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IO» o i. Melga, Michele. «quattro leggende inedite del buon secolo della lingua

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(1)

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3

176

Melga, Michele

«quattro leggende inedite

del buon secolo della lingua

(2)
(3)

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QUATTRO

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LEGGENDE INEDITE

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DEL

BUON SEGOLO DELLA LINGUA

NAPOLI

STABILIMENTOTIPOGRAFICODELCAY.GAETANONOBILE

1857

Idilli

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(4)
(5)

QUATTRO

LEGGENDE INEDITE

DEL

BUON SECOLO DELLA LINGUA

PUBBLICATE

DA MICHELE MELGA

NAPOLI

STABIMMr\TO TIPOGRAFICO DELCAV.GAETANONOBII.I'

1857

(6)

Edizione

di

250 esemplari

Proprietà Letteraria.

(7)

ALL'EGREGIO GIOVANE

VINCENZO VOLPICELLI

MIICHEIii: llEIiGA

Queste quattro brevi leggende,

ch'io

pubblico per

le

stampe, furono da me stesso cavate da un codi- ce magliabechiano, additatomi

dalla squisita genti- lezza dell' ab.

Tommaso

Gelli.

Pubblicandole^ mi piace

intitolarle al

nome

di

uno

de'

più

cari

amici che mi abbia, quasi piccolo dono

eh' io gli

reco

dalla

beata Toscana, che, dopo tanto averlo de-

siderato^ visitai

finalmente a questi mesi.

Il

codice, cartaceo

in folio,

ch'è

tra quelli illustrati

dal

Polli- ni,

contiene quasi sole leggende,

e,

secondo

l'an- tica

indicazione

del

Targioni, era segnato

del

num.

4.

Palch.

1., alla CI.

XXXVIII., ma ora^ secondo quella

del Pollini,

va

col

num.

1

05. Palch. IV. Questo codice,

scritto

indubitatamente nel secolo XV, come

si

ha da

esso,

leggendo

visi della

mano

stessa, in principio^

a

di'

14

di

novembre 1473,

e

poscia

in

ultimo,

finito

a

di' 1

3

di

maggio

1

474, prima

di

ap-

partenere ad Antonio Magliabechi

,

era,

nel

1608,

(8)

di

Simon

Berti

detto

fra gli

Accademici

della

Crusca

lo

Smunto,

il

quale

vi fece

innanzi un indice

delle

cose contenutevi

^

ed

altre postille

qua

e là nei

margini

delle

pagine. Quanto

al

modo da me seguito

nel

porre a stampa queste quattro leggende

^

che

,

delle

parecchie, che avrei potuto, mi ò piaciuto

di scegliere,

non dovrò

dirti

gran cosa. Ei

ti

è noto com'io, non per

servile

imitazione

di chi così fa,

ma per intimo convincimento, pochissimo, quasi

in

nulla mi dilungo

dalla grafia de' codici,

perchè

il

lungo studio

eil

grande amore che mi fanno cercar

gli antichi,

mi hanno ammaestrato che quasi

tutte le

cose, che

altri

potrebbe credere

errori, tali

non sono

,

avendo

le

loro ragioni

nelle origini del lin-

guaggio;

si

mantenga

la grafia

de'codici

esatta,

e

si

sarà reso un gran servigio

alla filologia

ed

alla storia della

lingua. Vero è che

ne'

codici,

in

qual più

in

qual meno

,

secondo

la

maggiore o minore

diligenza

adoperatavi intorno,

vi

possono essere

errori di copisti,

ma

questi,

come

io

avviso, vanno emendati rarissimamente, cacciando anche

in

nota, a

pie di faccia,

Terrore

originale;

quando per con-

trario

son

tali,

che, ad emendarli,

si

debbano allargar troppo

le

conghietture

, allora io

tengo per fermo che un editore deve bensì avvisare

in

nota come

pili

o meno

egli

crederebbe doversi leggere,

e

non entrar

nel testo

a

far di

proprio capo

,

particolar- mente

se

non

ci

abbia

dell'

opera

altri

codici

ai

quali

si

possa chieder soccorso. Ma,

in

questo modo^

(9)

potresti

per avventura domandarmi, noi avremo

in

queste leggende

il

codice

in

carne

e

ossa con sola

la differenza dalla lettera

manoscritta

alla

stampata.

No, mio caro: ho detto ch'io pochissimo, quasi

in

nulla mi dilungo, non ho

già

detto

in niente.

V'ha

delle

cose che

io

ammoderno^parte perchè nulla non

rilevano

allastoriadellalingua,

parte perchè servono

al

comodo

di

comune

lettura.

Sono,

nel

novero

delle

prime,

le

attaccature consuete de'codici

*;

colluipev

co,

o con

lui,

essignori per

e signori, illei

per

in lei ella

per

e la, e

tante

altre,

che Federico Ubaldini

volle

pur

rispettare nell'

edizione che

ci

diede

nel

1640

dei

Documenti d'Amore

di

Francesco da Bar- berino, ma con diligenza soverchia

,

come dice

il

Frediani^ ed anche nociva

alla

pronta

intelligenza del senso.

Nel novero

delle

seconde sono

il t

per

z, l'è/

per

e,

solo innanzi a consonante, Vx per

5

doppia,

ile/

per

tt,

Vh

in

hiiomo, chome,

la

n

in-

nanzi a gn, singnore, ongni,

e

pochissime

altre

che ammoderno, acciocché, come

ti

ho detto, que-

sto libriccino

possa esser

letto

anche da

chi

non

fa

esclusiva profession

di filologo.

Ho creduto be- ne aggiungere

in

ultimo

dell'

opuscolo una tavola

di

osservazioncelle

,

o per dichiarare qualche vo- ce oscura

e giustificar

qua e

con

altri

esempii

la

ortografia

di

queste leggende, o per additar qual- che voce e modo

di dire

o

affatto

mancante

al

Vo-

cabolario, o

di

considerazione non indegno: ed

in

* Vedila nota 1.* dellatavola in fine delleleggende.

(10)

questo mi hanno porto grande

ajuto,

come

vedrai,

le

maravigliose opere

del

professor Vincenzio Nan-

nucci,

mancato

testé ai vivi

con tanto danno

delle

nostre

lettere.

L'amore, che

tu porti ai

buoni

studii,

mi rende certo che

farai lieto

viso a questo mio tenue dono, seguitando ad amare

chi te

ne presenta

col

miglior animo

del

mondo.

Sta sano.

(11)

LEGGENDA

DI SUSANNA

Questa si è la storia e leggenda di Susanna,

moglie di Giovaccbino.

