Nel procedimento 271/82,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, dalla Corte d'appello di Colmar (sezione competente per gli «appels correctionnels»), nella causa dinanzi ad esso pendente fra
VINCENT RODOLPHE AUER, residente in Mulhouse, imputato,
e
PUBBLICO MINISTERO,
pani civili:
ORDRE NATIONAL DES VÉTÉRINAIRES DE FRANCE, con sede in Parigi, in persona del suo presidente,
e
SYNDICAT NATIONAL DES VÉTÉRINAIRES PRATICIENS DE FRANCE, "con sede in Parigi, in persona del suo presidente,,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 52-57 del Trattato CEE nonché delle direttive del Consiglio 18 dicembre 1978, nn. 1026 e 1027 (GU L 362, pagg. 1 e 7),
LA C O R T E (Prima Sezione),
composta dai signori A. O'Keeffe, presidente di Sezione, G. Bosco e T. Koopmans, giudici,
avvocato generale: G. F. Mancini cancelliere: P. Heim
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
In fatto
I — Gli antefatti ed il procedi- mento
II sig. Vincent Auer, originariamente cit- tadino austriaco, naturalizzato francese dal 1961, è titolare del diploma di dot- tore in medicina veterinaria, rilasciato il
13 ottobre 1956 dall'Università di Parma.
Otteneva anche dalla stessa università, I ' l l marzo 1957, un certificato di abilita- zione provvisoria all'esercizio della pro- fessione di veterinario e, il 2 maggio 1980, il diploma definitivo di «abilita- zione all'esercizio della medicina veteri- naria».
Nel 1958 si stabiliva in Mulhouse (Fran- cia) dove iniziava ad esercitare la profes- sione sotto la direzione di un altro vete- rinario, il dott. Paul Gutknecht, senza avere problemi con l'ordine professio- nale. Ottenuta la nazionalità francese, chiedeva, dopo qualche anno, al fine di poter esercitare la professione per pro- prio conto, di essere autorizzato a fruire del decreto n. 62-1481 relativo al- l'«esercizio in Francia della medicina e della chirurgia degli animali da parte di veterinari che abbiano acquistato o riot- tenuto la nazionalità francese». Tuttavia, la commissione istituita dal citato de- creto, più volte adita, si pronunciava sempre negativamente sulle richieste del- l'interessato, sostenendo la non equiva- lenza tra i diplomi italiani e francesi di
dottore in veterinaria. Questi rifiuti siste- matici si succedevano fino al 1970, ben- ché il 22 ottobre 1968 la summenzionata commissione avesse accettato di ricono- scere la validità, a solo titolo «accade- mico», del diploma rilasciato all'Auer, e benché, secondo quest'ultimo, la stessa commissione avesse espresso parere favo- revole all'autorizzazione dell'esercizio della medicina veterinaria di altri titolari di diplomi italiani. L'Auer non otteneva dunque l'iscrizione nell'albo dell'ordine nazionale dei veterinari. Ritenendo in- giustificato tale rifiuto, apriva uno studio a Mulhouse dove esercita effettivamente da più anni la professione di medico ve- terinario.
Poiché la legge francese considera l'iscri- zione all'albo dell'ordine come condi- zione necessaria per l'esercizio della pro- fessione, l'Auer veniva più volte proces- sato per esercizio abusivo della profes- sione stessa. Tali processi si conclude- vano con delle condanne, peraltro sem- pre limitate a delle modeste ammende;
l'Auer fruiva inoltre di un'amnistia.
In occasione di uno di questi processi — sempre promossi ad iniziativa dell'ordine e del sindacato nazionale dei veterinari
— la Corte d'appello di Colmar, nel giu- gno del 1978, proponeva alla Corte di giustizia una domanda pregiudiziale mi- rante ad accertare se, in forza delle di-
sposizioni del diritto comunitario in ma- teria di libertà di stabilimento in vigore al momento cui si riferivano i fatti per i quali il giudice nazionale era stato adito, l'interessato potesse far valere in Francia il diritto all'esercizio della professione veterinaria che aveva acquistato in Italia, tenuto anche conto che nel frattempo era divenuto cittadino francese.
All'epoca dei fatti controversi, le disposi- zioni del Trattato relative al reciproco ri- conoscimento dei diplomi e degli altri ti- toli (cioè l'art. 57) non avevano ancora avuto attuazione per quel che riguarda la professione veterinaria. Due direttive ve- nivano emanate dal Consiglio qualche mese dopo questi fatti, cioè il 18 dicem- bre 1978, e ad esse si richiamava l'Auer nel corso del procedimento penale: la prima (n. 78/1026, GU L 362, pag. 1) concerne il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati e altri titoli di veteri- nario e comporta l'adozione di misure destinate a facilitare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi e la seconda (n 78/1027, GU L 362, pag. 7) che ha ad oggetto il coordinamento delle disposi- zioni legislative, regolamentari ed ammi- nistrative per le attività di veterinario. Gli Stati membri disponevano di un termine di due anni per conformarvisi, termine che, al momento della presentazione di detta domanda di pronuncia pregiudi- ziale, non era ancora spirato, scadendo infatti il 20 dicembre 1980. Pertanto la Corte statuiva nella sentenza 7 febbraio 1979 (136/78, Auer, Race. 1979, pag.
437) che «l'art. 52 del Trattato va inter- pretato nel senso che per il periodo ante- cedente alla data alla quale gli Stati membri dovranno aver adottato i provve- dimenti necessari per conformarsi alle di- rettive del Consiglio 18 dicembre 1978, nn. 1026 e 1027, i cittadini di uno Stato membro non possono far valere detta di-
sposizione per esercitare la professione di veterinario nello stesso Stato membro in ipotesi diverse da quelle contemplate dalla legislazione nazionale».
