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Appalti verdi: gli interessi ambientali nell'esecuzione dei contratti pubblici

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Academic year: 2021

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Classe accademica di Scienze Sociali Settore di Scienze Giuridiche

Diploma di licenza

APPALTI VERDI: GLI INTERESSI AMBIENTALI NELL'ESECUZIONE DEI

CONTRATTI PUBBLICI

Relatore Tutor

Chiar.ma Prof.ssa Emanuela Navarretta Chiar.mo Prof. Emanuele Rossi

Università di Pisa Scuola Superiore Sant’Anna

Candidata

Elisa Stracqualursi

Allieva ordinaria

Anno Accademico 2016/2017

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1.   Introduzione. 5   2.   Il valore ‘ambiente’ nel codice degli appalti: la matrice comunitaria e

quella nazionale. 10  

2.1.   Il principio di integrazione e il Green Public Procurement. 10  

2.2.   Gli appalti di lavori, servizi e forniture e le diverse possibilità di integrare

le considerazioni di carattere ambientale. 12  

2.3.   La conferma costituzionale dei principi ambientali. 15   2.3.1.   La libertà di scelta dell’Amministrazione e l’oggetto del contratto d’appalto. 22  

3.   I limiti all’integrazione nell’esecuzione degli appalti. 26  

3.1.   Interessi pubblici, istituti di diritto privato. 26  

3.2.   Il principio di concorrenza nella fase di esecuzione del contratto. 32  

3.3.   Le variabili ambientali nell’esecuzione dell’appalto pubblico. 34  

3.4.   L’interpretazione e l’equilibrio tra le diverse istanze. 36  

3.4.1.   Causa del contratto, ius variandi e par condicio. 38  

4.   Il principio del legittimo affidamento. 41  

4.1.   L’utilizzo della categoria civilistica nel rapporto tra Amministrazione e

cittadino. 41  

4.2.   Conclusioni: l’affidamento come criterio. 46  

5.   Bibliografia 49  

 

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1. Introduzione.

La sensibilità europea per i temi ambientali e l’impulso delle direttive 23/2014, sulle concessioni, e 24/2014, sugli appalti, hanno spinto il legislatore nazionale ad avviare un processo di integrazione degli interessi di sviluppo sostenibile e tutela degli ecosistemi, all’interno delle politiche di regolazione della contrattazione pubblica.

Il dialogo tra la Corte di Giustizia, il legislatore nazionale e quello europeo è stato guardato con interesse da parte della dottrina nazionale, soprattutto a seguito della modifica al Codice degli Appalti ad opera del d.lgs 19 aprile 2017, n. 56, che ha reso obbligatorio per le stazioni appaltanti il rispetto di criteri ambientali minimi in tutte le gare. Vero è che non sono state previste sanzioni sul punto, tuttavia in giurisprudenza si registrano alcuni casi in cui le aggiudicazioni sono state vittoriosamente impugnate da chi aveva quei requisiti ambientali minimi1. L’entusiasmo dei primi commentatori lascia, tuttavia, qualche perplessità: fin dalla storica sentenza Concordia Bus Finland del 17 settembre 2002, la Corte di Giustizia aveva avvertito che il coordinamento a livello comunitario delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici era diretto, in primo luogo, all’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione dei servizi e delle merci2. Le esigenze di tutela dell’ambiente, perciò, dovranno essere correttamente integrate all’interno delle politiche di concorrenza per il mercato e di par condicio tra imprenditori: di conseguenza, la presenza di principi e tendenze a livello generale non potrà essere interpretata come se legittimasse una deroga incondizionata al divieto di discriminazione.

Del resto, la necessità di utilizzare le regole di evidenza pubblica è legata, in primo luogo, al rischio che la Pubblica Amministrazione – che non agisce per scopi di lucro – sia influenzata nelle proprie scelte dalla nazionalità o da logiche clientelari, piuttosto che da spinte efficientiste e di concorrenza. Tale necessità

                                                                                                               

1 A titolo di esempio, si può richiamare una recente sentenza del T.A.R. Campania Salerno Sez.

I, Sent., 6.7.2018, n. 1048.

2 CG, sentenza 17 settembre 2002, causa C- 513/99, Concordia Bus Finland, punto 56. Cfr

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permane, allora, anche quando la stazione appaltante costruisce un bando di gara perseguendo obiettivi sociali o di innovazione: si manifesta, difatti, ogni volta che la PA fornisce una possibilità di guadagno anche indiretta. Le due esigenze possono, semmai, contemperarsi nelle forme del partenariato per l’innovazione e nel dialogo competitivo, che se, da una parte, consentono di tener fede alle esigenze di par condicio, dall’altra, garantiscono flessibilità in fase di individuazione delle soluzioni, non solo per la progettazione dell’opera principale, ma anche per l’esecuzione della stessa in forma eco-compatibile.

Una volta avvenuta l’aggiudicazione, l’interesse delle imprese non aggiudicatarie al rispetto del principio di concorrenza non viene meno: per questo i principi in materia ambientale non possono imporsi liberamente neppure in sede di esecuzione del contratto. Non convincono, pertanto, le osservazioni di chi crede di poter intravedere nei contratti verdi una «nuova stagione del contratto» in cui «l’analisi “ecologica” del diritto contrattuale consente di cogliere che la nozione stessa di contratto (art. 1321 c.c.) è insufficiente, se non integrata dai principi di solidarietà e sostenibilità nell’uso responsabile delle risorse naturali»3. Né possono condividersi senza difficoltà le riflessioni di chi ritiene che certi principi della legislazione ambientale «in virtù della loro eccedenza assiologica, abbiano un’efficienza ultrattiva», che – in sede di interpretazione del contratto d’appalto – permette di scegliere tra due significati possibili, ex art 1367, «quello che assicura un effetto ecologico più virtuoso»4.

Si vedrà che di centrale importanza è il concetto di ‘costo’ dell’opera, di portata più ampia di quello di ‘prezzo’ più basso, dal momento che per la sua determinazione - secondo un «approccio costo/efficacia»5 - devono essere tenuti in considerazione anche tutti i costi correlati al ciclo di vita del prodotto, dalla sua acquisizione al suo smantellamento, affinché lo sviluppo economico possa

                                                                                                               

3 M. PENNASILICO, Le categorie del diritto civile tra metodo e storia (a proposito del libro di Nicola Lipari),

in Riv. Dir. Civ., 2016, p. 1246 e anche ID., Contratto e uso responsabile delle risorse naturali, in Rass.

d. civ., 2014, p. 768; ID., Sviluppo sostenibile, legalità costituzionale e analisi "ecologica" del contratto, in ID. (a cura di), Manuale di diritto civile dell'ambiente, Napoli 2014, p. 161 ss.

4 S. PAGLIANTINI, Sul c.d. contratto ecologico, in NGCC, 2016, p. 20337, il quale riconosce ai

principi in materia ambientale un vero substrato al contratto d’appalto tra privati ed una possibile concretizzazione della buona fede in executivis (art. 1375 c.c.).