'

Nellacittàdi Balbillonia ^ fue'

uno uomo molto

ricco lo

quale ebbe nome

Giovaccbino,e tolseper

moglie una donna,

la

quale ebbe nome Susanna;

era

buona,

e la

quale temeva

Iddio; inperciò che'l ''

suo padre

e la

sua madre

l'aveano

amaestrata

^e nutrita "in nella

logge

'di Dio.Et

avea Giovaccbino una

magione,''allato alla

quale avea uno

bellissimo giardino; e^, per la

grande

orrevo- lezzadiGiovaccbino,

erano

usatigli

uomini

della cittadc"

venire spessevolto in quello

suo

giardino.

Uno anno

fu-

rono

fatti

massai due

signiori,"liquali

tenevano

giustizia nella ciltàe,

secondo che fanno

li signiori, e

slavano

al giardino di

Giovaccbino marito

di

Susanna.

Et

a

quello giardino

andava ogni persona cbe

voleva

adimandare "

giustizia; e di

meriggio, quando

la

gente

si dipartiva, e

Susanna

erausata

d'andare

'^ al

suo

giardino

a

solazza- re."Spessevolte la

vedevano

quelli

due massai

entrareet uscire del

suo

giardino.

Adivenne uno

die, ^'' perla loro malizia

ebbeno

'" tentazione contro

a Susanna,

e

furono

feriti in nel

cuore

della bellezza di

Susanna, ma

per la

vergognia

l'uno

non manifestava

lo

suo

pensiero

a

l'altro, e

molto soUicitamente guardavano come

la "^ potesseno

(12)

8

vedere,

inperciò che'l

cuore

loro

ardeva

della

sua

bel- lezza.

"

Inperciò

che

l'uno

non

si poteva celare

a

l'altro, perciò

che

quasi

continuamente

stavano insieme,

mani-

festarono l'uno

a

l'altro lo

suo intendimento

contro

a Su- sanna,

e

cominciarono

a

usare

et ordinare

conicela

po- tesseno trovare sola in nel giardinosuo. E,

sappiendo

la stagione, nella

quale Susanna

era usata d'entrare in nel giardino, eglino

nascosamente entrarono prima: stavano

nascosi in nell'uno canto si

che non erano

veduti, e Su-

sanna, non sappiendo che

altri vi fosse^

andoe^ secondo

ch'era usala, nel giardino, e

menò

seco

due

sue

came-

riere per

conpagnia.

E,

secondo

ch'era

usanza

in quello paese oltramare,

per

lo

grandissimo

caldo, di hagniarsi et

ugnersi con unguenti,

li quali

aiutavano

altrui perlo caldo, e

Susanna

disse alle sue cameriere:

andate

e re- cate

dell'unguento

ch'io

mi

voglio lavare, e chiudete l'uscio del giardino.

Quando furono

andate, e quelli

due

massai^ li quali

erano

nascosi,

vedendo che Susanna

era

rimasta

sola,

andarono

incontanente

a

lei, e disseno:

conciò sia cosa

che

noi

siamo solamente

teco, e

ninna persona

ci possa vedere, preghianti

"

chetu

debba

acon-

sentire^^allanostra voluntà;ese tu

none

aconsentirai,noi

diremo che

noi

abbiamo veduto con

teco peccare

uno

gio-

vane,

e perciò ài

mandate

le

cameriere

fuori del giar- dino. Allora

Susanna

pianse;^' inperciò che^ se io acon- senlo, offendo al

mio

Creatore; se io

non

vi aconsento, io

non

potrò

canpare

dalle vostre

mani

e della vostrasen- tenzia;

ma

migliore è per

me cadere

nelle vostre

mani sanza

aconsentirealpeccato dinanzial

mio

creatoreIddio.

E,dittoquesto,^^

Susanna cominciò

fortemente

a

gridare, e

simigliantemenle

coloro

incominciarono a

gridare. Et

uno

di quelli

massai andò correndo

aprire ^' l'uscio del

(13)

y

giardino. Li fanti e li famiglidella casa,

udendo

gridare nel giardino,

corseno

in

gran

fretta a sapere

che

fosse;

et

udendo

dire

a

quelli

due massai

coni'eglino

avevano

trovato

uno giovano

^*

a

fare peccato

con Susanna,

si co-

minciarono fortemente a

vergogniare, inperciò

che non

era

mai veduta

simile cosa di

Susanna. Venendo

l'altro die,tutta la

gente

della cittade veniva tuttodi'al

marito

di

Susanna,

e

venneno

quelli

due

massai, liquali

erano

signiori della cittade, e

cominciarono a

dire dinanzi

a

tutto il popolo:

mandate incontanente

per la

moglie

di Ciovacchino, e

menatela

dinanzi

da

noi.

E prestamente Susanna venne con

tutti li suoi parenti e colli figliuoli dinanzi

a

quelli

due massai:

inperciò eh'eli'era

mollo

tenera e dilicata e bellissima et onesta,

avea

coperto il

suo

capo.

Essendo

inanzi

a

quelli

due

massai, li quali l'acusavano ^'falsamente,

comandarono che

si iscoprisse

il

capo

acciò

che

si saziasseno della

sua

bellezza; e tutti i parenti di

Susanna,

et

ogni persona che

laconosceva,

piangevano

fortemente.

E

quelli

due massai

dinanzi

a

tuttoil popolo: noi essendo nel giardinodi Giovacchino,

venne Susanna

nelgiardino

con due

cameriere, etincon- tanente le

mandò

fuori del giardino, e chiuse l'uscio, e

venne a

lei

uno giovano,

lo

quale

era

nascoso

in nel giardino. E,

vedendo

noi

questa

cosasozza,

corremo a

loro, e

trovàmogli

^^ stare

carnalmente,

e

non potèmo

pigliare quel

giovano,

inperciò ch'egli era piùforte di noi, epi-

gliamo

costei, e

domandàmola

chi fosse quello, et ella

non

ce'l volse dire,

ne

manifestare: noi

siamo

testimoni di questo adulterio ediquesto peccato. Allora, lutto cre-

dendo

alleloro parole,la

condennarono a

morire. Allo- ra

Susanna con grande

boce, ^'disse:

Domenedio,

reeter- nale, lo

quale

sai tulle lecose nascose,esai lecose inanzi

2

(14)

10

ch'elle sieno falle, lu saich'egli

anno

fallo falsa lesli-

monianza

conlro

a me,

ci io

sono condcnnala a morie non avendo commesso

ilpeccalo, del

quale

qiicsli

m'an- no malvagiamcnle

aciisala.