La Corte precisava tuttavia che «questa soluzione non pregiudicava gli effetti delle direttive summenzionate a decor- rere dalla data prescritta agli Stati mem- bri per conformarvisi». Precisava anche che nessuna disposizione del Trattato consente «di trattare diversamente i citta- dini di uno Stato membro a seconda del momento o del modo in cui essi hanno acquistato la cittadinanza dello Stato stesso se — al momento in cui invocano il diritto comunitario — essi hanno la cit- tadinanza di uno degli Stati membri».
Su denuncia dell'ordine nazionale dei ve- terinari e del sindacato nazionale dei ve- terinari di Francia l'Auer veniva nuova- mente processato per esercizio abusivo della medicina veterinaria nonché per al- tri reati connessi, in seguito ad accerta- menti verbalizzati dall'ufficiale giudizia- rio il 26 gennaio e il 25 giugno 1981.
L'imputato non contestava affatto la ve- ridicità dei fatti a lui imputati ma ecce- piva la legittimità del suo comporta- mento. Infatti poiché i fatti controversi si erano prodotti dopo la scadenza del ter- mine concesso agli Stati membri per con- formarsi alle direttive in questione e poi- ché la Francia non vi aveva ancora prov- veduto alla data dei fatti stessi, l'Auer so- steneva di potersi avvalere direttamente delle disposizioni relative al reciproco ri- conoscimento dei diplomi. Ora, il di- ploma italiano di cui è titolare è ricono- sciuto valido in tutti i paesi CEE dall'art.
3, lett. f)> della direttiva 78/1026; per- tanto, poiché la Francia ha trasgredito l'obbligo di conformarsi a questa diret- tiva nel termine fissato, né le autorità, né i giudici francesi possono più eccepirgli la non equivalenza dei diplomi, né l'ob- bligo di ottenere previamente l'iscrizione nell'albo dell'ordine per potere esercitare la professione.
Il giudice di prima istanza respingeva questa tesi. La Corte d'appello riteneva invece, da una parte, che la soluzione data dalla Corte di giustizia nella sen- tenza 7 febbraio 1979 sopra citata, in quanto espressamente limitata al periodo transitorio previsto per l'attuazione delle direttive «lasciava presumere una solu- zione contraria per il periodo succes- sivo», e, dall'altra, che sembrava «incon- cepibile che una persona originaria di un paese straniero e titolare di un diploma straniero possa esercitare la professione veterinaria in Francia senza doversi preoccupare di iscriversi all'albo e avere quindi maggiori diritti di chi sia nato cit- tadino francese e sia titolare di diplomi nazionali». Pertanto, ritenendo che vi fosse un problema d'interpretazione di diritto comunitario, ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudi- ziale:
«Se il fatto di esigere da una persona che abbia ottenuto il diritto di esercitare la professione di veterinario, in uno Stato membro della Comunità che gli ha rila- sciato i diplomi di cui all'art. 3 della di- rettiva 78/1026, e sia divenuto cittadino di un altro Stato membro, l'iscrizione ad un ordine nazionale prescritto dal suo diritto interno come presupposto per l'esercizio della professione, mentre è scaduto il termine di due anni stabilito per l'adozione dei provvedimenti neces- sari per conformarsi alle direttive 78/1026 e 78/1027, costituisca una re-
strizione della libertà di stabilimento san- cita dagli artt. 52 e 57 del Trattato di Roma».
L'ordinanza di rinvio, recante la data del 16 settembre 1982, è pervenuta nella cancelleria della Corte il 4 novembre
1982.
In conformità all'art. 20 del protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia CEE, hanno presentato osservazioni scritte l'imputato nella causa principale, sig. V. Auer, con l'aw. Y. Camus, del foro di Mulhouse; le parti civili nella eausa principale, cioè l'Ordre national des vétérinaires de France, in persona del suo presidente, ed il Syndicat national des vétérinaires praticiens de France, in persona del suo presidente, entrambi con l'aw. P. Lafarge, del foro di Parigi; e la Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. J. Delmoly, mem- bro del suo ufficio legale.
Su relazione del giudice relatore, sentito l'avvocato generale, la Corte ha deciso di passare alla fase orale senza procedere ad istruttoria.
II — Le norme che disciplinano la materia
La direttiva 78/1026 concerne il reci- proco riconoscimento dei diplomi, certi- ficati ed altri titoli di veterinario e com-
pona misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabili- mento e di libera prestazione dei servizi.
Nel primo considerando si dichiara:
«che qualsiasi trattamento discriminato- rio basato sulla nazionalità, in materia di stabilimento e di prestazione di servizi è vietato dopo la fine del periodo transito- rio; che il principio del trattamento na- zionale così realizzato riguarda in parti- colare il rilascio di un'autorizzazione eventualmente richiesta per accedere alle attività di veterinario, nonché l'iscrizione o l'appartenenza ad associazioni o ad or- ganismi professionali».
Nel quinto considerando si dichiara:
«che in ragione delle divergenze esistenti attualmente negli Stati membri per quanto riguarda la natura e la durata della formazione del veterinario, è neces- sario prevedere talune disposizioni di coordinamento tali da consentire agli Stati membri di procedere al reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli, che tale coordinamento viene realizzato con la direttiva 78/1027/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978, concernente il coordinamento delle di- sposizioni legislative, regolamentari ed amministrative per l'attività di veterina- rio».
L'art. 2 della direttiva è così formulato:
«Ogni Stato membro riconosce i diplomi, i certificati, e gli altri titoli rilasciati ai cittadini degli Stati membri dagli altri Stati membri conformemente all'art. 1 della direttiva 78/1027/CEE ed elencati all'art. 3, attribuendo loro, sul proprio
territorio, lo stesso effetto dei diplomi, certificati ed altri titoli da esso rilasciati per quanto concerne l'accesso alle atti- vità di veterinario ed il loro esercizio.
Quando uno dei diplomi, certificati o altri titoli elencati all'art. 3 è stato rila- sciato prima della messa in applicazione della presente direttiva, esso deve essere accompagnato da un attestato compilato dalle autorità competenti del paese che lo rilascia in cui si certifichi che esso è con- forme all'art. 1 della direttiva 78/1027/
CEE.»