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risultare sostenibile anche per le future generazioni. Se, allora, possono incidere sul valore di un’offerta anche fattori non meramente economici, ciò non toglie che questi ultimi debbano essere oggettivi, verificabili e non discriminatori, non solo al fine di garantire il rispetto della par condicio tra gli imprenditori in sede di aggiudicazione, ma anche per evitare che l’impresa aggiudicataria si trovi ad affrontare costi non previsti.

Interpretare una clausola ambigua in chiave eco-sostenibile ha, inevitabilmente, delle ricadute in termini di costi e se in un rapporto contrattuale tra privati un nuovo accordo, frutto di una rinegoziazione, è in grado di superare l’iniziale pattuizione anche per il corrispettivo, lo stesso non vale quando il contratto nasce a seguito di un procedimento amministrativo. Secondo la legge di contabilità dello Stato del 1923, la fase pubblicistica che precedeva la stipulazione del contratto era finalizzata alla sola tutela degli interessi della Pubblica Amministrazione: consentiva, in sostanza, di stipulare il contratto migliore alle migliori condizioni per lo Stato e l’interesse dei contraenti era solo indirettamente tutelato, dipendendo dall’esistenza di una lesione per gli interessi dell’Amministrazione. L’introduzione degli art. 81 e ss. del Trattato della Comunità Europea (oggi 101 TFUE), ispirati alla tutela della concorrenza, del mercato unico economico, della libertà e della non discriminazione, hanno imposto un nuovo punto di vista: l’attuazione delle libertà fondamentali diventa l’obiettivo finale, ma rimarrebbe virtuale se vi fossero discriminazioni; la libertà, infatti, è garantita al massimo livello quando il mercato è concorrenziale, tuttavia, nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, che rischia di essere influenzata da dinamiche clientelari e nazionaliste, tale concorrenza si raggiunge obbligando la PA a seguire una procedura pubblica e comparativa, basata su criteri chiari e controllabili. Se, allora, a seguito dell’interpretazione di alcune clausole in chiave eco-sostenibile il costo aumenta, i primi ad essere lesi sarebbero quei concorrenti non aggiudicatari e che potevano offrire tali opzioni ad un costo più contenuto o con un risultato qualitativamente migliore.

Una siffatta interpretazione colpirebbe anche l’aggiudicataria, a fronte dell’inaspettato aumento del costo dell’opera. Al fine di comprendere nella sua

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complessità quest’ultima affermazione, occorre, tuttavia, una precisazione: il contratto d’appalto pubblico può essere inquadrato all’interno del transtipo dei contratti relazionali, che realizzano operazioni di lunga durata, tecnicamente complesse ed economicamente impegnative, operazioni – cioè – che una volta avviate sono difficilmente reversibili. Tali contratti implicano una relazione molto intensa tra le parti che impegnano ingenti risorse su quel rapporto, si organizzano e sono, quindi, condizionate dall’esistenza di tale rapporto. Tuttavia, un limite alla resilienza e all’adattabilità del contratto d’appalto è segnato dai principi comunitari di trasparenza e concorrenza: la modificabilità incondizionata del contenuto del contratto, infatti, darebbe vita ad una surrettizia elusione delle regole dell’evidenza pubblica e renderebbe diffidente il mercato, dal momento che l’offerta risultata migliore potrebbe comunque essere soggetta a modifiche, a seconda delle esigenze sociali che la Pubblica Amministrazione decide di perseguire, perdendo così di affidabilità rispetto al capitale e ai mezzi da investire. A questo proposito, in caso di sopravvenienze, il legislatore ha predisposto una disciplina specifica che regola lo ius variandi e le riserve: nel primo caso, la normativa mira a equilibrare l’interesse della Pubblica Amministrazione al mantenimento dell’utilità dell’opera e quello dell’impresa alla previsione dei costi a cui dovrà far fronte per l’adempimento del contratto, al contempo limitando le possibili modifiche, affinché non vengano lesi gli interessi delle altre imprese che avrebbero potuto presentare offerte competitive; nel secondo caso, la normativa ha predisposto una rigida procedimentalizzazione nell’iscrizione delle riserve, da seguire a pena di decadenza, per alcune richieste di danni o contabili: la riserva investe ogni pretesa di carattere economico che l’esecutore dei lavori intende avanzare nei confronti della P.A. committente, che possono dipendere tanto da contestazioni sull’esattezza delle registrazioni contabili, quanto da una condotta scorretta della stazione appaltante o da fattori imprevedibili, ma comunque pregiudizievoli per l’appaltatore.

Un’interpretazione basata su parametri di sostenibilità potrebbe risultare elusiva rispetto al sistema procedimentalizzato che si è brevemente descritto, giacché in

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corso d’opera l’Amministrazione potrebbe variare l’interpretazione di alcune clausole, anche al di là dei limiti imposti dall’art. 109, d.lgs. 50/2016.

I dubbi di compatibilità con la normativa speciale si pongono in modo ancora più evidente accogliendo l’idea secondo la quale il valore ‘ambiente’ funge da concretizzazione della bona fides in executivis: è vero che l’avanzamento tecnologico determina una rapida obsolescenza, ma ciò giustifica al più la possibilità che non vengano individuati nel bando di gara le tecniche specifiche per ottenere determinati risultati; la loro individuazione non potrà che muoversi entro margini ristretti, a garanzia dell’aggiudicatario, delle imprese non aggiudicatarie e, più in generale, dell’affidabilità da parte del mercato.

Gli spazi per il valore ‘ambiente’ ed i principi che ne derivano, in un ambito normativo altamente procedimentalizzato, saranno – in sostanza – ristretti e sarà utile, allora, analizzarne i confini.

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2. Il valore ‘ambiente’ nel codice degli appalti: la matrice comunitaria e quella nazionale.

2.1. Il principio di integrazione e il Green Public Procurement.

Nel 2003 la Commissione europea, in una comunicazione al Consiglio e al Parlamento, individuava un nuovo indirizzo per il raggiungimento degli obiettivi di protezione dell’ambiente e degli ecosistemi: fino a quel momento, «le politiche ambientali di prodotto [avevano] avuto la tendenza a concentrarsi sulle grandi fonti di inquinamento puntuali, come le emissioni industriali o i problemi relativi alla gestione dei rifiuti […] ma [era] ormai evidente la necessità di adottare una politica che prenda in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto, compresa la fase dell’utilizzazione. Ciò dovrebbe assicurare che gli impatti ambientali generati lungo l’intero ciclo di vita (del prodotto) siano affrontati in modo integrato, e non semplicemente trasferiti da una fase all’altra del ciclo»6.

Si apre, insomma, una nuova linea di sviluppo, che trova il proprio fondamento nella progressiva evoluzione della Comunità Europea, che - nata come comunità economica – era diventata ben presto una comunità politica, attenta anche alle questioni sociali ed ambientali. Se ne trova conferma nell’art. 3. par. 3 del Trattato sull’Unione Europea, laddove si precisa che «l’Unione si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente».

