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La nanotecnologia è definita

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COSMESI

L

a nanotecnologia è defini- ta come “la progettazio- ne, la caratterizzazione, la produzione e l’applicazione di materiali, dispositivi e sistemi di dimensioni nanometriche”

[1]. Nasce come nanoscienza nell’ambito della fisica e dell’in- gegneria elettronica ma riscon- trò un grande e rapido impatto anche in altre aree scientifiche quali la biologia, la biochimica e la medicina. Lo studio fu sto- ricamente rivolto ai cosiddetti colloidi [2] che sono identificati come dispersioni di particelle di grandezza intermedia tra le mo- lecole in soluzione e le particelle più grossolane in sospensione.

Sono passati 100 anni da quan- do è stato proposto un intervallo delle dimensioni colloidali, che è compreso tra 1 e 1000 nm [3] e ancor oggi è accettato. La novi- tà delle nanoparticelle (NPs) in campo biomedico non era però legato solo alle dimensioni ma a un cambiamento radicale della concezione terapeutica del far- maco e cioè la NP è un sistema progettato di trasporto e prote- zione del farmaco che raggiunge immediatamente la circolazione sistemica. Date le loro dimensio- ni, i nanosistemi hanno abbattu- to il concetto classico che solo i farmaci disciolti nei fluidi biolo- gici possono essere assorbiti e/o distribuiti attraverso il corpo.

Le nanoparticelle sono sistemi di trasporto del farmaco alta- mente biocompatibili, con bas- sa tossicità e immunogenicità.

Sono classificate in due grandi categorie: nanoparticelle inorga- niche e nanoparticelle organiche [4-5].

Eleonora Russo*

TECNICHE DI NANOINCAPSULAZIONE PER APPLICAZIONI COSMETICHE

I liposomi sono stati i pionieri nell’ambito delle nano- strutture da utilizzare in campo farmaceutico e co- smetico per veicolare i principi attivi, permettendo di superare i problemi legati alla loro insolubilità e favorendone l’assorbimento o il passaggio attraverso la pelle. Le innovative nanoparticelle solide lipidiche combinano i vantaggi di diverse tipi di nanostruttu- re, hanno un’ottima capacità di racchiudere gli attivi, sono stabili e altamente biocompatibili, oltre a offrire la possibilità di essere prodotte su scala industriale con costi ridotti.

Foto di Lorenzoclick

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Silicio, Argento e Oro), le nano- particelle magnetiche (ossidi di Ferro tra cui: Fe3O4 magnetite e Fe2O3 ematite), il biossido di Ti- tanio e lo Zinco ossido.

Tra le particelle di natura organi- ca troviamo quelle polimeriche, quelle a base proteica (albumi- na), le micelle, i dendrimeri, i na- notubi, le nanofibre e le nanopar- ticelle a base lipidica (liposomi, nanoparticelle solide lipidiche e carrier lipidici nanostrutturati) che trovano una maggiore ap- plicazione a livello cosmetico e di cui questo articolo tratterà le tecnologie di preparazione.

L’uso della nanotecnologia nei cosmetici è finalizzato alla rea- lizzazione di prodotti più efficaci e che durano più a lungo. Que- sta tecnologia viene applicata per ottimizzare le condizioni di produzione e lo sviluppo di una formulazione robusta per la cura della pelle.

Liposomi

Una delle nanostrutture orga- niche che ha ricevuto molta attenzione dal mondo della co- smetica sono stati i liposomi. I liposomi sono vescicole lipidiche sintetiche costituite da un core idrofilo circondato da un dop- pio strato fosfolipidico anfifilico.

Sono stati introdotti nel 1964 da Alec Bangham [6] e rivoluziona- rono lo scenario farmaceutico e cosmetico. Avendo una porzio- ne idrofila e una lipofila erano in grado di incapsulare sostanze che presentavano entrambe le caratteristiche così da superare problemi di insolubilità che si incontravano nella somministra- zione di molti principi attivi.