Essendo

ella

menala

alla morie,

imo

fanciullo piccolo, lo

quale avea nome

Daniel-

lo^

incominciò a

gridare, et

a

dire dinanzi

a

lullo il po- polo: io

sono mondo

e nello della

morie

di

Susanna.

Al- lora il

popolo

si rivolse

a

quello fanciullo, e

domanda- vano

e dicevano:

che

parole

son

queste

che

lu di?^^ E'I fanciullo disse: voi sciestolli, inperciò

che

voi giudicale falsamente,e

non

conoscetelaverilade:avete

falsamente

giudicala

Susanna a

morie: rilornate al giudizio, inperò chelivostri giudicii

hanno

falsamente.^''Et

incontanente

lo populolornòadirielro,^''eli

massai chiamarono

quello fanciullo, e puosello'' in

mezzo

di loro, e disseno: fa as-

saperea

noi

comeahhiamo

data

mala

sentenzia.'^Allora disseDaniello alpopulo: isparlilecostorol'unodall'altro:

io vi

mosterrò

'" la loro malizia.

Quando

l'unofu

menalo

di lungi dall'altro, disse Daniello all'uno: o invecchialo di

mala

vecchiezza, ^''ora

sono

venutiin paleselipeccati tuoi: ài fatto, giudicando, li falsi giudicii,

condannan- do

le false

persone sanza

colpa, e prosciogliendoli quelli

che sono

colpevoli. "^

Se

lu vedesti

Susanna commettere

peccato

con uno

giovane^

secondo che

tu ài detto, dì

a

noi, sotto

quale

alhore lu gli vedesti peccare insieme.

Allora quello rispuose e disse: io gli viddi sotto

un

susi- no. ''

E

Daniello rispuose: lu ài

mentito

sopra il tuo ca-

])(>; e fecelo

menare

via, e fece venire l'altro dinanzi

da

sé, e disse: o

ismemoralo

del diavolo,e

non

di Dio;

"

la

bellezzadi

Susamia fingannoe a

reo desiderio; perverli

il Uio cuore: tu credevi fare

a Susanna, secondo che

lu eri usato di fare a Tallre; per

paura

della lua signoria

(15)

11

facevano

ciò

che

In volevi;

ma Susanna non

volse so- stenere latua iniquitade:

dunque,

se tu la vedesti

com-

nicltere adulterio

con uno giovano, dimmi:

Sotto il pi- no.''

E

Daniello disse:

tusimigliantemente

ai jnentito so-

pra

il tuo capo. Alloraluttoil

popolo cominciò a

gridare

con grande

boce,erendere

laude a

Dio,lo

quale non

ab-

bandona

coloro

ch'anno speranza

in lui.

E

tutti silevaro-

no

incontro

a que'malvagi

giudici, li quali

avevano

acu- sata e

condennala falsamente Susanna.

Allora fu

data

lasentenzia

che

fussenolapidali; si

che morirono

di

mala morte, come meritamente aveano

meritato. E'I

padre

di

Susanna

feceno

grande

letizia e col

marito

e

con

tutti gli altri suoi parenti; e

da

quello di' inanzi Daniello fue

grandissimo

signiorc in quello popolo, e regniò

molto

bene

la

sua

vita, e fu profeta.

Amen.

(16)

LEGGENDA

1)1 SANTA MUSA

Questa è la stona di Santa Musa

vergine di Roma.

Secondo che

scrive santo Gregorio, fu in

Roma una

fanciulla,, la

quale avea nome Musa. Apparì una

notte la

Vergine Maria con molte

vergine^^bellissime, e disse' vuo'tu''"stare

con

costoro

insieme?e

lafanciulla

con gran- dissimo

desiderio disse

che

si,

mollo

volentieri.

E

la Vergi-

ne

IMaria le

comandò

ch'elladovessefare

niuna

vanità,*'' e

che

si

guardasse da ogni

vanilh e d'ogni giuco,*^ e

da

rideredisordinatamente; inperciò ch'cll'anderebbe

a

stare

con

loro

da

ivi

a

trenta di'.

E

la fanciulla

rimanendo,

la

Vergine Maria

si parti.

Da

quello di' inanzi la fanciulla

cominciò a

rimanersi d'ogni

costume

fanciullesco, ediven- loe saviae

grave

intutti isuoi reggimenti. '^^

E vedendo

il

padre

e la

madre

tanta

mutazione

inlei, e'

dimandolla

**

quale

fusse lacagione. Ella riveloe edisse loro

per

or- dine

ogni

cosa,

come dovea morire da

indi

a

trenta di'.

Presso del

suo

transito, e la fanciulla**

ebbe grandissima

febbre; e nelli trentadi', presso del

suo

transito, la Ver-

gine Maria venne a

lei

con

tutte quelle vergine si

come

in

prima,

et incominciolla

a chiamare. E

la fanciulla,

alzando

gli occhi,

con grande

riverenziarispuose edisse:

Madonna,

io

ne vengo

; etin quella risponsione

l'anima

sua con grande

letizia si parti

da

quello

corpo

vergine e puro,el

andonne

abitare'*"

con

({nellamoltitudinediquelle vergine beale in secula

seculorum.

(17)

LEGGENDA

DI SANTA RENDETTA

Questa storia si è d'una santa donna romana,

la quals fu cliianiata Rendetta.

Ancora/' secondo che

dice

Santo

Gregorio, fuin

Roma

una

santa

donna,

la

quale avea nome

Rendetta; e, vi-

vendo

ella inabbilodi religiosa,

ebbe due

discepole,san- tissime

femine,

l'una delle quali

avea nome Romola,

la

quale

era di

maggiore

santitade

che

l'altra. E,

sendo Romola

di

molta

astinenziae di

molte

orazzioni, e ten- peralissima della lingua, e di

molla umiltade

e pazien- za,

avenne,

per lo giudicio di Dio,liquali ^''

sono

nascosi

a

noi,

che Romola infermoe

e diventoe paralitica, e

avea perdute

tutte le

sue membra che non

si

poteva

niente aiutare. Et,

essendo

stala

lungo tempo

cosi infer-

ma

in

grandissima

pazienzia,

una

notte

incomincioe a chiamare

la

sua maestra

in

grande

fretta,edice: vienne,

madre. E

Rendetta^" col'altradiscepola incontanente

andò a

lei. E, istando dintornoal

suo

letto,

sulbitamente venne

in quella cella, ov'era illetto,

una

luce

da

cielo si

gran- dissima che

tutte

cominciarono a

tramortire della

paura,

e

incominciarono a

sentire

remore grandissimo sicome molta gente

entrasse perl'usciodiquellacelialesentieno'"