Le esigenze economiche non sono più, dunque, l’unico obiettivo dell’Unione che, anzi, a partire dal Trattato di Amsterdam del 1997, favorì uno sviluppo equilibrato ed integrato delle politiche comunitarie: più in particolare, sancendo il principio di integrazione che comporta l’obbligo di bilanciare e contemperare gli interessi ambientali e sociali integrandoli all’interno delle politiche economiche, l’Unione ha individuato un contenuto – il mercato e le esigenze sociali – e un

                                                                                                               

6 Comunicazione 2003 – 302 della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo

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metodo – l’integrazione. Si conferma, è vero, una visione prettamente economicistica, ma al contempo, si accetta che «la crescita economica e il mantenimento di un livello accettabile di qualità ambientale non [siano] necessariamente in contraddizione»7.

L’art. 11 TFUE ripropone, oggi, questa visione, precisando che «le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile» e il considerando 91 della dir. 2014/24 lo richiama espressamente, recependo anche per la contrattazione pubblica il principio dell’integrazione: piuttosto che perseguire autonome politiche che corrono in parallelo, i singoli indirizzi vengono integrati in macro-discipline, come quella della contrattazione pubblica, in cui la tutela dell’ambiente funge da principio cardine dell’attività amministrativa, senza che questa sia confinata a specifici “appalti verdi”, ma «influenza l’attività generale dell’amministrazione (anche) nel settore di riferimento»8.

Per capire come operi il principio di integrazione in materia di contratti pubblici, in relazione a due imperativi in apparenza inconciliabili – la tutela del valore ‘ambiente’ e la crescita capitalistica – è opportuno fornire una prima definizione dell’approccio noto a livello comunitario come “Green Public Procurement”9: attraverso questo sistema il legislatore comunitario e poi quello nazionale

                                                                                                               

7 Comunicazione 2001 – 274 della Commissione Europea al Consiglio e al Parlamento europeo

“Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti pubblici”.

8 G. FIDONE,F.METALUNI, Gli appalti verdi nel codice dei contratti pubblici, in Riv. quadr. dir. amb.,

2016, p. 39.

9 Già nel sommario del Libro Verde “Gli appalti pubblici nell’Unione Europea. Spunti di

riflessione per il futuro” del 1996, su proposta del Commissario Monti si chiariva che “generare una crescita sostenuta a lungo termine, creare occupazione, favorire lo sviluppo di imprese in grado di sfruttare le opportunità offerte dal mercato interato più vasto del mondo e sostenere efficacemente la concorrenza sui mercati globali, consentire ai contribuenti e agli utenti di fruire dei servizi pubblici di migliore qualità a minor costo: sono questi gli obiettivi del mercato unico per il raggiungimento dei quali l’attuazione di una politica efficace in materia di appalti pubblici si rivela di importanza fondamentale». Al punto VI, si precisava, quindi, più chiaramente che «la politica di protezione dell’ambiente è diventata una delle politiche più importanti a livello comunitario» e che «le esigenze in materia di protezione ambientale devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle altre politiche comunitarie».

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intesero offrire alla Pubblica Amministrazione «sia nella veste di committente, che di utente, la facoltà di internalizzare costi e benefici ambientali nei contratti pubblici»10, in modo tale che le stazioni appaltanti siano in grado di orientare l’intero mercato nello sviluppo di soluzioni ecocompatibili.

Il soggetto pubblico, senza alterare l’assetto concorrenziale del mercato di riferimento, integra – in sostanza - i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo aziendale.

2.2. Gli appalti di lavori, servizi e forniture e le diverse possibilità di integrare le considerazioni di carattere ambientale.

Negli appalti di lavori, anche la progettazione e l’esecuzione degli stessi possono essere oggetto di integrazione: la fase della progettazione è, anzi, quella che offre alle stazioni appaltanti le maggiori opportunità per tener conto delle esigenze ambientali. Per promuovere la conoscenza e lo sviluppo degli appalti verdi, del resto, è fondamentale la creazione di un’efficace collaborazione tra Pubbliche Amministrazioni, imprese ed enti di ricerca e questa può realizzarsi, per esempio, attraverso l’utilizzo di procedure innovative, previste nel Codice dei Contratti Pubblici, come il partenariato per l’innovazione o il dialogo competitivo. In tal modo, gli operatori economici hanno la possibilità di proporre risposte maggiormente efficaci che permettono di migliorare il funzionamento del sistema degli appalti pubblici e sostenere la transizione verso un sistema di appalti efficace11.

Il partenariato per l’innovazione consente alle autorità pubbliche di indire bandi di gara per risolvere un problema puntuale per il quale non esiste sul mercato una soluzione già disponibile, senza la necessità di individuare il modo per

                                                                                                               

10 G. FAILLA, Green Public Procurement: appalti verdi nel Lazio, in Appalti e contratti, 2010, p. 44. 11 Il partenariato dovrebbe coinvolgere non solo le autorità nazionali, regionali e locali, ma

anche la Commissione europea, le imprese e le altri parti interessate, secondo la Comunicazione 2017- 572 della Commissione “appalti pubblici efficaci in Europa e per l’Europa”.

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risolverlo, ma lasciando alle autorità pubbliche e all’offerente lo spazio per trovare insieme soluzioni innovative12.

Il dialogo competitivo13 è, in estrema sintesi, una procedura competitiva alla quale qualsiasi operatore economico può chiedere di partecipare, in risposta ad un bando di gara o ad un avviso che indichi le esigenze e i requisiti richiesti. Le stazioni appaltanti avviano, quindi, con i partecipanti selezionati un dialogo finalizzato all’individuazione e alla definizione dei mezzi più idonei per soddisfare le necessità pubbliche. L’art. 64, d.lgs 50/2016 precisa, al 5° comma, che «nella fase del dialogo possono discutere con i partecipanti selezionati tutti gli aspetti dell’appalto»: del resto, è proprio nella fase di progettazione che emergono le migliori possibilità per l’ingresso dei valori ambientali all’interno delle singole fasi dei contratti pubblici14, tanto più se la soluzione è condivisa con le imprese private coinvolte.

L’introduzione di innovazioni tecnologiche e manageriali, per l’implementazione di esigenze sociali e ambientali, trova spazio non solo in fase di progettazione, ma anche in fase di esecuzione dei lavori, come pure nella predisposizione di determinate modalità di esecuzione degli appalti di servizi: le stazioni appaltanti possono, ad esempio, prescrivere un metodo specifico di pulizia degli edifici che preveda l’uso di prodotti meno tossici per l’ambiente oppure possono optare per l’utilizzo di autobus elettrici per i servizi di trasporto pubblico15.

Negli appalti di forniture, le possibilità di tener conto dei criteri ambientali non sono così ampie come per gli appalti di lavori e servizi: questa tipologia di appalti riguarda, in genere, l’acquisto di prodotti finali, pertanto l’influenza – seppure molto importante – è incentrata solamente sulla scelta di base dell’oggetto dell’appalto.

