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Opzioni terapeutiche per la sindrome metabolica nei pazienti obesi

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Academic year: 2022

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Opzioni terapeutiche per la sindrome metabolica nei pazienti obesi

A.M. Carella, M. Conte

Struttura Complessa di Medicina Interna, Presidio Ospedaliero “T. Masselli-Mascia”, ASL FG/1 San Severo (FG), Italia

Rassegna

Clin Ter 2007; 158 (5):457-464

Corrispondenza: Dr. Angelo Michele Carella, Struttura Complessa di Medicina Interna, Presidio Ospedaliero “T. Masselli-Mascia”, Via T.

Masselli 28, 71016 San Severo (FG), Italia. Tel. +39.0882.200478-479; Fax +39.0882.200264. E-mail: [email protected] Introduzione

La sindrome metabolica è un “clustering” di alterazioni metaboliche che incrementa il rischio cardiovascolare (1, 2) e il cui primum movens è l’insulino-resistenza (3), cioè una ridotta o ineffi cace risposta biologica di tessuto adiposo, fegato e muscolatura scheletrica all’azione del- l’insulina (3, 4).

Riassunto

La sindrome metabolica (MS), un “clustering” di fattori di rischio quali obesità, iperglicemia, ipertensione arteriosa e dislipidemia, contribuisce allo sviluppo di patologie cardio-vascolari e diabete mellito tipo 2 (DM2). L’insulino-resistenza gioca un ruolo chiave nella SM ed è strettamente correlata al grasso addominale viscerale.

Il trattamento dei pazienti obesi con SM dovrebbe mirare a migliorare l’insulino-resistenza, ritardare la comparsa di DM2, ridurre il rischio cardio-vascolare. Il calo ponderale, primo target terapeutico, può es- sere ottenuto modifi cando lo stile di vita ed eventualmente mediante farmaci anti-obesità o chirurgia bariatrica. In questi pazienti, la terapia farmacologia diventa necessaria se i cambiamenti dello stile di vita sono insuffi cienti. Alcuni farmaci hanno effetti dismetabolici, pertanto le scelte terapeutiche devono essere mirate e razionali. Metformina, Tiazolidinedioni e Acarbose sono ipoglicemizzanti di scelta: riducono l’incidenza di DM2 e l’insulino-resistenza (o migliorano la sensibilità insulinica), riducono o non modifi cano la massa adiposa viscerale (i Tiazolidinedioni causano aumenti del solo grasso sottocutaneo).

Anche Bloccanti recettoriali dell’angiotensina II e Inibitori dell’enzi- ma di conversione dell’angiotensina riducono l’incidenza di DM2 e l’insulino-resistenza e sono anti-ipertensivi di prima linea nella SM.

Calcio-antagonisti, Alfa-litici e Alfa2-agonisti sono metabolicamente neutri e lievi aumenti di peso sono correlati alla ritenzione idro-sodica.

Beta-bloccanti e Diuretici, eccetto Indapamide e Anti-aldosteronici, possono ridurre la sensibilità insulinica, alterare il profi lo lipidico e aumentare l’incidenza di DM2; pertanto non sono di prima scelta ma trovano indicazione solo in casi selezionati. Statine, Fibrati e Acidi grassi ω-3 sono indicati per normalizzare la dislipidemia. Sono rac- comandate anche basse dosi di acido acetilsalicilico. Clin Ter 2007;

158(5):457-464

Parole chiave: obesità, sindrome metabolica, terapia

Abstract

Therapeutic options for metabolic syndrome in obese patients The metabolic syndrome (MS), a cluster of risk factors, such as obesity, hyperglycemia, hypertension and dyslipidemia, contributes to the development of cardio-vascular diseases and type 2 diabetes mellitus (DM2). Insulin resistance (IR) plays a key role in MS being strongly linked to abdominal visceral fat. Treatment for obese patients with MS should aim at improving IR, delaying the onset of DM2 and at reducing cardio-vascular risk. Weight loss, fi rst therapeutic target, may be obtained through life-style modifi cations and anti-obesity drugs or bariatric surgery, at need. In these patients drug therapy is necessary if therapeutic life-style changes are not suffi cient. Some drugs have adverse metabolic effects, therefore the therapeutic choices must be specifi c and rational. Metformin, Thiazolidinediones and Acarbose are anti-hyperglycemic drugs of choice: they reduce the incidence of DM2 and IR (or improve insulin sensitivity) and they decrease or stabilize the visceral adipose tissue mass (Thiazolidinediones increases subcutaneous fat only). Also Angiotensin II receptor blockers and An- giotensin-converting enzyme inhibitors reduce the incidence of DM2 and insulin resistance and they are fi rst-line antihypertensive drugs in MS. Calcium channel blockers, Alpha-1 antagonists and Alpha-2 agonists drugs are metabolically neutral and slight weight gains are related to the hydro-sodium retention. Beta-blockers and Diuretics, except for Indapamide and Anti-aldosterone drugs, can reduce insulin sensitivity, impair lipid profi le and increase DM2 incidence; they are not fi rst-line therapy yet they are necessary in selected cases only. Statins, Fibrates and ω-3 Fatty acids are indicated to normalize dyslipidemia.