L'art. 3 contiene l'elenco dei diplomi, certificati ed altri titoli di cui all'art. 2 e stabilisce, alla lett. b), per ciò che ri- guarda i titoli rilasciati in Italia:
«il diploma di laurea di dottore in medi- cina veterinaria accompagnato dal di- ploma di abilitazione all'esercizio della medicina veterinaria, rilasciato dal mini- stro della pubblica istruzione sulla base dei risultati dell'apposita commissione per l'esame di Stato».
L'art. 4, riguardante i diritti quesiti, stabi- lisce che:
«ogni Stato membro riconosce come prova sufficiente per i cittadini degli Stati membri, i cui diplomi, certificati ed altri titoli non rispondano all'insieme delle esigenze minime di formazione previste all'art. 1 della direttiva 78/1027/CEE, i diplomi, i certificati e gli altri titoli di ve- terinario rilasciati da tali Stati membri prima dell'applicazione della direttiva 78/1027/CEE insieme ad un attestato che certifichi che questi cittadini si sono effettivamente e lecitamente dedicati alle attività in causa per un periodo di al- meno tre anni consecutivi nel corso dei
cinque anni che precedono il rilascio del- l'attestato».
Gli artt. 6 e 7 disciplinano rispettiva- mente i casi in cui lo Stato membro ospite richieda ai propri cittadini un cer- tificato di buona condotta per il primo accesso all'attività di veterinario, e i casi in cui in uno Stato membro ospite vigano disposizioni legislative, regolamentari e amministrative sull'osservanza della buo- na condotta, incluse le disposizioni che contemplano provvedimenti disciplinari per grave mancanza professionale o con- danna per reati e relative all'esercizio dell'attività di veterinario. La legittimità di disposizioni nazionali di questo tipo è implicitamente riconosciuta.
Infine l'art. 12, relativo alla prestazione di servizi, dichiara che :
«Quando, per le attività di cui all'art. 1 o per il loro esercizio, uno Stato membro esige dai propri cittadini un'autorizza- zione o l'iscrizione o l'appartenenza ad una associazione o ad un organismo pro- fessionale, detto Stato membro esonera da tale obbligo i cittadini degli Stati membri, in caso di prestazione di ser- vizi».
La direttiva 78/1027 dichiara fra l'altro nel primo considerando che:
«... l'analogia delle formazioni negli Stati membri consente di limitare il coor- dinamento in questo campo all'esigenza dell'osservanza di norme minime . . . » .
Queste norme minime sono precisate nel- l'art. 1 il quale stabilisce, in particolare,
che gli Stati membri subordinano l'ac- cesso alle attività di veterinario, di cui all'art. 3 della direttiva 78/1026/CEE comprovante che l'interessato ha acqui- stato durante la durata complessiva della propria preparazione determinate cogni- zioni ed esperienze cliniche e pratiche che sono indicate particolareggiata- mente; che la preparazione deve avere una durata complessiva di almeno cinque anni di insegnamento teorico e pratico a tempo pieno impartito in un'università o in un istituto superiore riconosciuto di li- vello equipollente, e che gli studi devono vertere almeno sulle materie enumerate nell'allegato alla direttiva. Tale allegato precisa tuttavia che l'insegnamento di una o più di tali materie può essere im- partito nell'ambito delle altre discipline o in connessione con esse.
La Repubblica francese, 16 mesi dopo l'ultimo dei fatti in questione ed un po' dopo la scadenza del termine prescritto dalle direttive per la loro attuazione, adottava la legge 20 ottobre 1982, n.
899, relativa all'esercizio dell'attività di veterinario (GU della Repubblica fran- cese del 21. 10. 1982, pag. 3179) seguita dal decreto del ministero dell'agricoltura, contemplato, dalla legge sopra citata e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica francese del 14 novembre 1982. Le parti, nelle osservazioni scritte, non hanno trattato di questa nuova si- tuazione legislativa prodottasi in materia nella Repubblica francese.
IH — Le osservazioni delle parti
Il sig. Auer rileva che la stessa Corte d'appello di Colmar ha ammesso che egli è titolare dei diplomi di cui all'art. 3,
lett. f), della direttiva 78/1026 e che, alla data dei fatti in questione, la Francia non aveva ancora adempiuto l'obbligo di conformare il suo diritto interno alle di- sposizioni della direttiva stessa. Pertanto sostiene che queste disposizioni devono essere direttamente applicabili nei suoi confronti. Ciò risulta «a contrario» dalla sentenza della Corte 7 febbraio 1979, so- pra citata, nonché dalla sentenza 10 di- cembre 1980 della Corte di cassazione francese, sentenze queste che hanno af- fermato, nell'ambito del processo penale del 1978, che solo la legislazione nazio- nale si poteva applicare poiché i fatti ad- debitati all'imputato si erano prodotti an- teriormente allo spirare del termine im- posto agli Stati membri per dare attua- zione alla direttiva. Ora, una volta sca- duto tale termine, «l'efficacia diretta» di questa vieta ad ogni Stato membro l'ap- plicazione delle proprie leggi interne che non siano state ancora adattate alla diret- tiva, anche se contemplano sanzioni pe- nali, nei confronti di una persona che si sia conformata alle disposizioni della di- rettiva stessa.
L'Auer assume che la motivazione del- l'ordinanza di rinvio, poiché prende in considerazione le particolarità della citta- dinanza dell'imputato, che è di origine straniera ed è stato poi naturalizzato francese, non è pertinente, dal momento che questo problema è stato già risolto dalla Corte con sentenza 7 febbraio 1979, nel senso che nessuna disposizione del Trattato consente trattamenti diffe- renziati per i cittadini di uno Stato mem- bro in relazione al momento e al modo in cui hanno acquistato la cittadinanza di questo Stato. Resta quindi da risolvere solo il problema dell'efficacia diretta delle direttive non ancora trasposte nel
diritto interno nel termine stabilito. Ora, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia ormai consolidata, le disposizioni delle direttive che compor- tino per gli Stati membri degli obblighi assoluti e sufficientemente precisi, pos- sono essere fatte valere da ogni persona interessata, nonostante la mancanza di provvedimenti nazionali di attuazione o in caso di erronea attuazione, per il fatto che l'efficacia pratica delle disposizioni delle direttive risulterebbe affievolita se gli amministratori non potessero farle va- lere in giudizio e se i giudici nazionali non potessero tenerne conto in quanto elementi del diritto comunitario.
