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Melga, Michele
«quattro leggende inedite
del buon secolo della lingua
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QUATTRO
* *
LEGGENDE INEDITE
. .
DEL
BUON SEGOLO DELLA LINGUA
NAPOLI
STABILIMENTOTIPOGRAFICODELCAY.GAETANONOBILE
1857
Idilli
q» llll'-y""p«
pllfìÈ irli
QUATTRO
LEGGENDE INEDITE
DEL
BUON SECOLO DELLA LINGUA
PUBBLICATE
DA MICHELE MELGA
NAPOLI
STABIMMr\TO TIPOGRAFICO DELCAV.GAETANONOBII.I'
1857
Edizione
di250 esemplari
Proprietà Letteraria.
ALL'EGREGIO GIOVANE
VINCENZO VOLPICELLI
MIICHEIii: llEIiGA
Queste quattro brevi leggende,
ch'iopubblico per
le
stampe, furono da me stesso cavate da un codi- ce magliabechiano, additatomi
dalla squisita genti- lezza dell' ab.Tommaso
Gelli.Pubblicandole^ mi piace
intitolarle alnome
diuno
de'più
cariamici che mi abbia, quasi piccolo dono
eh' io glireco
dallabeata Toscana, che, dopo tanto averlo de-
siderato^ visitaifinalmente a questi mesi.
Ilcodice, cartaceo
in folio,ch'è
tra quelli illustratidal
Polli- ni,contiene quasi sole leggende,
e,secondo
l'an- ticaindicazione
delTargioni, era segnato
delnum.
4.
Palch.
1., alla CI.XXXVIII., ma ora^ secondo quella
del Pollini,va
colnum.
105. Palch. IV. Questo codice,
scrittoindubitatamente nel secolo XV, come
si
ha da
esso,leggendo
visi dellamano
stessa, in principio^a
di'14
dinovembre 1473,
eposcia
inultimo,
finitoa
di' 13
dimaggio
1474, prima
diap-
partenere ad Antonio Magliabechi
,era,
nel1608,
di
Simon
Bertidetto
fra gliAccademici
dellaCrusca
lo
Smunto,
ilquale
vi feceinnanzi un indice
dellecose contenutevi
^ed
altre postillequa
e là neimargini
dellepagine. Quanto
almodo da me seguito
nelporre a stampa queste quattro leggende
^che
,
delle
parecchie, che avrei potuto, mi ò piaciuto
di scegliere,non dovrò
dirtigran cosa. Ei
tiè noto com'io, non per
servileimitazione
di chi così fa,ma per intimo convincimento, pochissimo, quasi
innulla mi dilungo
dalla grafia de' codici,perchè
illungo studio
eilgrande amore che mi fanno cercar
gli antichi,mi hanno ammaestrato che quasi
tutte lecose, che
altripotrebbe credere
errori, talinon sono
,avendo
leloro ragioni
nelle origini del lin-guaggio;
simantenga
la grafiade'codici
esatta,e
si
sarà reso un gran servigio
alla filologiaed
alla storia dellalingua. Vero è che
ne'codici,
inqual più
inqual meno
,secondo
lamaggiore o minore
diligenza
adoperatavi intorno,
vipossono essere
errori di copisti,ma
questi,come
ioavviso, vanno emendati rarissimamente, cacciando anche
innota, a
pie di faccia,Terrore
originale;quando per con-
trario
son
tali,che, ad emendarli,
sidebbano allargar troppo
leconghietture
, allora iotengo per fermo che un editore deve bensì avvisare
innota come
pili
o meno
eglicrederebbe doversi leggere,
enon entrar
nel testoa
far diproprio capo
,particolar- mente
senon
ciabbia
dell'opera
altricodici
aiquali
sipossa chieder soccorso. Ma,
inquesto modo^
potresti
per avventura domandarmi, noi avremo
inqueste leggende
ilcodice
incarne
eossa con sola
la differenza dalla letteramanoscritta
allastampata.
No, mio caro: ho detto ch'io pochissimo, quasi
innulla mi dilungo, non ho
giàdetto
in niente.V'ha
delle
cose che
ioammoderno^parte perchè nulla non
rilevano
allastoriadellalingua,parte perchè servono
al
comodo
dicomune
lettura.Sono,
nelnovero
delleprime,
leattaccature consuete de'codici
*;colluipev
co,o con
lui,essignori per
e signori, illeiper
in lei ellaper
e la, etante
altre,che Federico Ubaldini
vollepur
rispettare nell'edizione che
cidiede
nel1640
deiDocumenti d'Amore
diFrancesco da Bar- berino, ma con diligenza soverchia
,come dice
ilFrediani^ ed anche nociva
allapronta
intelligenza del senso.Nel novero
delleseconde sono
il tper
z, l'è/
per
e,solo innanzi a consonante, Vx per
5doppia,
ile/per
tt,Vh
inhiiomo, chome,
lan
in-nanzi a gn, singnore, ongni,
epochissime
altreche ammoderno, acciocché, come
tiho detto, que-
sto libriccino
possa esser
lettoanche da
chinon
fa
esclusiva profession
di filologo.Ho creduto be- ne aggiungere
inultimo
dell'opuscolo una tavola
diosservazioncelle
,o per dichiarare qualche vo- ce oscura
e giustificarqua e
làcon
altriesempii
la
ortografia
diqueste leggende, o per additar qual- che voce e modo
di direo
affattomancante
alVo-
cabolario, o
diconsiderazione non indegno: ed
in* Vedila nota 1.* dellatavola in fine delleleggende.
questo mi hanno porto grande
ajuto,come
vedrai,le
maravigliose opere
delprofessor Vincenzio Nan-
nucci,
mancato
testé ai vivicon tanto danno
dellenostre
lettere.L'amore, che
tu porti aibuoni
studii,mi rende certo che
farai lietoviso a questo mio tenue dono, seguitando ad amare
chi tene presenta
colmiglior animo
delmondo.
Sta sano.
LEGGENDA
DI SUSANNA
Questa si è la storia e leggenda di Susanna,
moglie di Giovaccbino.