Low doses of acetylsalicylic acid are also recommended. Clin Ter 2007; 158(5):457-464

Key words: metabolic syndrome, obesity, therapy

È noto come l’aumentato rischio cardiovascolare per i pazienti diabetici si manifesti già in fase pre-clinica o pre- diabetica (alterata glicemia a digiuno, ridotta tolleranza glicidica) e sia correlato alla graduale comparsa dell’insu- lino-resistenza e dell’iperinsulinemia (5); e un’aumentata mortalità per patologia coronarica è stata dimostrata già in pazienti con alterata glicemia a digiuno e ridotta tolleranza glucidica (6). C’è, inoltre, ampia evidenza che la sindro-

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me metabolica sia in grado di predire l’eventuale futura insorgenza di diabete mellito di tipo 2 (1, 7, 8); e in effetti l’insulino-resistenza risulta essere un difetto fondamentale nella diabetogenesi (9). Questi dati giustifi cano il notevole interesse della Comunità scientifi ca nel continuare ad affer- mare e ribadire l’importanza di una tempestiva diagnosi e di un adeguato trattamento della sindrome metabolica.

Il “therapeutic lifestyle change”

È stato ampiamente dimostrato come la riduzione del- l’insulino-resistenza consenta di migliorare sensibilmente le espressioni fenotipiche maggiormente ricorrenti e signi- fi cative della sindrome metabolica, vale a dire l’obesità cen- trale o addomino-viscerale, l’iperglicemia, la dislipidemia e l’ipertensione arteriosa (10); ed è stato osservato come la riduzione del grasso addominale viscerale e il calo ponde- rale riducano sensibilmente l’insulino-resistenza (11, 12).

Inoltre, in 3 studi clinici di ampie dimensioni, e condotti in differenti aree geografi che (13-15), gli interventi sullo stile di vita associati a una modesta perdita di peso hanno consentito di ridurre l’incidenza di diabete mellito di tipo 2 del 42%

- 58% rispetto alle popolazioni di controllo.

Sulla base di tali evidenze, e in accordo con i dati della Letteratura, riteniamo che il primo step terapeutico per il paziente obeso con sindrome metabolica debba essere senza dubbio costituito dal cosiddetto “therapeutic lifestyle change” (16), attuabile attraverso l’associazione di terapia medica nutrizionale (dieta ipocalorica equilibrata a limitato contenuto di sodio) (16), attività fi sica di tipo aerobico, costante e di intensità lieve-moderata (16-17), e terapia cognitivo-comportamentale (18), eventualmente rafforzate dalla terapia farmacologia (Sibutramina, Orlistat, a breve Rimonabant) (19-21). In clusters di pazienti accuratamente selezionati, e dopo attenta valutazione del rapporto rischio- benefi cio, potrebbe rendersi anche necessario ricorrere alla chirurgia bariatrica (palloncino intragastrico, gastroplastica, by-pass gastrico) (22).

La terapia farmacologica

Qualora questo approccio terapeutico non fosse suffi - ciente a normalizzare le principali alterazioni metaboliche della sindrome, in particolare iperglicemia, ipertensione arteriosa e dislipidemia, bisognerà ricorrere necessaria- mente a farmaci in grado di migliorarle singolarmente (16). E in tal caso le scelte terapeutiche dovranno essere particolarmente oculate e razionali, preferendo farmaci che non interferiscano con il calo ponderale e con la riduzione del grasso addominale viscerale, che non peggiorino l’in- sulino-resistenza e che siano in grado, se non di prevenire, quanto meno di rallentarne la progressione verso il diabete mellito di tipo 2.

