglosassoni.

Nel 1995 lo IASC concluse un importante accordo con l’Organizzazione Internazionale

delle Commissioni di Controllo Borsistiche (IOSCO), con il quale venne concordata

una lista di trenta core standards che lo IASC si impegnò a rielaborare e che a sua volta

lo IOSCO si impegnò, al termine dei lavori terminati solo nel 2000, ad approvare e a

raccomandare ai propri membri con riguardo alle società quotate nei mercati mobiliari

(cross-border listing).

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Lo IASC, pur mantenendo la propria natura privatistica e di “club di esperti”, venne così a porsi come interlocutore dei governi e delle istituzioni pubbliche sovranazionali e a giocare un ruolo di accounting standard setter globale con connotazioni di public interest.

Per far fronte a queste nuove esigenze nel maggio del 2000 fu approvato un nuovo Statuto, tuttora vigente, con il quale lo IASC si costituì come una organizzazione indipendente, amministrata da 19 Trustees (12 di essi lavorano da allora a tempo pieno), con la dichiarata finalità di sviluppare nell’interesse pubblico, una serie completa di principi contabili validi a livello mondiale di alta qualità, comprensibili e applicabili, che richiedano una informativa trasparente e comparabile nel bilancio e nella restante comunicazione di impresa per aiutare coloro che operano nei mercati dei capitali mondiali e gli altri utilizzatori a prendere decisioni di natura economica.

I Trustees provengono da diverse aree geografiche (sei dal Nord America, sei dall’Europa, quattro dall’area Asia - Pacifico, tre da altre aree) e presentano diversi profili professionali. Ad essi compete la nomina dei componenti di tre organi:

l’International Accounting Standards Boards (IASB), lo Standing Interpretations Committee (SIC) e lo StandardsAdvisory Council (SAC). I Trustees hanno anche il compito di vigilare sull’efficacia e sul funzionamento dell’organizzazione, per le modifiche da apportare allo Statuto e l’onere di reperire e amministrare fondi che consistono esclusivamente in capitali privati.

L’attività più qualificante dello IASC è svolta dallo IASB, costituito da 14 membri, nominati per la prima volta nel gennaio 2001, i quali detengono in via esclusiva la responsabilità per l’emanazione dei principi contabili internazionali. La maggior qualifica considerata necessaria per appartenere allo IASB è la competenza tecnica e i Trustees si sono adoperati per garantire che lo IASB non sia dominato da alcuno specifico interesse corporativo o geografico (dei suoi membri almeno cinque sono revisori contabili, almeno tre hanno esperienza di redattori di bilanci, almeno tre hanno esperienza di utilizzatori di bilanci, mentre uno è espressione del mondo accademico).

Sette di loro hanno diretta responsabilità di rappresentazione di uno o più degli organismi nazionali dei paesi di provenienza che sono preposti alla statuizione dei principi nei singoli Stati.

A suggello del nuovo ruolo assunto sul piano internazionale dallo IASB, anche i

principi contabili internazionali da esso emanati dopo la redazione del nuovo Statuto

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hanno assunto la denominazione di IFRS (International Financial Reporting Standards).

Il SIC, istituito ancor prima della modifica statutaria dello IASC (1997), si compone di 12 membri e svolge la funzione di comitato consultivo, offrendo una guida interpretativa all’applicazione degli IAS/IFRS anche attraverso il confronto con comitati istituiti in singoli ordinamenti nazionali, e proponendosi come punto di riferimento per la valutazione e l’analisi delle problematiche emergenti in seguito all’applicazione di un nuovo principio.

Il SAC, comprendente circa trenta componenti di diversa provenienza geografica e competenza professionale, ha la finalità di offrire suggerimenti allo IASB sulla priorità dei lavori dello stesso, informare lo IASB sulle implicazioni connesse ai principi proposti per gli utilizzatori e i redattori di bilancio e fornire consulenza ai Trustees. Si riunisce almeno tre volte l’anno e viene consultato dallo IASB su tutti i maggiori progetti; le sue riunioni sono aperte al pubblico.

1. Introduzione in ambito comunitario: Regolamento n. 1606 del 19/07/2002

Nello scenario europeo l’armonizzazione contabile fino alla metà degli anni ’90 si presentava ad uno stadio appena iniziale. Sulla base del Trattato di Roma del 1957 (art.

54, par. 3, lett. G) l’allora Comunità Economica Europea aveva emanato due direttive, la Quarta del 1978 (78/660/CEE) e la Settima del 1983 (83/349/CEE), volte ad armonizzare le regole sulla cui base dovevano essere predisposti i bilanci civilistici e consolidati delle società. Tuttavia nel procedere al recepimento, è opinione comune che gli Stati membri, sfruttando le numerose opzioni tecnico contabili rimesse alla loro discrezionalità, erano riusciti ad adattarle “morbidamente” alle realtà nazionali con un effetto armonizzativo tutto sommato modesto.

Nel 1995 la Commissione Europea, con la comunicazione 508/95, poneva le basi per

una politica assai più intraprendente, esprimendosi a favore di una armonizzazione

contabile internazionale, e affidando ad un apposito “Comitato di Contatto” il compito

di seguire i lavori dello IASC e di verificare la compatibilità tra le direttive contabili

comunitarie e gli IAS. Nel giugno del 2000, stesso anno della redazione del nuovo

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statuto dello IASC, in una comunicazione al Consiglio e al Parlamento Europeo (COM 2000 (359)), la Commissione ribadiva il ruolo dello IASC nella definizione degli IAS e si attribuiva una funzione di controllo al fine della loro possibile applicazione in ambito comunitario.

La “risposta europea” allo IASC si ebbe solo nel 2001, quando fu costituito dagli organismi professionali europei espressione degli ordini professionali e dai redattori e utilizzatori dei bilanci, un comitato tecnico – operativo, denominato European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG), che seppur formalmente indipendente dalla Commissione e di natura privatistica, fu chiamato a svolgere un ruolo di analisi tecnica dei principi contabili emanati dallo IASB, con il compito di sollecitare lo stesso IASB ad accogliere soluzioni e interpretazioni vicine ai modelli contabili europei.

L’apertura ai principi contabili internazionali si è concretizzata nel 2002, in base al Regolamento CE n. 1606/2002 del 19 luglio 2002, il quale stabilisce che a partire dal 2005 essi rappresentano il riferimento per la redazione del bilancio consolidato dei gruppi che fanno capo a società quotate in uno dei mercati dell’Unione Europea.