'
Nellacittàdi Balbillonia ^ fue'
uno uomo molto
ricco loquale ebbe nome
Giovaccbino,e tolsepermoglie una donna,
laquale ebbe nome Susanna;
erabuona,
e laquale temeva
Iddio; inperciò che'l ''suo padre
e lasua madre
l'aveanoamaestrata
^e nutrita "in nellalogge
'di Dio.Etavea Giovaccbino una
magione,''allato allaquale avea uno
bellissimo giardino; e^, per lagrande
orrevo- lezzadiGiovaccbino,erano
usatigliuomini
della cittadc"venire spessevolto in quello
suo
giardino.Uno anno
fu-rono
fattimassai due
signiori,"liqualitenevano
giustizia nella ciltàe,secondo che fanno
li signiori, eslavano
al giardino diGiovaccbino marito
diSusanna.
Eta
quello giardinoandava ogni persona cbe
volevaadimandare "
giustizia; e di
meriggio, quando
lagente
si dipartiva, eSusanna
erausatad'andare
'^ alsuo
giardinoa
solazza- re."Spessevolte lavedevano
quellidue massai
entrareet uscire delsuo
giardino.Adivenne uno
die, ^'' perla loro maliziaebbeno
'" tentazione controa Susanna,
efurono
feriti in nel
cuore
della bellezza diSusanna, ma
per lavergognia
l'unonon manifestava
losuo
pensieroa
l'altro, emolto soUicitamente guardavano come
la "^ potesseno—
8—
vedere,
inperciò che'lcuore
loroardeva
dellasua
bel- lezza."
Inperciòche
l'unonon
si poteva celarea
l'altro, perciòche
quasicontinuamente
stavano insieme,mani-
festarono l'unoa
l'altro losuo intendimento
controa Su- sanna,
ecominciarono
ausare
et ordinareconicela
po- tesseno trovare sola in nel giardinosuo. E,sappiendo
la stagione, nellaquale Susanna
era usata d'entrare in nel giardino, eglinonascosamente entrarono prima: stavano
nascosi in nell'uno canto siche non erano
veduti, e Su-sanna, non sappiendo che
altri vi fosse^andoe^ secondo
ch'era usala, nel giardino, emenò
secodue
suecame-
riere per
conpagnia.
E,secondo
ch'erausanza
in quello paese oltramare,per
lograndissimo
caldo, di hagniarsi etugnersi con unguenti,
li qualiaiutavano
altrui perlo caldo, eSusanna
disse alle sue cameriere:andate
e re- catedell'unguento
ch'iomi
voglio lavare, e chiudete l'uscio del giardino.Quando furono
andate, e quellidue
massai^ li qualierano
nascosi,vedendo che Susanna
erarimasta
sola,andarono
incontanentea
lei, e disseno:conciò sia cosa
che
noisiamo solamente
teco, eninna persona
ci possa vedere, preghianti"
chetudebba
acon-sentire^^allanostra voluntà;ese tu
none
aconsentirai,noidiremo che
noiabbiamo veduto con
teco peccareuno
gio-vane,
e perciò àimandate
lecameriere
fuori del giar- dino. AlloraSusanna
pianse;^' inperciò che^ se io acon- senlo, offendo almio
Creatore; se ionon
vi aconsento, ionon
potròcanpare
dalle vostremani
e della vostrasen- tenzia;ma
migliore è perme cadere
nelle vostremani sanza
aconsentirealpeccato dinanzialmio
creatoreIddio.E,dittoquesto,^^
Susanna cominciò
fortementea
gridare, esimigliantemenle
coloroincominciarono a
gridare. Etuno
di quellimassai andò correndo
aprire ^' l'uscio del—
y—
giardino. Li fanti e li famiglidella casa,
udendo
gridare nel giardino,corseno
ingran
fretta a sapereche
fosse;et
udendo
direa
quellidue massai
coni'eglinoavevano
trovato
uno giovano
^*a
fare peccatocon Susanna,
si co-minciarono fortemente a
vergogniare, inperciòche non
eramai veduta
simile cosa diSusanna. Venendo
l'altro die,tutta lagente
della cittade veniva tuttodi'almarito
diSusanna,
evenneno
quellidue
massai, liqualierano
signiori della cittade, ecominciarono a
dire dinanzia
tutto il popolo:mandate incontanente
per lamoglie
di Ciovacchino, emenatela
dinanzida
noi.E prestamente Susanna venne con
tutti li suoi parenti e colli figliuoli dinanzia
quellidue massai:
inperciò eh'eli'eramollo
tenera e dilicata e bellissima et onesta,avea
coperto ilsuo
capo.Essendo
inanzia
quellidue
massai, li quali l'acusavano ^'falsamente,comandarono che
si iscoprisseil
capo
acciòche
si saziasseno dellasua
bellezza; e tutti i parenti diSusanna,
etogni persona che
laconosceva,piangevano
fortemente.E
quellidue massai
dinanzia
tuttoil popolo: noi essendo nel giardinodi Giovacchino,venne Susanna
nelgiardinocon due
cameriere, etincon- tanente lemandò
fuori del giardino, e chiuse l'uscio, evenne a
leiuno giovano,
loquale
eranascoso
in nel giardino. E,vedendo
noiquesta
cosasozza,corremo a
loro, etrovàmogli
^^ starecarnalmente,
enon potèmo
pigliare quelgiovano,
inperciò ch'egli era piùforte di noi, epi-gliamo
costei, edomandàmola
chi fosse quello, et ellanon
ce'l volse dire,ne
manifestare: noisiamo
testimoni di questo adulterio ediquesto peccato. Allora, lutto cre-dendo
alleloro parole,sìlacondennarono a
morire. Allo- raSusanna con grande
boce, ^'disse:Domenedio,
reeter- nale, loquale
sai tulle lecose nascose,esai lecose inanzi2
—
10—
ch'elle sieno falle, lu saich'egli
anno
fallo falsa lesli-monianza
conlroa me,
ci iosono condcnnala a morie non avendo commesso
ilpeccalo, delquale
qiicslim'an- no malvagiamcnle
aciisala.Essendo
ellamenala
alla morie,imo
fanciullo piccolo, loquale avea nome
Daniel-lo^
incominciò a
gridare, eta
dire dinanzia
lullo il po- polo: iosono mondo
e nello dellamorie
diSusanna.