Farmaci ipoglicemizzanti. In questo tipo di pazienti, nel caso in cui non si riesca a conseguire un controllo glicemico ottimale, la Metformina è da considerarsi ipo- glicemizzante orale di prima scelta (23). In effetti, questa biguanide consente di migliorare il controllo glicemico (24), riducendo l’iperglicemia a digiuno e i livelli di emoglobina

glicosilata (25), primariamente attraverso la riduzione della produzione epatica di glucosio (gluconeogenesi) (24, 26), e secondariamente interferendo in parte con l’assorbimento gastro-intestinale di glucosio (24). Inoltre, la Metformina è in grado di infl uenzare favorevolmente il metabolismo lipidico, riducendo soprattutto i livelli di colesterolo totale e LDL-colesterolo (25) e in minor misura la trigliceridemia (25, 27), possiede probabilmente un blando effetto anoressiz- zante capace di favorire il calo ponderale e la riduzione del tessuto adiposo (24, 27), non stimola la secrezione insulinica (24) e raramente causa ipoglicemia (24).

Nonostante i dati della Letteratura non siano sempre di univoca interpretazione (28-30), la Metformina viene quasi unanimemente considerata anche farmaco insulino- sensibilizzante (26, 28). È stato infatti dimostrato come il trattamento con Metformina riduca l’insulino-resistenza e l’iperinsulinemia (23, 27, 28), e in diversi studi è stato osser- vato come questa biguanide possa migliorare la sensibilità insulinica periferica, probabilmente attraverso effetti diretti e indiretti, non ancora del tutto chiari, a livello di tessuto adi- poso viscerale, muscolo scheletrico e fegato (26, 31, 32).

In alcuni studi la terapia con Metformina è riuscita a rallentare la progressione verso il diabete mellito di tipo 2 (13) ed è stata in grado di prevenirne le complicanze ma- crovascolari (28, 33).

L’Acarbose è un inibitore competitivo e reversibile delle α-glucosidasi intestinali (34), enzimi che catalizzano la conversione dei carboidrati complessi in monosaccaridi assorbibili (35). La conseguenza clinica più evidente di questa azione inibitoria su digestione e assorbimento dei carboidrati è una riduzione della glicemia (36) e dell’in- sulinemia post-prandiale (34, 35). Ma il trattamento con Acarbose si è dimostrato effi cace anche nel migliorare la sensibilità insulinica (37, 38) e nel ridurre i valori di glicemia basale (39), emoglobina glicosilata (34, 39), trigliceridemia (34, 35), body mass index e circonferenza vita (36,39). No- nostante una recente meta-analisi (39), che però includeva studi, oltre che sull’Acarbose [n = 30], anche su altri inibitori delle α-glucosidasi quali Miglitolo [n = 7], Voglibose [n = 1] e combinati [n = 1], non abbia evidenziato effetti positivi statisticamente signifi cativi di questi farmaci su mortalità e morbilità, va sottolineato che lo studio STOP-NIDDM (40), tra l’altro, ha dimostrato come il trattamento con Acarbose sia in grado di ridurre l’incidenza di diabete mellito di tipo 2 in soggetti obesi con alterata tolleranza glucidica. E, in un’analisi secondaria dello stesso studio (41), l’Acarbose risultava ridurre anche lo sviluppo di nuovi casi di iperten- sione arteriosa e di eventi cardiovascolari. Alla luce di questi dati, riteniamo giustifi cato e consigliabile l’uso di Acarbose, in monoterapia o in associazione con altri ipoglicemizzanti orali, nel trattamento di pazienti sovrappeso-obesi con sindrome metabolica nei quali il controllo glicemico non dovesse raggiungere un target ottimale.

Pioglitazone e Rosiglitazone sono due farmaci, apparte- nenti alla classe dei Tiazolidinedioni, in grado di esercitare attività agonista sul recettore nucleare γ attivato di proli- ferazione dei perossisomi (PPARγ) (42); questo recettore funziona da fattore di trascrizione che regola l’espressione di molteplici geni coinvolti nel metabolismo glico-lipidico e nella adipogenesi e differenziazione adipocitaria (42), oltre che nella fl ogosi (43). In diversi studi clinici Pioglitazone