I liposomi sono classificati a se- conda della loro forma in uni o multilamellari, a seconda della grandezza in piccoli ≤ 100 nm, intermedi tra 100 e 250 nm e grandi ≥ 250 nm e infine a secon- da della loro carica superficiale

gate alla loro struttura fosfolipi- dica molto simile alle membrane cellulari del nostro organismo.

Infatti, venivano facilmente rico- nosciuti dal sistema reticolo en- doteliale (RES) e attaccati dalle opsonine che ne favoriscono l’eliminazione. Per questo moti- vo i liposomi vengono rivestititi con molecole di polietilenglicole (PEG) a dare i cosiddetti lipo- somi stealth che non sono rico- nosciuti dal RES. Si parla quindi di pegilazione, ovvero di quelle tecniche di preparazione che prevedono il rivestimento del li- posoma con il PEG [8].

Nel tempo sono stati riscontrati altri problemi legati all’uso dei liposomi, tra questi ricordiamo:

bassa efficienza di incapsula- mento, possibilità di aggrega- zione e conseguente perdita di stabilità, scarsa riproducibilità batch to batch, difficoltà nello scale up e una tossicità legata alla carica superficiale, in parti- colare verificatasi per i liposomi cationici.

I liposomi in cosmetica sono stati ampiamente utilizzati perché fa- voriscono il passaggio di ingre- dienti attivi attraverso la pelle. Il ricercatore Cevc [9] fu il primo a sviluppare liposomi flessibili chiamati transfersomi che erano caratterizzati dall’essere meno rigidi. La loro maggiore flessibi- lità era dovuta all’introduzione di un tensioattivo (PEG-8-L) che ne incrementava anche l’assor- bimento. Negli anni più recenti il PEG-8-L è stato sostituito con un altro tensioattivo non ionico idrofilo, il Tween 20.

Le nanoparticelle solide lipi- diche (SLN) e i carrier lipidi- ci nanostrutturati (NLC)

I sistemi a base di lipidi sono il tipo più comune di nanoparti- celle studiate per l’applicazione topica [10].

Le prime SLN erano di forma

conteneva i farmaci o altre mole- cole tra le catene di acidi grassi.

Oggi le SLN presentano delle forme differenti dalla sferica (di- scoidale, ellissoidale) e il farma- co può essere anche legato in superficie.

Dopo 10 anni dalla loro formu- lazione è stata introdotta una seconda generazione di SLN, i carrier lipidici nanostrutturati (NLC), che nella matrice conten- gono anche piccole quantità di lipidi liquidi (oli) a temperatura ambiente e che facilitano il rila- scio del principio attivo dal nu- cleo, aumentando l’efficienza di incapsulamento e la stabilità chi- mico fisica a lungo termine.

Questi due tipi di nanoparticel- le hanno sostituito i liposomi in cosmetica in quanto presentano diversi vantaggi che vengono elencati di seguito.

Le SLN, come prima generazio- ne di particelle lipidiche, hanno mostrato: 1) una maggiore pro- tezione degli ingredienti di una formulazione dalla degradazio- ne (es. l’incapsulazione di co- enzima Q10 e retinolo li ha resi più stabili per lunghi periodi di tempo); 2) un incremento di pe- netrazione dell’attivo attraverso lo strato corneo; 3) maggiori proprietà occlusive, ideali per le creme giorno; 4) un aumen- to della resistenza ai raggi UV quando utilizzate in una crema solare; 5) una maggiore persi- stenza, prolungata nel tempo, della profumazione (es. Chanel Allure) [11-15].

I NLC, oltre a manifestare tutti i vantaggi già elencati per le SLN, presentavano altre due caratte- ristiche che ne favorirono il loro utilizzo in cosmesi e cioè una elevata proprietà occlusiva e di aderenza alla pelle tale da pro- durre un film sottile che previene la disidratazione degli strati sot- tostanti e che ripara e rinforza il film lipidico della pelle, e quello

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di presentare un’attività lubrifi- cante e di barriera che riduceva gli effetti di irritazione e le even- tuali reazioni allergiche.