Al- lora ilpopolo
si rivolsea
quello fanciullo, edomanda- vano
e dicevano:che
paroleson
questeche
lu di?^^ E'I fanciullo disse: voi sciestolli, inperciòche
voi giudicale falsamente,enon
conoscetelaverilade:avetefalsamente
giudicalaSusanna a
morie: rilornate al giudizio, inperò chelivostri giudiciihanno
falsamente.^''Etincontanente
lo populolornòadirielro,^''eli
massai chiamarono
quello fanciullo, e puosello'' inmezzo
di loro, e disseno: fa as-saperea
noicomeahhiamo
datamala
sentenzia.'^Allora disseDaniello alpopulo: isparlilecostorol'unodall'altro:io vi
mosterrò
'" la loro malizia.Quando
l'unofumenalo
di lungi dall'altro, disse Daniello all'uno: o invecchialo di
mala
vecchiezza, ^''orasono
venutiin paleselipeccati tuoi: ài fatto, giudicando, li falsi giudicii,condannan- do
le falsepersone sanza
colpa, e prosciogliendoli quelliche sono
colpevoli. "^Se
lu vedestiSusanna commettere
peccatocon uno
giovane^secondo che
tu ài detto, dìa
noi, sotto
quale
alhore lu gli vedesti peccare insieme.Allora quello rispuose e disse: io gli viddi sotto
un
susi- no. ''E
Daniello rispuose: lu àimentito
sopra il tuo ca-])(>; e fecelo
menare
via, e fece venire l'altro dinanzida
sé, e disse: o
ismemoralo
del diavolo,enon
di Dio;"
labellezzadi
Susamia fingannoe a
reo desiderio; perverliil Uio cuore: tu credevi fare
a Susanna, secondo che
lu eri usato di fare a Tallre; perpaura
della lua signoria—
11—
facevano
ciòche
In volevi;ma Susanna non
volse so- stenere latua iniquitade:dunque,
se tu la vedesticom-
nicltere adulterio
con uno giovano, dimmi:
Sotto il pi- no.''E
Daniello disse:tusimigliantemente
ai jnentito so-pra
il tuo capo. Alloraluttoilpopolo cominciò a
gridarecon grande
boce,erenderelaude a
Dio,loquale non
ab-bandona
coloroch'anno speranza
in lui.E
tutti silevaro-no
incontroa que'malvagi
giudici, li qualiavevano
acu- sata econdennala falsamente Susanna.
Allora fudata
lasentenziache
fussenolapidali; siche morirono
dimala morte, come meritamente aveano
meritato. E'Ipadre
diSusanna
fecenogrande
letizia e colmarito
econ
tutti gli altri suoi parenti; eda
quello di' inanzi Daniello fuegrandissimo
signiorc in quello popolo, e regniòmolto
bene
lasua
vita, e fu profeta.Amen.
LEGGENDA
1)1 SANTA MUSA
Questa è la stona di Santa Musa
vergine di Roma.
Secondo che
scrive santo Gregorio, fu inRoma una
fanciulla,, la
quale avea nome Musa. Apparì una
notte laVergine Maria con molte
vergine^^bellissime, e disse' vuo'tu''"starecon
costoroinsieme?e
lafanciullacon gran- dissimo
desiderio disseche
si,mollo
volentieri.E
la Vergi-ne
IMaria lecomandò
ch'elladovessefareniuna
vanità,*'' eche
siguardasse da ogni
vanilh e d'ogni giuco,*^ eda
rideredisordinatamente; inperciò ch'cll'anderebbe
a
starecon
loroda
ivia
trenta di'.E
la fanciullarimanendo,
laVergine Maria
si parti.Da
quello di' inanzi la fanciullacominciò a
rimanersi d'ognicostume
fanciullesco, ediven- loe saviaegrave
intutti isuoi reggimenti. '^^E vedendo
il
padre
e lamadre
tantamutazione
inlei, e'dimandolla
**quale
fusse lacagione. Ella riveloe edisse loroper
or- dineogni
cosa,come dovea morire da
india
trenta di'.Presso del
suo
transito, e la fanciulla**ebbe grandissima
febbre; e nelli trentadi', presso delsuo
transito, la Ver-gine Maria venne a
leicon
tutte quelle vergine sicome
in
prima,
et incominciollaa chiamare. E
la fanciulla,alzando
gli occhi,con grande
riverenziarispuose edisse:Madonna,
ione vengo
; etin quella risponsionel'anima
sua con grande
letizia si partida
quellocorpo
vergine e puro,elandonne
abitare'*"con
({nellamoltitudinediquelle vergine beale in seculaseculorum.
LEGGENDA
DI SANTA RENDETTA
Questa storia si è d'una santa donna romana,
la quals fu cliianiata Rendetta.
Ancora/' secondo che
diceSanto
Gregorio, fuinRoma
una
santadonna,
laquale avea nome
Rendetta; e, vi-vendo
ella inabbilodi religiosa,ebbe due
discepole,san- tissimefemine,
l'una delle qualiavea nome Romola,
laquale
era dimaggiore
santitadeche
l'altra. E,sendo Romola
dimolta
astinenziae dimolte
orazzioni, e ten- peralissima della lingua, e dimolla umiltade
e pazien- za,avenne,
per lo giudicio di Dio,liquali ^''sono
nascosia
noi,che Romola infermoe
e diventoe paralitica, e sìavea perdute
tutte lesue membra che non
sipoteva
niente aiutare. Et,essendo
stalalungo tempo
cosi infer-ma
ingrandissima
pazienzia,una
notteincomincioe a chiamare
lasua maestra
ingrande
fretta,edice: vienne,madre. E
Rendetta^" col'altradiscepola incontanenteandò a
lei. E, istando dintornoalsuo
letto,sulbitamente venne
in quella cella, ov'era illetto,
una
luceda
cielo sigran- dissima che
tuttecominciarono a
tramortire dellapaura,
eincominciarono a
sentireremore grandissimo sicome molta gente
entrasse perl'usciodiquellacelialesentieno'"stringere e
menare
l'usciodella cella;ma
per lograndis"simo lume non viddeno
""'altro, e sentirono
grandissimo
odore,che mai
inquesta
vitanon crcdcano
tantone
sen- tirene pensare
; tantoodore
confortava il lorocuore
— u —
della
paura,
laquale aveano avuta
delgrandissimo
spren- dore.''^Evedendo Romola che
lasua maestra
e l'altra di- scepolaerano
shigotile dellapaura, incominciò a
dire:non
aviate ^'paura, madre mia,
clvionon morrò
ora. E,dicendo
spesso queste parole, quellagrandissima
lucesicominciò a
partirsia poco a poco
diquellacella^ equellograndissimo odore
virimase
insinoal terzodi'.E
laquarta
notteRomola
inquellomodo^come prima, chiamoc
lasua
maestra;e,quando
fuevenuta a
lei^Romola con grande umiltade domandoe
il santosacramento
delcorpo
diCri- sto. E, poiche
fucomunicala con molta
divozione, anziche Rendella
el'altra discepola partisseno dalletto diRo-mola,
ellenoincominciarono a
udire nella piazza dinanzi alla cella,ove giaceva Romola, un
canto dulcissimo; nel«juale
conoscevano
ediscernevano
le hoci delliuomini
e dellefemmine,
epareva
loroche
liuomini
incomincias-seno
e lefemmine
rispondessino, e, cosìudendo,
quellaanima
diRomola
siparlidalcorpo.E quanto
^* quellocor-po
piùandava
innanzi inverso il cielo, tantomeno Ren-
della e quell'ai tradiscepolaudirono
leLoci,infìnoa
tantoche lodore
e quello dolcecanto
fudilungato
e finito.Amen.