                                                                                                                12 Art. 65, d.lgs 50/2016.

13 Art. 64, d.lgs 50/2016.

14 Tanto che l’art. 101 TFUE, vietati gli accordi tra imprese che pregiudicano il commercio tra

Stati membri e la concorrenza all’interno del mercato, al 3° comma fa salvi quegli accordi e quelle pratiche concordate che contribuiscono a migliorare la produzione e la distribuzione dei prodotti o che promuovono il progresso tecnico o economico.

15 È la vicenda alla base della nota decisione Concordia Bus Finland del 2002, nella quale la

Corte di Giustizia riconobbe l’utilizzabilità di criteri ecologici per l’aggiudicazione di un contratto d’appalto, purché collegati all’oggetto, trasparenti e proporzionati.

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La tipologia di appalto determina, in sostanza, l’influenza delle considerazioni ambientali all’interno del contratto: mentre negli appalti di lavori l’integrazione è massima e copre la fase di progettazione, quella di selezione e quella di esecuzione, negli appalti di forniture è minima, potendo influire solamente sulla definizione dell’oggetto; negli appalti di servizi, invece, le clausole verdi trovano un’importante forma di integrazione nell’esecuzione, che – si vedrà – presenta al contempo delicate esigenze di bilanciamento con l’affidamento maturato in capo al privato aggiudicatario.

Nonostante le differenze, resta valida l’affermazione fatta propria dalla Strategia “Europa 2020”, secondo cui «gli appalti pubblici svolgono un ruolo fondamentale […] giacché costituiscono uno degli strumenti basati sul mercato necessari alla realizzazione dei suoi obiettivi. In particolare, la Strategia Europa 2020 punta sugli appalti pubblici per […] favorire la transizione verso un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio, ad esempio promuovendo un più ampio ricorso agli appalti pubblici “verdi”»16. Del resto, un uso più sostenibile delle risorse naturali non va solo a vantaggio dell’ambiente, ma anche dell’economia in generale, fornendo occasioni vantaggiose alle economie “verdi” emergenti: se i contratti pubblici aumentano la domanda di beni a basso impatto ambientale, le imprese saranno incentivate a introdurre innovazioni tecnologiche e gestionali in grado di produrre tali beni a costi più bassi; «si metterebbe così in moto un circolo virtuoso poiché le imprese che producono i beni con alto impatto ambientale, vendendo meno e perdendo quote di mercato a favore delle imprese verdi a mano a mano che queste riescono a ridurre i costi di produzione, abbandonano un po' alla volta quei mercati per convertirsi alla realizzazione dei beni a più basso impatto ambientale»17.

                                                                                                               

16 Comunicazione della Commissione, 3 marzo 2010, Europa 2020. Una strategia per una

crescita

intelligente, sostenibile e inclusiva, COM(2010) 2020 def.

17 G. BELLOMO, Il Green Public Procurement nell'ordinamento multilivello ambientale, in Diritto

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2.3. La conferma costituzionale dei principi ambientali.

Nell’ordinamento italiano, le esigenze di tutela ambientale trovano un riscontro sul piano costituzionale.

In primo luogo, gli artt. 11 e. 117 Cost ammettono l’ingresso dei principi europei all’interno del tessuto ordinamentale.

Anche l’interpretazione evolutiva di alcune disposizioni permette di includere lo sviluppo sostenibile tra i beni che ricevono copertura costituzionale. Si vedrà, per esempio, che il concetto elastico di “utilità sociale” a cui fa riferimento l’art. 41 cost si adatta perfettamente a ricomprendere la tutela dell’ambiente18. Il fondamento è l’idea di solidarietà ai sensi dell’art. 2 Cost, che viene colorata di verde grazie anche alle influenze dell’art. 9 Cost.

Il testo originario della Costituzione non menzionava il termine ambiente, né conteneva disposizioni destinate a proteggere l’ecosistema. Ciò nonostante, la Corte Costituzionale aveva riconosciuto la rilevanza accordata dalla Costituzione alla salvaguardia della salute dell’uomo (art. 32 Cost.) e alla protezione dell’ambiente in cui vive (art. 9 Cost.) quali valori costituzionali primari e riconducibili ad unità. Emerse, insomma, la consapevolezza che l’ambiente costituiva un bene a varie componenti, «ciascuna delle quali [poteva] anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell’insieme, [erano] riconducibili ad unità»19, giacché – nonostante potesse essere fruibile in varie forme e fosse oggetto di diverse tutele – ciò non intaccava «la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l’ordinamento prende in

                                                                                                               

18 Questa lettura è stata data dalla Corte costituzionale, che ha collegato al concetto di “utilità

sociale” gli interessi fondati nell’art. 9 Cost., «che impegnano la Repubblica ad assicurare, tra l’altro, la tutela del patrimonio

culturale nazionale e dell’ambiente, ad assecondare la formazione culturale dei cittadini e ad arricchire quella esistente, a realizzare il progresso spirituale e ad acuire la sensibilità dei cittadini come persone» (Corte cost. 30 luglio 1992, n. 388).

Cfr anche R. BIFULCO- A. D’ALOIA, Le generazioni future come nuovo paradigma del diritto

costituzionale, in ID. (a cura di), Un diritto per il futuro. Teorie e modelli dello sviluppo sostenibile e della responsabilità intergenerazionale, Napoli, 2008, p. XXVI. e V.PEPE, Riforma dell’art. 41 della Costituzione per uno sviluppo sostenibile: la sostenibilità come etica pubblica, in Italia forest. mont., n. 1,

2012, p. 53.

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considerazione»20, stimolato dalla realtà e delle novità tecnologiche. L’art. 2 Cost. si apre, del resto, ad una lettura semi-aperta, che pur non abbracciando qualsivoglia diritto, nemmeno può rimanere cristallizzata alle esigenze di tutela del 194821.

Con la riforma del Titolo V, è entrata in Costituzione la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema” che, ai sensi dell’art. 117, 2° comma, lettera s), è di competenza esclusiva dello Stato. A questa si accompagnano numerosi interessi legati all’ambiente che fanno capo alla competenza legislativa regionale.

Nonostante non sia stato oggetto di una specifica tutela, ma di un mero riparto di competenze, tanto basta per confermare la rilevanza dell’ambiente quale valore costituzionale primario, in linea con la tendenza avviata qualche anno prima in Europa.

Se l’art. 2 Cost e l’art. 9 Cost possono essere posti a fondamento della copertura costituzionale, è nell’art. 41 Cost che la tutela feconda: il concetto di “utilità sociale”, con la sua indeterminatezza, consente – del resto – un adattamento alle «nuove frontiere dello sviluppo sostenibile»22.

Anche la tutela ambientale contribuisce, dunque, alla relativizzazione dell’iniziativa economica: quest’ultima non può essere raffigurata solo come una situazione giuridica di potere, essendo connotata da possibili obblighi che il legislatore può introdurre, limitando un diritto non più ritenuto assoluto per sua stessa natura.