Per questi ultimi due sistemi di trasporto del principio attivo sono state studiate molte tecni- che di preparazione, quelle mag- giormente efficienti e vantag- giose sono le seguenti [16-17]:

- Tecnica dell’omogeneizzazione ad alta pressione (a caldo o a freddo);

- Tecnica dell’evaporazione del solvente;

- Tecnica della microemulsione;

- Tecnica della doppia emulsione;

- Tecnica dello spray drying.

Tecnica dell’omogenizza- zione ad alta pressione

Il metodo di base utilizzato per la produzione di SLN è l’omo- geneizzazione ad alta pressio- ne che è una pratica dominante, esplorata prima di tutto per la preparazione di SLN. L’omoge- neizzazione ad alta pressione può essere eseguita a tempera- tura elevata (tecnica HPH a cal- do) o a temperatura ambiente (tecnica HPH a freddo) [18]. In entrambe le tecniche, il lipide e il farmaco vengono sciolti a circa 5-10 °C al di sopra del punto di fusione del lipide.

Gli omogeneizzatori ad alta pressione spingono il liquido attraverso valvole ad alta pres- sione (100–2000 bar) in modo tale che le particelle di liquido siano accelerate a velocità estre- mamente elevate (oltre 1000 km/h).

Tali forze e lo stress da cavitazio- ne rompono le goccioline di lipi-

di a livello nanometrico. Di soli- to, è sufficiente un quantitativo lipidico del 5–10% per ottenere una SLN stabile, ma con questa tecnica è possibile lavorare sino a un massimo del 40% di conte- nuto lipidico.

Nella tecnica di omogeneizza- zione a caldo, la massa fusa li- pidica contenente il farmaco viene dispersa sotto agitazione in una soluzione acquosa di ten- sioattivo mantenuta alla stessa temperatura della massa fusa.

La pre-emulsione risultante vie- ne omogeneizzata attraverso un omogeneizzatore ad alta pres- sione a temperatura controllata;

normalmente sono sufficienti tre cicli (500 bar), seguiti dal raf- freddamento della nanoemul- sione (O/A) calda a temperatura ambiente, che porta alla ricristal- lizzazione dei lipidi sotto forma di nanoparticelle lipidiche solide.

La Figura 1 [19] fornisce un’illu- strazione grafica della produzio- ne di SLN utilizzando il metodo di omogeneizzazione a caldo.

In generale, il metodo di omoge-

neizzazione a caldo può essere utilizzato per principi attivi idro- fobici e scarsamente solubili, la degradazione di principi termo- labili è improbabile in quanto l’esposizione alle temperature elevate è relativamente basso.

Tuttavia, questa tecnica non è adatta per le sostanze idrofi- le perché un elevato passaggio nella fase acquosa, durante l’o- mogeneizzazione, porta a una bassa efficienza di incapsula- mento. Le proprietà del prodot- to finale sono influenzate dalle condizioni in cui viene effettua- ta la pre-emulsione, che si pre- ferisce costituita da goccioline dell’ordine del micrometro. Tra i parametri che possono influen- zare il prodotto finale troviamo:

la dimensione delle goccioline e la temperatura, a questo pro- posito bisogna ricordare che l’o- mogeneizzazione ad alta pres- sione produce un aumento della temperatura del campione (circa 10 °C con p=500 bar). Inoltre, il processo di omogeneizzazio- ne può essere ripetuto più vol-

Figura 1.

illustrazione schematica della tecnica di omoge- nizzazione a caldo (figura tradotta e modificata da [19])

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te. Nella maggior parte dei casi, sono sufficienti 3-5 cicli di omo- geneizzazione a 500-1500 bar per ottenere le dimensioni desi- derate. Va ricordato che l’elevata pressione di omogeneizzazione o un numero maggiore di cicli spesso si traduce in un aumento della dimensione delle particelle a causa del verificarsi della coa- lescenza dovuta all’elevata ener- gia cinetica delle particelle.