Nel caso in esame, le due direttive del 18 dicembre 1978 comportano appunto per gli Stati membri degli obblighi asso- luti e sufficientemente precisi, in particu- lar modo per quel che riguarda gli a m . 2 e 3 della direttiva 78/1026; perciò l'Auer può valersi di queste disposizioni per esi- gere dalle autorità francesi il riconosci- mento del diritto, che gli deriva dall'or- dinamento comunitario, di esercitare la medicina veterinaria in Francia col di- ploma ed il certificato di abilitazione ita- liani. Viceversa, l'ordine francese dei ve- terinari, con lettera 2 marzo 1981, ha ri- sposto ai legali dell'Auer, che il suo caso non poteva essere risolto a norma delle direttive in questione, perché queste si applicano solo ai veterinari «migranti», cioè in possesso di un diploma corrispon- dente alla loro cittadinanza e che li abi- liti ad esercitarvi la professione nel loro paese di origine. L'intenzione dell'ordine professionale d'impedire con dei pretesti l'iscrizione all'albo dell'Auer è dunque evidente. La condizione della previa iscrizione ad un ordine professionale deve essere pertanto ritenuta incompati-
bile con il diritto comunitario qualora sia richiesta da una legislazione nazionale non conforme a questo diritto.
L'Auer sostiene in conclusione che la questione posta dalla Corte di appello di Colmar si debba risolvere nel senso che la direttiva 78/1026, dopo la scadenza del termine stabilito per la sua trasposi- zione, ha un'efficacia diretta e vincola tutti gli Stati membri, così che nessuna disposizione di diritto interno, soprat- tutto quelle che prescrivono l'iscrizione all'albo professionale, possono impedire l'accesso alla professione di veterinario ai titolari di diplomi conformi al combinato disposto degli ara. 2 e 3 della direttiva 78/1026/CEE e dell'art. 1 della direttiva 78/1027/CEE.
Le parti civili nella causa principale sostengono che l'obbligo di iscrizione al- l'albo dell'ordine dei veterinari non costi- tuisce in sé una restrizione della libertà di stabilimento, purché sia salvo il ri- spetto del principio di non discrimina- zione. Infatti, le disposizioni francesi re- lative all'ordine dei veterinari rispondono ad esigenze d'interesse generale e di or- dine pubblico, scaturenti dalla necessità di controllare l'accesso alla professione e di garantire la disciplina professionale.
Ora, queste esigenze sono riconosciute e salvaguardate dalla direttiva 78/1026, so- prattutto dal primo considerando, il quale ammette la validità di principio delle disposizioni nazionali relative al- l'ordine professionale, e dall'art. 7, il quale consente l'applicazione delle dispo- sizioni relative al rispetto della buona condotta, ivi comprese quelle che preve- dono sanzioni disciplinari e che si limi- tano semplicemente a disporre procedure
di coordinamento e di assistenza tra lo Stato membro ospite e lo Stato membro d'origine per i fatti commessi da un pro- fessionista e atti a produrre conseguenze sull'esercizio della attività professionale.
Peraltro, in forza della recente legge 20 ottobre 1982 (GU della Repubblica francese del 21. 10. 1982), emanata pro- prio al fine di dare attuazione alle diret- tive in questione, l'iscrizione all'albo del- l'ordine continua ad essere richiesta per tutti i veterinari che rivendichino il di- ritto di stabilirsi in Francia, e le autorità comunitarie non hanno criticato tale legge in quanto non conforme alle dispo- sizioni del Trattato. L'onere di dimo- strare che l'iscrizione all'ordine costitui- sce un mezzo per eludere le norme in materia di diritto di stabilimento incombe dunque all'Auer. L'imputato nella causa principale non può neanche invocare, a sostegno delle sue tesi, la sentenza della Corte 6 ottobre 1981 (Broekmeulen, 246/80, Race. pag. 2311) relativa alla li- bertà di stabilimento dei medici generici, poiché tale sentenza si riferisce ad una si- tuazione di fatto e di diritto non parago- nabile a quella oggetto del presente pro- cedimento. Infatti, la direttiva del Consi- glio 80/246/CEE in tema di libertà di stabilimento dei medici vieta a tutti gli Stati membri di subordinare l'accesso alla professione di medico generico dei tito- lari dei diplomi di cui all'art. 3 ad ulte- riori requisiti di preparazione, come quelli contemplati, ad esempio, dalle leggi olandesi, mentre la direttiva 78/1026 relativa alla libertà di stabili- mento dei veterinari ammette espressa- mente che l'accesso alla professione sia subordinato dalle leggi nazionali all'iscri- zione all'albo dell'ordine professionale.
Ciò premesso, le parti civili contestano che la giurisprudenza della Corte invo- cata dall'Auer circa l'efficacia diretta delle direttive, sia pertinente poiché que-
sta giurisprudenza non lo autorizza affatto ad esercitare la professione di medico veterinario senza essere iscritto all'albo dell'ordine professionale, e ciò nemmeno qualora abbia presentato rego- lare domanda d'iscrizione all'autorità competente e possa vantare un diploma riconosciuto equivalente ai sensi delle di- rettive 78/1026/CEE e 78/1027/CEE.