Nel Regolamento si stabilisce, all’art. 2, che si intendono “Principi contabili internazionali”:

- gli IAS in senso “stretto” , e cioè quei principi emanati fino al 2001 dallo IASC;

- gli IFRS (nuova denominazione degli IAS), emanati a partire dal 2001 dallo IASB;

- tutte le interpretazioni SIC e IFRIC emanate dal SIC con denominazione di SIC per gli IAS e di IFRIC per gli IFRS;

- le successive modifiche di detti principi e le interpretazioni che saranno emessi o adottati in futuro dallo IASB.

Lo stesso Regolamento stabilisce però (art. 3) che la Commissione deciderà secondo una procedura definita di “comitatologia” (art. 6) in merito all’applicabilità dei singoli principi contabili internazionali all’interno della Comunità. Per far ciò, la Commissione è assistita dal cosiddetto Comitato di regolamentazione contabile, l’Accounting Regulatory Committee (ARC).

L’ARC deve esprimere, sulla base di una specifica richiesta avanzata dalla

Commissione, un giudizio sull’idoneità di un dato principio ad essere applicato nella

redazione dei documenti contabili consolidati e/o individuali delle società europee. Tale

organo deve quindi pronunciarsi formalmente in merito all’opportunità che quel dato

principio sia accolto o meno a livello comunitario e, in caso affermativo, deve indicare

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la data a partire dalla quale deve essere utilizzato nella comunicazione contabile delle imprese. La decisione assunta dall’ARC, a sua volta, sancisce l’esito di un giudizio di adozione che viene svolto prima di tutto a livello tecnico da parte dell’EFRAG e precisamente dal Comitato tecnico di Contabilità (Technical Export Group - T.E.G) che lo compone insieme al Supervisory Board of European Organization.

Il Regolamento 1606/2002 stabilisce inoltre – all’art.4 – che i singoli Stati membri possono decidere autonomamente di estendere l’applicabilità degli IAS anche ai bilanci di imprese non quotate.

Successivamente, in base a tale Regolamento, la Commissione ha preso ad emanare una serie di Regolamenti per disciplinare l’applicazione degli IAS nell’ordinamento comunitario.

Nel primo di essi (Regolamento 1725/2003), ha stabilito che sono adottati tutti i principi contabili già definiti con il Regolamento 1606/2002 ad eccezione dello IAS 32 e dello IAS 39, e le relative interpretazioni, principi questi che sono stati, e sono tuttora, assai dibattuti all’interno della Commissione.

Nei successivi – 707/2004 (accoglimento dell’IFRS n. 1), 2237/2004 (adozione IAS 32 e IFRIC n. 1), 2238/2004 (rivisitazione IFRS 1, IAS da 1 a 10, da 12 a 17, da 19 a 24, da 27 a 38, il 40 e il 41, e i SIC da 1 a 7, da 11 a 14, da 18 a 27 e da 30 a 33) – sono stati recepiti i nuovi principi rivisti dallo IASB a seguito di una revisione avvenuta per l’ulteriore miglioramento “della qualità” e della coerenza nel corpus dei principi contabili internazionali esistenti.

La strategia contabile seguita dalla Comunità è dunque quella di condurre progressivamente tutte le imprese, e non solo quelle quotate, ad adottare i principi contabili internazionali. A tal fine ha emanato due direttive, la 65/2001 e la 51/2003, che vanno a modificare la quarta e la settima direttiva.

La prima, 65/2001, prevede l’introduzione nell’ordinamento comunitario, per i bilanci individuali e consolidati di banche e altri istituti finanziari e di imprese di assicurazione, del principio di valutazione, di tipica impostazione anglosassone, importato dagli IAS per la valutazione di talune poste di bilancio: il fair value o “valore equo”.

La seconda, 51/2003, offre una serie di regole, anche se flessibili, per l’applicazione dei principi contabili internazionali a tutte le società dei paesi appartenenti alla Comunità.

2. L’approccio italiano: la legge comunitaria 2003 e il D. Lgs. 38/2005

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Nello scenario italiano troviamo i primi riferimenti ai principi internazionali già nel 1982, quando la CONSOB (delibera n. 1079/82) mosse un primo passo verso l’ufficializzazione degli IAS indicandoli come guida per le società quotate riguardo alle tematiche valutativo – contabili non trattate dalla legge né dai principi contabili nazionali.

Tuttavia è solo nel 2001 che anche in Italia è stato costituito, alla stregua dello IASC e dell’EFRAG, un nuovo organismo detto Organismo Italiano di Contabilità (OIC), deputato a definire una strategia nazionale in materia contabile di fronte allo scenario che si andava delineando a livello prima internazionale e poi comunitario.

Dal punto di vista giuridico l’OIC è una fondazione nata su iniziativa delle organizzazioni rappresentative delle principali categorie di soggetti privati interessate alla materia. Trattasi, in particolare: per la professione contabile, dell'ASSIREVI, del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e del Consiglio Nazionale dei Ragionieri; per i preparers, dell'ABI, dell'Andaf, dell'Ania, dell'Assilea, dell'Assonime, della Confapi, della Confcommercio e della Confindustria; per gli users, dell'Aiaf, dell'Assogestioni e della Centrale Bilanci; per i mercati mobiliari, della Borsa Italiana. I Ministeri della Giustizia e dell'Economia e delle Finanze, nonché le Autorità di Settore (Banca d'Italia, CONSOB e ISVAP), hanno espresso il loro favore all'iniziativa.

L’OIC ha il compito di individuare i principi contabili, non vincolanti ma inevitabilmente destinati a divenire di generale applicazione per la l’autorevolezza di chi li elabora, per la redazione dei bilanci delle aziende private, no profit e pubbliche per i quali non è prevista l'applicazione degli IAS, e di cooperare con le istituzioni per l'applicazione in Italia dei principi contabili internazionali. Inoltre svolge un ruolo di collaborazione e di stimolo nei confronti dello IASB operando in stretto contatto con l'EFRAG, di cui è una sorta di "second staff", promuovendo così l’armonizzazione contabile sia a livello italiano che europeo.