L’HPH a freddo è una tecnica adatta per il trattamento di far- maci termosensibili e/o farma- ci idrofili. Durante il metodo di omogeneizzazione a freddo, la miscela lipidica viene fusa e successivamente raffreddata ra- pidamente, dopodiché il lipide solido viene macinato, utilizzan- do un mulino, in microparticelle lipidiche che vengono disperse in una soluzione acquosa fredda contenente un tensioattivo, in questo modo si ottiene la pre-so- spensione. La pre-sospensione di microparticelle viene omoge- neizzata a temperatura ambien- te o inferiore; le forze di cavita- zione prodotte dal processo di omogeneizzazione sono abba- stanza forti da rompere le par- ticelle in nanoparticelle lipidiche solide. È necessario un rigoroso controllo della temperatura per assicurarsi che il lipide rimanga allo stato solido e non fonda, an- che dopo l’aumento della tem- peratura durante l’omogeneiz- zazione. La fase iniziale è simile all’omogeneizzazione a caldo che comprende la dispersione o la solubilizzazione del princi- pio attivo nella miscela lipidica.

La seconda fase è costituita da un raffreddamento rapido della massa fusa, che porta a un’uni- formità di pa nelle particelle lipi- diche. La Figura 2 [19] mostra il metodo di omogeneizzazione a freddo. Con questa tecnica pos- siamo anche ridurre al minimo la perdita di sostanze idrofile nella fase acquosa sostituendola con altri mezzi idonei in cui la solu- bilità sia inferiore (per esempio

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La pelle liscia e regolare di una bambola di porcellana artigianale

Storte in vetro soffiato del XVIII secolo (Aboca Museum)

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olio o PEG 600) [20]. Il proces- so di omogeneizzazione a freddo presenta dei vantaggi rispetto all’omogeneizzazione a caldo poiché elimina o limita i principali problemi che sono: (a) degrada- zione del principio attivo indotta dal calore; (b) ripartizione del principio attivo nella fase acquo- sa durante l’omogeneizzazione.

Tecnica dell’evaporazione del solvente

In questa tecnica vengono uti-

lizzati alcuni solventi organici immiscibili in acqua, come ciclo- esano, diclorometano, toluene e cloroformio, per sciogliere la so- stanza attiva idrofobica e i com- ponenti lipidici. La miscela lipi- dica ottenuta viene emulsionata con una soluzione idrofila utiliz- zando un omogeneizzatore ad alta velocità in modo tale da ot- tenere SLN di piccole dimensio- ni. Successivamente, da questa nanoemulsione, mantenuta sot- to agitazione magnetica a tem- peratura ambiente, viene fatto evaporare il solvente organico a

pressione ridotta (40–60 mbar) con conseguente precipitazione delle SLN [21]. Con questa tec- nica si possono variare le dimen- sioni delle SLN modificando la concentrazione di lipidi in fase organica, minore sarà il contenu- to lipidico e più piccole saranno le dimensioni particellari [22].

Inoltre, sarebbe ottimale per la preparazione lavorare evitando calore eccessivo, ultimo step è la centrifugazione per separare e raccogliere le SLN dalla sospen-

sione. La Figura 3 [19] mostra il metodo di evaporazione del sol- vente.

Tecnica

della microemulsione

Questo metodo sfrutta le micro- emulsioni che sono una prepa- razione liquida limpida e/o tra- sparente costituita da una fase lipidica e una fase acquosa sta- bilizzate con dei tensioattivi. La microemulsione risulta una for- mulazione intermedia, in quanto se aggiunta sotto agitazione a un’altra fase acquosa può por- tare alla formazione di particel- le più fini a dare come prodotto finale le SLN [23]. Questa dilui- zione, tuttavia porta a una resa inferiore delle SLN rispetto a quello che si ottiene con il me- todo HPH.