In ogni caso esse dichiarano che il di- ploma di cui l'Auer è titolare non ri- sponde in alcun modo ai requisiti di preparazione prescritti dalla direttiva 78/1027; che il certificato di abilitazione alla professione di veterinario rilasciato in data 2 maggio 1980 dall'Università di Parma non costituisce la conferma reale ed autentica del fatto che l'Auer abbia soddisfatto tutte le condizioni di prepa- razione stabilite da tali direttive; e che l'imputato nella causa principale non può fruire delle disposizioni relative ai diritti quesiti di cui all'art. 4 della direttiva 78/1026/CEE, dato che non può esibire un attestato che certifichi che si è dedi- cato effettivamente e «lecitamente» alle attività in questione per almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni precedenti il rilascio dell'attestato.
Le parti civili concludono che la que- stione pregiudiziale va risolta in senso negativo.
La Commissione condivide l'opinione del- l'Auer secondo cui le considerazioni del- l'ordinanza di rinvio relative all'acquisto recente da parte dell'imputato della citta- dinanza francese non sono pertinenti, cosicché il solo problema da risolvere è
se le autorità amministrative e giudiziarie abbiano l'obbligo di applicare le disposi- zioni delle direttive di cui trattasi nono- stante la mancanza, all'epoca dei fatti oggetto della lite, di provvedimenti na- zionali di trasposizione adottati nel ter- mine stabilito. In questo senso, la pre- sente causa si differenzia notevolmente dalla causa 136/78, decisa con sentenza della Corte 7 febbraio 1979, sopra citata, per il fatto che non si tratta di stabilire quale sia la portata esatta degli ara.
52-57 del Trattato CEE, ma di determi- nare l'efficacia delle direttive in que- stione.
Ora, senza voler ragionare «a contrario»
sulla base della sentenza del 7 febbraio 1979, è lecito constatare che la Corte, in tale sentenza, ha lasciato insoluto il pro- blema dell'efficacia diretta di queste di- rettive.
La Commissione sostiene che gli a r a . 2 e 3 lett. f), della direttiva 78/1026 impli- cano per tutti gli Stati membri degli ob- blighi chiari, completi ed assoluti. Benché l'art. 2, 2° comma lasci un certo margine discrezionale allo Stato membro quanto al rilascio dell'attestato relativo ai di- plomi ottenuti prima della attuazione della direttiva, tale attestato, una volta ri- lasciato, non può essere contestato dallo stesso ospite. Si deve dunque riconoscere, a queste disposizoni efficacia diretta, conformemente alla giurisprudenza della Corte, nel senso che in caso d'inadempi- mento da parte dello Stato dell'obbligo di trasposizione, possono sorgere dei di- ritti soggettivi per i singoli. Questi pos- sono dunque far valere davanti al giudice nazionale le disposizioni delle direttive che, all'epoca dei fatti in questione, non erano state trasposte nel diritto interno dello Stato membro.
Nella fattispecie, le direttive avrebbero dovuto essere oggetto di provvedimenti nazionali di trasposizione entro il 20 di- cembre 1980, mentre a questa data nes- sun provvedimento era stato attuato dallo Stato francese, cosicché una proce- dura ex art. 169 del Trattato CEE è stata avviata dalla Commissione nel 1981, ed ha portato all'emissione, in data 4 mag- gio 1982, di un parere motivato. Del re- sto alla Commissione sono state presen- tate cinque denunce ufficiali da parte di veterinari cittadini di uno Stato membro ai quali era stata negata l'iscrizione al- l'albo dell'ordine professionale francese perché questi rifiutava sistematicamente l'iscrizione dei titolari di diplomi non francesi che non siano stati riconosciuti, ai fini della professione di veterinario in Francia, dalla Commissione d'esame creata con decreto 27 novembre 1962, n. 1421.
La Commissione rileva essere assodato che in Francia la mancata iscrizione al- l'ordine professionale espone i medici ve- terinari a condanne civili e penali, ma che tali conseguenze, proprie del diritto nazionale, non possono mascherare la non conformità dell'ordinamento giuri- dico francese in materia alle direttive co- munitarie. Da questa non conformità de- riva, in primo luogo l'obbligo per gli or- gani amministrativi nazionali d'applicare direttamente le disposizioni delle diret- tive e, in secondo luogo, il dovere per il giudice di far prevalere le norme delle direttive sulle disposizioni interne e sulle prassi amministrative illegittime, e di ob- bligare le autorità amministrative a ri- spettare il diritto comunitario.
Le considerazioni che precedono sono valide nel caso in cui i diplomi di cui
l'Auer è titolare rispondano agli artt. 2 e 3 della direttiva 78/1026. Se così non è, cioè se questi diplomi non rispondono alle esigenze minime di preparazione sta- bilite dall'art. 1 della direttiva 78/1027/
CEE, la Commissione sostiene che si deve applicare l'art. 4 della direttiva 78/1026/CEE in materia di diritti que- siti, il quale contiene del pari disposizioni direttamente efficaci. E vero che la norma in questione contempla l'esercizio
«lecito» dell'attività di veterinario e che viceversa l'Auer, dopo il trasferimento in Francia, ha esercitato la sua attività con- travvenendo alle leggi francesi. Tuttavia i tribunali francesi non hanno mai con- dannato l'Auer a pene veramente dissua- sive, né disposto la chiusura del suo stu- dio, cosicché sembra che si sia instaurato nei suoi confronti un certo regime di tol- leranza. Da ciò consegue che lo Stato francese può difficilmente mostrarsi oggi più severo nel valutare la situazione del- l'Auer senza esporsi al canone «venire contra factum proprium . . .». Inoltre, l'imputato può forse provare di aver esercitato la medicina veterinaria in Ita- lia, il che eliminerebbe la difficoltà. La Commissione sottolinea, in ogni caso, che tale problema si colloca al limite della domanda pregiudiziale, come è stata formulata dal giudice proponente, e ciò soprattutto per il fatto che l'art. 4 della direttiva 78/1026 non è stato invo- cato dall'Auer nella causa principale.