Il Regolamento CE 1606/2002 è stato recepito in Italia con la legge comunitaria 306/2003, che ha stabilito all’art. 25 che il Governo deve adottare uno o più decreti legislativi per l’applicazione dei principi contabili internazionali nel rispetto delle disposizioni comunitarie. La legge ha esteso l’applicazione degli IAS anche al:

- bilancio di esercizio delle società quotate (oltre che al bilancio consolidato come

era già statuito in sede europea);

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- bilancio di esercizio e consolidato delle società aventi strumenti finanziari diffusi presso il pubblico di cui all’art. 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58;

- bilancio di esercizio e consolidato delle banche e degli intermediari finanziari sottoposti a vigilanza da parte della Banca d’Italia;

- bilancio consolidato delle società assicurative. L’obbligo si estende anche al bilancio di esercizio nel caso in cui siano quotate e non redigano il bilancio consolidato.

La legge comunitaria prevedeva poi la facoltà di adottare i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio di esercizio o consolidato delle società non quotate che non esercitino attività bancaria o assicurativa e che non abbiano emesso strumenti finanziari diffusi presso il pubblico.

Infine, era previsto in divieto di applicazione dei principi contabili internazionali per le imprese che possono redigere il bilancio in forma abbreviata, ai sensi dell’art. 2435-bis del c.c.

A febbraio 2005 è stato approvato il d. lgs. attuativo della legge comunitaria 2003, con riferimento all’applicazione dei principi contabili internazionali.

Questo provvedimento, diversamente dalla legge delega, prevede che, per quanto concerne l’applicazione dei principi contabili internazionali nel bilancio di esercizio (art. 4):

 è facoltativa dal 2005 ed obbligatoria dal 2006 per:

- le società quotate,

- le società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico ai sensi dell’art.

11t6 de d. lgs. 58 del 24 febbraio 1998,

- le banche e le altre società finanziarie iscritte nell’albo di cui al d. lgs. N. 385 del 1993;

 è obbligatoria dal 2006 per le società quotate che esercitano attività assicurativa e che non redigono il bilancio consolidato;

 è facoltativa dal 2005 per:

- le società incluse nel bilancio consolidato IAS/IFRS,

- le società diverse dalle precedenti, e diverse da quelle che possono redigere i bilancio in forma abbreviata, ai sensi dell’art. 2435-bis, che redigono il bilancio consolidato,

- per le società incluse nel bilancio consolidato di queste ultime;

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 è facoltativa a partire dall’esercizio individuato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro della giustizia, per le società diverse dalle precedenti e diverse da quelle che possono redigere il bilancio in forma abbreviata, ai sensi dell’art. 2435-bis;

 è proibita per le società che possono redigere il bilancio in forma abbreviata, ai sensi dell’art. 2435-bis.

Il medesimo provvedimento stabilisce che, per il bilancio consolidato (art. 3), l’applicazione dei principi contabili internazionali:

 è obbligatoria dal 2005 per:

- le società quotate,

- le società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico ai sensi dell’art.

116 del d. lgs. 58 del 24 febbraio 1998,

- le banche e le altre società finanziarie iscritte nell’albo di cui al d. lgs. n. 385 del 1993,

- le società assicurative;

 è facoltativa a partire dal 2005 per:

- le società incluse nel bilancio consolidato IAS/IFRS,

- le società diverse dalle precedenti, e diverse da quelle che possono redigere il bilancio in forma abbreviata, ai sensi dell’art. 2435-bis, che redigono il bilancio consolidato.

La scelta di applicare i principi contabili internazionali nel bilancio di esercizio o consolidato non è revocabile, salvo circostanze eccezionali che devono essere adeguatamente illustrate in Nota Integrativa, unitamente all’indicazione degli effetti sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società; in sostanza, con questa disposizione, si tende ad evitare l’utilizzo per finalità contingenti ed opportunistiche dei principi contabili internazionali.

Il decreto prevede, inoltre, all’art. 11 modifiche al Testo Unico delle Imposte sui Redditi volte ad applicare il regime del “doppio binario”.

3. Disposizioni di “coordinamento” tra il sistema nazionale e gli

IAS/IFRS

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Il D. Lgs. 38/2005 si occupa anche del “coordinamento delle disposizioni vigenti in materia di bilancio con quelle derivanti dall’adozione degli IAS/IFRS”, al fine di risolvere alcune problematiche di diritto contabile interno.

L’art. 5 introduce una clausola di salvaguardia, secondo la quale nei casi (eccezionali) in cui una disposizione prevista dai principi internazionali risulta incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico dell’impresa, la stessa non deve esser applicata. In questa circostanza, gli eventuali utili derivanti devono iscriversi in una riserva non distribuibile, fatta eccezione per l’ammontare di valore recuperato. Tale disposizione ribadisce la centralità del criterio di true and fair view

1

imponendo ai redattori del bilancio lo stesso limite che il regolamento CE 1606/2002 ha fissato per l’endorsement

2

dei principi dello IASB; trattandosi del momento applicativo vero e proprio, ha poi previsto un trattamento contabile “prudente” degli utili derivanti dalla deroga, vietandone la distribuzione.

L’art. 6 invece si occupa della disciplina civilistica delle plusvalenze derivanti dall’

applicazione del fair value. La norma tutela l’integrità del capitale sociale, evitando che rivalutazioni derivanti da fair value vengano considerate come veri e propri utili e come tali vengano distribuite o utilizzate per aumentare il capitale sociale.

Al primo comma, lettera a), è fatto divieto di distribuire utili corrispondenti a plusvalenze imputate in conto economico per effetto dell’applicazione del fair value o del metodo del patrimonio netto

3 4

, imponendone l’iscrizione in una riserva indisponibile. Il divieto subisce un’eccezione: i plusvalori relativi a strumenti finanziari di negoziazione, nonché quelli connessi ad operazioni di cambio e di copertura

5

, anche se non realizzati, possono iscriversi in conto economico e distribuirsi come utili

1 Il principio di “true and fair view”, già presente nelle direttive contabili, e la cui previsione nell’ambito del regolamento 1606/2002 non fa che ribadire la sua centralità all’interno del sistema contabile comunitario. Il richiamo a tale criterio va inteso non nel senso che ogni principio contabile debba esser conforme a tutte le norme delle direttive, ma solamente nel senso che vi condivida la medesima ratio di garantire una rappresentazione veritiera e corretta della realtà patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa.

2 Tale procedura consiste in un vero e proprio processo di omologazione cui devono essere sottoposti i principi elaborati dallo IASC prima di acquistare vigenza nell’ordinamento contabile comunitario.

3 Il divieto di distribuire plusvalori da patrimonio netto era già presente nel nostro sistema all’art. 2426, n.

4 c.c.: la sua espressa previsione nel decreto tuttavia è volta puntualizzare che il divieto vale anche per i bilanci IAS/IFRS.

