• Non ci sono risultati.

Lavoro (Rapporto di)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Lavoro (Rapporto di)"

Copied!
11
0
0

Testo completo

(1)

Lavoro (Rapporto di) - Lavoro subordinato - Trasferimento d'azienda - In genere - Nozione - Disciplina ex art. 2112 c.c. - Trasferimento di ramo d'azienda -

Applicabilità - Cessione di lavoratori addetti ad un medesimo ramo aziendale - Trasferimento di azienda - Configurabilità - Condizioni - Richiamo alla normativa ed alla giurisprudenza comunitarie - Fattispecie.

Corte di Cassazione - 10.1.2004, n. 206 - Pres. Sciarelli - Rel. Foglia - P.M.

Frazzini (Conf.) - Finmeccanica S.p.A. (Avv. Morrico) - Manital Consorzio Servizi Integrati (Avv.ti Gentile, Bosio) - Bongiovanni.

L'art. 2112 c.c., anche nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 18 del 2001, attuativo della direttiva comunitaria n. 50 del 1998, consente, letto in linea con la giurisprudenza comunitaria formatasi in merito alla interpretazione della direttiva n.

187 del 1977 e con le esplicite indicazioni fornite dalla direttiva n. 50 del 1998, di ricondurre, ai fini da esso considerati, alla cessione di azienda anche il trasferimento di un ramo della stessa, purché si tratti di un insieme di elementi produttivi organizzati dall'imprenditore per l'esercizio di un'attività, che si presentino prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al

perseguimento dei fini dell'impresa e che conservi nel trasferimento la propria identità.

In presenza di tali condizioni, può configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare "know how" (o, comunque, dall'utilizzo di "copyright", brevetti, marchi etc.), realizzandosi in tale ipotesi una successione legale di contratto non bisognevole del consenso del contraente ceduto, ex art. 1406 e seguenti c.c.. Requisito

indefettibile della fattispecie legale tipica delineata dal diritto comunitario e dall'art.

2112 cod. civ. resta comunque, anche in siffatte ipotesi, l'elemento della

organizzazione, intesa come legame funzionale che rende le attività dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra di esse e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili, configurandosi altrimenti la vicenda traslativa come cessione del contratto di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso del contraente ceduto.(Nella specie, la S. C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la sussistenza dei requisiti per configurare la cessione di azienda nel trasferimento - ricondotto dalla società cedente e dalla cessionaria al fenomeno cosiddetto di

"outsourcing", comprendente tutte le possibili tecniche mediante le quali un'impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell'attività produttiva e dei servizi estranei alle "competenze di base" - da una società ad altra del ramo d'azienda

"Servizi generali", sul rilievo che di esso erano rimaste ignote la struttura e la dimensione, e che inoltre le attività di detto ramo non erano risultate del tutto corrispondenti a quelle trasferite, nonché del cosiddetto "Centro di costo 991", sul rilievo che dello stesso, costituito per ricevere il personale rientrato dalla CIG, non era stata provata l'autonomia organizzativa, e che inoltre esso si caratterizzava per la estrema eterogeneità delle attività dei lavoratori che vi erano addetti, e per la

mancanza di qualsiasi funzione unitaria, suscettibile di farlo assurgere in qualche modo ad unitaria "entità economica").

FATTO. - In data 4 luglio 1997 la S.p.A. ANSALDO inviava le comunicazioni ex art. 47 della legge n. 428 del 1990 alle R.S.A. in ordine all'intenzione di cedere il ramo d'azienda "Servizi

(2)

generali" al consorzio Manital.

Tale decisione veniva giustificata con la finalità "… impegnare sempre più le capacità aziendali nelle attività dirette su prodotto, mercato e tecnologie, contenendo, nella misura possibile, gli altri alti costi di funzionamento … e far riacquistare competitività all'Ansaldo".

Il ramo di azienda "servizi generali" comprendeva le seguenti attività: conduzione e manutenzione di impianti termotecnici, di impianti elettrici, telefonici, Tvcc-Td, di impianti di sicurezza,

controllo e antincendio, di ascensori e montacarichi e di altri impianti speciali; manutenzione di immobili industriali e civili e relative pertinenze; manutenzione di reti di viabilità; monitoraggio e riparazione reti fognarie ed idriche; progettazione di nuovi impianti generali; gestione pratiche per autorizzazioni edilizie, permessi di concessione, autorizzazioni USL, VVFF etc.; gestione e manutenzione di attrezzature mensa; gestione e manutenzione di fotocopiatrici ed altre

attrezzature di ufficio; movimentazione arredi, materiali ed attrezzature; facchinaggio, gestione dei mezzi relativi alla trasmissione delle informazioni, distribuzione documentazione; ricevimento e smistamento posta; fattorinaggio interno ed esterno; riproduzione della documentazione

(disegni etc.), gestione degli archivi generali, di deposito e relativa conservazione e messa a disposizione della documentazione; pulizia dei fabbricati; giardinaggio; gestione e distribuzione cancelleria; gestione di pratiche relative alle trasferte dei dipendenti (prenotazione, acquisto biglietti, rinnovo e visto passaporti, autonoleggio, "navette", etc.); traduzioni documenti;

segreteria reporting ed altri compiti di carattere gestionale e/o di supporto riferiti alle attività suddette.