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(44-46) e Rosiglitazone (47-49) sono risultati effi caci nel ridurre la glicemia e l’iperinsulinemia mediante riduzione dell’insulino-resistenza a livello di tessuto adiposo, epatico e muscolare (50, 51), hanno evidenziato anche un modesto ma signifi cativo effetto anti-ipertensivo (51, 52) e hanno modifi cato positivamente una serie di processi coinvolti nel- l’evoluzione dell’aterosclerosi (43, 53, 54); inoltre, soprat- tutto Pioglitazone (44-46) e in minor misura Rosiglitazone (48, 49), sono stati in grado di migliorare il profi lo lipidico (55, 56). I risultati dello studio TRIPOD (57), infi ne, hanno dimostrato anche per i tiazolidinedioni un potenziale effetto preventivo nei confronti dell’insorgenza del diabete mellito di tipo 2. Pertanto, anche questi farmaci, che possono essere associati alla Metformina (58, 59) e/o all’Acarbose (60, 61), costituiscono un’importante opzione terapeutica nel tratta- mento della sindrome metabolica, anche se possono causare un modesto incremento ponderale, ascrivibile tuttavia ad aumento del grasso sottocutaneo e non di quello viscerale ed epatico (42, 62-64).

Farmaci antipertensivi. Diversi studi osservazionali hanno suggerito che, sebbene i farmaci anti-ipertensivi tradizionali non causino direttamente il diabete mellito di tipo 2, è probabile che alcuni di essi possano avere un effetto diabetogeno e accelerare lo sviluppo di questa patologia in soggetti a rischio o geneticamente predisposti (65-67).

E dati di follow-up a lungo termine di pazienti trattati con alcune classi di farmaci anti-ipertensivi hanno dimostrato come queste forme di diabete “iatrogeno” siano associate ad un incremento di eventi cardiovascolari simile a quello osservato in pazienti spontaneamente diabetici (68, 69).

Studi in vitro e in vivo hanno suggerito un possibile ruolo del Sistema renina-angiotensina (RAS) nella genesi dell’insulino-resistenza (70). Reviews della Letteratura e meta-analisi di trial clinici (70-74) hanno effettivamente dimostrato che bloccando farmacologicamente il RAS, me- diante inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-inibitori) o mediante bloccanti del recettore di tipo 1 (AT1R) dell’angiotensina II (ARBs), sia possibile aumentare la sensibilità dei tessuti periferici all’azione dell’insulina, migliorare l’insulino-resistenza e ridurre l’incidenza di diabete mellito di tipo 2.

I meccanismi attraverso i quali ACE-inibitori e ARBs riducono l’insulino-resistenza non sono ancora del tutto chiari. Sono stati ipotizzati, e in gran parte dimostrati, ef- fetti di tipo emodinamico come il miglioramento del fl usso ematico muscolare e del microcircolo, con più adeguato, tempestivo ed effi cace rilascio di insulina e glucosio alla muscolatura scheletrica, e meccanismi non emodinamici come la riduzione dello stress ossidativo angiotensina II- correlato a livello dei tessuti insulino-sensibili, le azioni dirette sulle vie di “signaling” dell’insulina, sui meccanismi di trasporto intracellulare del glucosio GLUT 4-mediati, sul- l’adipogenesi e differenziazione adipocitaria e sull’attività simpatica (65, 70, 75).

È stato, inoltre, dimostrato come alcuni ARBs, soprat- tutto quelli maggiormente lipofi li, in particolare Telmisartan (76, 77), in minor misura Irbesartan (76, 78), Losartan (76, 78) e gli altri (78), oltre ad antagonizzare con l’angioten- sina II a livello recettoriale, siano dotati anche di azione agonista parziale sul PPARγ, indipendentemente dal blocco recettoriale AT1 (76); pertanto sarebbe lecito attendersi da

questi farmaci un effetto ancora più incisivo sulla riduzione dell’insulino-resistenza (70, 77), ma ulteriori studi saranno necessari in tal senso. L’azione agonista parziale degli ARBs sul PPARγ non sembra essere gravata da incrementi del peso corporeo né della massa adiposa (77).