4 Si tratta, in sostanza, delle valutazioni imposte da IAS 40 e IAS 28.

5 Per strumenti finanziari impiegati in operazioni di copertura si intendono quelli volta a coprire rischi derivanti da variazioni del fair value. Ciò in quanto inseriti nella lettera a), relativa al trattamento degli utili da fair value.

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dell’esercizio

6

. Tale trattamento si giustifica col fatto che queste plusvalenze, anche se derivanti da valutazioni, possono comunque considerarsi come se fossero realizzate;

infatti, soprattutto i plusvalori da operazioni di valuta possono in qualsiasi momento venir realizzati sul sempre attivo mercato dei cambi.

Quanto alla lettera b) del primo comma, essa vieta la distribuzione delle riserve di patrimonio netto costituite in contropartita diretta delle valutazioni al fair value di attività e strumenti finanziari

7

: si tratta delle plusvalenze da fair value non iscritte in conto economico, ma confluite in una riserva di patrimonio netto.

Per entrambe le situazioni il regime della riserva è sostanzialmente il seguente: le plusvalenze vengono calcolate al netto del relativo onere fiscale e vengono iscritte nella riserva indisponibile; laddove gli utili di esercizio risultano inferiori all’ammontare delle plusvalenze da fair value, una quota delle riserve disponibili (laddove ve ne siano) pari alla differenza dei due ammontari deve essere riclassificata all’interno della suddetta riserva indisponibile. Il legislatore avrebbe potuto semplicemente stabilire che era fatto divieto di distribuire dividendi laddove non vi siano riserve disponibili sufficienti a coprire gli utili non distribuibili (come art. 2426 n. 5 relativo all’ iscrizione di oneri pluriennali non ancora ammortizzati); invece ha voluto prevedere l’iscrizione di una specifica riserva per consentire l’esatta individuazione della parte di utili non distribuibili derivanti dal conto economico e la sua modificazione nel corso degli esercizi successivi.

A questo proposito, secondo il disposto del 3° comma dell’articolo, la riserva può nei successivi esercizi o divenire nuovamente disponibile per effetto dell’effettivo realizzo del plusvalore (ad esempio mediante una cessione), o subire una riduzione pari all’importo delle plusvalenze divenute insussistenti per effetto della svalutazione.

Il quarto comma specifica poi che in relazione alla suddetta riserva, oltre alla distribuzione ai soci, sono precluse anche le seguenti operazioni:

- imputazione ad aumento del capitale sociale;

- distribuzione a possessori di azioni correlate (art. 2350, 3°comma c.c.);

- utilizzo come parametro per l’acquisto di azioni proprie (art. 2357, 1° comma c.c.) o di azioni o quote della controllante (art. 2359bis, 1° comma c.c.); per la concessione di

6 Questa disposizione diverge da quella di cui all’art. 2426, comma 1, n. 8-bis c.c. , in quanto questa prescrive che gli eventuali utili su cambi devono essere accantonati in una specifica riserva non distribuibile. Dunque il trattamento degli utili relativi all’ operatività dei cambi è diverso a seconda che si sia soggetti ai principi internazionali o a quelli italiani.

7 Si tratta delle riserve costituite e movimentate sulla base delle valutazioni di cui allo IAS 16 e IAS 38.

(15)

prestiti o garanzie ai dipendenti (art. 2358, 3° comma c.c.); per la partecipazione agli utili di promotori, soci fondatori, amministratori (art. 2432 c.c.).

Il quinto comma infine espressamente stabilisce che “la riserva indisponibile può essere utilizzata per la copertura delle perdite di esercizio solo dopo aver utilizzato le riserve di utili disponibili e la riserva legale”. L’utilità di tale previsione non è unanimemente condivisa in quanto pregiudicherebbe tutto l’impianto costruito a protezione del capitale sociale. Infatti, nonostante la riserva venga posta all’ultimo posto tra quelle cui attingere, e nonostante sia disposto l’obbligo di reintegrarla con gli utili degli esercizi successivi, la previsione fa in sostanza venir meno la tutela dei creditori sociali proprio nel momento più pericoloso, ossia quando la società è in crisi

8

.

Passando ad analizzare l’ art. 7, questo si occupa della disciplina relativa alla “First Time Application”. La norma disciplina i diversi regimi di disponibilità cui sono assoggettati i plusvalori che, in seguito alle operazioni richieste dall’IFRS 1, emergeranno dal patrimonio netto. Invece, quanto agli effetti della FTA sul conto economico, questi restano disciplinati dalle disposizioni di cui all’art. 6.

In sintesi, oltre a riprodurre il disposto di cui all’art. 6, comma 1, lett. b) e la relativa eccezione, l’articolo distingue tre gruppi:

- plusvalori non distribuibili, da iscrivere in apposita riserva indisponibile (art. 7, commi 2 e 7);

- plusvalori distribuibili con regole identiche a quelle fissate dalla legge Visentini sui saldi attivi di rivalutazione monetaria (art. 7, comma 6)

9

;

- plusvalori liberamente distribuibili (art. 7, commi 3, 4, 5).

Dall’esame della norma può evidenziarsi come il legislatore abbia voluto disciplinare con attenzione un aspetto molto delicato del passaggio al sistema IAS/IFRS, evidenziando l’enorme attenzione che ancora viene prestata dal nostro ordinamento alla tutela del capitale sociale. Dunque, almeno sotto il profilo delle intenzioni – meno forse sotto quello del risultato – può senz’altro dirsi che il legislatore si sia preoccupato delle tradizionali esigenze avvertite dal nostro ordinamento.

Le disposizioni descritte in questo paragrafo hanno di fatto dato origine ad un quadro piuttosto complesso della disciplina degli dividendi. Per fare un esempio, basti pensare

8 Poniamo il caso che la riserva da fair value, utilizzata per coprire la perdita, dovesse venir meno per un mutamento del valore di mercato del bene: in tal caso la perdita risulterebbe coperta con un valore che è venuto meno, cioè con niente.

9 Ai sensi di tale disciplina (legge 72/1983), la riserva può esser distribuita solo con l’osservanza dell’ art.

2445, commi 2 e 3; inoltre, se la riserva è utilizzata per coprire delle perdite, non possono distribuirsi utili fin quando essa non sarà reintegrata o ridotta con decisione assembleare.