stringere e

menare

l'usciodella cella;

ma

per lograndis"

simo lume non viddeno

""'

altro, e sentirono

grandissimo

odore,

che mai

in

questa

vita

non crcdcano

tanto

ne

sen- tire

ne pensare

; tanto

odore

confortava il loro

cuore

(18)

u

della

paura,

la

quale aveano avuta

del

grandissimo

spren- dore.''^E

vedendo Romola che

la

sua maestra

e l'altra di- scepola

erano

shigotile della

paura, incominciò a

dire:

non

aviate ^'

paura, madre mia,

clvio

non morrò

ora. E,

dicendo

spesso queste parole, quella

grandissima

lucesi

cominciò a

partirsi

a poco a poco

diquellacella^ equello

grandissimo odore

vi

rimase

insinoal terzodi'.

E

la

quarta

notte

Romola

inquello

modo^come prima, chiamoc

la

sua

maestra;e,

quando

fue

venuta a

lei^

Romola con grande umiltade domandoe

il santo

sacramento

del

corpo

diCri- sto. E, poi

che

fu

comunicala con molta

divozione, anzi

che Rendella

el'altra discepola partisseno dalletto diRo-

mola,

elleno

incominciarono a

udire nella piazza dinanzi alla cella,

ove giaceva Romola, un

canto dulcissimo; nel

«juale

conoscevano

e

discernevano

le hoci delli

uomini

e delle

femmine,

e

pareva

loro

che

li

uomini

incomincias-

seno

e le

femmine

rispondessino, e, così

udendo,

quella

anima

di

Romola

siparlidalcorpo.

E quanto

^* quellocor-

po

più

andava

innanzi inverso il cielo, tanto

meno Ren-

della e quell'ai tradiscepola

udirono

leLoci,infìno

a

tanto

che lodore

e quello dolce

canto

fu

dilungato

e finito.

Amen.

(19)

liEGGENDA

DI GIULETTA E OUIRICO

Giiiletla col figlinolo funobbilissima,

naia

in

una

ter- ra, la

quale

si

chiamava

Iconio; e,

volendo

ella fuggire la i^ersecuzione dcìiranni,

andoe con uno suo

figliuolo, lo

quale avea

tre anni,

ad una

città;, la

quale

si chia-

mava

Tarso.

E stando

ellaivicol

suo

figliuolo, e

vedendo due

loro fanti ^^

che

la loro

donna

era presa,

prestamente fuggirono

inaltrecontrade.Et ilprefetto,

vedendo

quello

banbolino

di tre anni, preseloe tennelo in

grenbo,

efece

duramente

battere la

madre con

nerbi crudelissimi. E'I fanciullo

vedendo

batterela

sua madre,

edellisimiglian- teniente

piangeva

e traeva guai. E'I prefettobaciandolo,

ellicolla

mano

sisforzavadi graffargli''ilvoltoedi

mor-

derlo

con

bocca. ^^Allora il prefetto adirossi, e gitiò

da

l'alto il ftinciuUo, e, percotendoli il

capo

in terra, elli

morì.

E

la

madre, vedendolo

così

morto, con grande

boci

rendè

lalude''"e grazie

a

Dioche'l

suo

figliuoloera itoin- nanzi in paradiso. Allorail prefetto la fece scorticare,eso-

pra pece

bollilavi

misseno

suso""poi ch'ellafu scorticata, et

anco

questo

non

bastò, et altri martiii le fece. Alla fine le fece

mozzare

lo capo, e poi fece

prendere

il

corpo suo

e quello del figliuolo, e fecegli tagliare minuti, e fece dispargere tulle le carni, acciò

che non

fussenoscp- peiite

ne

trovale dalli cristiani.

Ora

per la voluntà di Diolisantiangeli tutte le

ragurano

''^eli cristiani li sep- pellirono, e

sono

tenute in

grande

reverenzia.

Lo

fan-

ciullo

ebbe nome

Quirico, e la

madre ebbe nome

lulitla.

Questa a laude

e riverenzia di detta Santa.

Amen.

(20)
(21)

TAVOLA

DI OSSERVAZIONI

FILOLOGICHE

E DI VOCI E

MODI

DI DIRE

MANCANTI AL VOCABOLARIO

DI

CONSIDERAZIONE NON

INDEGNI

(22)
(23)

*)Questeattaccaturesonorimaste oggisolamentenelle pre- posizioni articolate.Cosìdallaprep.r/eodi e dallaprep.aeda,

con

gli art, eloil,lo li,lale,sì fecedelo d'elMelo, deli, dela,

dele,aH,alo,a.li,ala, a le, dal, da lo,

da

li, da la, da le, le quali,maritatesi insieme,raddoppiaronolaconsonante,salvo le

due

prime,efecerodello,delli, della, delle, allo,alli,alla, al-

le, dallo,dalli, dalla, dalle. Così,daco epe [che furono voci intereper con e per,

come

mostrano, fra'moltissimi, questi esempii; Ovidio,

Rimedio d'Amore,

pubb. daF. Zambrini,p.

21. (Prato,1850) //tavoliere ei tempi

commossi

comolto vino tolgonogliuomini da loroanimo;ep. 52.

Pe

ricordanzaè ri- creatoci rinnovato Vamore.] da co epe,dico,e dagli articoli,si

fecero co

7

e col,

peH

e pel, e collo,colli pello, pelli ec. Dicasi lo stesso di trae fra.

Quanto

all'articolazione dellaprep. in, vedi la nota 7. Queste attaccature

rimangono

oggi anche in parecchie delle maniere prepositive,

come

affronle, allato,ac-

costo, accanto ec.

*Questaleggendadi

Susanna

èpressoapoco un volgarizza-

mento

del capitolo

XXXIII

della Profezia di Daniele.

'Balbilloniaper Babbillonia: scambio di consonanti fre- quentenegliantichi:cosìsulbitamenteper subbitamenteapag.

13.

Quanto

allo scrivere con doppia consonante queste ed al- tre simili parole,

non mancano

esempii negliantichi. Simin- tendi, Ovidio

Magg.

voi. 1 pag. 156. (Prato, 1856) La quale TisbediBabbilonia videda lungi a'razzuoli dellaluna. Legg.

di S. Brigida, MS. dell'Angelica di

Roma,

seg. T. 5. 4.a car.