La Commissione sostiene in conclusione che la soluzione del quesito posto dalla Corte d'appello di Colmar dovrebbe in- formarsi ai seguenti principi:
1) gli artt. 2 e 3, leu. f) della direttiva 78/1026 hanno, un'efficacia diretta dopo la scadenza del termine fissato per la trasposizione della direttiva stessa;
2) nessuna disposizione di diritto in- terno, in materia di qualificazione professionale, può ostacolare l'accesso alla professione di veterinario ai tito- lari di diplomi che rispondano alle prescrizioni degli artt. 2 e 3 della direttiva 78/1026/CEE e dell'art. 1 della direttiva 78/1027/CEE;
3) spetta alle autorità nazionali compe- tenti — amministrative e giudiziarie
— dare piena efficacia pratica alle di- sposizioni delle direttive nonostante la loro mancata trasposizione nel diritto interno.
IV — La fase orale
All'udienza del 17 marzo 1983, l'impu- tato nella causa principale, con l'aw.
Y. Camus del foro di Mulhouse; le parti civili, con l'aw. Ph. Lafarge del foro di Parigi; e la Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. J. Del- moly, membro del suo ufficio legale, in qualità d'agente, hanno svolto osserva- zioni orali.
L'avvocato generale ha presentato le sue conclusioni alla udienza del 19 maggio 1983.
In diritto
1 Con sentenza 16 settembre 1982, pervenuta alla Corte il 4 novembre se- guente, la Corte d'appello di Colmar ha posto, ai sensi dell'art. 177 del Trat- tato CEE, una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione degli artt.
52 e 57 dello stesso Trattato, nonché delle direttive del Consiglio 18 dicem- bre 1979 78/1026/CEE e 78/1027/CEE, concernenti, la prima il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di veterinario e compor- tante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabili- mento e di libera prestazione dei servizi, e la seconda il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative per le attività di ve- terinario (GU L 362, pagg. 1 e 7).
2 La questione è stata sollevata nell'ambito'del procedimento penale a carico del sig. Vincent Rudolph Auer, imputato, fra l'altro, d'esercizio illegale della medicina veterinaria in Francia. L'Auer, originariamente cittadino austriaco, studiava medicina veterinaria a Vienna (Austria), a Lione e infine a Parma dove otteneva, il Io dicembre 1956, la laurea in medicina veterinaria, 1 11 marzo 1957 un certificato d'abilitazione provvisoria all'esercizio della professione di veterinario e, il 2 maggio 1980, il certificato d'abilitazione a questa stessa professione. Nel 1958, si stabiliva in Francia per praticare la sua professione, prima come assistente di veterinari francesi e poi per proprio conto.
3 Divenuto cittadino francese nel 1961, chiedeva più volte di essere autorizzato ad esercitare la medicina e la chirurgia degli animali ai sensi del decreto ministeriale 17 novembre 1962, n. 62-1481, a norma del quale, l'autorizza- zione può essere concessa ai veterinari di origine straniera che abbiano ac- quistato la cittadinanza francese e siano in possesso di un diploma di veteri- nario rilasciato all'estero e riconosciuto equivalente al diploma francese da un'apposita commissione d'esami. Le domande venivano tuttavia sempre re- spinte poiché la commissione nel suo caso non ammetteva tale equivalenza e perché la validità della sua laurea era stata riconosciuta «a solo titolo aÇCade- mico». L'Auer non riusciva quindi ad ottenere la richiesta iscrizione all'albo dell'ordine professionale.
4 Tuttavia, ritenendo che questo rifiuto fosse ingiustificato, ľ Auer apriva uno studio di veterinario in Mulhouse dove cominciava ad esercitare la profes
sione. Su denuncia dell'ordine nazionale dei veterinari, più di una volta ve- niva processato per esercizio abusivo della medicina veterinaria. Nell'ambito appunto di uno di questi procedimenti penali, promosso nel 1978, la Corte d'appello di Colmar aveva già sottoposto alla Corte una prima questione pre- giudiziale mirante ad accertare se il fatto di vietare l'esercizio della profes- sione di veterinario in Francia, ad una persona che abbia ottenuto il diritto di esercitare tale professione in un altro Stato membro, costituisce una restri- zione della libertà di stabilimento riconosciuta dagli artt. 52 e 57 del Trat- tato.
s A quell'epoca, l'art. 57 del Trattato CEE non aveva ancora avuto applica- zione per quel che concerne l'accesso alla professione di veterinario; solo il
18 dicembre 1978 le due direttive sopra citate venivano emanate dal Consi- glio. Le direttive contemplano, agli artt. 18, n. 1, e 3, n. 1, rispettivamente che gli Stati membri adottino i provvedimenti necessari per conformarvisi nel termine di due anni a decorrere dalla loro notifica, cioè dal 20 dicembre
1980.
6 Avendo l'Auer chiesto l'applicazione diretta a suo favore delle direttive in questione, la Corte con sentenza 7 febbraio 1979 (Auer, 136/78, Race, pag. 437) dichiarava:
— che per il periodo antecedente alla data alla quale gli Stati membri do- vranno aver adottato i provvedimenti necessari per conformarsi alle diret- tive in questione, i cittadini di uno Stato membro non potevano far valere detta disposizione per esercitare la professione di veterinario nello stesso Stato membro in ipotesi diverse da quelle contemplate dalla legislazione nazionale;
— che peraltro questa soluzione non pregiudicava gli effetti delle direttive summenzionate a decorrere dalla data prescritta agli Stati membri per confo rmarvisi;
— che infine nessuna disposizione del Trattato consentiva di trattare diffe- rentemente i cittadini di uno Stato membro a seconda del momento o del modo in cui avevano acquistato la cittadinanza dello stesso Stato.