(16)

al fatto che tale sistema consente la formazione di utili distribuibili fuori dal conto economico, collocati direttamente nello stato patrimoniale: viceversa, nel nostro sistema si è tradizionalmente abituati a rintracciare la quota di utili distribuibili d’esercizio solo nel conto economico, non anche all’interno dello stato patrimoniale. È pertanto evidente come una simile situazione possa pregiudicare la chiarezza del bilancio e come dunque sia necessario per le società predisporre il cosiddetto prospetto di riconciliazione di cui allo IAS 1. Infatti tale documento, come vedremo, partendo dal risultato di conto economico, determina l’ammontare di utili distribuibili, spiegando l’origine di ogni voce computata.

4. La “First Time Application"

Per i legislatori degli Stati membri il passaggio agli IAS/IFRS ha posto, innanzitutto, una serie di problematiche relative all’iscrivibilità e alla valutazione di alcune poste di bilancio, derivanti proprio dalle differenze tra le metodologie previste dai principi contabili nazionali e quelle previste dagli IAS/IFRS.

Nell’intento di fronteggiare tale fase di transizione la Commissione ha adottato il regolamento 707/2004, con il quale il SIC 8 viene sostituito dall’ IFRS 1.

Il documento – di concerto con lo IAS 1 e il Framework

10

– illustra le tecniche contabili da utilizzare nel momento della prima adozione degli IAS/IFRS da parte delle imprese che fino al 2005 hanno redatto conti annuali in base ai principi contabili nazionali: si tratta della cosiddetta FTA (First Time Application).

Nello specifico lo IAS 1 è volto a definire dei criteri che consentano la comparabilità del bilancio IAS/IFRS, tanto con i bilanci precedenti della stessa impresa, quanto con i bilanci di altre imprese; inoltre l’obiettivo è anche quello di presentare “bilanci redatti a scopi generali”

11

, ovvero che soddisfino le esigenze informative di tutti gli utilizzatori

12

. A tal fine il principio indica i documenti che compongono il bilancio – tra i quali assume particolare rilievo il prospetto riepilogativo dei movimenti del patrimonio – e

10 Si tratta del “Framework for the preparation and presentation of financial statement”, un documento approvato nel 1989 dallo IASC e contenente le linee guida per la corretta applicazione dei principi contabili internazionali da parte degli operatori.

11 Vedi IAS 1 par. 2

12 In realtà tra tutti gli stakeholder quelli maggiormente tutelati dal sistema IAS/IFRS sono gli investitori, sia attuali che potenziali. Vedasi p. 43 e ss.

(17)

attribuisce maggiore importanza al principio di “true and fair view”, il cui raggiungimento è presunto per i bilanci conformi agli IAS/IFRS

13

.

Lo stesso scopo è ribadito sostanzialmente anche nel Framework, laddove (paragrafo 12) si afferma che lo scopo è quello di offrire “informazioni in merito alla situazione patrimoniale – finanziaria di un’impresa, utili ad un’ampia serie di utilizzatori nel processo di decisione economica”. In particolare, i principali temi affrontati dal documento sono le cosiddette caratteristiche qualitative (comprensibilità, significatività, attendibilità e comparabilità

14

) e i concetti di patrimonio netto e conservazione dello stesso.

Passando ad analizzare lo IFRS 1, esso impone alle società che passano all’adozione dei principi contabili internazionali di “predisporre uno stato patrimoniale di apertura in conformità agli IAS/IFRS alla data di passaggio agli stessi”.

Ciò vuol dire che nell’esercizio di prima adozione degli IAS/IFRS il bilancio deve esser redatto come se fosse stato sempre redatto in conformità agli stessi, quindi rilevando retroattivamente le rettifiche derivanti dal passaggio ai principi contabili internazionali.

In particolare il documento prescrive che lo stato patrimoniale di apertura sia redatto osservando le seguenti prescrizioni:

1) indicazione di tutte le attività e passività la cui iscrizione è richiesta dagli IAS/IFRS e storno delle voci non riconosciute dai principi come attività o passività;

2) riclassificazione delle poste di bilancio secondo i principi internazionali;

3) valutazione di tutte le attività e passività secondo gli IAS/IFRS.

Le differenze positive o negative conseguenti all’applicazione delle suddette regole devono imputarsi a patrimonio netto

15

.

Da ultimo l’IFRS 1 stabilisce due tipologie di esenzioni:

a) l’esenzione facoltativa dall’applicazione di alcune disposizioni contenute negli IAS/IFRS. Essa riguarda situazioni in cui i costi sostenuti per conformarsi alla regola internazionale potrebbero superare i benefici apportati agli utilizzatori;

13 D’ABRUZZO e PUCCI, Introduzione ai principi contabili internazionali, in Boll. Trib. 2004, 969.

14 Per un’analisi approfondita di tali caratteristiche qualitative e un loro raffronto con i principi nazionali vedasi secondo capitolo, par. 2.2.

15 M. NESSI, Bilancio IAS: principi di redazione e conseguenze per le imprese,in Il fisco 23/2004; G.

D’ABRUZZO e E. PUCCI, Introduzione ai principi contabili internazionali, in Boll. Trib. 2004, 974

(18)

b) l’esenzione obbligatoria dall’applicazione retroattiva di alcuni IAS/IFRS. Essa invece è volta a evitare valutazioni soggettive e retroattive di operazioni che nell’esercizio precedente erano ancora in corso, ma il cui esito ora è noto.

5. I soggetti tutelati

Prima di procedere con l’analisi delle problematiche fiscali appare opportuno un accenno alle diverse esigenze e quindi alle opposte finalità cui sono rivolti i due sistemi, quello italiano e quello comunitario, ciò in virtù della diversa impostazione di base che rende le due discipline così divergenti e incompatibili, in modo da riuscire a capire meglio anche perché il sistema tributario ha riscontrato l’esigenza e la necessità di rivedere parte delle sue norme per adeguarle all’avvento degli IAS/IFRS.

Quanto agli IAS/IFRS, già il Framework approvato nel 1989 esplicita che lo scopo del bilancio è quello di “fornire informazioni sulla situazione patrimoniale, sul risultato economico e sulle variazioni della struttura finanziaria dell’impresa, utili ad un’ampia gamma di utilizzatori per prendere decisioni in campo economico”.