L'operatività del trasferimento di azienda veniva fatta decorrere dal 15 settembre 1997, mentre in data 29 luglio 1997 l'Ansaldo e il Consorzio Manital avevano stipulato un contratto di fornitura di servizi e manutenzione generali.

Con ricorso al Tribunale di Genova, Giorgio Bongiovanni, dipendente della Finmeccanica - ramo di azienda Ansaldo, conveniva in giudizio quest'ultima società nonché il Consorzio Manital, contestando la qualificazione giuridica dell'operazione di ristrutturazione aziendale come cessione del ramo di azienda ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 c.c., e chiedendo l'accertamento

dell'invalidità della cessione del proprio contratto di lavoro, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento dei danni. Il ricorrente invocava, altresì la dichiarazione di

invalidità dello stesso contratto di appalto di servizi sopra menzionato, per violazione degli artt. 1 della legge n. 1369 del 1960 e 24 del CCNL che vietava di affidare in appalto le attività

direttamente connesse a quelle aziendali o relative alla manutenzione ordinaria.

Si costituivano entrambe le società sostenendo la piena correttezza dell'operazione compiuta e, in via riconvenzionale - nel caso di accoglimento della domanda - chiedevano la restituzione del maggior trattamento retributivo corrisposto da Manital in forma di superminimo.

Il Tribunale di Genova respingeva il ricorso con sentenza del 20.1.2000, ritualmente impugnata dal Bongiovanni. Resistevano sia la soc. Finmeccanica, sia la Manital formulando appello incidentale condizionato in punto declaratoria di nullità della domanda in riferimento alla pretesa violazione dell'art. 1 della legge n. 1369 del 1960 e in punto compensazione delle spese

disposta dal Giudice di prime cure.

Con sentenza del 9.1.2001 la Corte di appello di Genova, dichiarava la nullità della cessione di contratto dell'appellante dalla soc. Ansaldo alla soc. Manital, e condannava la soc. Ansaldo a reinserire il Bongiovanni nella sua posizione lavorativa e nelle retribuzioni precedenti la cessione;

respingeva inoltre l'appello incidentale proposto dalla società appellata.

Per quanto interessa in questa sede, il Giudice del gravame osservava che la sentenza

impugnata, in linea con la più recente e consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha affermato che, per parlarsi di "ramo di azienda" suscettibile di trasferimento, deve trattarsi di un insieme di elementi produttivi (a prevalenza patrimoniale o personale) organizzati

(3)

dall'imprenditore per l'esercizio di un'attività (ancorché accessoria rispetto a quella principale dell'impresa) e che detti requisiti siano preesistenti al trasferimento e non siano invece la mera conseguenza del negozio traslativo.

Ciò premesso, il Giudice dell'appello precisava che dalle stesse difese ed allegazioni delle società convenute non emergeva alcun elemento concreto che deponesse per la preesistenza di

un'autonoma e unitaria organizzazione dell'entità ceduta, né nel suo complesso, né nelle singole componenti. Del resto sia la dimensione strutturale che quella funzionale dell'articolazione individuata complessivamente come "servizi generali" erano rimaste ignote, né era emersa alcuna corrispondenza precisa fra attività trasferite e attività già facenti capo a quei "servizi generali", avendo - tra l'altro - la Finmeccanica conservato presso di sé, ad es., non solo il responsabile di quei servizi, ma anche gli autisti e gli addetti alla vigilanza, mentre lavoratori già estranei ai medesimi servizi erano stati ugualmente "ceduti" al Consorzio Manital. Per converso - e ad colorandum - rilevava la Corte di appello che il trasferimento aveva riguardato tutti o quasi i lavoratori inquadrati nel centro di costo "991" che, per ammissione della Finmeccanica, era stato costituito per ricevere tutto il personale rientrato nell'aprile 1996 dalla Cassa integrazione

guadagni e già indicato dall'Azienda come eccedente rispetto alle esigenze strutturali. In conclusione, la fattispecie in esame doveva essere trattata alla stregua di una mera cessione di contratti di lavoro, priva del necessario consenso dei contraenti ceduti, con conseguente nullità delle medesime cessioni e prosecuzione del rapporto di lavoro con la Finmeccanica, senza tuttavia le ulteriori conseguenti risarcitorie previste dall'art. 18 dello Statuto, non ricorrendo alcuna ipotesi di illegittimo licenziamento.