1.Etnon solamenteilpadreetla

madre

fuorono nobbiliet vir- tuosi,

ma

eliandio tucta la suaantichità.

(24)

— 20 —

3

Fue

per fu. Gli antichi chiusero in e leterzepersone sin- golari de'perfetti di tutte e tre le conjugazioni,

come

amoe^

temeeotemè, udie, eperciò fue èvoceprimitiva;

non

vi s'ag- giunsela e perevitare l'accento finale in queste voci. Vedi il

Nannucci, AnalisiCriticade'verbi italiani, pag. 452.

* inperciò cheU.

La m

fu scambiata in

n

ne'primi secoli della lingua innanzialle labiali6ep; così senpre,lenpo, onbra conbaltere. Legg. ined.pubb. daF. Zambrini, voi. 1, p. 96.

(Bologna, 1856) Figliuolo miodolcissimo, ahi continovo ildi- giuno, e conpi letue orazioni,e senpre ti

raccomanda

a Dio.

S. Efrem. Serm.VlII, pubb. daF. Frediani e C. Guasti. (Pra- to, 1850) //monaco. . . deba cercare d^avere

armadura

con la quale eglipossaconbattere Sitrovaanche innanzialleliquide

m,L

Avveri, di Maritaggio,pubb. daF. Zambrini,p.9, (Imo-

la, 1852)

La

fenmina

cKè

buona faeonore a séed atutto suo parentado. Fav. di Esopo, p.93. (Napoli,1829) Venendodalla città

V

Asino inleggiadritoper li barilinuoviandavasi guar- dando intorno edalato.

^ amaestratain. Amaestrare, scritto con la

m

scempia, fu additato dal Frediani nello spoglio all'Ovidio

Magg.

p. 19, con esempiialtresì d'Albertanoe del Flavio Volgare;

ma am-

maestrare alcunoin

una

cosa è nelVocabolario con un solo

esempio

del Boccaccio.

^nutritain ec. Nutrito per educato, allevato, è con tree- sempii,

ma uno

soloè antico,diJacopone.

' in nellalegge.

Come

da in venisse ne, igrammatici, per quantoiosappia,

non

1'

hanno

spiegato abbastanza. Il

Nan-

nucci (Analisi critica de'verbi italiani, p. 18, n. 1 ,

ma

più nelle giunte e correzioni all'opera stessa)

me

ne fa capire l'origine. Si disse anticamente elper il: or dicendo inel, si

congiunseroqueste

due

voci,raddoppiandolan,ed ecco imiel;

posciasi staccarono,esiscrissemne/;ne/ diede nascimento al

?2e.Queirmnonfu

dunque

ripetizionedella stessa preposizione in,

come

dicono tutti i grammatici con la solita cantilena, proprietà dilingua,

ma

fu una voce che nacque dall'attacca- turadell'in e dell'articolo el: cosache

non

fu pur capita da antichi e diligenti editori. 11 Nannucci perciò vorrebbe che

(25)

21

quando

si trova in nel,si scrivesse, in el, togliendo via, co-

me

superflua, la 71 dell'attaccatura;

ma come

far poi

quando

sitrova in nello, innella?dovrebbero sciogliersi in lo, in la,

maniera

meno

frequente,ma pureusata dagliantichi,rimasaog- giaipoeti.Maiocredochez/ìne//o,mne//aec.nonsienoaltroche

lapreposizione

me

gliaggettivie//o,e//a,chene'primordii della lingua dovettero tenerluogodiarticoli,eperò credo cheVin

«e/,

come

Vin nello ec.sienodiquelle coseche

vanno

rispettate perla storia della lingua.

Quando

per contrario Vin si trova innanzi adel,dello, ec,

come

indelcuore, in dellamente

ec,

quell'm equivale SLÌVints, inz, ins de'Provenzali, accorciati dalVintusde'Latini.Vedi esempiidell'unoe dell'altro

modo

nel Vocabolario.

8

La

parolamagione, che

manca

affattonelcodice per

ma-

nifestoerrore del copista, è richiesta,

come ognun

vede, e dal senso, e dal latino chedice: et erat ei

pomerarium

vici-

num domui

suae.

Ho messo

piuttosto magione,

come

parola

pili prediletta ai trecentisti; oltreché, la orrevolezzadiGio- vacchino

mi

facrederechelasua fosse, piìiche

una

semplice casa,

una

magione.

^cittade. Gli antichi

quando

terminarono,

come

che

non

spessissimo,invocale accentata

un nome,

locavaronodal

no-

minativo latino della terza, virtus, civitas: ladesinenzain de

te, ciltade,virtiite, fu figliuolalegittima dell'ablativo, civi- tate, virtute, ec. In generale,gli antichiper

maggior

liscezza di pronunziaallungarono,

quando

di una,

quando

di più let- tere,

un nome

tronco o monosillabo; così più sotto cillde.

Cioè, pine, none, sine spesso ne'testi,per ciò,più,no,sì.Nella legg. di S. leronimo, pubb. daF,Zambrini,pag. 15. (Imola, 1852)

Di

ninnacosa cotta

mainon

mangiò, se none duevolte neirultimainfermità. Sine e none per eno vivono ancora nel contado diToscana, e nel dialetto romanesco, adoperati nelle risposte, assolutamente.

*"

Uno

anno furono fatti

massaidue

signiori

Il \ai:Et con- siitutisunt depopulo duosenesjudicesin ilioanno.

La

Crusca spiega massajoemassaro, custode di cose mobili, cioè

mas-

serizie, denari per lo più appartenenti al pubblico.

Ma

qui

(26)

22

pare chestia in senso piìi largo,

come

cijudices della Vulgata; se pure

non

si volesse legger, furono fattisigniori duemassai,

prendendo

massaipervecchi, attempati, aggetti- voadoperato

come nome

assolutamentealplurale; tanto più cheanche appresso troviamo voltati in massai ilsenes del-

la Profezia: Spesse volte la vedevano quelli due massai en- trare et uscire delsuo giardino;evennero quelliduemassai,

liqualierano signioridella cittade.Questiesempii, con

que-

st'altro che aggiungerò, si potrebbero allegare al §.II. della Crusca. Legg. ined. voi. 1. p. 55. (ed. cit.) Ordinò

XII

dimo- ni in

forma

di

XII

massai sacerdoti, bianchi tuttiquanti; e'

pareano più beglimassaiche

mai

fossero veduti;e poi ordinò

XI

donne massaie in apparenza di grandissimasantità.