La finalità dei principi internazionali è dunque quella di fornire a tutti i possibili destinatari uno strumento per assumere decisioni consapevoli, ossia sulla base di una chiara, completa e confrontabile rappresentazione del quadro economico – finanziario dell’impresa. Il riferimento è generale, senza alcuna preferenza per un tipo di informazione o per una categoria di stakeholder: difatti lo stesso Framework elenca una serie sostanzialmente omnicomprensiva di soggetti destinatari del bilancio

16

,

16Tra gli utilizzatori dei bilanci vi sono investitori attuali e potenziali, dipendenti, finanziatori, fornitori e altri creditori commerciali, clienti, governi ed enti pubblici e il pubblico in generale. Essi usano il bilancio per soddisfare alcune delle proprie diverse esigenze di informazione. Tra queste si possono citare:

(a) Investitori. Chi fornisce capitale di rischio e i suoi consulenti sono interessati al rischio inerente al loro investimento e al relativo rendimento. Essi necessitano di informazioni che li aiutino a decidere se comprare, mantenere o vendere. Gli azionisti, inoltre, sono interessati a usufruire delle informazioni che li mettano in grado di valutare la capacità dell’impresa di pagare dividendi.

(b) Dipendenti. I dipendenti e i loro gruppi di rappresentanza hanno interesse ad avere informazioni in merito alla stabilità e alla redditività dei loro datori di lavoro. Essi sono, inoltre, interessati alle informazioni sui livelli di remunerazione, sui benefici pensionistici e sulle opportunità di impiego.

(c) Finanziatori. I finanziatori sono interessati alle informazioni che possano metterli in grado di capire se i loro finanziamenti, e i relativi interessi, saranno pagati alle scadenze stabilite.

(d) Fornitori e altri creditori commerciali. I fornitori e gli altri creditori commerciali sono interessati alle informazioni che possono metterli in grado di determinare se gli importi per cui sono creditori saranno pagati alle scadenze stabilite. È probabile che i creditori commerciali siano interessati alle sorti dell’impresa loro debitrice per un periodo più breve dei finanziatori, a meno che essi non siano interessati alla permanenza in vita dell’impresa stessa in quanto questa rappresenta uno dei loro maggiori clienti.

(e) Clienti. I clienti hanno interesse ad acquisire informazioni in merito alla continuità dell’impresa, specialmente quando essi hanno un coinvolgimento di lungo termine o dipendono dalla stessa.

(19)

comprendente sia investitori che dipendenti, sia fornitori che clienti, nonché governi e loro istituzioni.

Tuttavia lo stesso documento specifica una sorta di scala gerarchica tra gli utilizzatori, all’interno della quale vengono collocati al primo posto gli investitori, ossia coloro che forniscono il capitale di rischio all’impresa, perché la loro decisione di continuare o meno a investire in quell’intrapresa economica è considerata meritevole di maggiore tutela rispetto alle altre. Questa tendenza è tipica dei paesi in cui vi è cospicua presenza di società di capitali ad azionariato diffuso (public company) che redigono i propri bilanci rivolgendosi prevalentemente agli investitori, sia attuali che potenziali, fornendo loro informazioni circa il possibile rendimento dei loro investimenti nel breve periodo.

In Italia invece, l’art. 2423 individua la finalità del bilancio nella “rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria, nonché del risultato economico”, laddove per veritiera e corretta non si intende un’informazione utile a fini decisionali, quanto piuttosto un’esposizione prudente del patrimonio e del risultato economico dell’esercizio per tutelare i creditori della società. La suddetta finalità, tipica dei sistemi continentali, trova il suo fondamento nel diverso contesto economico – imprenditoriale, caratterizzato dal prevalere del modello societario a ristretta base azionaria, ossia in cui un “nocciolo duro” di azionisti predomina indiscusso, detenendo la maggioranza del capitale sociale. In tale sistema il ricorso al mercato borsistico è poco sviluppato, perché potrebbe pregiudicare la stabilità dell’assetto proprietario;

sicché si preferisce ricorrere a prestiti e quindi all’indebitamento.

Da ciò nasce l’esigenza di preservare la garanzia patrimoniale per i creditori e fornire loro un quadro prudenziale della situazione patrimoniale ed economica.

(f) Governi ed enti pubblici. I governi e gli enti pubblici sono interessati alla ripartizione delle risorse e, di conseguenza, all’attività delle imprese. Essi necessitano, inoltre, di informazioni per regolamentare l’attività delle imprese, per fissare le politiche fiscali e per avere una base di riferimento nel calcolo del reddito nazionale e in statistiche simili.

(g) Il pubblico. Le imprese influiscono sulle diverse componenti del pubblico in svariati modi. Per esempio, possono offrire un contributo essenziale all’economia locale in molti modi, tra cui il numero di persone che esse impiegano e il loro sostegno ai fornitori locali. Il bilancio può essere d’aiuto al pubblico fornendo informazioni in merito all’andamento e ai recenti sviluppi nello stato di salute dell’impresa e ai campi di attività in cui opera.

(20)

Tabella n. 1 – Finalità del bilancio

MODELLO CONTABILE IASB MODELLO CONTABILE NAZIONALE Framework IASB Art. 2423, secondo comma, c.c.

Finalità del bilancio è di fornire informazioni sulla situazione patrimoniale, sul risultato economico e sulle variazioni nella struttura finanziaria dell’impresa, utili ad una vasta gamma di utilizzatori.

Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico dell’esercizio.

Questo diverso approccio comporta delle opposte scelte di fondo nell’ambito della disciplina contabile: infatti mentre gli investitori sono interessati a informazioni che siano capaci di evidenziare la produttività effettiva dell’azienda e quindi anche il suo potenziale, i creditori preferiscono invece un rendiconto prudenziale, ossia basato su proventi effettivamente realizzati e su valutazioni indifferenti ai valori di mercato.

6. I principi generali di redazione

Per principi generali si intendono i postulati di base, che ispirano tutta la disciplina contabile e che in caso di divergenza prevalgono sempre sulle regole particolari e sugli altri principi.

Per quanto riguarda il sistema IAS/IFRS il quadro dei principi generali è strutturato su

tre livelli (cfr. Tabella n. 2), che vedono al vertice la clausola generale di utilità delle

informazioni per gli utenti, al secondo posto gli assunti fondamentali (basic assumption)

di competenza economica e continuità aziendale, al gradino più basso le cosiddette

caratteristiche qualitative (qualitative characteristcs), a loro volta di primo e secondo

livello.