Avverso detta sentenza la soc. Finmeccanica ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi.

Si è costituito con controricorso il Consorzio Manital.

Resiste con controricorso il Bongiovanni, proponendo, con lo stesso atto, ricorso incidentale condizionali, affidato a due motivi.

In prossimità dell'udienza la soc. Finmeccanica e la Manital hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..

DIRITTO. - Preliminarmente va disposta ex art. 335 c.p.c. la riunione dei ricorsi (principale e incidentale) proposti contro la stessa sentenza.

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 177 del Trattato CEE, per avere il Tribunale rifiutato di accogliere la richiesta di rimessione degli atti alla Corte di giustizia europea in merito all'interpretazione del senso e della portata delle direttive 14 febbraio 1977, n. 187, e 29 giugno 1998, n. 50, atteso che, in presenza del mutamento del titolare di

un'entità organizzata in modo stabile, costituita dal complesso dei lavoratori stabilmente incaricati di svolgere attività omogenee, la legislazione comunitaria impone di considerare il lavoratore trasferito con l'impresa, da intendere quale organizzazione funzionale di beni e rapporti giuridici che ne consentano l'esercizio.

Il secondo motivo denuncia motivazione contraddittoria su di un punto decisivo per avere il Tribunale dichiarato di volersi uniformare ai principi dell'ordinamento comunitario come precisati dalla Corte di giustizia mentre in realtà con essi si è posto in contrasto affermando che "le risorse

… anche … modeste non debbono difettare di un centro direttivo ed organizzativo, capace di renderle idonee al fine produttivo perseguito". Al contrario, l'entità economica può consistere anche in una semplice attività, valutabile economicamente e che conservi la propria identità con il trasferimento, mediante una valutazione non astratta ma concreta.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2112 c.c. perché l'operazione di

"esternalizzazione" di servizi può ben essere realizzata con lo strumento del trasferimento di un ramo di azienda e ciò proprio al fine di garantire i posti di lavoro senza procedere all'estinzione

(4)

dei rapporti di lavoro divenuti inutili, e, quindi, nella prospettiva di garanzia dei diritti dei

lavoratori che è l'obiettivo del legislatore comunitario; l'art. 2112 c.c., infatti, richiede la cessione di un'insieme di beni coordinati per l'esercizio di un'attività di impresa, senza che sia necessario anche che tale esercizio sia attuale, bastando l'astratta idoneità allo scopo produttivo unitario.

In conclusione, per l'azienda, si era in presenza di un'entità economica che l'imprenditore poteva collocare sul mercato, ancorché il dato dell'organizzazione autonoma (che, del resto, non

sarebbe mai configurabile in relazione ai rami di azienda svolgenti attività accessorie) non fosse preesistente al trasferimento, ma solo con la cessione si fosse realizzata l'unificazione di

determinati servizi e attività in capo ad un unico soggetto, il quale era stato così posto in condizione di rispondere a domande del mercato. Conclude, quindi, la società ricorrente che l'autonomia dell'entità economica (nel caso, i servizi generali) deve apprezzarsi in concreto, per il fatto che alcuni beni siano separabili dalla parte restante dell'azienda e, immediatamente (come accaduto nella specie, senza alterazioni dell'organizzazione preesistente), siano in grado di consentire la realizzazione di servizi e prodotti richiesti dal mercato.

Né rappresentava un ostacolo l'eterogeneità delle attività cedute, essendo fondamentale, per integrare un'attività economica, la comunanza dell'attività delle maestranze trasferite che sia idonea a conferire alla stessa una vera e propria autonomia produttiva, comunanza consistente nel fatto che si trattava dei servizi ausiliari a quelli propri dell'attività produttiva dell'azienda, la cui prestazione era continuata senza soluzioni presso Manital acquistando altresì l'attitudine (prima solo potenziate) di prestare gli stessi servizi anche a terzi.

Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. per avere la sentenza impugnata, tra l'altro, affermato che l'Ansaldo non aveva fornito la prova della sussistenza del ramo d'azienda. mentre, in realtà, tutti gli elementi della fattispecie erano dimostrati e comunque non contestati.

Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1406 c.c. per avere il Tribunale omesso di valorizzare il significato del comportamento del lavoratore, di accettazione

dell'incremento retributivo riconosciuto all'atto del passaggio alle dipendenze di Manital, nel senso di accettazione tacita della cessione del contratto, con cessazione della materia del contendere.

La Corte giudica il ricorso infondato.