liEGGENDA
DI GIULETTA E OUIRICO
Giiiletla col figlinolo funobbilissima,
naia
inuna
ter- ra, laquale
sichiamava
Iconio; e,volendo
ella fuggire la i^ersecuzione dcìiranni,andoe con uno suo
figliuolo, loquale avea
tre anni,ad una
città;, laquale
si chia-mava
Tarso.E stando
ellaivicolsuo
figliuolo, evedendo due
loro fanti ^^che
la lorodonna
era presa,prestamente fuggirono
inaltrecontrade.Et ilprefetto,vedendo
quellobanbolino
di tre anni, preseloe tennelo ingrenbo,
efeceduramente
battere lamadre con
nerbi crudelissimi. E'I fanciullovedendo
batterelasua madre,
edellisimiglian- tenientepiangeva
e traeva guai. E'I prefettobaciandolo,ellicolla
mano
sisforzavadi graffargli''ilvoltoedimor-
derlocon
bocca. ^^Allora il prefetto adirossi, e gitiòda
l'alto il ftinciuUo, e, percotendoli il
capo
in terra, ellimorì.
E
lamadre, vedendolo
cosìmorto, con grande
bocirendè
lalude''"e graziea
Dioche'lsuo
figliuoloera itoin- nanzi in paradiso. Allorail prefetto la fece scorticare,eso-pra pece
bollilavimisseno
suso""poi ch'ellafu scorticata, etanco
questonon
bastò, et altri martiii le fece. Alla fine le fecemozzare
lo capo, e poi feceprendere
ilcorpo suo
e quello del figliuolo, e fecegli tagliare minuti, e fece dispargere tulle le carni, acciòche non
fussenoscp- peiitene
trovale dalli cristiani.Ora
per la voluntà di Diolisantiangeli tutte leragurano
''^eli cristiani li sep- pellirono, esono
tenute ingrande
reverenzia.Lo
fan-ciullo
ebbe nome
Quirico, e lamadre ebbe nome
lulitla.Questa a laude
e riverenzia di detta Santa.Amen.
TAVOLA
DI OSSERVAZIONI
FILOLOGICHE
E DI VOCI EMODI
DI DIREMANCANTI AL VOCABOLARIO
DI
CONSIDERAZIONE NON
INDEGNI*)Questeattaccaturesonorimaste oggisolamentenelle pre- posizioni articolate.Cosìdallaprep.r/eodi e dallaprep.aeda,
con
gli art, eloil,lo li,lale,sì fecedelo d'elMelo, deli, dela,dele,aH,alo,a.li,ala, a le, dal, da lo,
da
li, da la, da le, le quali,maritatesi insieme,raddoppiaronolaconsonante,salvo ledue
prime,efecerodello,delli, della, delle, allo,alli,alla, al-le, dallo,dalli, dalla, dalle. Così,daco epe [che furono voci intereper con e per,
come
mostrano, fra'moltissimi, questi esempii; Ovidio,Rimedio d'Amore,
pubb. daF. Zambrini,p.21. (Prato,1850) //tavoliere ei tempi
commossi
comolto vino tolgonogliuomini da loroanimo;ep. 52.Pe
ricordanzaè ri- creatoci rinnovato Vamore.] da co epe,dico,e dagli articoli,sifecero co
7
e col,peH
e pel, e collo,colli pello, pelli ec. Dicasi lo stesso di trae fra.Quanto
all'articolazione dellaprep. in, vedi la nota 7. Queste attaccaturerimangono
oggi anche in parecchie delle maniere prepositive,come
affronle, allato,ac-costo, accanto ec.
*Questaleggendadi
Susanna
èpressoapoco un volgarizza-mento
del capitoloXXXIII
della Profezia di Daniele.'Balbilloniaper Babbillonia: scambio di consonanti fre- quentenegliantichi:cosìsulbitamenteper subbitamenteapag.
13.
Quanto
allo scrivere con doppia consonante queste ed al- tre simili parole,non mancano
esempii negliantichi. Simin- tendi, OvidioMagg.
voi. 1 pag. 156. (Prato, 1856) La quale TisbediBabbilonia videda lungi a'razzuoli dellaluna. Legg.di S. Brigida, MS. dell'Angelica di
Roma,
seg. T. 5. 4.a car.1.Etnon solamenteilpadreetla
madre
fuorono nobbiliet vir- tuosi,ma
eliandio tucta la suaantichità.— 20 —
3
Fue
per fu. Gli antichi chiusero in e leterzepersone sin- golari de'perfetti di tutte e tre le conjugazioni,come
amoe^temeeotemè, udie, eperciò fue èvoceprimitiva;
non
vi s'ag- giunsela e perevitare l'accento finale in queste voci. Vedi ilNannucci, AnalisiCriticade'verbi italiani, pag. 452.