La Figura 4 [19] descrive sche- maticamente il processo. Innan- zitutto, si prepara una microe- mulsione a caldo mescolando un 10% di lipide solido fuso con una soluzione acquosa conte- nente il 15% di tensioattivo e 10%

di cotensioattivo. Questa prima microemulsione calda viene di- luita con acqua fredda (1:50), la miscela viene mantenuta in agi- tazione durante la diluizione che porta alla nanoprecipitazione dei lipidi. È possibile utilizzare la tec- nica della microemulsione per la

nizzazione a freddo (figu-

ra tradotta e modificata da [19])

Figura 3.

illustrazione schematica della tecnica dell’evapo- razione del

solvente (figura tradotta e modificata da [19])

Figura 4. illustrazione schematica della tecnica di microemulsione (figura tradotta e modificata da [19])

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produzione su larga scala di SLN, si utilizzano grandi vasche riscal- date a temperatura controllata, successivamente la microemul- sione viene diluita per trasferi- mento in un serbatoio contenen- te acqua fredda, dove avviene la precipitazione dei lipidi [24].

Un altro modo di preparare SLN con la tecnica della microemul- sione è quella che prevede l’uso di microonde (Figura 5 [19]) in cui il principio attivo, il lipide e la soluzione acquosa contenente il tensioattivo vengono posti in un unico contenitore e riscaldati im- piegando le microonde.

Tecnica della doppia emulsione

In questo metodo il principio atti- vo viene sciolto in una soluzione acquosa che viene emulsionata con una miscela lipidica fusa in modo da formare un’emulsione primaria A/O stabilizzata con op- portuni eccipienti (per esempio gelatina, poloxamer 407). L’e- mulsione primaria A/O viene, poi, riemulsionata con una seconda soluzione idrofila contenente agenti emulsionanti. Questa se- conda fase acquosa può essere della stessa natura della prima o può essere diversa, cioè contene- re altri stabilizzanti; in entrambi i casi si ottiene una doppia emul- sione A/O/A. L’agitazione vigo- rosa della doppia emulsione con- sente la formazione di SLN che vengono isolate poi mediante fil- trazione o evaporazione del sol- vente acquoso [25]. Con questo

metodo, vengono prodotte parti- celle di più grandi dimensioni ma la tecnica permette una incap- sulazione maggiore di molecole idrofile e dà la possibilità di ag- giungere rivestimenti superficiali alle particelle che si vengono a creare (per esempio con PEG).

Il metodo della doppia emulsio- ne può anche evitare la fusione del lipide strutturale quando si vogliono preparare particelle li- pidiche incapsulanti peptidi e/o proteine (Figura 6).

Tecnica dello spray drying

Lo spray drying (SD) è una tec- nica di essicamento economica utilizzata ampiamente nel setto- re farmaceutico e alimentare per produrre materiali microincapsu- lati [27]. La riduzione dell’acqua per essicamento del prodotto di partenza fa sì che diminuisca la water activity, ottenendo com- posti con maggiore stabilità mi- crobica, evitando rischi di degra- dazione chimica o biologica degli

stessi. Tuttavia, si ha un discreto spreco di energia, dato dalla par- ziale perdita di calore del gas es- siccante. Inoltre, la resa del pro- dotto ottenuto, in molti casi non è elevata.