Esaminando congiuntamente - in quanto concernenti la medesima questione, i primi quattro motivi del ricorso - deve premettersi che Finmeccanica e Manital sostanzialmente concordano nel ricondurre la vicenda al fenomeno cd. di outsourcing, comprendente tutte le possibili tecniche mediante le quali un'impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell'attività produttiva e dei servizi estranei alle "competenze di base" (c.d. core business).

Nella fattispecie, l'operazione di ristrutturazione aziendale è stata qualificata come cessione di ramo di azienda, comportante l'applicazione dei principi di cui agli artt. 2112 c.c. e 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (ed infatti l'operazione è stata preceduta dalla comunicazione alle organizzazioni sindacali).

La nozione di ramo di azienda, estranea sia al testo originario dell'art. 2112 c.c., sia alla sua riformulazione ad opera dell'art. 47 L. 428/1990, compare a livello normativo solo con l'art. 3, commi 3 e 4, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (cessione dell'azienda o di sue parti), anche se già dall'art. 2573 c.c. - che contempla il trasferimento di una parte dell'azienda come

presupposto per il trasferimento del diritto di uso del marchio registrato - poteva evincersi la possibilità di trasferire singole unità produttive, da considerare come "aziende" ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 c.c..

Ad ogni modo, la nozione stessa è stata elaborata dalla giurisprudenza al fine di estendere le garanzie dei lavoratori anche all'ipotesi in cui non veniva in considerazione il trasferimento

(5)

dell'intero complesso aziendale, ma solo di una sua parte di esso (cfr. Cass., 24 gennaio 1991, n. 671; Cass. 17 marzo 1993. n. 3148; Cass. 5 maggio 1995, n. 4873; Cass. 16 dicembre 1995, n. 12872: Cass. 14 dicembre 1998, n. 12554; Cass. 30 dicembre 1999, n. 14755;

Cass. 30 agosto 2000, n. 11422).

Ed invero, questa Corte ha ripetutamente affermato che rientrano nella fattispecie del

trasferimento di azienda tutti quei casi, in cui, restando inalterate le strutture e l'unità organica dell'azienda, ne venga mutato soltanto il titolare, indipendentemente dal mezzo tecnico adoperato per trasferire (cfr. ex plurimis Cass. 14 dicembre 1998, n. 12554 cit.; Cass. 14 luglio 1993, n. 7795; Cass. 22 febbraio 1992, n. 1763), ribadendo più volte che la vicenda circolatoria, oltre ad interessare l'azienda, ossia il complesso di beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, può riguardare un solo ramo di essa (cfr. Cass. 14 dicembre 1998, n. 12554 cit., che evidenzia, fra l'altro, come anche per il disposto dell'art. 2573 c.c., in materia di

trasferimento del diritto d'uso del marchio, si evinca la suscettibilità di singole unità produttive a costituire idonei completi strumenti di impresa, nonché Cass. 18 maggio 1995, n. 5483; Cass.

17 marzo 1993, n. 3148; Cass. 8 gennaio 1991, n. 67). La stessa giurisprudenza ha anche statuito che il complesso di beni, oggetto del conferimento dell'azienda (o di un ramo di essa), deve essere idoneo a consentire lo svolgimento di una determinata attività di impresa, anche se non necessariamente la stessa esercitata dal conferente (cfr. Cass. 21 ottobre 1995, n. 10993, secondo cui il nuovo titolare può integrare l'insieme dei beni trasferiti con ulteriori fattori

produttivi sempre che i fattori mancanti non siano tali da alterare l'unità economica e la funzione del complesso aziendale, dal momento che non basta che i beni conferiti abbiano fatto parte di una azienda, essendo altresì necessario che essi, per le loro caratteristiche ed il loro

collegamento funzionale, rendano possibile lo svolgimento di una specifica attività imprenditoriale).

Nei precedenti citati non è stata mai messa in discussione la scelta economica di "separazione" e si è altresì tenuto presente l'esigenza di assicurare un'effettiva funzionalità alla porzione di azienda ceduta attraverso la conservazione dei rapporti necessari alla sua concreta attività.

esigenza imprescindibile in tema di circolazione dell'azienda (art. 2558 c.c.). Ma certamente è stata prevalente la prospettiva della tutela del lavoratore, sotto il profilo della continuità dell'occupazione e della conservazione dei diritti maturati, nella convinzione che la tutela apprestata dall'art. 2112 c.c. si rendesse necessaria soprattutto con riferimento alle vicende di trasferimento parziale.

Il descritto orientamento trovava un diretto riferimento nella direttiva comunitaria n. 77/187 che comprendeva nel suo ambito di applicazione anche i trasferimenti di "parti di stabilimenti".