* inperciò cheU.
La m
fu scambiata inn
ne'primi secoli della lingua innanzialle labiali6ep; così senpre,lenpo, onbra conbaltere. Legg. ined.pubb. daF. Zambrini, voi. 1, p. 96.(Bologna, 1856) Figliuolo miodolcissimo, ahi continovo ildi- giuno, e conpi letue orazioni,e senpre ti
raccomanda
a Dio.S. Efrem. Serm.VlII, pubb. daF. Frediani e C. Guasti. (Pra- to, 1850) //monaco. . . deba cercare d^avere
armadura
con la quale eglipossaconbattere Sitrovaanche innanzialleliquidem,L
Avveri, di Maritaggio,pubb. daF. Zambrini,p.9, (Imo-la, 1852)
La
fenminacKè
buona faeonore a séed atutto suo parentado. Fav. di Esopo, p.93. (Napoli,1829) Venendodalla cittàV
Asino inleggiadritoper li barilinuoviandavasi guar- dando intorno edalato.^ amaestratain. Amaestrare, scritto con la
m
scempia, fu additato dal Frediani nello spoglio all'OvidioMagg.
p. 19, con esempiialtresì d'Albertanoe del Flavio Volgare;ma am-
maestrare alcunoinuna
cosa è nelVocabolario con un soloesempio
del Boccaccio.^nutritain ec. Nutrito per educato, allevato, è con tree- sempii,
ma uno
soloè antico,diJacopone.' in nellalegge.
Come
da in venisse ne, igrammatici, per quantoiosappia,non
1'hanno
spiegato abbastanza. IlNan-
nucci (Analisi critica de'verbi italiani, p. 18, n. 1 ,ma
più nelle giunte e correzioni all'opera stessa)me
ne fa capire l'origine. Si disse anticamente elper il: or dicendo inel, sicongiunseroqueste
due
voci,raddoppiandolan,ed ecco imiel;posciasi staccarono,esiscrissemne/;ne/ diede nascimento al
?2e.Queirmnonfu
dunque
ripetizionedella stessa preposizione in,come
dicono tutti i grammatici con la solita cantilena, proprietà dilingua,ma
fu una voce che nacque dall'attacca- turadell'in e dell'articolo el: cosachenon
fu pur capita da antichi e diligenti editori. 11 Nannucci perciò vorrebbe che—
21—
quando
si trova in nel,si scrivesse, in el, togliendo via, co-me
superflua, la 71 dell'attaccatura;ma come
far poiquando
sitrova in nello, innella?dovrebbero sciogliersi in lo, in la,
maniera
meno
frequente,ma pureusata dagliantichi,rimasaog- giaipoeti.Maiocredochez/ìne//o,mne//aec.nonsienoaltrochelapreposizione
me
gliaggettivie//o,e//a,chene'primordii della lingua dovettero tenerluogodiarticoli,eperò credo chesìVin«e/,
come
Vin nello ec.sienodiquelle cosechevanno
rispettate perla storia della lingua.Quando
per contrario Vin si trova innanzi adel,dello, ec,come
indelcuore, in dellamenteec,
quell'm equivale SLÌVints, inz, ins de'Provenzali, accorciati dalVintusde'Latini.Vedi esempiidell'unoe dell'altromodo
nel Vocabolario.8
La
parolamagione, chemanca
affattonelcodice perma-
nifestoerrore del copista, è richiesta,
come ognun
vede, e dal senso, e dal latino chedice: et erat eipomerarium
vici-num domui
suae.Ho messo
piuttosto magione,come
parolapili prediletta ai trecentisti; oltreché, la orrevolezzadiGio- vacchino
mi
facrederechelasua fosse, piìicheuna
semplice casa,una
magione.^cittade. Gli antichi
quando
terminarono,come
chenon
spessissimo,invocale accentataun nome,
locavaronodalno-
minativo latino della terza, virtus, civitas: ladesinenzain dete, ciltade,virtiite, fu figliuolalegittima dell'ablativo, civi- tate, virtute, ec. In generale,gli antichiper
maggior
liscezza di pronunziaallungarono,quando
di una,quando
di più let- tere,un nome
tronco o monosillabo; così più sotto cillde.Cioè, pine, none, sine spesso ne'testi,per ciò,più,no,sì.Nella legg. di S. leronimo, pubb. daF,Zambrini,pag. 15. (Imola, 1852)
Di
ninnacosa cottamainon
mangiò, se none duevolte neirultimainfermità. Sine e none per sìeno vivono ancora nel contado diToscana, e nel dialetto romanesco, adoperati nelle risposte, assolutamente.*"
Uno
anno furono fattimassaidue
signiori—
Il \ai:Et con- siitutisunt depopulo duosenesjudicesin ilioanno.La
Crusca spiega massajoemassaro, custode di cose mobili, cioèmas-
serizie, denari per lo più appartenenti al pubblico.
Ma
qui— 22 —
pare chestia in senso piìi largo,
come
ci dà \ìjudices della Vulgata; se purenon
si volesse legger, furono fattisigniori duemassai,prendendo
massaipervecchi, attempati, aggetti- voadoperatocome nome
assolutamentealplurale; tanto più cheanche appresso troviamo voltati in massai ilsenes del-la Profezia: Spesse volte la vedevano quelli due massai en- trare et uscire delsuo giardino;evennero quelliduemassai,
liqualierano signioridella cittade.Questiesempii, con
que-
st'altro che aggiungerò, si potrebbero allegare al §.II. della Crusca. Legg. ined. voi. 1. p. 55. (ed. cit.) Ordinò
XII
dimo- ni informa
diXII
massai sacerdoti, bianchi tuttiquanti; e'pareano più beglimassaiche
mai
fossero veduti;e poi ordinòXI
donne massaie in apparenza di grandissimasantità.Non
vo'neppur tacere che questa voce, qui, e ogni volta chesiincontra in questa leggenda, vedesi nel codicesottoscritta di
mano
delloSmunto;
il quale la credette per avventuradegna
diqualche considerazione.—Si noti di piùin signiori quell't intruso , che,come ognun
sa, le sillabe gna, gne,gno,gnu,
noi richiedono. Così nella Novella del Grasso, pubb. testéda
P. Fanfani,pag. 1 (Firenze, 1856) Quali sono dipintori, orefici, scultorie legniajuoli. Gli antichi metteano riquando non
ve n'erabisogno; lo lasciavano,quando
era necessarioarenderschiacciato ilsuono
del e e del g, qualche volta anche dellaz; arroggie, crescie,cierlo,fede;percontra- rio, gugno, gorno, co,mogie, graza, vizo, pergiugno, giorno,ciò,moglie, grazia, vizio. Così Vh, che, piùche lettera, è un segno ortografico,
come
bene ha detto ilRodino
(Gram.No-
vissima, part. 1, p. 18) gli antichi la mettevano il più delle volte
dopo
ilce
\\ginnanziallevocali a,o,w,come
Ghostanti- no,chominciò,e tantialtri: lalasciavano,quando
avrebbedovuto render duroil suonodellesopraddetteconsonanti innanzi al- le vocali e, {. Nella legg. di S. leron. pag. 6. (ed. cit.)S'm- gegnaronodi scernillo abbominevolmenle con uno vestimento difemmina. Leggi la Prefazioneal Volgarizzamento dell'Ec- clesiaste (Napoli,1850),dove ilp. Frediani discorre assai lar-gamente
e dottamenteintorno a questecose."