7 Alla data del 20 dicembre 1980, la Repubblica francese non s'era ancora con- formata alle direttive sopra citate; provvedimenti di attuazione venivano adottati solo con la legge 20 ottobre 1982, n. 82899. Nel frattempo l'Auer continuava a praticare la professione in Mulhouse, sempre senza essere iscritto all'albo dell'ordine dei veterinari. In seguito ad una nuova denuncia dell'Ordre des vétérinaires de France et du Syndicat national des vétérinaires français, veniva nuovamente processato per esercizio abusivo della medicina veterinaria in esito ad accertamenti effettuati nei giorni 26 gennaio e 15 giu- gno 1981. I fatti accertati risalivano al periodo successivo alla scadenza del termine fissato per l'attuazione delle direttive, ma anteriore all'adozione della legge francese che dava loro esecuzione.
s Nel corso di questo processo, l'Auer eccepiva i diritti scaturenti dalle norme comunitarie sostenendo in particular modo che, essendo scaduto, all'epoca dei fatti in questione, il termine concesso agli Stati membri per conformarsi alle direttive sopra citate, senza che la Francia avesse adottato i provvedi- menti necessari per darvi attuazione, le disposizioni delle direttive erano di- venute direttamente applicabili e che pertanto aveva il diritto di esercitare la professione in Francia.
9 II giudice di prima istanza respingeva questa tesi. La Corte d'appello di ' Colmar ritenendo «da una parte che la soluzione fornita dalla sentenza della
Corte di giustizia 7 febbraio 1979 è espressamente limitata al periodo transi- torio di due anni, il che lascia presumere una soluzione contraria per il pe- riodo successivo» e che «d'altra parte appare cionondimeno inconcepibile che una persona originaria d'un paese straniero e titolare d'un diploma straniero possa esercitare la professione veterinaria in Francia senza doversi preoccu- pare di iscriversi all'albo ed avere quindi maggiori diritti rispetto al cittadino francese d'origine titolare di diplomi nazionali» ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il fatto di esigere da una persona che abbia ottenuto il diritto di eserci- tare la professione di veterinario, in uno Stato membro della Comunità euro- pea che gli ha rilasciato i diplomi di cui all'art. 3 della direttiva n 78/1026, e sia divenuto cittadino di un altro Stato membro, l'iscrizione ad un ordine nazionale prescritta dal suo diritto interno come presupposto per 1 esercizio della professione, mentre è scaduto il termine di due anni stabilito p e r i ado- zione dei provvedimenti necessari per conformarsi alle direttive 78/1026/
CEE e 78/1027/CEE, costituisca una restrizione della libertà di stabilimento sancita dall'art. 52 e 57 del Trattato di Roma».
,o Le parti civili nella causa principale, cioè l'ordine nazionale ed il sindacato nazionale dei veterinari, osservano che il diploma di cui l'Auer è titolare non risponde affatto ai requisiti di preparazione prescritti dall'art. 1 della direttiva 78/1027 e che il certificato di abilitazione rilasciato all'imputato in data 2 maggio 1980 non comprova che egli abbia soddisfatto le condizioni di pre- parazione poste da detta disposizione.
,, L'Auer sottolinea che l'art. 2 della direttiva 78/1026/CEE impone agli Stati membri di riconoscere i diplomi elencati nell'art. 3 e che questo elenco con- tiene espressamente, alla lettera f), i diplomi rilasciatigli in Italia. Ne derive- rebbe per lui il diritto di esercitare in Francia la professione di veterinario, dal momento che la direttiva impone agli Stati membri degli obblighi chiari, precisi ed assoluti ed è dunque suscettibile di applicazione diretta nel senso che essa potrebbe essere opposta dal singolo allo Stato membro che abbia trasgredito l'obbligo di conformarvisi nel termine previsto. Tale opinione, nelle sue linee essenziali, è condivisa dalla Commissione.
12 Al fine di valutare gli argomenti delle parti, è opportuno esaminare in primo luogo le disposizioni delle direttive sopra citate da applicarsi nel presente caso. L'art. 2, n. 1 della direttiva 78/1026/CEE dispone che «ogni Stato membro riconosce i diplomi, i certificati e gli altri titoli rilasciati ai cittadini degli altri Stati membri conformemente all'art. 1 della direttiva 78/1027/
CEE ed elencati all'art. 3, attribuendo loro, sul proprio territorio, lo stesso effetto dei diplomi, certificati ed altri titoli da esso rilasciati per quanto con- cerne l'accesso alle attività di veterinario ed il loro esercizio». Il n. 2 ag- giunge che «quando uno dei diplomi, certificati o altri titoli elencati all'art. 3 è stato rilasciato prima della messa in applicazione della presente direttiva, esso deve essere accompagnato da un attestato compilato dalle autorità com- petenti del paese che lo rilascia in cui si certifichi che esso è conforme all'art.
1 della direttiva 78/1027/CEE». L'art. 3 della direttiva 78/1026 contempla alla leu. f), per ciò che riguarda i titoli rilasciati in Italia, «il diploma di laurea di dottore in medicina veterinaria accompagnato dal diploma d'abilita- zione all'esercizio della medicina veterinaria rilasciato dal ministero della pubblica istruzione sulla base dei risultati dell'apposita commissione per l'esame di Stato».
n E opportuno constatare che i diplomi di laurea e di abilitazione di cui l'Auer è titolare rientrano perfettamente fra quelli menzionati dall'art. 3, lett. f) della direttiva 78/1026/CEE, come d'altronde la stessa Corte d'appello di Colmar dichiara nell'ordinanza di rinvio. Dal momento che questi titoli sono stati rilasciati prima dell'attuazione della direttiva (nel 1956 e, rispettiva- mente, nel 1980), l'art. 2, n. 2, va applicato.