Il processo prevede l’atomizza- zione di un liquido, il quale può essere una soluzione, emulsione o sospensione, che viene succes- sivamente investito da una cor- rente calda di gas in una camera di essiccamento. Generalmente il gas utilizzato è l’aria, ma, se

Figura 5. illustrazione schematica della tecnica di microemulsione utilizzando il micro- onde (figura tradotta e modificata da [19])

Figura 6. illustrazione schematica della tecnica della doppia emulsione (figura tradotta e modificata da [26])

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seconda del materiale di parten- za e del settaggio deciso dall’o- peratore, si può ottenere come prodotto finale una polvere più o meno fine, le cui particelle pos- sono variare dai 10-50 μm ai 2-3 mm di diametro. La nebulizzazio-

prodotto microincapsulato una volta essiccato dall’aria calda, passando attraverso un ciclone, viene convogliato in una came- ra sottostante di raccolta. Ogni spray dryer (Figura 7) è formato da una pompa di alimentazione,

sistemi di filtrazione e depurazio- ne dell’aria esausta.

Lo spray drying è stato studiato anche per lo sviluppo di SLN e altre formulazioni a base di na- noparticelle [28]. Ci sono quattro diversi approcci che possono es- sere attuati, i primi 2 (Figura 8 a e b [28]) prevedono la prepara- zione delle SLN con uno dei me- todi descritti in precedenza e poi l’applicazione dello spray drying, gli ultimi 2 (Figura 9 c e d [28]) utilizzano proprio lo spray drying per la preparazione e risultano essere i più vantaggiosi e interes- santi.

Nel primo approccio (Fig. 8 a), una sospensione di SLN può es- sere essiccata per SD a dare una polvere ricostituibile secca. Per questo metodo sono stati riscon- trati alcuni problemi legati all’au- mento della grandezza delle par- ticelle come conseguenza dell’uso di alte temperature e della possi- bile fusione della fase lipidica.

Figura 7. Spray drying (Buchi mini spray dryer B290)

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aprile 2021 natural 1

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Figura 9. altri due approcci (c, d) per l’ottenimento delle SLN utilizzando lo spray drying (figura tradotta da [28]).

Il secondo metodo utilizza la tec- nica di SD per la preparazione di microparticelle polimeriche cari- cate con nanoparticelle, a partire da sospensioni di nanoparticelle (SLN) disperse in una soluzione polimerica (Fig. 8 b). Le formula- zioni risultanti hanno un poten- ziale come carrier per il traspor- to del principio attivo attraverso più vie di amministrazione.

Entrambi questi metodi richie- dono che le SLN siano prepara- te prima dell’applicazione dello spray drying, rendendoli proces- si a più fasi piuttosto complessi.

Un’applicazione potenzialmente più interessante dello SD è il suo uso per ottenere micro e nano- particelle che si auto assembla- no. Nel caso delle SLN, ciò com- porta l’introduzione all’interno dell’apparecchiatura di una fase di alimentazione costituita dal principio attivo, dai lipidi e da un polimero rivestente. Questi com- ponenti potrebbero autoassem- blarsi in SLN durante il proces- so di essiccamento (Fig. 9 c) o produrre una dispersione mole- colare di principio attivo e lipidi nel polimero a dare un sistema matriciale compatto (Fig. 9 d).

In entrambi i casi le SLN posso- no essere sospese in acqua per il successivo utilizzo.

Figura 8. primi due approcci (a, b) per l’ottenimento delle SLN utilizzando lo spray drying (figura tradotta da [28])

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Conclusioni

Le SLN combinano i vantaggi provenienti dalle nanoparticelle polimeriche, dalle emulsioni lipi- diche e dalle vescicole liposomia- li. Presentano un’elevata capacità di intrappolamento dell’attivo, una stabilità a lungo termine, un’elevata biocompatibilità e la possibilità di essere prodotte su scala industriale a costi ridotti.

Altri aspetti positivi legati a que- sto tipo di formulazione riguarda- no la possibilità di sterilizzazione e di liofilizzazione per aumentare la stabilità del prodotto e per- mettere una corretta e duratura conservazione nel tempo.

* Section of Medicinal and Cosmetic Chemistry, Department of Pharmacy, University of Genova

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