Non

vo'neppur tacere che questa voce, qui, e ogni volta chesi

incontra in questa leggenda, vedesi nel codicesottoscritta di

mano

dello

Smunto;

il quale la credette per avventura

degna

diqualche considerazione.—Si noti di piùin signiori quell't intruso , che,

come ognun

sa, le sillabe gna, gne,

gno,gnu,

noi richiedono. Così nella Novella del Grasso, pubb. testé

da

P. Fanfani,pag. 1 (Firenze, 1856) Quali sono dipintori, orefici, scultorie legniajuoli. Gli antichi metteano ri

quando non

ve n'erabisogno; lo lasciavano,

quando

era necessarioarenderschiacciato il

suono

del e e del g, qualche volta anche dellaz; arroggie, crescie,cierlo,fede;percontra- rio, gugno, gorno, co,mogie, graza, vizo, pergiugno, giorno,

ciò,moglie, grazia, vizio. Così Vh, che, piùche lettera, è un segno ortografico,

come

bene ha detto il

Rodino

(Gram.

No-

vissima, part. 1

, p. 18) gli antichi la mettevano il più delle volte

dopo

il

ce

\\ginnanziallevocali a,o,

w,come

Ghostanti- no,chominciò,e tantialtri: lalasciavano,

quando

avrebbedovuto render duroil suonodellesopraddetteconsonanti innanzi al- le vocali e, {. Nella legg. di S. leron. pag. 6. (ed. cit.)S'm- gegnaronodi scernillo abbominevolmenle con uno vestimento difemmina. Leggi la Prefazioneal Volgarizzamento dell'Ec- clesiaste (Napoli,1850),dove ilp. Frediani discorre assai lar-

gamente

e dottamenteintorno a questecose.

"

adimandare manca.

Eccone

unaltroesempio. Legg.ined.

(27)

23

voi. 1, p. 188. (ed, clt.)

Datemi

Vanello per

nome

del fi- glinolo di messere lo re d^oltremare, sotto i patti e sotto legrazie esottoleleggi

cW

V óe adomandate.

Adomandar

e,

ma

nel senso di andare, ilpeterede'Latini, è additatodal Fredia-

ni, spogliocitato, p. 7.

»- e

Susanna

erausata d^andare.E sta per sempliceripieno in questo luogo. Vedi la n.45.

^^So/assare.

Manca

così scritto.

^'^unodie. Z)^e,pe^ di', giorno, è voce intera;

dual

plurale;

non

vi è

messa

la e per evitare il

suono

del monosillabo ; viene dal diesde'Iatini, e sitrova di

ambo

igeneri anche in italiano.Così nella Vitadi Cola di Renzo,e. XXVIII.

Una

die convitao a pranzo Missore Stefano de la Colonna; e e. XIII.

Inquelli dii fo

una

festa de santo Ioanni. Si trovaanchedie invariabileal plurale,

come

moltialtri (vedi la n. 39). Legg.

ined. voi.2. p. 147. (ed. cit.)

Lo

inperadoreandoe fuori della cittadeper suoifatti, estettealquantidie. Si disse anche dia ne'primi secoli della lingua, dal provenzale. In Jacopone, lib.

IV. C. VIII. 3. Penitenza fa nonposso, Mangiare

una

voltail dia.

E

in

Buggerone

daPalermo:

Edamepare

mill'anni la dia Ched eoritorni a voi,

madonna

mia.

**ebbeno cioèebbero.

Eno

terminazionequasi costantenegli antichi,

come

anche ono e ino, dove il verbo,

come

faoggi, avrebbe dovuto uscire inero. Piìisotto, corsenoesaziasseno.

Legg.di S.Ieron,p.10. (ed.cit.) Disse loroche lavassenoi piedi al leone,e diligentemente cercassino che

male

il lione avesse nel piedi.

Fu

frequente anche la terminazione inoro. Simin- tendi,Ovidio

Magg.

voi. 1. p.

iM. Lo

preteaveacomandatoche

lefantisanza ricevere prezzo, guardassoro la festa diBacco, e che ledonne coprissoro i lorocorpi delti orrevoli vestiri, e che s'acconciassoro gVintrecciatoi, echeportassoro legrillan- de in testa, e chepiagliassoro i freschi fiori con le mani. La terminazione ino viveva nel cinquecento, frequente nel

Ma-

chiavelli, nelGuicciardini,ein altri.

Ma

diquesteterminazioni sola quella in ono nella terza plurale del condizionale, pare che possa,adoperata con giudizio, starbene anche oggi.

" guardavano come

laec.

Guardare

perprocurare,tentare,

(28)

— 24 —

è col seguentedel Boccaccio, g. 1. n.3. S'avvisò troppo bene, cheilSaladino guardavadiprenderlo nelleparole,per dover- glimuovere alcunaquistione. Questodellenostre leggendegli

farebbe

buona

compagnia, ancbe pel

compimento

diverso.

"

ilcuoreloroardevadellasua bellezza.Chìamol'attenzione de'VocaboIaristi suquesto esempio: forse

non

istarebbe

male

congli altri al §. VII.,se

non

si dovessegiàporre con l'unico del Firenzuola al§. X.

^^ecominciarono ausareetordinare

come

ec.Usare parmies- sere qui adoperatonel sensodi praticare, conversare insieme ad un fine. Merita considerazione.

'^preghianlipev preghiamti.GW antichiterminavanospesso in wle

prime

personedel plurale,particolarmentequando,co-

me

qui,

accompagnate

daaffìsso.Nell'Eneide del Lancia,pubb.

daP.Fanfani[Elrurin, \n.l,\). 165.)Noidobbianoelleggerealcu- nosavio,ilqualesiaesemploeregoladellanostravita.^eUeWile de'SS. Padri:Z)<7e/o a lui, enoiancheglile direno, avederese giovasse.

Quando

lo affisso eralo, li, la, /e,

cambiavano

anche

la

m

nin l, per

maggior

liscezza di pronunzia. Seneca, Pi- stole,pag. 27. ( Firenze, 1717 ) Vi confesso, che noi

amiamo

naturalmenteilnostro corpo,etegnallo caro,esiunnesolleciti.

aconseniire.Mancacosì scritto:eccone

un

altro.Legg.ined.

vol.l. p.180.(ed.cit.) E, snelli pervostre parolepaci/iceecor- tesi, nonaconsentisse, diteli ec.

^^Nota questopassaraduntrattodallanarrazionealdialogo.

2- e, dittoquesto,ec. Ilparticipio,chesceseregolarmente da dire, fu dito- quindi da dictus, ditto; che, secondo il

Nannuc-

ci. Analisi ec. p.582, si concedeoggi ai poetisolamente.