Da questa più ampia accezione ha preso le mosse l'elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia europea su ciò che deve considerarsi oggetto del trasferimento da assoggettare alle regole della direttiva. Ed infatti, nella maggior parte dei casi, le ipotesi concrete sottoposte al vaglio della Corte europea hanno riguardato appunto, cessioni parziali, riferite a singoli servizi, casi, cioè, di c.d. "esternalizzazione, nei quali erano ravvisabili la dismissione da parte

dell'impresa di una certa attività, spesso ausiliaria, e la prosecuzione della stessa attività da parte di altro soggetto, anche mediante moduli organizzativi, quanto ai mezzi, strutture e persone, diversi da quelli adottati dal cedente.

Anche se gli orientamenti della giurisprudenza comunitaria non sono stati costanti, ancorché unificati nella prospettiva di conferire una certa elasticità ed adattabilità alla nozione di trasferimento di impresa rispetto alle fattispecie concrete, deve ammettersi che la Corte di giustizia, nei suoi arresti, ha compiuto una significativa scelta di campo a favore della

interpretazione teleologica del dato normativo, in linea con la Direttiva 77/187 e con il suo art. 1, comma 1, che mira a garantire la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell'ambito di una

(6)

"entità economica".

Ed infatti, mentre in un primo tempo, la giurisprudenza comunitaria ha richiesto, per l'applicazione della direttiva, il trasferimento di un'entità economica individuata in base ad

elementi oggettivi e "misurabili", quali i beni materiali, il valore di quelli immateriali, la riassunzione di buona parte del personale, il trasferimento della clientela (cfr. sent. 18 marzo 1986, causa n.

24/1985, Spijkers; 10 febbraio 1988, causa n. 234/1986, Daddy's Dance Hall), in un secondo tempo ha ritenuto sufficiente l'identità o anche la sola analogia del servizio svolto dal cessionario rispetto a quello svolto dal cedente, senza necessità di un trasferimento di elementi materiali e patrimoniali, e senza un rapporto negoziale diretto tra i due soggetti, giungendo così ad inserire tutti i meccanismi di "esternalizzazione" nell'ambito di tutela della direttiva (cfr. sent. 12 novembre 1992, causa n. 209/1991, Wastson Rask c. Christensen; 14 aprile 1994, causa n.

293/1992, Schimid; 7 marzo 1996, cause riunite n. 171/1994-172/1994, Merks).

Significative espressioni di una siffatta scelta ermeneutica finalizzata ad apprestare ai lavoratori un sempre più esteso ventaglio di garanzie, sono: a) la sentenza della Corte di Giustizia 12 novembre 1992, causa C-209/91, Watson Rask la quale - in una fattispecie avente ad oggetto l'affidamento ad un imprenditore esterno della gestione di un servizio di mensa, in precedenza organizzato direttamente dall'imprenditore cedente - ha affermato che non configura un ostacolo all'applicabilità dei principi della Direttiva 187/77, il fatto che l'attività ceduta abbia "carattere accessorio" e non sia "in rapporto di necessarietà con l'oggetto sociale dell'impresa originale"; b) e la sentenza della Corte di Giustizia 11 marzo 1997, causa C-13/95, Suzen) che ha ricondotto la manodopera nella nozione di "entità economica", oggetto di trasferimento, sulla base della considerazione che "in determinati settori in cui l'attività si fonda essenzialmente sulla manodopera, un gruppo di lavoratori che assolva stabilmente una attività comune, può corrispondere ad una entità economica" (punto 21); affermazione questa, reputata di grande rilievo in dottrina, per determinare uno spostamento dell'angolo visuale in cui si colloca il rapporto di lavoro, che passa da essere "destinatario di forma di tutela a elemento costitutivo del complesso aziendale".

Questo orientamento, confermato in altre decisioni, (Corte di Giustizia 10 dicembre 1998, cause riunite n. C-127/1996, C-229/1996 e C-74/1997, Vidal; 10 dicembre 1998, cause riunite n.

C-173/1996 e C-247/1996, Hidalgo), è stato recepito dalla più recente Direttiva 98/50 la

quale, raccogliendo espressamente i risultati interpretativi già consolidati in giurisprudenza (cfr. in proposito i "considerando" che precedono l'articolato, a loro volta rievocati nelle premesse

dell'ultima direttiva "redazionale" del 12 marzo 2001, n. 2001/23: in particolare, al n. 7) ha testualmente precisato che l'entità economica è da intendere come "insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria" che deve conservare, con il trasferimento "di parti di imprese o di stabilimenti", la propria identità".

E' opportuno precisare subito - anche per dare conto di una obiezione sviluppata dalla difesa della società in sede di discussione - che nessun pregio può avere il rilievo che i fatti di causa, essendo anteriori rispetto all'entrata in vigore della direttiva del 1998, non dovrebbero risentire delle definizioni riportate da quest'ultima, dovendosi unicamente tener conto della direttiva del 1977.