In modelli animali di diabete mellito di tipo 2 è stato anche dimostrato come il RAS locale, a livello del pancreas, possa essere sovraregolato e come il blocco di questa via metabolica possa inibire gli effetti dell’angiotensina II su vasocostrizione pancreatica, fl ogosi, stress ossidativo, fi brosi locale, apoptosi e morte β-cellulare, tutti fattori che contribuiscono all’insorgenza del diabete mellito (65). E in Letteratura (65, 70-73) c’è ampia evidenza che il blocco del RAS consenta di ridurre signifi cativamente anche gli odds di sviluppo del diabete mellito di tipo 2, indipendentemente dal tipo di ACE-inibitore o ARBs utilizzato (71). Sulla base di tali evidenze, riteniamo questi farmaci sicuramente di scelta per il trattamento anti-ipertensivo di quei pazienti con sindrome metabolica nei quali non si riescano a raggiungere i targets di pressione arteriosa raccomandati dalle linee guida internazionali (79, 80), e li consideriamo anche particolar- mente indicati in pazienti ad elevato rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2, come appunto il paziente obeso con sindrome metabolica.

In merito all’eventuale impiego di altre classi di farmaci anti-ipertensivi in questo tipo di pazienti, si deve necessa- riamente tener conto dei dati ottenuti da numerosi studi clinici controllati (72, 73, 81), che hanno evidenziato in modo chiaro come pazienti ipertesi trattati con diuretici e/o β-bloccanti presentino, già nei pochi anni di durata dello studio, una maggiore incidenza di diabete mellito di tipo 2 rispetto ai pazienti trattati con ACE-inibitori, ARBs e calcio-antagonisti diidro- e non diidro-piridinici. Va tuttavia puntualizzato che, ad eccezione dello studio SHEP (82), unico trial che prevedeva l’impiego di placebo nel gruppo di controllo, tutti gli altri erano studi di confronto tra differenti classi di farmaci anti-ipertensivi, per cui non è possibile stabilire con certezza se la differente incidenza di diabete mellito tra gruppi di pazienti che ricevevano farmaci anti- ipertensivi diversi possa dipendere dall’effetto diabetogeno di un farmaco o dall’azione anti-diabetogena dell’altro o da entrambi. Una recente rianalisi dei dati dello studio SHEP (83), che ha utilizzato criteri più attuali per la diagnosi di diabete, ha però effettivamente dimostrato una maggiore signifi cativa incidenza di diabete mellito di tipo 2 nel gruppo di pazienti trattati con Clortalidone, ed eventuale aggiunta di Atenololo, rispetto al gruppo randomizzato a placebo; una maggiore tendenza allo sviluppo di diabete è stata osserva- ta anche nel gruppo di pazienti trattati con l’associazione Clortalidone-Atenololo rispetto a quelli trattati con la sola terapia diuretica.

Gli effetti dismetabolici dose-dipendenti dei diuretici, sia tiazidici (ad eccezione di Indapamide) che drastici dell’ansa, e dei β-bloccanti, soprattutto di quelli non selettivi e privi di attività simpaticomimetica intrinseca, sono comunque noti da tempo e ampiamente descritti e si ripercuotono in particolar modo sul metabolismo glico-lipidico (84-89). Un potenziale effetto diabetogeno, in senso stretto, di questi farmaci potrebbe avere un’origine emodinamica, legata alla riduzione del fl usso ematico nei distretti vascolari della muscolatura scheletrica, come diretta conseguenza della

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riduzione del volume ematico e della gittata cardiaca de- terminate rispettivamente da diuretici e β-bloccanti (90); la riduzione del fl usso ematico a livello della muscolatura sche- letrica, dove di fatto si determina la sensibilità insulinica, farebbe aumentare la distanza che l’insulina deve “coprire”

per agire a livello della membrana cellulare (65, 91). Allo stato attuale delle conoscenze, riteniamo che si debba svi- luppare un atteggiamento fl essibile nei confronti di diuretici e β-bloccanti: queste due classi di farmaci non andrebbero utilizzate come prima scelta terapeutica anti-ipertensiva in pazienti ad elevato rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2, in particolare in soggetti sovrappeso-obesi, con alterata glicemia a digiuno o alterata tolleranza glucidica, o con sindrome metabolica franca, soprattutto se giovani e con ipertensione arteriosa di grado lieve. Ovviamente questo non deve signifi care porre dei limiti all’impiego di questi farmaci che, indipendentemente dalla presenza o meno di sindrome metabolica o di altre alterazioni del metabolismo glico-lipidico, restano di fondamentale e vitale importanza in pazienti già ad elevato rischio cardiovascolare (coronaropa- tia, post-infarto, scompenso cardiaco); in tali casi riteniamo anche di condividere la preferenza per diuretici risparmiatori di potassio anti-aldosteronici (84, 87), Indapamide (86, 88) e β-bloccanti selettivi (85, 88).