Già dall’interpretazione letterale dell’art. 41 Cost. si desume l’assenza di una valenza esclusivamente egoistica della libertà di iniziativa economica. L’utilità sociale segna, in sostanza, la volontà della Costituzione di innovare la sistematica

                                                                                                                20 Corte Cost., 13 dicembre 1987, n. 641.

21 Richiama il dibattito tra la dottrina civilistica, fautrice di una lettura aperta della norma, e

quella costituzionalista, più propensa ad una concezione chiusa, E. NAVARRETTA, Diritto civile e diritto costituzionale, in Riv. dir. civ., 2012, p. 656, che testimonia un progressivo avvicinamento

delle due posizioni, giacché le due correnti di pensiero concordano sul fatto che lo stimolo tratto dalla realtà per una progressiva espansione dell’ambito di applicazione dell’art. 2 Cost. deve comunque confrontarsi «con altri diritti inviolabili già riconosciuti e con il valore cardinale della dignità umana».

22 M. PENNASILICO, Contratto ecologico e conformazione dell’autonomia negoziale, in Riv. Quad. Dir.

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dell’autonomia privata: ove si colleghi tale obiettivo sociale di cui all’art. 41, 2° e 3° comma al dovere di solidarietà prescritto dall’art. 2 Cost., ne deriva uno specifico limite, non riconducibile al dovere di alterum non laedere di cui all’art. 2043 c.c., ma individuabile nel dovere di esercitare i propri diritti e le proprie libertà senza comportare un eccessivo sacrificio degli interessi altrui. Ma l’innovatività dell’utilità sociale non si esaurisce in ciò: dai principi costituzionali emerge anche uno «stimolo ad una revisione legislativa radicale degli istituti e una sorta di calco innovatore per le categorie civilistiche»23: i valori sociali e quelli ambientali introducono, in sostanza, un elemento di doverosità che non nega la libera iniziativa economica, ma la inserisce in una visione comunitaria dell’ordinamento giuridico, in cui diritti e doveri si integrano a vicenda.

La lettura dell’art. 41 Cost., in combinato disposto con l’art. 2 Cost. non sembra, pertanto, distanziarsi dall’orientamento comunitario, per come si è cercato di descriverlo nei paragrafi precedenti: il principio dell’integrazione di modelli di consumo più sostenibili e l’implementazione dell’efficienza nella produzione, sotto il profilo ecologico24 non sono obiettivi alternativi al mercato, né possono essere perseguiti in parallelo, ma sono con esso compatibili e «tali da costituire una nuova opportunità per la crescita dell’economia e l’incremento dell’occupazione, anche attraverso l’introduzione di innovazioni tecnologiche e manageriali»25. Le fonti e la giurisprudenza europee hanno cercato di coniugare l’obiettivo del mercato interno con quello dello sviluppo sostenibile, determinando un’evoluzione della visione ordoliberista e, se in alcuni ambiti difetta ancora un ruolo diretto dell’Europa in tema di politiche sociali26, in altri il

                                                                                                               

23 E. NAVARRETTA, Diritto civile e diritto costituzionale, op. cit., p. 645.

24 La c.d. eco-efficienza, cioè, la produzione della medesima quantità di prodotto tramite

l’impiego di minori quantità di risorse e con la produzione di meno rifiuti.

25 G. FIDONE,F.METALUNI, Gli appalti verdi nel codice dei contratti pubblici, op.cit., p. 12.

26 Ruolo che l’Unione si è progressivamente assegnato e per quale si rimanda alla riflessione di

M. LUCIANI, Unità nazionale e struttura economica. La prospettiva della Costituzione repubblicana, Relazione al Convegno annuale AIC (Costituzionalismo e Costituzione nella vicenda unitaria italiana), Torino 27-29 ottobre 2011 secondo il quale si impone una scelta drastica tra due soluzioni: «o si torna indietro (allo stadio di una semplice zona di libero commercio) o si va verso una forma politica europea (federale o, più realisticamente, confederale), qualora fosse sostenuta dal consenso dei cittadini (ed è l’esito che mi augurerei). La politica del fait accompli e

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mercato è stato valorizzato quale mezzo per la realizzazione di una politica sociale e ambientale: è quanto è successo, ad esempio, in tema di Green Public Procurement..

Tuttavia, restano da individuare, da un lato, i confini e, dall’altro, i punti di equilibrio tra le esigenze economiche e quelle socio-ambientali.

Non tutti gli interessi possono essere perseguiti tramite lo strumento della contrattazione ed è lo stesso 3° comma dell’art. 41 Cost. - nel riservare alla legge la determinazione dei programmi e dei controlli affinché l’attività economica possa essere indirizzata a fini sociali - a riconoscere che il mercato potrebbe non essere il luogo adeguato per garantire tutte le istanze.

Il caso Francine van Volsem c. Belgio, deciso nel 1989 dalla Commissione europea dei diritti dell’uomo segnò il primo momento di dibattito sul tema27, e in materia di appalti pubblici la questione si ripropone in modo non molto dissimile: fin dal caso Concordia Bus Finland, la Corte di Giustizia aveva ammonito che non ogni criterio relativo alla tutela dell’ambiente poteva essere preso in considerazione in sede di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa: «anche se l’art. 36, n. 1, lett. a), della direttiva 92/50 lascia all’amministrazione aggiudicatrice la scelta dei criteri di attribuzione dell’appalto che intende adottare, tale scelta può tuttavia riguardare soltanto criteri volti ad individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa […]. Dato che un’offerta si riferisce necessariamente all’oggetto dell’appalto, ne consegue che i criteri di attribuzione che possono essere considerati conformemente alla detta disposizione devono anch’essi essere collegati all’oggetto dell’appalto»28.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        dei piccoli passi da anni ha fatto il suo tempo e le catastrofi recenti (e, v’è da temere, future) lo hanno certificato».

27 Per il quale si rimanda alla riflessione di A. CASSESE, Can the Notion of Inhuman and Degrading

Treatment be Applied to Socio-Economic Conditions?, EJIL, 1991, p. 141 ss. e E. NAVARRETTA, Diritto

civile e diritto costituzionale, op. cit., p.669 e S.SONELLI, I diritti sociali nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, p. 1439 ss.

Ma si può richiamare anche il caso Bürgechaft deciso dal Bundersverfassungsgericht nel 1993 che considerò nullo il contratto di garanzia stipulato da una ragazza di 21 anni, con scarse possibilità economiche, per coprire i debiti del padre.

28 CG, sentenza 17 settembre 2002, causa C- 513/99, Concordia Bus Finland, punto 59, ripresa

da CdS, sez.III, 21.10.2015, n. 4812 e CdS, sez. V, 16.02.2009, n. 837. Anche le direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, riconoscendo per la prima volta in modo esplicito la possibilità

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Si può individuare, dunque, un primo limite, esterno, alla libertà di scelta della P.A. in materia ambientale, rappresentato dal collegamento necessario con l’oggetto del contratto.