adimandare manca.Eccone
unaltroesempio. Legg.ined.— 23 —
voi. 1, p. 188. (ed, clt.)
Datemi
Vanello pernome
del fi- glinolo di messere lo re d^oltremare, sotto i patti e sotto legrazie esottoleleggicW
V óe adomandate.Adomandar
e,ma
nel senso di andare, ilpeterede'Latini, è additatodal Fredia-
ni, spogliocitato, p. 7.
»- e
Susanna
erausata d^andare.E sta per sempliceripieno in questo luogo. Vedi la n.45.^^So/assare.
Manca
così scritto.^'^unodie. Z)^e,pe^ di', giorno, è voce intera;
dual
plurale;non
vi èmessa
la e per evitare ilsuono
del monosillabo ; viene dal diesde'Iatini, e sitrova diambo
igeneri anche in italiano.Così nella Vitadi Cola di Renzo,e. XXVIII.Una
die convitao a pranzo Missore Stefano de la Colonna; e e. XIII.Inquelli dii fo
una
festa de santo Ioanni. Si trovaanchedie invariabileal plurale,come
moltialtri (vedi la n. 39). Legg.ined. voi.2. p. 147. (ed. cit.)
Lo
inperadoreandoe fuori della cittadeper suoifatti, estettealquantidie. Si disse anche dia ne'primi secoli della lingua, dal provenzale. In Jacopone, lib.IV. C. VIII. 3. Penitenza fa nonposso, Mangiare
una
voltail dia.E
inBuggerone
daPalermo:Edamepare
mill'anni la dia Ched eoritorni a voi,madonna
mia.**ebbeno cioèebbero.
Eno
terminazionequasi costantenegli antichi,come
anche ono e ino, dove il verbo,come
faoggi, avrebbe dovuto uscire inero. Piìisotto, corsenoesaziasseno.Legg.di S.Ieron,p.10. (ed.cit.) Disse loroche lavassenoi piedi al leone,e diligentemente cercassino che
male
il lione avesse nel piedi.Fu
frequente anche la terminazione inoro. Simin- tendi,OvidioMagg.
voi. 1. p.iM. Lo
preteaveacomandatochelefantisanza ricevere prezzo, guardassoro la festa diBacco, e che ledonne coprissoro i lorocorpi delti orrevoli vestiri, e che s'acconciassoro gVintrecciatoi, echeportassoro legrillan- de in testa, e chepiagliassoro i freschi fiori con le mani. La terminazione ino viveva nel cinquecento, frequente nel
Ma-
chiavelli, nelGuicciardini,ein altri.
Ma
diquesteterminazioni sola quella in ono nella terza plurale del condizionale, pare che possa,adoperata con giudizio, starbene anche oggi." guardavano come
laec.Guardare
perprocurare,tentare,— 24 —
è col seguentedel Boccaccio, g. 1. n.3. S'avvisò troppo bene, cheilSaladino guardavadiprenderlo nelleparole,per dover- glimuovere alcunaquistione. Questodellenostre leggendegli
farebbe
buona
compagnia, ancbe pelcompimento
diverso."
ilcuoreloroardevadellasua bellezza.Chìamol'attenzione de'VocaboIaristi suquesto esempio: forsenon
istarebbemale
congli altri al §. VII.,senon
si dovessegiàporre con l'unico del Firenzuola al§. X.^^ecominciarono ausareetordinare
come
ec.Usare parmies- sere qui adoperatonel sensodi praticare, conversare insieme ad un fine. Merita considerazione.'^preghianlipev preghiamti.GW antichiterminavanospesso in wle
prime
personedel plurale,particolarmentequando,co-me
qui,accompagnate
daaffìsso.Nell'Eneide del Lancia,pubb.daP.Fanfani[Elrurin, \n.l,\). 165.)Noidobbianoelleggerealcu- nosavio,ilqualesiaesemploeregoladellanostravita.^eUeWile de'SS. Padri:Z)<7e/o a lui, enoiancheglile direno, avederese giovasse.
Quando
lo affisso eralo, li, la, /e,cambiavano
anchela
m
nin l, permaggior
liscezza di pronunzia. Seneca, Pi- stole,pag. 27. ( Firenze, 1717 ) Vi confesso, che noiamiamo
naturalmenteilnostro corpo,etegnallo caro,esiunnesolleciti.^°aconseniire.Mancacosì scritto:eccone
un
altro.Legg.ined.vol.l. p.180.(ed.cit.) E, snelli pervostre parolepaci/iceecor- tesi, nonaconsentisse, diteli ec.
^^Nota questopassaraduntrattodallanarrazionealdialogo.
2- e, dittoquesto,ec. Ilparticipio,chesceseregolarmente da dire, fu dito- quindi da dictus, ditto; che, secondo il
Nannuc-
ci. Analisi ec. p.582, si concedeoggi ai poetisolamente.