-^andòcorrendoaprire.lldottosig.E. Rocco,nell'Aggiuntee correzioniallaCruscaec.v.anc/are,scrive«IlP.Frediani diceche questo verbo (andare) si

può

adoperare innanzi all'infinito senza lapreposizione a;

ma

io credo che ciò

non

possa farsi

che con verbicomincianti perla lettera a; e ciò

non

col solo verboandare,

ma

con

qualunque

verbo di

moto

»

Ecco due

de'quattro esempii che il

Rocco

ne cita, delMorgante.1, 23.

Quando

civennialprincipioabitare: e 31. Questo gigante ar-

mar

sicorse afuria.

(29)

— 25 —

-^giovano per ^louane:terminazione

non

infrequente negli antichi tanto pe'sostantivi,quanto pergli aggettivi, cosìnomo^

crino, costumo, comuno. Vedi il Nannucci, Teorica de'nomi, pag. 104a 114.

*5 Vacusavano. Acusare

manca

così scritto.

'^corremo aloro, etrovàmogli,ec.

La

prima personaplurale delperfettonelle treconjugazionisiscrive oggicon

due

m,nia

dapprima

siscrissecon una, e ne'testi,che sonostampaticon diligenza

non

dirado s'incontra.IISigoli,p. 2.(Firenze, 1829) PartimocidiFirenzeadì13

dM^os/o.—

Scesero regolarmente dal latino,

amavimus,

douimus, audivimus, fognato il v: si scrisseroposciacon

due m

perdistinguerli dalle

prime

plu- rali delpresentedell'indicativo,che daprincipioebberoegual terminazione.Nannucci, Analisi ec. p. 184.

-' bocepervoce, boto peryo/o,perl'affinitàche ètra queste

due

consonanti.

28son queste che tudì'ì

Quando

non

è imperativo,

ma, come

èinquesto luogo,secondasingolare dell'indicativoin

cambio

di dici,si suole scriver da'piùcon l'apostrofodi\ credendoloac- corciato di dici;

quando

è imperativo, o

nome

per giorno, con l'accento.

Ma

il Mastrofìni, Dizionario, §.

LX.

n. 3., ed

il Nannucci, Analisi, pag. 569. avvertono che dì, tanto se-

conda

singolare dell'indicativo,quanto seconda singolare del- l'imperativo,sono,

non

troncamenti didicidadicere,

ma

voci intereda dire; e perciò

vanno

scritte solo con l'accento per distinguerle da dipreposizione-

bene

scriver devesi di\ no-

me,

per giorno, con l'apostrofo, essendo questo

un

tronca-

mento

di die,antica voce,dal lat. dies.Vedi la n. 14.

^^ Così ilcodice,

ma manca

certoqualche cosa.II lat: rever- timiniad judicium, quia falsum testimonium loculi sunt ad- versus eam: se

non

volesse già staccarsi quel falsamente,ein- tender che i giudiciiavessero falsa mente.

^''Adirietro o Addirietro vienedaa

dV

o addierielro,d\ohai

giorni dietro, passati, innanzi, prima.

Poco

dissimileè questo de'Fatti di

Enea

(ed. Puoti) //qualeregnoglierapervenuto a

mano

per

Andromaca

suamoglie, inquadirietomoglie diEt-

tore.

Fu

adoperatopiù di frequente,

come

qui, per addietro

(30)

— 26 —

semplicemente.

Com.

a Dante, pubb. daP. Fanfani (Etruria, An. I, p. 36.) Questi due giovani lascìorono gli uccelli in quelle isole diRomania,ed incontanentesi tornarono addirie- tro. Adirietro e addirietro

mancano

nel Vocabolario,

come

che sieno frequentissimi negli antichi.IVeronesiIoaggiunse- ro,

ma

i Bolognesilobandirono.

^^puosello perj3uo5e?i/o,cambiatalanin/perlaragionealla nota 19 assegnata. Così piùsopra

domandavano

per

doman- davano.

^-

mala

sentenzia.Illat.di più:Venietsede inmedio nobis,el indicanobis: quia libiDeus dedil

honorem

seneclutis.

"

mosterrò per mostrerò. Cosìofferrò, enterrò, sofferrò e simili,non sonovocisincopate,

come

diconoquasituttii

gram-

matici,

ma

venutecidal Provenzale, ediclassicine son pieni.

Ne'Proverbii di Salomone, pubb. dal Can. G. Bini (Firenze, 1847) Senel tuo cuore enterrà senno,e le scienziepiaceranno alla tuaanima, ec. Albertano p. 18 (Firenze, 1610).

Non

chi comincerà,

ma

chiperseverrà, è acconcio ad aver lo regno di Dio. Parecchie di queste contrazioni vivono tuttora,

come

verrò, diverrò, vorrò, terrò ec.

Ma

chi volesse saper meglio, leggal'operadelNannucci,Analisi,§. IV, pag. 232,dove stan- no acasatuttelepiù riposte ragionidi queste cose.

^*Il lat: inveterate dierum

malorum.

Il Martini:vecchio di giornirei.

"

Il lat: Innocentes opprimens,et dimittens noxios. Sidireb- be che quel false sia

una

giunta superflua del traduttore,

non

bastandogli il sansa colpa. Superfluo èanche li inproscio- gliendoli.

Mancano

inquesto luogo le parole seguenti del lat:

dicente Domino:innocentes et

justum

noninterficies.

^^ Sotto

un

susino. Il lat. subschino, edilMartini,50<^o

un

lentisco.

" La

Vulgatatutt'altrimenli:

Semen

Chanaan, et non Inda.

Manca

certo qualcosa. Il lat.ha:

Nunc

ergo die mihi, sub qua arbore comprehenderis eos loquentes sibi. Qui ait : Sub prino.

^* conmoltevergine. Il Nannucci,Teorica de'nomi,c.

IX

p.

241. dice che la desinenzaplurale

de'nomi od

aggettivi

fem-

(31)

— 27 —

minili, fuconfigurata in origine su quella de'Ialini; e però nella

prima

damM5ae,si dissemuse,ds.bonae,buone:neUA terza da matres,madre, dadulces,dolce; nellaquintadaspecies^spe- cie. Oggi è rimasasolo questa dellaquinta, dicendosi,

come ognun

sa, la specie e le specie. S. Bernardo,pian, e lament.

dellaVergine, pag.2. (Firenze, 1837). Corretefigliuole,cor- rete vergine sante, correte

madre

tutte. S.Efrem.