Per quanto riguarda i calcio-antagonisti, diidro- e non diidro-piridinici, sono descritti effetti positivi di alcuni di questi farmaci sia sul profi lo glico-lipidico che sulla sensi- bilità insulinica (86), correlati con una possibile intrinseca attività anti-ossidante (84) e con possibili azioni su tessuto adiposo bruno (92), lipoprotein-lipasi (93) e concentrazioni del calcio libero intracellulare (94) ed intra-adipocitario (95, 96); tuttavia studi in vitro (97, 98) hanno evidenziato anche effetti negativi di questi farmaci sulla secrezione insulinica, sebbene i dati derivanti da studi in vivo siano discordanti e spesso di trascurabile signifi cato clinico (98-100). Al di là di queste osservazioni, i dati di gran parte della Letteratura sono comunque concordi nel considerare metabolicamente neutra (84-89) questa classe di farmaci anti-ipertensivi ai dosaggi solitamente utilizzati nella pratica clinica. Per altro, in alcuni trials di confronto con altri farmaci anti-ipertensivi, durante il trattamento con calcio-antagonisti è stata riscon- trata un’incidenza di diabete mellito di tipo 2 maggiore o uguale a quella osservata utilizzando ACE-inibitori (101, 102) o ARBs (103), ma inferiore rispetto alla terapia con Atenololo (104). Sulla base di tali evidenze riteniamo che questa classe di farmaci possa essere utilizzata nel paziente obeso con sindrome metabolica, anche se non come prima scelta terapeutica anti-ipertensiva, ad esempio nei casi in cui dovesse rendersi necessaria una terapia di associazione per potenziare l’effetto ipotensivo di ACE-inibitori o ARBs.

Non abbiamo riscontrato dati suffi cientemente evidenti che suggeriscano di evitare o limitare, in questo tipo di pa- zienti, l’impiego di altre due classi di farmaci anti-ipertensivi a volte utilizzati nella pratica clinica, quali i bloccanti α1- adrenergici, tipo Doxazosin, e gli agonisti α2-adrenergici ad azione centrale, come ad esempio Metildopa e, soprattutto, Clonidina. Effettivamente non sono descritti signifi cativi effetti dismetabolici di questi farmaci, né loro ripercussioni negative sulla sensibilità insulinica o sulla massa adiposa.

Lievi incrementi ponderali sono stati osservati in alcuni casi, soprattutto durante trattamento con Doxazosin e

Metildopa, ma sarebbero da attribuire alla ritenzione idro- sodica correlata al loro meccanismo d’azione (105, 106).

Per contro, Doxazosin è risultato moderatamente effi cace nel migliorare il quadro lipidico (107) e in alcuni studi ha evidenziato anche effetti positivi sul controllo glicemico e sull’insulino-resistenza (107,108). Più deboli e limitate sono invece le evidenze circa gli effetti favorevoli di Clonidina su secrezione e sensibilità insulinica (108,109). Non sono invece disponibili dati in merito ad eventuali infl uenze di questi farmaci sullo sviluppo di nuovi casi di diabete mellito di tipo 2 (72).

Farmaci ipolipemizzanti. La correzione della dislipi- demia aterogena è uno dei principali obiettivi terapeutici della sindrome metabolica ed è fondamentale per ridurre il rischio cardiovascolare di questi pazienti (110). Non sempre la correzione dello stile di vita e la dieta ipolipidica sono suffi cienti a normalizzare i valori di colesterolo totale, HDL- e soprattutto LDL-colesterolo, nonché la trigliceridemia, per cui spesso è necessario ricorrere alla terapia farmacologica.

Statine, fi brati e acidi grassi polinsaturi ω-3 a lunga catena sono le tre principali classi di farmaci ipolipemizzanti co- munemente utilizzate nella pratica clinica.

Le statine (Simvastatina, Pravastatina, Atorvastatina, Lovastatina, Fluvastatina, Rosuvastatina), inibitori com- petitivi dell’enzima 3-idrossi-3-metilglutaril coenzima A (HMG-CoA) riduttasi, sono effi caci soprattutto nel ridurre i livelli di LDL-colesterolo dal 20% al 55% a seconda del dosaggio e della statina utilizzata (111), aumentano di poco l’ HDL-colesterolo (111) e, a dosaggi solitamente maggiori, riducono anche la trigliceridemia (112). Di recente è stata introdotta in commercio una nuova molecola, Ezetimibe, capace di interferire con l’assorbimento intestinale del co- lesterolo e di ridurre i livelli circolanti di HDL-colesterolo;

associata alla simvastatina, Ezetimibe ne potenzia l’effi cacia, consentendone una riduzione del dosaggio e, di conseguen- za, limitandone gli effetti collaterali, soprattutto miopatia e ipertransaminasemia (113).