-^andòcorrendoaprire.lldottosig.E. Rocco,nell'Aggiuntee correzioniallaCruscaec.v.anc/are,scrive«IlP.Frediani diceche questo verbo (andare) si
può
adoperare innanzi all'infinito senza lapreposizione a;ma
io credo che ciònon
possa farsiche con verbicomincianti perla lettera a; e ciò
non
col solo verboandare,ma
conqualunque
verbo dimoto
»Ecco due
de'quattro esempii che ilRocco
ne cita, delMorgante.1, 23.Quando
civennialprincipioabitare: e 31. Questo gigante ar-mar
sicorse afuria.— 25 —
-^giovano per ^louane:terminazione
non
infrequente negli antichi tanto pe'sostantivi,quanto pergli aggettivi, cosìnomo^crino, costumo, comuno. Vedi il Nannucci, Teorica de'nomi, pag. 104a 114.
*5 Vacusavano. Acusare
manca
così scritto.'^corremo aloro, etrovàmogli,ec.
La
prima personaplurale delperfettonelle treconjugazionisiscrive oggicondue
m,niadapprima
siscrissecon una, e ne'testi,che sonostampaticon diligenzanon
dirado s'incontra.IISigoli,p. 2.(Firenze, 1829) PartimocidiFirenzeadì13dM^os/o.—
Scesero regolarmente dal latino,amavimus,
douimus, audivimus, fognato il v: si scrisseroposciacondue m
perdistinguerli dalleprime
plu- rali delpresentedell'indicativo,che daprincipioebberoegual terminazione.Nannucci, Analisi ec. p. 184.—
-' bocepervoce, boto peryo/o,perl'affinitàche ètra queste
due
consonanti.28son queste che tudì'ì
Quando
dìnon
è imperativo,ma, come
èinquesto luogo,secondasingolare dell'indicativoin
cambio
di dici,si suole scriver da'piùcon l'apostrofodi\ credendoloac- corciato di dici;quando
è imperativo, onome
per giorno, con l'accento.Ma
il Mastrofìni, Dizionario, §.LX.
n. 3., edil Nannucci, Analisi, pag. 569. avvertono che dì, tanto se-
conda
singolare dell'indicativo,quanto seconda singolare del- l'imperativo,sono,non
troncamenti didicidadicere,ma
voci intereda dire; e perciòvanno
scritte solo con l'accento per distinguerle da dipreposizione-bene
scriver devesi di\ no-me,
per giorno, con l'apostrofo, essendo questoun
tronca-mento
di die,antica voce,dal lat. dies.Vedi la n. 14.^^ Così ilcodice,
ma manca
certoqualche cosa.II lat: rever- timiniad judicium, quia falsum testimonium loculi sunt ad- versus eam: senon
volesse già staccarsi quel falsamente,ein- tender che i giudiciiavessero falsa mente.^''Adirietro o Addirietro vienedaa
dV
o addierielro,d\ohaigiorni dietro, passati, innanzi, prima.
Poco
dissimileè questo de'Fatti diEnea
(ed. Puoti) //qualeregnoglierapervenuto amano
perAndromaca
suamoglie, inquadirietomoglie diEt-tore.
Fu
adoperatopiù di frequente,come
qui, per addietro— 26 —
semplicemente.
Com.
a Dante, pubb. daP. Fanfani (Etruria, An. I, p. 36.) Questi due giovani lascìorono gli uccelli in quelle isole diRomania,ed incontanentesi tornarono addirie- tro. Adirietro e addirietromancano
nel Vocabolario,come
che sieno frequentissimi negli antichi.IVeronesiIoaggiunse- ro,ma
i Bolognesilobandirono.^^puosello perj3uo5e?i/o,cambiatalanin/perlaragionealla nota 19 assegnata. Così piùsopra
domandavano
perdoman- davano.
^-
mala
sentenzia.Illat.di più:Venietsede inmedio nobis,el indicanobis: quia libiDeus dedilhonorem
seneclutis."
mosterrò per mostrerò. Cosìofferrò, enterrò, sofferrò e simili,non sonovocisincopate,come
diconoquasituttiigram-
matici,ma
venutecidal Provenzale, ediclassicine son pieni.Ne'Proverbii di Salomone, pubb. dal Can. G. Bini (Firenze, 1847) Senel tuo cuore enterrà senno,e le scienziepiaceranno alla tuaanima, ec. Albertano p. 18 (Firenze, 1610).
Non
chi comincerà,ma
chiperseverrà, è acconcio ad aver lo regno di Dio. Parecchie di queste contrazioni vivono tuttora,come
verrò, diverrò, vorrò, terrò ec.
Ma
chi volesse saper meglio, leggal'operadelNannucci,Analisi,§. IV, pag. 232,dove stan- no acasatuttelepiù riposte ragionidi queste cose.^*Il lat: inveterate dierum
malorum.
Il Martini:vecchio di giornirei."
Il lat: Innocentes opprimens,et dimittens noxios. Sidireb- be che quel false siauna
giunta superflua del traduttore,non
bastandogli il sansa colpa. Superfluo èanche li inproscio- gliendoli.Mancano
inquesto luogo le parole seguenti del lat:dicente Domino:innocentes et
justum
noninterficies.^^ Sotto
un
susino. Il lat. subschino, edilMartini,50<^oun
lentisco.
" La
Vulgatatutt'altrimenli:Semen
Chanaan, et non Inda.3«
Manca
certo qualcosa. Il lat.ha:Nunc
ergo die mihi, sub qua arbore comprehenderis eos loquentes sibi. Qui ait : Sub prino.^* conmoltevergine. Il Nannucci,Teorica de'nomi,c.
IX
p.241. dice che la desinenzaplurale
de'nomi od
aggettivifem-
— 27 —
minili, fuconfigurata in origine su quella de'Ialini; e però nella
prima
damM5ae,si dissemuse,ds.bonae,buone:neUA terza da matres,madre, dadulces,dolce; nellaquintadaspecies^spe- cie. Oggi è rimasasolo questa dellaquinta, dicendosi,come ognun
sa, la specie e le specie. S. Bernardo,pian, e lament.dellaVergine, pag.2. (Firenze, 1837). Corretefigliuole,cor- rete vergine sante, correte
madre
tutte. S.Efrem.Serm.