M A questo proposito bisogna ricordare che all'udienza, l'avvocato dell'Auer ha prodotto un documento in data 3 dicembre 1982, proveniente dal preside della facoltà di medicina veterinaria dell'Università di Parma, in cui si certi- fica che il diploma di laurea ed il certificato di abilitazione, rilasciati all'Auer nel 1956 e, rispettivamente, nel 1980, sono conformi all'art. 1 della direttiva 78/1027/CEE.
is II fatto che questo attestato sia stato redatto in epoca successiva ai fatti per i quali l'Auer è stato sottoposto a procedimento penale, non modifica affatto
la posizione di questo, dal momento che il documento in questione non pro- duce l'effetto di far sorgere «ex nunc» il diritto di esercitare la professione veterinaria, ma semplicemente quello di provare che i diplomi rilasciati in epoca anteriore sono conformi alla direttiva 78/1027/CEE. Nel caso in esame dunque, la condizione posta dall'art. 2, n. 2, è stata pertanto soddi- sfatta.
i6 Dato che comportano per ciascuno Stato membro degli obblighi chiari, com- pleti, precisi ed assoluti, le sopra citate disposizioni della direttiva non la- sciano spazio a valutazioni discrezionali. Pertanto, secondo la costante giuri- sprudenza della Corte, il singolo può far valere di fronte al giudice nazionale le disposizioni di una direttiva comunitaria non attuata o attuata in modo incompleto dallo Stato membro interessato. È questo il caso dell'Auer al quale non si può dunque negare il diritto di esercitare in Francia la medicina veterinaria, in forza dei diplomi universitari e dei titoli acquisiti in Italia, a partire dalla data in cui la direttiva in questione avrebbe dovuto essere at- tuata dalla Repubblica francese.
17 Per quel che riguarda specificamente la questione pregiudiziale posta dal giu- dice nazionale e mirante ad accertare se il cittadino d'uno Stato membro che abbia ottenuto in un altro Stato membro i titoli che abilitano all'esercizio della professione di veterinario, abbia il diritto di esercitare tale professione pur in mancanza dell'iscrizione all'albo dell'ordine professionale, le parti ci- vili nella causa principale eccepiscono che l'interessato non può sottrarsi al- l'obbligo d'iscrizione, nemmeno se i diplomi o i certificati di cui è titolare sono validi.
is A questo proposito, bisogna rilevare che l'iscrizione o l'affiliazione obbliga- toria ad una organizzazione o ad un ente professionale sono menzionate da parecchie disposizioni della direttiva 78/1026/CEE — in particolare dal primo considerando e dagli a m . 7 e 12 — e devono essere considerate come lecite, in relazione al fatto che mirano a garantire la moralità ed il rispetto dei principi deontologici, nonché il controllo disciplinare dell'attività dei ve- terinari, quindi esigenze meritevoli di tutela. Le disposizioni legislative degli Stati membri che prescrivono l'iscrizione obbligatoria all'ordine professionale non sono dunque, di per sé, incompatibili con il diritto comunitario.
i9 Tuttavia, come le stesse parti civili ammettono, la conformità di tale obbligo al diritto comunitario è sottoposta alla condizione che siano rispettati i prin- cipi fondamentali, soprattutto quello di non discriminazione. Infatti, non si può rifiutare la iscrizione all'albo dell'ordine professionale per 'motivi che ignorano la validità di un titolo professionale ottenuto in uno Stato membro, quando questo titolo figura tra quelli che tutti gli Stati membri, nonché i loro rispettivi ordini professionali, in quanto enti incaricati di una funzione pub- blica, sono tenuti a riconoscere in forza del diritto comunitario. Pertanto la legislazione che contempli procedimenti penali o amministrativi a carico d'un veterinario che eserciti la sua professione senza essere iscritto all'albo profes- sionale, qualora tale iscrizione gli sia stata rifiutata trasgredendo il diritto comunitario, non è compatibile con il diritto comunitario stesso in quanto finisce con il privare di qualsiasi efficacia pratica le disposizioni del Trattato e della direttiva 78/1026/CEE, disposizioni che mirano, ai sensi del secondo considerando, a facilitare l'esercizio «effettivo» del diritto di stabilimento e della libera prestazione dei servizi di veterinario.
20 Bisogna dunque risolvere come segue la questione sollevata dalla Corte d'ap- pello di Colmar:
— Il cittadino di uno Stato membro, abilitato ad esercitare la professione veterinaria in un altro Stato membro, che gli ha rilasciato uno dei di- plomi, certificati o altri titoli di cui all'art. 3 della direttiva 78/1026/CEE, anche prima che questa fosse attuata, ha il diritto di praticare detta pro- fessione nel primo Stato dal 20 dicembre 1980, purché le competenti au- torità dello Stato membro nel quale ottenne il diploma gli abbiano rila- sciato un certificato attestante che tale diploma è conforme all'art. 1 della direttiva 78/1027/CEE.
— La mancata iscrizione all'ordine nazionale dei veterinari non può impe- dire l'esercizio della professione né dar luogo ad un procedimento penale per esercizio abusivo della professione quando l'iscrizione stessa è stata rifiutata trasgredendo il diritto comunitario.
Sulle s p e s e
2i Le spese sostenute dalla Commissione delle Comunità europee, che ha pre- sentato delle osservazioni alla Corte, non sono ripetibili. Poiché il procedi- mento costituisce, nei confronti delle parti nella causa principale, un inci- dente sollevato dinanzi al giudice nazionale, spetta a questo pronunciarsi sulle spese.
Per questi motivi,
LA C O R T E (Prima Sezione),
statuendo sulla questione sottopostale dalla Corte d'appello di Colmar (chambre des appels correctionnels), con ordinanza 16 settembre 1982, dichiara:
Io II cittadino di uno Stato membro, abilitato ad esercitare la profes- sione veterinaria in un altro Stato membro, che gli ha rilasciato uno dei diplomi, certificati o altri titoli di cui all'art. 3 della direttiva 78/1026/CEE, anche prima che questa fosse attuata, ha il diritto di praticare detta professione nel primo Stato dal 20 dicembre 1980, purché le competenti autorità dello Stato membro nel quale ottenne il diploma gli abbiano rilasciato un certificato attestante che tale di- ploma è conforme all'art. 1 della direttiva 78/1027/CEE.
2° La mancata iscrizione all'ordine nazionale dei veterinari non può im- pedire l'esercizio della professione né dar luogo ad un procedimento penale per esercizio abusivo della professione quando l'iscrizione stessa è stata rifiutata trasgredendo il diritto comunitario.
O'Keeffe Bosco Koopmans
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo, il 22 settembre 1983.
Per il cancelliere
J. A. Pompe
cancelliere aggiunto
Il presidente della Prima Sezione A. O'Keeffe