(21)

Clausola generale

Assunti fondamenti

o di base

Comprensibilità Significatività Attendibilità Comparabilità

Rilevanza Rappresentazione fedele Caratteristiche

qualitative Prevalenza

delle sostanza

informazioni sulla forma

contabili di

1° e 2° livello Prudenza

Neutralità

Completezza Tabella n. 2 – Principi generali di redazione secondo il modello contabile IASB

UTILITÀ DELLE INFORMAZIONI CONTABILI AI FINI DECISIONALI

Continuità aziendale

Competenza economica o impresa in funzionamento

Tabella n. 2 - Principi generali di redazione secondo il modello contabile IASB

Il modello italiano invece prevede due livelli di principi, ossia la clausola generale di cui art. 2423 c.c. e i principi generali di redazione dell’art. 2423-bis c.c. (cfr. Tabella n.

3). Inoltre un’apposita “Commissione per la statuizione dei principi contabili”

17

, ha redatto il principio contabile nazionale n. 11, (modificato nel 2005 dall’O.I.C. in relazione alla riforma di diritto societario di cui al D.lgs. 6/2003) nel quale è elencato un novero di principi generali di redazione che pressappoco coincide con quello previsto dal codice civile.

17 La Commissione per i Principi Contabili, costituita dai Consigli nazionali dei ragionieri e dei dottori commercialisti, si è insediata il 28 luglio 2004 con l'intento di perseguire principalmente due obiettivi:

adottare iniziative di impulso e proposizione durante la fase di statuizione dei Principi Contabili (demandata all'OIC); promuovere e approfondire le diverse tematiche connesse all'interpretazione e alla diffusione dei Principi Contabili.

(22)

Clausola generale art. 2423 c.c.

CHIAREZZA

Valutazione separata degli elementi

eterogenei

Costanza nel tempo nell'applicazione dei

criteri valutativi Tabella n. 3 – Principi generali di redazione secondo il modello contabile nazionale

RAPPRESENTAZIONE VERITIERA E CORRETTA DELLA SITUAZIONE PATRIMONIALE, FINANZIARIA E DEL RISULTATO

ECONOMICO

Principi generali di redazione del

bilancio art. 2423 bis c.c.

Indicazione dei soli utili realizzati Prudenza

Prospettive di continuazione

dell'attività

Funzione economica dell'elemento attivo e passivo considerato

Competenza

economica Considerazione

dei rischi e delle peridte di comptenza dell'esercizio,

anche se conosciute dopo la chiusura dello

stesso

Delle clausole generali si è già detto, dunque spostiamo l’attenzione prima sugli assunti fondamentali e poi sulle caratteristiche qualitative, evidenziando volta per volta le divergenze rispetto ai principi generali italiani.

6.1 Gli assunti fondamentali

Il Framework del 1989 ha fissato due premesse essenziali nell’ambito del sistema contabile elaborato dallo IASB:

 competenza economica

 continuità aziendale.

Dal momento che anche il codice civile prevede tali principi, appare opportuno verificare se i contenuti coincidono.

Quanto alla competenza il Framework specifica che secondo tale principio deve tenersi

conto non solo dei ricavi e dei costi effettivamente percepiti o versati, ma più in

generale di tutti i proventi e gli oneri di competenza dell’ esercizio, purché l’incremento

(23)

o decremento di benefici economici derivante possa esser valutato attendibilmente (paragrafi 92 e 94 del Framework).

Il codice civile prescrive espressamente che deve tenersi conto di proventi e oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento, ma la portata di tale enunciazione è più restrittiva che nel Framework.

Infatti, un altro principio generale specifica che non possono indicarsi utili che non siano stati realizzati alla data di chiusura dell’esercizio, dunque per l’iscrizione in conto economico di un ricavo si richiede che questo sia stato effettivamente percepito mediante un’attività di scambio o comunque di realizzo finale (tendenzialmente, tale momento coincide con la spedizione dei beni o l’esecuzione della prestazione). Diverso è invece il trattamento dei costi che parimenti al Framework vengono iscritti in conto economico anche se “presunti”, ossia sorti nell’esercizio di riferimento ma non ancora pagati.

Questa limitata concezione del principio di competenza crea un’asimmetria di trattamento nell’ambito del sistema nazionale tra costi e ricavi, dando vita a risultati di conto economico piuttosto statici. Nel contesto IAS/IFRS, invece si tiene conto non solo dei costi presunti, ma anche degli utili sperati, ossia quelli derivanti da operazioni che si concluderanno negli esercizi successivi (ad esempio plusvalenze da valutazioni al fair value), fornendo in tal modo un quadro più dinamico della situazione economica dell’impresa.

Quanto alla continuità aziendale, essa è intesa come criterio che impone di effettuare le

valutazioni escludendo ipotesi di cessione o liquidazione dell’azienda, tenendo in

considerazione le possibili evoluzioni della gestione ed i programmi operativi che

vedono coinvolti gli elementi da valutare. Il Framework specifica che per discontinuità

si intende non solo l’interruzione e la liquidazione, ma anche la significativa riduzione

della propria attività, ampliando in tal modo il novero dei casi in cui può derogarsi alla

prospettiva di continuazione dell’attività e agli altri principi ordinari. La dottrina italiana

si è chiesta se anche nel nostro sistema possa ritenersi tale la valenza del concetto

continuità ed alcuni autori hanno sottolineato come qualora vi sia un radicale

cambiamento delle prospettive ipotizzate non abbia senso mantenere la stessa

metodologia valutativa iniziale e quindi di come l’accezione data dal Framework sia per

certi versi compatibile anche con l’impianto contabile nazionale.

(24)

6.2 Le caratteristiche qualitative

Le caratteristiche qualitative costituiscono le modalità applicative della clausola generale di utilità delle informazioni, sicché nella pratica il loro rispetto dovrebbe garantire la redazione di un’informazione contabile utile per le decisioni degli stakeholder. Il Framework prevede quattro caratteristiche di primo livello, due delle quali, a loro volta, specificano ulteriori caratteristiche dette di secondo livello (cfr.

Tabella n. 2).

1) Comprensibilità

A mente di tale caratteristica, il bilancio deve esser redatto in modo da risultare prontamente comprensibile agli utilizzatori, laddove con il termine utilizzatori si fa riferimento a soggetti aventi una cultura contabile medio – alta.

Dunque il contenuto del principio è nel senso di richiedere non un bilancio elementare o eccessivamente esplicativo di ogni voce, ma un rendiconto che sia facilmente intelligibile per lettori esperti. Il codice civile prevede come principio speculare quello di chiarezza, inserito nell’articolo 2423 c.c. insieme a quello di rappresentazione veritiera e corretta

18

.