V.p.6. Guai ad me, anima, che cacciasti
da
te li santiAngeliperle tuebrutte operazione.
*"t;Mo'^M.Alcunicredetterochevuoifossesincopedivuoli;ma.
vuoièvoce interadavoeìxo voire, che fece voo, voi, voe ec:
ritenemmo
di queste vocisolamentelaseconda delsingolare, frappostovi I'm: scorciatadell'i, fece vuo\ IlBocc. g. 9. n. 4.Non mi
vuo' tumigliorarequitre soldi?E conl'affisso,il Var- chi, nellaSuocera,3. 2. Vuo'latu anche meco?Nannucci Ana-
lisi, p.765.
*' eh^elladovesse fareninna vanità. I
Grammatici
avrebber volutochequi si fossedetto non dovesse fareninna vanità, o ninnavanità dovesse onon dovessefare, perchè,come
avvisai anche nelle noteall'Epistola diCicerone a Quinto, p.33. (Na- poli,1851),danno
per regola inviolabile chequando
ninno, nessuno, veruno, nullo, niente,nulla, sono posposti al verbosideveavanti a questoporre ilnon, e
quando
gli sono preposti,si
può
mettere olasciar da parte il non. Ma, dissi colà e qui ripeto, cheil farqualche volta altrimentinon
ècosa dasusci- tar fazioni; particolarmentequando
dal trasgredirquesta re- gola venisse dignità o grazia al discorso. Leggine parecchi esempii nel Fornaciari, Del Soverchio rigore de'grammatici, discorsoI §. 33. (Lucca, 1850).—
*2 giuco
manca
al Vocabolario:dovrebbe
esserviper lasto- ria dellalingua.*' reggimenti cioèatti, opere, frequente negli antichi. Pass.
163. Gliattie reggimentidifuorimostranoquello chel'uomo
è dentro.Vedinealtri esempiinelVocabolario.
**e'dimandolla.- Potrebbequest'e'pereiriferirsialpadreed allamadre, perchè dimandolla potrebbe
non
solo esser singo- lare per la domandò,ma
anche plurale per ladomandano,
— 28 —
sincope di
domandorono
, mutata la n in /,come
alla no-ta20.
^^ela fanciulla.Questae, frequentissima ne'classicì,èusata per ripieno,
come
dice il Cinonio col Lamberti,e. 120 §.14 quasiperallora, il lune de'Iatini.Nella legg. di S. Silvestro.MS. da me
posseduto, si legge:Ed
essendo sancto Silvestro nel tempo di ventidue anni, e la suamadre
passò di questa vita con salute delVanima
sua.*« andonneabitare. Vedi la nota 24.
-"Cominciaquestaleggenda conun'ancora,perchè seguenel
codice
immediatamente
quella di SantaMusa, laquale,come abbiam
veduto, ètolta altresì da S. Gregorio.Aggiungiamo
che questa leggenda,meglio che di Santa Rendetta, potrebbeintitolarsi di S.
Romola,
perchè,come
vedrai,il fattoriguar- dapiùquesta chequella.^^perloyiudicio di Dio,liqualiec.costruzionedi pensiero, direbbero igrammatici.
^9 eRendetta.U Cod.legge benedettainluogodiRendetta^ma,
come ognun
vede,è apertasvista dell'amanuense.'^osentieno\>ersentiano.Leintersonesingolari delpresentedel- l'indicativo,essendosi ne'primordiidella lingua terminate ine;
ioame, tuame,egliame: ioteme,tuteme, egliteme,iosente, tu sente,egli sente; si volle che uscissero parimentein e anche quelle dell'imperfettoe degli altritempi in tuttii
modi
de'ver- bi;onde
da/acm
venne facie; datemia, temie; dasentia, sen-tie:aggiuntalasillabano, siebbero le terze plurali: facianoe facieno;temianoe temieno; sentianoesen/ieno.Nannucci,
Ana-
lisi,p. 145.
^' viddenopervidero; così, con doppio d, lealtre voci del perfetto, viddi, vidde, per distinguerledavidi, vide, che ap- partenevano ancheall'indicativo presente dall'antico videre.
Nelle Vite de'SS. Padri: Ecco subitamentevidde uscire delde- serto. Nannucci, Analisiec. p.748.
^2sprendore per splendore:così negrigenza, repubbricaper negligenza, repubblica,e mille altri, frequenti ne'classici, e vivi tuttora nella pronunzia de'Toscani, per raffinità,ch'è tra queste
due
consonanti.— 29 —
s^Aviate[terabbiale,\ocoche scenderegolarmente daavere.
Studiaquantoil Nannuccidice diquesto verbo da p.480a
518
nell'operacitala.^*equandoquellocorpo.Così il Codice;ma io
ho
mutato soloil
quando
in quantocome
correlativo di tanto che vieneap- presso: avrei mutato altresìquello corpo in quell^anima, che certo ranima
andava , il corpo restava , senon mi
fosse parutodiallargarmi troppo, e senon
avessisaputo chei tre- centistiincerte cosenon guardavano
molto pel sottile.s» Questo titolo èdi
mano
delloSmunto: il Codice neman-
cava.
^^ Così
ilCodice;macredodebba mancare
qualchecosa,sem- brandomi
troppo anticipato il pensiero, e vedendo due loro fanti ec. Forsedopo
la parola figliuolo m?inca fu presa , o qualchecosa di simile.''''grafiargli.Grafiare
manca
cosìscritto.'* C071 boccaper con labocca.
"^ laludeforse per lalde,chespesso gli antichi scambiavano
l'Min /, e dicevano alterità, por autorità, esaldire per esau- direemillealtri. Questo lalude
mi
ricorda il laulde che leg- gesi nelle PistolediS.Demando,
p. 8. pubb. dall'Ab.Manuzzi
(Firenze,1848)
A
cuisia gloria, e lauldeinsecalaseculorum.^''Qui ridonda o il soprao il 5M.?o;madi queste sovrabbon- danze
non
prenderà maraviglia chi ha pratica congli antichi.^*ragurano: così il codice: forseper ragunano.
I
Viv'jiiiÉii.
^,ì
Prezzo
Gr, 20.«
wKwt.'-i'^
ia:ì|
if^
BR Melga, Michele
136
»H,uattroleggende inedite
I8Mii