Come appena avvertito, la definizione di "ramo di azienda" nei termini resi più espliciti dalla direttiva del 1998, aveva trovato ampio riscontro nelle citate sentenze della Corte tutte riferite alla direttiva del 1977, sicché deve dirsi - anche in considerazione del valore "normativo" delle pronunce interpretative della Corte comunitaria - che quella stessa nozione costituiva già "diritto comunitario vivente" ai tempi della presente controversia, e, come tale era vincolante anche per il giudice nazionale, in virtù del principio di supremazia del diritto comunitario sul diritto nazionale da cui deriva, per il giudice nazionale, l'obbligo di una interpretazione adeguatrice; un obbligo

(7)

che - si badi - sussiste persino se la direttiva in questione, all'epoca dei fatti, non fosse stata ancora trasposta nella normativa nazionale (cfr. Corte di giustizia, 13 novembre 1990, n. C- 106/89, Marleasing).

Sulla base di queste considerazioni parte della dottrina ha sostenuto che la nozione allargata di ramo di azienda potrebbe legittimare, attraverso il trasferimento, tutte le operazioni di

"esternalizzazione" di servizi, anche se consistenti nella pura e semplice espulsione di quote di personale, evitando il "costo" sociale, ma anche economico, di un licenziamento collettivo.

In altri termini, per effetto di una sorta di eterogenesi dei fini, ne deriverebbe un ribaltamento della prospettiva tradizionale di considerare le norme di tutela dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda, con il garantire all'impresa cedente il passaggio automatico, quale effetto ex lege, della cessione di azienda, dei lavoratori alle dipendenze del cessionario, lavoratori sui quali andrebbe a cadere il rischio, nel medio periodo, dell'affidabilità del nuovo datore di lavoro, e ciò soprattutto in presenza della cessione di una parte soltanto del complesso aziendale rilevato da soggetto legato al cedente da contratto di committenza, per così dire

"governato" da quest'ultimo.

in tale contesto, uno dei correttivi proposti dalla richiamata dottrina consiste nel ripensare il concetto di disponibilità delle garanzie di tutela, mediante un'interpretazione che subordini il passaggio del lavoratore al suo consenso.

Sennonché un ostacolo insormontabile deriva dall'assetto legislativo dato alla materia dall'art.

2112 c.c., sicuramente congegnato in guisa da determinare l'inscindibilità tra rapporto di lavoro e azienda, facendo della successione a titolo particolare nel contratto di lavoro dell'acquirente un effetto legale immancabile della cessione di azienda.

In ogni caso, poi, non si vede come potrebbe configurarsi il diritto, in ipotesi di rifiuto del trasferimento, a restare alle dipendenze del cedente, perché ciò dovrebbe comportare

necessariamente l'inserimento del lavoratore in una unità produttiva, diversamente strutturata, nonché la sua adibizione, nella maggior parte dei casi, a differenti mansioni incompatibili con il doveroso rispetto del disposto di cui all'art. 2103 c.c..

Del resto, la Corte di giustizia ha precisato che la direttiva 77/187 aveva lasciato gli Stati membri liberi di definire la sorte del rapporto (sent. 12 novembre 1998, in causa C-399/1996, Europieces). Ed infatti, nel nuovo testo dell'art. 2112 c.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, è stata prevista solo una speciale facoltà di dimissioni, fondata su una "sostanziale modifica" delle condizioni di lavoro, che può essere esercitata entro tre mesi dal trasferimento, ovviamente nei confronti del cessionario e dunque a rapporto ormai passato.

Di certo ha, invece, il conforto del diritto positivo la limitazione derivante da una nozione più restrittiva di ramo di azienda, che, per essere tale, deve avere una sua autonomia funzionale, nel senso che deve, presentarsi come una sorta di piccola azienda in grado di funzionare in modo autonomo, e che non deve rappresentare, al contrario, il prodotto dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra loro, né una mera espulsione di ciò che si riveli essere pura eccedenza di personale. Con queste caratteristiche e con queste limitazioni, quindi, il ramo di azienda deve preesistere alla vicenda traslativa, nel senso che già prima esso deve essere identificabile e idoneo a funzionare autonomamente, senza, peraltro che tale requisito venga a mancare sol perché il ramo di azienda venga integrato da altri elementi, una volta inserito nella complessiva azienda dell'acquirente.

In tal senso, infatti, si è espressa la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha identificato i rami di azienda come unità produttive suscettibili di costituire idoneo e completo strumento di impresa una volta che abbiano acquistato autonomia rispetto all'originaria struttura unitaria (cfr., in particolare, Cass. 14 dicembre 1998, n. 12554, cit., e, da ultimo, Cass., 4 dicembre 2002, n.