Serm.

V.p.

6. Guai ad me, anima, che cacciasti

da

te li santiAngeliper

le tuebrutte operazione.

*"t;Mo'^M.Alcunicredetterochevuoifossesincopedivuoli;ma.

vuoièvoce interadavoeìxo voire, che fece voo, voi, voe ec:

ritenemmo

di queste vocisolamentelaseconda delsingolare, frappostovi I'm: scorciatadell'i, fece vuo\ IlBocc. g. 9. n. 4.

Non mi

vuo' tumigliorarequitre soldi?E conl'affisso,il Var- chi, nellaSuocera,3. 2. Vuo'latu anche meco?

Nannucci Ana-

lisi, p.765.

*' eh^elladovesse fareninna vanità. I

Grammatici

avrebber volutochequi si fossedetto non dovesse fareninna vanità, o ninnavanità dovesse onon dovessefare, perchè,

come

avvisai anche nelle noteall'Epistola diCicerone a Quinto, p.33. (Na- poli,1851),

danno

per regola inviolabile che

quando

ninno, nessuno, veruno, nullo, niente,nulla, sono posposti al verbosi

deveavanti a questoporre ilnon, e

quando

gli sono preposti,

si

può

mettere olasciar da parte il non. Ma, dissi colà e qui ripeto, cheil farqualche volta altrimenti

non

ècosa dasusci- tar fazioni; particolarmente

quando

dal trasgredirquesta re- gola venisse dignità o grazia al discorso. Leggine parecchi esempii nel Fornaciari, Del Soverchio rigore de'grammatici, discorsoI §. 33. (Lucca, 1850).

*2 giuco

manca

al Vocabolario:

dovrebbe

esserviper lasto- ria dellalingua.

*' reggimenti cioèatti, opere, frequente negli antichi. Pass.

163. Gliattie reggimentidifuorimostranoquello chel'uomo

è dentro.Vedinealtri esempiinelVocabolario.

**e'dimandolla.- Potrebbequest'e'pereiriferirsialpadreed allamadre, perchè dimandolla potrebbe

non

solo esser singo- lare per la domandò,

ma

anche plurale per la

domandano,

(32)

— 28 —

sincope di

domandorono

, mutata la n in /,

come

alla no-

ta20.

^^ela fanciulla.Questae, frequentissima ne'classicì,èusata per ripieno,

come

dice il Cinonio col Lamberti,e. 120 §.14 quasiperallora, il lune de'Iatini.Nella legg. di S. Silvestro.

MS. da me

posseduto, si legge:

Ed

essendo sancto Silvestro nel tempo di ventidue anni, e la sua

madre

passò di questa vita con salute delV

anima

sua.

andonneabitare. Vedi la nota 24.

-"Cominciaquestaleggenda conun'ancora,perchè seguenel

codice

immediatamente

quella di SantaMusa, laquale,

come abbiam

veduto, ètolta altresì da S. Gregorio.

Aggiungiamo

che questa leggenda,meglio che di Santa Rendetta, potrebbe

intitolarsi di S.

Romola,

perchè,

come

vedrai,il fattoriguar- dapiùquesta chequella.

^^perloyiudicio di Dio,liqualiec.costruzionedi pensiero, direbbero igrammatici.

^9 eRendetta.U Cod.legge benedettainluogodiRendetta^ma,

come ognun

vede,è apertasvista dell'amanuense.

'^osentieno\>ersentiano.Leintersonesingolari delpresentedel- l'indicativo,essendosi ne'primordiidella lingua terminate ine;

ioame, tuame,egliame: ioteme,tuteme, egliteme,iosente, tu sente,egli sente; si volle che uscissero parimentein e anche quelle dell'imperfettoe degli altritempi in tuttii

modi

de'ver- bi;

onde

da

/acm

venne facie; datemia, temie; dasentia, sen-

tie:aggiuntalasillabano, siebbero le terze plurali: facianoe facieno;temianoe temieno; sentianoesen/ieno.Nannucci,

Ana-

lisi,p. 145.

^' viddenopervidero; così, con doppio d, lealtre voci del perfetto, viddi, vidde, per distinguerledavidi, vide, che ap- partenevano ancheall'indicativo presente dall'antico videre.

Nelle Vite de'SS. Padri: Ecco subitamentevidde uscire delde- serto. Nannucci, Analisiec. p.748.

^2sprendore per splendore:così negrigenza, repubbricaper negligenza, repubblica,e mille altri, frequenti ne'classici, e vivi tuttora nella pronunzia de'Toscani, per raffinità,ch'è tra queste

due

consonanti.

(33)

29

s^Aviate[terabbiale,\ocoche scenderegolarmente daavere.

Studiaquantoil Nannuccidice diquesto verbo da p.480a

518

nell'operacitala.

^*equandoquellocorpo.Così il Codice;ma io

ho

mutato solo

il

quando

in quanto

come

correlativo di tanto che vieneap- presso: avrei mutato altresìquello corpo in quell^anima, che certo r

anima

andava , il corpo restava , se

non mi

fosse parutodiallargarmi troppo, e se

non

avessisaputo chei tre- centistiincerte cose

non guardavano

molto pel sottile.

Questo titolo èdi

mano

delloSmunto: il Codice ne

man-

cava.

^^ Così

ilCodice;macredodebba mancare

qualchecosa,

sem- brandomi

troppo anticipato il pensiero, e vedendo due loro fanti ec. Forse

dopo

la parola figliuolo m?inca fu presa , o qualchecosa di simile.

''''grafiargli.Grafiare

manca

cosìscritto.

'* C071 boccaper con labocca.

"^ laludeforse per lalde,chespesso gli antichi scambiavano

l'Min /, e dicevano alterità, por autorità, esaldire per esau- direemillealtri. Questo lalude

mi

ricorda il laulde che leg- gesi nelle PistolediS.

Demando,

p. 8. pubb. dall'Ab.

Manuzzi

(Firenze,1848)

A

cuisia gloria, e lauldeinsecalaseculorum.

^''Qui ridonda o il soprao il 5M.?o;madi queste sovrabbon- danze

non

prenderà maraviglia chi ha pratica congli antichi.

^*ragurano: così il codice: forseper ragunano.

(34)
(35)
(36)

I

(37)
(38)

Viv'jiiiÉii.

^,ì

Prezzo

Gr, 20.

«

wKwt.'-i'^

ia:ì|

if^

(39)

BR Melga, Michele

136

»H,uattro

leggende inedite

I8Mii

del buon secolo della lingue

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(40)

O

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