I fi brati (Gemfi brozil, Fenofi brato, Bezafi brato) sono capaci di azione agonista sul recettore nucleare α attivato di proliferazione dei perossisomi (PPARα), che svolge un ruolo chiave nei processi regolatori dell’omeostasi energe- tica e nella β-ossidazione degli acidi grassi (114); questi farmaci si sono dimostrati effi caci soprattutto nel ridurre l’ipertrigliceridemia e nell’incrementare i livelli di HDL- colesterolo (110, 114).

Gli acidi grassi polinsaturi ω-3 a lunga catena (Acido eicosapentanoico, Acido docosaesanoico) agiscono modu- lando l’espressione di geni coinvolti nei processi di ossida- zione e sintesi lipidica e sono particolarmente effi caci nel ridurre la trigliceridemia (115). Questi farmaci sono più maneggevoli dei fi brati, dei quali non condividono alcuni importanti effetti collaterali (miopatia, interferenza farma- cologia con ipoglicemizzanti e anticoagulanti orali) (116, 117) e sarebbero da preferire agli stessi fi brati soprattutto in caso di terapia di associazione con le statine.

Statine (111), fi brati (110, 118) e acidi grassi polinsa- turi ω-3 a lunga catena (115) pare siano anche in grado di migliorare la sensibilità insulinica e di contrastare l’insu- lino-resistenza, con azioni differenti, dirette o indirette, e non sono noti effetti sfavorevoli su calo ponderale e massa adiposa. Queste tre classi di farmaci hanno dimostrato

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di possedere anche effetti “pleiotropici” che consentono di ridurre lo stress ossidativo, la fl ogosi e l’aggregazione piastrinica a livello della parete arteriosa, oltre che miglio- rare la disfunzione endoteliale e la stabilità della placca aterosclerotica, contrastando la trombogenesi (111, 114, 115, 119). Un’analisi post hoc di trials placebo-controllati su Simvastatina, Pravastatina, Atorvastatina e Bezafi brato ha evidenziato una tendenza verso una minore incidenza di diabete mellito di tipo 2 durante il trattamento con questi farmaci, anche se le evidenze non possono considerarsi conclusive (72). Riteniamo, invece, non consigliabile, nel paziente con sindrome metabolica, l’utilizzo di Acido nico- tinico (Niacina) e resine sequestranti gli acidi biliari, a causa dei loro potenziali effetti rispettivamente iperglicemizzante (120) e ipertrigliceridemizzante (121).

Farmaci anti-aggreganti piastrinici. In accordo con le numerose evidenze scientifi che che hanno sottolineato il ruolo fondamentale della terapia anti-aggregante piastrinica, sia nella prevenzione che nel trattamento delle patologie cardiovascolari (122, 123), raccomandiamo, anche nel pa- ziente con sindrome metabolica, l’impiego di bassi dosaggi giornalieri (75 – 100 mg/die) di acido acetil-salicilico.

Conclusioni

Riteniamo che il trattamento del paziente obeso con sindrome metabolica sia senza dubbio complesso e impe- gnativo e richieda un approccio di tipo unitario, che sappia tener conto globalmente dei vari aspetti patogenetici e clinici della sindrome. Qualora gli interventi sullo stile di vita e il calo ponderale non dovessero riuscire a normalizzare le varie alterazioni metaboliche, si dovrà ricorrere alla terapia farmacologica e spesso potrebbe rendersi necessario l’impie- go di più classi di farmaci per raggiungere target terapeutici ottimali. Finché non disporremo di una “polipill” capace di agire effi cacemente su tutte le principali espressioni fe- notipiche della sindrome metabolica, sarà di fondamentale importanza saper scegliere in modo razionale quei farmaci in grado di consentire un trattamento adeguato, che migliori quelle alterazioni clinico-metaboliche che necessitano di essere corrette senza peggiorarne altre, e che non interferi- sca con le noxae patogene della sindrome, o addirittura le peggiori, favorendone l’evoluzione verso più gravi e spesso irreversibili conseguenze cliniche.

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