Del resto, considerare gli appalti pubblici lo strumento idoneo al perseguimento delle finalità ambientali si risolve in una scelta "politica". Non si può non tener conto del fatto che l'importanza economica degli appalti pubblici comunitari rende questi ultimi uno strumento particolarmente efficace per la diffusione di istanze di interesse generale e per la sensibilizzazione degli operatori economici. Tuttavia il rischio, paventato anche dalla Commissione, consiste nell'introduzione di criteri extra-economici, la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità degli enti aggiudicatori: ciò potrebbe minare la logica stessa degli appalti pubblici e favorire pratiche "poco ortodosse" delle amministrazioni, volte a beneficiare le imprese regionali o nazionali a scapito della parità di trattamento e della concorrenza. La soluzione proposta dalla Corte di Giustizia di integrare criteri legati all'interesse generale fra i criteri di aggiudicazione degli appalti nel rispetto delle regole di pubblicità e dei principi del Trattato si perfeziona, allora, introducendo parametri obiettivi di valutazione dei criteri stessi (ad esempio attraverso l'adozione di marchi di qualità ecologica valevoli su scala europea), oppure individuando i limiti al potere discrezionale della P.A. in sede di individuazione dell’oggetto dell’appalto.

Resta tuttavia da considerare la problematicità posta dall’art 34, d.lgs 50/2016, nel punto in cui rende obbligatoria l’introduzione di requisiti funzionali o di prestazioni di carattere ambientale: si tratta di un recepimento a livello generale,

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        per la stazione appaltante di prendere in considerazione fattori non economici, tra cui la tutela dell’ambiente, imponevano un collegamento con l’oggetto dell’appalto: l’ente aggiudicatore non aveva libertà incondizionata di scelta, ma doveva attenersi alle indicazioni dalla Corte di Giustizia, in particolare in materia di criteri di aggiudicazione. Le esigenze di pubblico interesse, in materia ambientale e sociale, possono essere perseguite «purché tali criteri siano collegati all’oggetto dell’appalto, non conferiscano all’amministrazione aggiudicatrice una libertà incondizionata di scelta, siano espressamente menzionati e rispettino i principi fondamentali di cui al considerando 2» (dir. 2004/18/CE, considerando 1).

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per tutti gli appalti, di alcune prescrizioni previste dal diritto comunitario a livello settoriale29.

Già il Libro Verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti30osservava che ci sono due possibili metodi per utilizzare gli appalti pubblici per realizzare gli obiettivi strategici in materia ambientale. Il primo è il “come acquistare”, che fornisce alle amministrazioni gli strumenti per tener conto di tali obiettivi in conformità alle norme procedurali in materia di appalti pubblici; il secondo è il “cosa acquistare”, che impone requisiti obbligatori alle stazioni appaltanti o prevede incentivi in grado di orientare le loro decisioni sul tipo di beni o servizi di appaltare.

Le direttive lasciavano libere le amministrazioni aggiudicatrici, abbracciando il primo orientamento: del resto, l’imposizione di tali obblighi, se da un lato sarebbe stato l’elemento chiave per favorire la diffusione nel mercato di beni e servizi ad alta valenza ambientale, evitando la frammentazione delle politiche in materia di appalti verdi, dall’altro avrebbe limitato la concorrenza a causa della diminuzione del numero dei partecipanti e del conseguente aumento dei prezzi. Inoltre, sarebbe stato ridotto il margine di manovra per le stazioni appaltanti: la loro capacità di chiedere beni e servizi perfettamente adatti alle specifiche esigenze concrete sarebbe stata frenata dall’esigenza di inserire anche profili ambientali - tramite l’introduzione, nella documentazione progettuale e di gara, di criteri ambientali minimi31 - e dall’obbligo di tenerne conto anche ai fini della

                                                                                                               

29 In particolare: la direttiva 2006/32/CE sull’efficienza degli usi finali dell’energia aveva

invitato le stazioni appaltanti ad adottare un numero minimo di misure per promuovere l’efficienza energetica; il regolamento Energy star UE, del 13 febbraio 2008, imponeva che le gare d’appalto richiedessero un determinato livello di efficienza energetica. Nel 2009, la direttiva 2009/33/CE aveva imposto alle stazioni appaltanti di tener conto dell’impatto energetico al momento dell’aggiudicazione; la Direttiva 2009/28/CE, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e la direttiva 2010/31/UE, sulla prestazione energetica nell’edilizia hanno promosso gli edifici pubblici efficienti sotto il profilo delle risorse; infine, la Direttiva 2010/30/UE, mediante l’etichettatura ha invitato le amministrazioni aggiudicatrici a fare in modo di appaltare unicamente i prodotti appartenenti alla classe più elevata di efficienza energetica.

30 COM (2011) 15 del 27 gennaio 2011.

31 I c.d. CAM adottati con decreto del Ministro dell’Ambiente: sono i requisiti ambientali

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stesura dei documenti di gara, per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Lo stesso Libro Verde suggeriva, quindi, che la soluzione migliore sarebbe stata quella di prevedere incentivi per gli appalti di determinati tipi di beni o servizi, senza alcuna imposizione: «tali incentivi potrebbero consistere in vantaggi finanziari a favore delle amministrazioni aggiudicatrici che indicono appalti per la fornitura di beni e servizi ecosostenibili, socialmente inclusivi o innovativi, meccanismi per lo scambio delle migliori pratiche tra amministrazioni aggiudicatrici o altri meccanismi di sostegno per le amministrazioni aggiudicatrici che intendono perseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020 mediante i loro appalti».

Tuttavia, nel 2017, il legislatore nazionale ha optato per l’imposizione dei CAM, da predisporre in tutte le fasi del processo di acquisto: tale obbligo garantisce che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili e “circolari“32; inoltre, l’applicazione dei Criteri Ambientali Minimi risponde all’esigenza della Pubblica

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato.

La loro applicazione sistematica ed omogenea consente di diffondere le tecnologie ambientali e i prodotti ambientalmente preferibili e produce un effetto leva sul mercato, inducendo gli operatori economici meno virtuosi ad adeguarsi alle nuove richieste della pubblica amministrazione. In Italia, l’efficacia dei CAM è stata assicurata grazie all’art. 18 della L. 221/2015 e, successivamente, all’art. 34 recante “Criteri di sostenibilità energetica e ambientale” del D.lgs. 50/2016“Codice degli appalti” (modificato dal D.lgs 56/2017), che ne hanno reso obbligatoria l’applicazione da parte di tutte le stazioni appaltanti.

32 Sul modello di economia circolare, cfr M. PENNASILICO, Contratto ecologico e conformazione

dell’autonomia negoziale, op.cit., p. 27.