Il contenuto dei due principi di chiarezza e comprensibilità è pressappoco coincidente

19

, ma l’effettiva incidenza pratica è diversa in quanto diverso è il contesto in cui sono collocati. Mentre in un bilancio redatto secondo le prescrizioni del codice civile un simile criterio è volto a verificare una corretta applicazione delle regole stringenti imposte, nel caso del bilancio IAS/IFRS (in cui invece non vi sono schemi rigidi e obbligatori e le regole valutative lasciano largo spazio alla discrezionalità dei redattori) il criterio di comprensibilità costituisce un’importante clausola di salvaguardia che consente di frenare eventuali abusi da parte degli amministratori

20

.

2) Significatività

18 Il principio contabile nazionale n. 11 indica invece testualmente il criterio di comprensibilità, ma la valenza è la stessa del principio di chiarezza di cui al c.c..

19 Infatti anche nel nostro sistema si è da tempo consolidata la tendenza a misurare la chiarezza di un bilancio svincolando gli amministratori da eccessive pretese, e ciò sulla base della considerazione che il bilancio è destinato a lettori in possesso di una cultura ragionieristica di medio livello, e di medio-alto nel caso di bilancio di una società quotata.

20In particolare tale principio sta alla base della necessità di indicare nei prospetti aggiuntivi, soprattutto la nota integrativa, tutte quelle informazioni che sono omesse o comunque trascurate nella compilazione degli schemi di stato patrimoniale e conto economico e la cui completa ignoranza potrebbe pregiudicare un informazione comprensibile, e quindi utile, per gli stakeholder.

(25)

Sempre in relazione alle esigenze informative degli utilizzatori, la seconda caratteristica qualitativa indicata dallo IASB è la significatività. Il principio impone la doverosa indicazione di tutti i dati e le informazioni connotate dalla capacità di influenzare una decisione economica, ossia di tutte quelle valutazioni che aiutano a comprendere meglio gli eventi che incidono sull’andamento economico dell’impresa.

Tale criterio porta con se anche una caratteristica qualitativa di secondo livello, ossia la rilevanza, la quale specifica il concetto di significatività ponendosi come limite sia qualitativo (natura dell’informazione) che quantitativo (margine entro cui un dato può omettersi o considerarsi erroneamente), entro il quale un’informazione può ritenersi significativa.

Nel nostro ordinamento il codice civile non include il criterio significatività tra i principi di cui all’art. 2423-bis ma lo utilizza solo come parametro di riferimento per l’indicazione di alcune informazioni in nota integrativa ( art. 2427 n. 6-bis e 10, c.c.).

Inoltre, sebbene il principio contabile n. 11 faccia esplicito riferimento a entrambi i concetti di significatività e rilevanza, la prassi contabile tende a darvi poco rilievo.

Questa indifferenza da parte del nostro ordinamento deriva dal fatto che un sistema contabile rigido e dai connotati prevalentemente formalistici lascia ben poco spazio a valutazioni e operazioni orientate alla sostanza e quindi anche all’utilizzo di criteri flessibili e plasmabili, quale il principio di significatività.

3) Attendibilità

Si tratta del principio probabilmente più complesso e rilevante nell’ambito del sistema IAS/IFRS, pertanto lo IASB si è premurato di redigerlo in modo più approfondito, mediante la previsione delle seguenti sottocaratteristiche:

1) Presentazione fedele. Il principio impone l’utilizzo di un modus operandi scevro da valutazioni incoerenti rispetto ai fatti aziendali: evidente la sua affinità col principio di rappresentazione veritiera e corretta previsto dall’art. 2423 c.c. .

D'altronde sebbene il sistema IAS/IFRS e quello nazionale siano orientati verso finalità diverse, comunque il punto di partenza non può che essere lo stesso, ossia quello di originare dagli eventi che hanno riguardato l’impresa e rappresentarli in modo idoneo e conforme alla realtà materiale.

4) Neutralità

(26)

Nell’ambito del Framework il principio è diretto a vietare un uso “speculativo” del bilancio da parte degli amministratori, ossia un utilizzo dell’informazione contabile al fine di indurre il pubblico dei investitori verso determinate decisioni economiche.

La finalità anti – abuso, perseguita nel contesto IAS/IFRS, non è invece propria anche del modello contabile nazionale: il codice civile neanche prevede il principio di neutralità mentre il principio n. 11 lo indica in funzione di imparzialità e indipendenza delle regole contabili verso tutti i destinatari del bilancio. In realtà si è già evidenziato come l’impianto contabile nazionale sia fortemente orientato verso la tutela dei creditori, dunque come il principio sia una mera previsione di circostanza, privo di effettiva percettività

21

.

5) Prudenza

Nell’ambito dei principi contabili internazionali tale criterio viene relegato in una situazione marginale. Infatti oltre ad esser collocato tra le caratteristiche qualitative di secondo livello, sotto il profilo contenutistico esso si risolve nella semplice richiesta di cautela durante l’elaborazione di valutazioni problematiche, al fine di evitare il sovrapprezzamento dei ricavi o la sottostima delle perdite. Dunque gli IAS/IFRS definiscono la prudenza come un mera regola generale di condotta, senza indicarne alcuna implicazione pratica nella redazione del bilancio.

Situazione opposta si presenta nel nostro sistema: la prudenza, posta al vertice dei principi di redazione di cui all’ art. 2423 c.c., costituisce uno dei principi cardine della disciplina contabile e, di fatto, influenza l’intero sistema delle regole di redazione. Tale atteggiamento prudenziale si esplicita anzitutto nella restrittiva concezione del principio di competenza economica che, come detto prima, impone l’iscrizione di perdite anche solo “probabili” ma non consente la contabilizzazione degli utili solo “sperati”. Inoltre, l’impostazione prudenziale si riflette anche nelle disposizioni di cui all’ art. 2426 c.c., ossia nelle singole regole di valutazione: a riguardo si può menzionare la disciplina prevista per le “attività circolanti” – ossia le rimanenze, i titoli e le partecipazioni che non costituiscono immobilizzazioni – in relazione alle quali il fair value entra nel procedimento di valutazione solo se minore del costo storico; o ancora alla disposizione sulle “immobilizzazioni” che ne impone la contabilizzazione solo al costo storico,

21 FONDAZIONE LUCA PACIOLI, Quadro sistematico per la preparazione e presentazione del bilancio.

Finalità, destinatari, principi di redazione ed elementi di struttura di un bilancio IAS, Roma, 2003, 4.

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