17207 in fattispecie del tutto simile).

(8)

In tal modo la giurisprudenza della Corte ha recepito una nozione commercialistica di azienda, ai sensi dell'art. 2555 c.c., attribuendo rilievo decisivo al requisito dell'autonomia organizzativa del ramo di azienda ceduto, che, oltre a risultare antecedente alla cessione, deve presentarsi come idoneo al perseguimento dei fini dell'impresa.

Alla luce delle considerazioni finora svolte non può ritenersi - come vorrebbe la società

ricorrente - che l'autonomia funzionale del ramo trasferito può essere anche soltanto potenziale presso il cedente, e che sia sufficiente, al fine dell'attribuzione della qualità di ramo di azienda, l'astratta idoneità del nucleo di beni o rapporti ceduti ad essere organizzati per l'esercizio di un'attività. Tanto meno può condividersi l'ulteriore avviso che tale qualità possa emergere per la prima volta al momento del trasferimento.

E' opportuno sottolineare ancora una volta che il diritto positivo richiede per una applicazione dell'art. 2112 c.c., che oggetto del trasferimento sia una preesistente entità economica che oggettivamente si presenti dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica

funzionalizzata allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi. Solo in tal senso si può restare fedeli alla fattispecie comunitaria - così come configurata dalla

giurisprudenza della Corte di giustizia, prima, ed esplicitata poi dalla direttiva del 1998 - la quale si caratterizza proprio per l'identità dell'entità economica che si conserva, ovvero permane, prima e durante la vicenda traslativa.

Diversamente opinando, sarebbe la sola volontà dell'imprenditore ad unificare un complesso di beni (di per sé privo di una preesistente autonomia organizzativa ed economica volta ad uno scopo unitario), al solo fine di renderlo oggetto di un contratto di cessione di ramo di azienda, disponendo così unilateralmente in ordine alla disciplina sulla sorte dei rapporti di lavoro che invece l'art. 2112 c.c. ricollega necessariamente alla presenza di elementi oggettivi.

Non si può certo escludere (e la giurisprudenza comunitaria fornisce indicazioni pertinenti in merito) che in alcuni casi quella autonomia organizzativa ed economica possa - in alcuni settori o aree produttive in cui le strutture materiali assumono scarsa se non nessuna rilevanza (strutture c.d. "labour intensive") - configurarsi, anche in presenza del trasferimento di sola manodopera e quindi di soli lavoratori, che, per essere stabilmente addetti ad un ramo dell'impresa, e per avere acquisito un complesso di nozioni e di esperienze, siano capaci di svolgere le loro funzioni presso il nuovo datore di lavoro, potendosi, appunto, la suddetta autonomia concretizzare non solo attraverso la natura e le caratteristiche della concreta attività spiegata, ma anche in ragione di altri significativi elementi, quali, ad esempio, la direzione e l'organizzazione del personale, il suo specifico inquadramento, le peculiari modalità di articolazione del lavoro e i relativi metodi di gestione.

Ciò può, ad es., avvenire nel caso in cui l'oggetto del trasferimento sia costituito da un gruppo di dipendenti, stabilmente coordinati e organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere essi dotati di un particolare know how o, comunque, dall'utilizzo di

copyright, brevetti, marchi ecc.).

In alcuni di questi casi l'assenza di beni è solo apparente, trattandosi di beni "immateriali", sicché può parlarsi ancora di ramo di azienda, secondo la nozione tradizionale fornita dall'art. 2555 c.c., ma in altri casi resta come requisito indefettibile della fattispecie legale tipica delineata dal diritto comunitario e dall'art. 2112 c.c. proprio l'elemento dell'organizzazione, ovvero quel

legame funzionale che rende le attività dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra loro e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili.

Precisando quanto già anticipato da questa Corte nella sentenza 23 luglio 2002, n. 10761 (in termini che hanno dato luogo a qualche rilievo critico da parte della dottrina la quale vi ha ravvisato elementi di contrasto con altre decisioni pressoché coeve della stessa Corte), in questi ultimi casi non basta una mera e occasionale aggregazione di persone dipendenti all'interno di

(9)

diverse e variegate strutture aziendali, ma occorre l'esistenza di un collegamento stabile e funzionale delle loro attività, costituito appunto dall'organizzazione la quale costituisce perciò il

"legante", ovvero il valore aggiunto - al punto che, piuttosto che parlare di trasferimento di azienda sembra più appropriato parlare di trasferimento di impresa (o ramo di impresa) rilevando piuttosto il dato dinamico e funzionale come essenziale.