Il modello economico lineare si basa sullo schema “produzione-consumo-smaltimento”, nel quale ogni prodotto è destinato a giungere al “fine vita”. L’economia circolare, invece, permette ai prodotti di conservare il proprio valore aggiunto il più a lungo possibile, restando all’interno del sistema economico anche alla fine del ciclo di vita primario, in modo da essere riutilizzati più volte ai fini produttivi e creare così nuovo valore. Cfr anche le comunicazioni della Commissione UE, COM(2014) 398, “Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti”; COM(2015) 614, “L’anello mancante – Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare”; e le relazioni COM(2017) 33, “sull’attuazione del piano d’azione per l’economia Circolare”; SWD(2017) 47 “Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali dell’UE. Relazione per paese – Italia”.

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amministrazione di razionalizzare i propri consumi, riducendone ove possibile -la spesa. Tuttavia, in tal modo sembra capovolgersi il rapporto tra ordinamento e libertà per come si è andato affermando negli ultimi anni, grazie all’intervento costituzionale e comunitario. La realizzazione dell’utilità sociale prevista dall’art. 41 Cost. deve essere affidata ad «una legislazione che valorizza le intrinseche attitudini del mercato a produrre ricchezza e benessere […] [correggendo] con misure appropriate le disparità di potere contrattuale pregiudizievoli alla libertà e alla razionalità delle scelte economiche individuali»33. L’art. 34, d.lgs 50/2016, imponendo dall’esterno e per gli affidamenti di qualunque importo l’applicazione di Criteri Minimi ambientali, rischia di far riemergere la tendenza alla funzionalizzazione degli istituti di diritto privato che - dopo la forte spinta negli anni ’60 e ’70 – aveva subito una battuta di arresto con l’emersione dei principi ordoliberisti, quando «l’utile sociale si è contratto sul benessere prodotto dal mercato regolamentato e solo in tale prospettiva ha confermato il ruolo della riserva di legge del comma 3 dell’art. 41 Cost.»34. Non a caso, ha suscitato forti perplessità nella dottrina, nonostante gli obiettivi pure lodevoli che mira a raggiungere.

2.3.1. La libertà di scelta dell’Amministrazione e l’oggetto del contratto d’appalto.

                                                                                                               

33 L. MENGONI, Autonomia privata e costituzione, in Banca, borsa e tit. cred., 1997, p. 3. 34 E. NAVARRETTA, Diritto civile e diritto costituzionale, op.cit., pp. 663 e 664.

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Il principio di base, introdotto dalla giurisprudenza comunitaria e ribadito dalle direttive del 200435 e del 201436, impone che ogni scelta dell’amministrazione sia ricollegabile all’oggetto del contratto37 in modo proporzionato: il principio imposto dalla Corte di Giustizia nel caso Concordia Bus Finland è soggetto, infatti, ad un’interpretazione estensiva, giacché qualsiasi criterio che condiziona la scelta dell’Amministrazione - dalla definizione delle specifiche tecniche, all’individuazione delle cause di esclusione dalla procedura di affidamento, dalla valutazione della capacità tecnica, alla selezione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, fino all’esecuzione del contratto – deve, in primo luogo, essere coerente con l’oggetto definito dall’Amministrazione.

Pertanto, come si è accennato, il primo momento in cui assumono rilievo le scelte verdi è quello della definizione dell’oggetto del contratto; questo è, anzi, un momento in cui la scelta è particolarmente libera per la P.A. e l’unico limite è dettato dal divieto di indebita disparità di trattamento tra concorrenti38. Ciò non

                                                                                                               

35 Considerando 1, dir. 2004/14/CE (cfr nota precedente).

36 Considerando 92, dir. 2014/24/UE: «nel valutare il miglior rapporto qualità/prezzo, le

amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero determinare i criteri economici e qualitativi connessi all’oggetto dell’appalto che applicheranno a tal fine. Tali criteri dovrebbero pertanto permettere una valutazione comparativa del livello di prestazione che ciascuna offerta presenta rispetto all’oggetto dell’appalto quale definito nelle specifiche tecniche. Nel contesto del miglior rapporto qualità/prezzo, è riportato nella presente direttiva un elenco non esaustivo di possibili criteri di aggiudicazione comprendenti aspetti ambientali e sociali. Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate a scegliere criteri di aggiudicazione che consentano loro di ottenere lavori, forniture e servizi di alta qualità che rispondano al meglio alle loro necessità».

37 C. COLOSIMO, L’oggetto del contratto, tra tutela della concorrenza e pubblico interesse, in G.D.

COMPORTI (a cura di), Le gare pubbliche: il futuro di un modello, Napoli, 2011.

38 Le Pubbliche Amministrazioni sono tendenzialmente libere nell’individuazione dell’oggetto

del contratto da aggiudicare, dovendo tener presente, in primo luogo, le proprie esigenze e i propri bisogni. L’oggetto dell’appalto, tuttavia, non deve mai «essere definito con l’obiettivo o il risultato di riservare alle imprese nazionali – a scapito dei candidati di altri stati membri – la possibilità di concorrere alla sua aggiudicazione» (Corte di Giustizia,Grande sez., 22 dicembre 2008, Société Régie Network c. Direction de contrôle fiscal Rhône – Alpes Bourgogne, causa C – 333/07). Sullo stesso piano, cfr Considerando 29, dir. 2004/18/CE, in materia di specifiche tecniche: « le specifiche tecniche fissate dai committenti pubblici dovrebbero permettere l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza», ribadito nella dir. 2014/24/UE nel Considerando n. 74. Cfr anche Considerando 46, dir. 2004/18/CE, in materia di criteri di aggiudicazione: «l'aggiudicazione dell'appalto deve essere effettuata applicando criteri obiettivi che garantiscano il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di

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toglie, comunque, che le parti private possano partecipare alla definizione dell’oggetto specifico e all’individuazione della soluzione per il caso concreto, tramite le tecniche di partenariato per l’innovazione e dialogo competitivo39. Una volta definito l’oggetto, l'introduzione di criteri legati all'interesse generale, quali i criteri ambientali, nella politica degli appalti pubblici, impone un’attenzione maggiore che miri a sanare il contrasto dialettico tra gli opposti interessi in gioco: la tutela della concorrenza e dell'accesso al mercato degli operatori economici dei diversi Stati membri in condizioni di parità da un lato, la tutela dell'ambiente e delle istanze sociali dall'altro40.

La compenetrazione tra le due istanze è particolarmente delicata in fase di esecuzione del contratto, dal momento che – avvenuta l’aggiudicazione e stipulato il contratto – sul privato contraente si forma un legittimo affidamento a che l’esecuzione del contratto rispecchi l’offerta presentata e la stipulazione concordata dopo l’aggiudicazione.

Si tratta di stabilire se il principio di integrazione della politica ambientale nelle altre politiche comunitarie debba avere la preminenza sugli ulteriori obiettivi perseguiti dalla Comunità. Sotto questo profilo, si osserva che l'art. 6 del TUE non stabilisce alcun ordine di importanza tra le diverse azioni e politiche comunitarie di cui all'art. 3 del Trattato - che quindi mantengono il proprio contenuto e i propri fini - ma introduce un nuovo metodo di elaborazione e attuazione delle politiche stesse, a cui si è accennato nei paragrafi iniziali. Ne consegue che il principio di integrazione, in relazione all’esecuzione degli appalti,

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        trattamento e che assicurino una valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza», ribadito nel Considerando n. 90, dir. 2014/24/UE.

39 La necessità che anche in questi casi siano tenuti in considerazione i principi concorrenziali

emerge dalla lettura dei Considerando n. 31 e 49, dir. 2014/24/UE.

40 Questa contrapposizione se ne traduce in una "politica" tra le diverse Istituzioni comunitarie:

da una parte, il Parlamento europeo, che ha fortemente sostenuto l'inserimento dei criteri ambientali nelle proposte di direttive presentate dalla Commissione, e la Corte di Giustizia, che già da tempo ha aperto la strada alle considerazioni non economiche; dall'altra, la Commissione europea, che opera un bilanciamento tra le forti pressioni verso l'accoglimento delle istanze ambientali e sociali e la tutela della stessa ragion d'essere della politica degli appalti pubblici, ovvero la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali su un piano concorrenziale ed in assenza di discriminazioni.

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sarà operante nei limiti in cui la tutela ambientale non snaturi l'obiettivo principale del contratto d’appalto, ovvero quello economico.

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3. I limiti all’integrazione nell’esecuzione degli appalti. 3.1. Interessi pubblici, istituti di diritto privato.

La fase dell’esecuzione dell’appalto inizia formalmente con la ricezione da parte dell’impresa aggiudicataria della comunicazione di avvenuta registrazione del contratto presso gli organi competente e da tale momento decorrono i termini per lo svolgimento dell’appalto affidato. La fase immediatamente precedente - che inizia con l’aggiudicazione definitiva e termina con la stipulazione e la registrazione del contratto - non rientra a pieno titolo nell’esecuzione, ma più correttamente viene definita una fase di “limbo”41, che risente della normativa privatistica e di quella pubblicistica; viceversa, l’esecuzione è disciplinata perlopiù da regole di diritto privato. Pertanto, ai problemi di contemperamento tra classi di principi – quelli ambientali e sociali da un lato, quelli capitalistici dall’altro – che permangono anche in fase di esecuzione, si aggiunge la difficoltà di inquadrare il bilanciamento in un ambito dominato dagli istituti di diritto privato.

Si rende necessaria una premessa sulle relazioni tra diritto pubblico e privato nella fase di esecuzione degli appalti. Di solito, nell’indagine del contratto d’appalto pubblico, si tende a tracciare una linea di confine tra una prima fase amministrativa ed una seconda, che segue alla stipulazione del contratto, retta da norme privatistiche. Questa ripartizione risulta senz’altro semplicistica e ad uno sguardo più attento in entrambi i momenti si possono riconoscere influenze dei due ordinamenti: alcune disposizioni che regolano l’esecuzione possono, infatti, giustificarsi solo con il principio di autorità42, alcune norme di diritto civile

                                                                                                               

41 F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, 2017, p. 1619.

42 E. GUICCIARDI, Giustizia Amministrativa, Padova, 1954, p. 8 giustifica questo tipo di norme

dicendo che «sarebbe assurdo imporre [alla Pubblica Amministrazione] il dovere di perseguire determinati fini senza attribuire loro, al tempo stesso la possibilità giuridica di rendersi attivi in tal senso)».

Ma si consideri anche la Direttiva n. 24 del 2014, recepita con il nuovo codice dei contratti pubblici, d.leg. 50/16: regolando l’esecuzione del contratto e le sue vicende in modo diverso da quanto faceva il vecchio codice d.leg. 163/06, ha messo in evidenza la necessità di una regolazione speciale dell’amministrazione, anche nella veste di contraente, per «l’immanenza della missione del perseguimento dell’interesse pubblico che non cessa quando il soggetto

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devono applicarsi alle attività della Pubblica Amministrazione già in fase pubblicistica43. Ci sono, poi, alcune questioni che possono risolversi alla luce del diritto civile, pur non avendo alle spalle una specifica regola di settore: per il tramite dell’interpretazione analogica potrebbe, per esempio, applicarsi la disciplina delle clausole vessatorie agli appalti pubblici44.

In prima battuta, dunque, occorre chiedersi quali rapporti intercorrano tra il diritto pubblico e il diritto privato; riportate queste riflessioni nell’ambito dell’attività dell’amministrazione, si potrà considerare con più consapevolezza la dialettica tra i principi che entrano nell’appalto pubblico, in particolare nella fase successiva all’aggiudicazione, che pure continua ad essere genericamente ricondotta nella sfera del diritto privato generale.

«Ogni crisi nel campo del diritto riconduce lo studioso alla distinzione tra diritto pubblico e diritto privato: e quanto più acuta è la crisi, i più inclinano a negare la

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        pubblico accede a strumenti negoziali di diritto privato» (G.CREPALDI, L’esecuzione del contratto,

in C.E. GALLO, Autorità e consenso nei contratti pubblici alla luce delle direttive 2014, Torino, 2014, p.

143 che richiama C. FRANCHINI, I contratti della p.a. tra diritto pubblico e diritto privato, in C. FRANCHINI (a cura di), I contratti con la pubblica amministrazione, Torino, 2007, p. 69).

43 L’azione amministrativa, così come prevista dall’articolo 1 della legge 241/90, modificata ed

integrata dalla legge 15/05, è improntata non solo ai canoni della trasparenza, pubblicità e ai principi del diritto comunitario, ma ai principi di derivazione civilistica, posto che la regola generale è che i poteri pubblici ed il cittadino si muovono sullo stesso piano.

Sul punto, molto chiaro il CdS, Ad Plen., 4.5.2018, n. 5: «il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede rappresenta una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale che trova il suo principale fondamento nell’art. 2 della Costituzione) […] la valenza costituzionale del dovere di correttezza impone di ritenerlo operante in un più vasto ambito di casi, in cui, pur eventualmente mancando una trattativa in senso tecnico – giuridico, venga, comunque, in rilievo una situazione “relazionale” qualificata, capace di generare ragionevoli affidamenti e fondate aspettative».

44 Secondo la giurisprudenza non sarebbe applicabile allo Stato la disciplina del codice in

materia di condizioni generali di contratto unilateralmente predisposte e la disciplina sulle clausole vessatorie. Volendo superare in via interpretativa questa massima consolidata, l’unica strada possibile passava dall’eccepire l’incostituzionalità della normativa vigente rispetto agli artt. 3 e 24 cost. L’introduzione di una normativa speciale non è correlata, infatti, ad una pretesa necessità ad una pretesa necessità di sottrarre gli enti pubblici ai comuni controlli sulle condizioni generali di contratto, ma alla speciale rilevanza giuridica che alcuni regolamenti contrattuali della P.A. presentano. Perciò l’esigenza di una piena tutela del contraente privato è fuori discussione, piuttosto a questa esigenza si accompagna l’approvazione di una disciplina più adeguata alla varietà di tipi stipulati dall’ente pubblico con i moduli della contrattazione di massa.

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