A questa conclusione, del resto è pervenuta la Corte di giustizia anche con le sentenze invocate dalla società ricorrente (sent. 10 dicembre 1998, nn. 127/96, 229/96 e 74/97, Vidal; e sent. 10 dicembre 1998, nn. 173/96, 24/96, Hidalgo) nelle quali, pur ammettendo che possa sussistere un'entità economica priva di elementi patrimoniali, materiali o immateriali, e costituita da un gruppo di dipendenti, precisa che deve comunque trattarsi di "un gruppo organizzato di dipendenti specificamente e stabilmente assegnati ad un compito comune" ovvero di un

"complesso organizzato di lavoratori subordinati specificamente e stabilmente adibiti all'espletamento di un compito comune".

A sostegno dell'interpretazione qui accolta dell'art. 2112 c.c. soccorrono i successivi sviluppi legislativi.

Il D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18, di attuazione della direttiva n. 98/50, nell'estendere

espressamente la disciplina dell'art. 2112 c.c. al trasferimento di "parte dell'azienda" ha dato di quest'ultima una definizione sostanzialmente in linea con i risultati cui era pervenuta la

giurisprudenza nazionale. Infatti, "parte di azienda" è, innanzi tutto, una "articolazione

funzionalmente autonoma" dell'attività economica organizzata (in sostanza, un'unità produttiva), dove l'autonomia funzionale riassume le condizioni - di carattere produttivo, gestionale e

organizzativo - perché la parte o "ramo" di azienda possa avere una "vita" sua e sia, così, separabile dal complesso aziendale generale. All'autonomia funzionale il legislatore delegato ha poi aggiunto, quale necessario completamento il requisito della preesistenza del ramo, come tale, nonché quello della conservazione, nel trasferimento, della sua identità.

Ne resta dunque, confermato il generale principio giurisprudenziale dell'assimilazione tra azienda e parte di azienda, differenziate solo, come ovvio, sotto il profilo quantitativo sicché resta

escluso che un ramo di azienda possa essere disegnato e identificato solo al momento del trasferimento e in esclusiva funzione di esso, con un'operazione strumentale indirizzata

all'espulsione, per questa via indiretta, di lavoratori eccedenti, consegnati ad un cessionario che, strettamente legato all'impresa cedente - ancorché vero imprenditore e non semplice interposto di mano d'opera - sarebbe posto in condizione di modificare liberamente le preesistenti

condizioni di lavoro (contratti collettivi, condizioni di stabilità del posto di lavoro, ecc.).

Tanto ciò è vero che, in attuazione della legge 14 febbraio 2003, n. 30 di delega al Governo in materia di mercato del lavoro, l'art. 32 del Decreto legislativo lo schema appena approvato in questi giorni, (31 luglio 2003, in attesa di pubblicazione sulla G. Uff.) espressamente dispone che, ai fini dell'art. 2112 c.c., in coerenza con le direttive comunitarie "… si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento della titolarità di un'attività economica organizzato, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità …".

Dalle considerazioni che precedono discende l'insussistenza delle condizioni per operare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea in merito all'interpretazione della direttiva 77/187: ed invero, l'interpretazione della norma comunitaria nei termini qui accolti trova abbondante e univoco riscontro nella copiosa giurisprudenza della Corte di giustizia sopra richiamata, sicché può dirsi che ricorra l'ipotesi del c.d. "atto chiaro" in presenza del quale non opera la previsione dell'art. 234 del Trattato circa l'obbligo di rimessione pregiudiziale interpretativa da parte della giurisdizione nazionale di ultima istanza (in tal senso, Corte di giustizia, 6 ottobre 1982, n. C- 283/81, Cilfit).

(10)

Ben può dunque la presente controversia essere - senza ulteriori interventi della Corte di Giustizia - decisa sulla base della normativa codicistica, la cui interpretazione non può però trascurare i risultati cui è pervenuta la giurisprudenza comunitaria nell'opera di armonizzazione della legislazione statale dei diversi paesi membri dell'Unione Europea.

Nella controversia, i fatti rilevanti per la decisione risultano pacifici, stante la ricostruzione della vicenda operata dalla stessa società Finmeccanica e dalle stesse tesi giuridiche prospettate.

Ed infatti, come risulta già dal solo elenco dei servizi "esternalizzati", nessuno di essi concretava una realtà organizzativa riconducibile alla nozione di unità produttiva, essendo i soli elementi unificatori quello dell'estraneità alle cd. "competenze di base" e quello di mera accessorietà con esse: ed invero - come ha osservato la sentenza impugnata a seguito di una attenta valutazione dei fatti di causa e con motivazione congrua e corretta sul piano logico - giuridico, insuscettibile, pertanto, di alcuna censura in questa sede di legittimità - nel trasferimento dell'entità economica ceduta (Servizi Generali) sono rimaste ignote sia la dimensione strutturale che quella

dimensionale, e, per di più, non è risultata una corrispondenza tra attività trasferite ed attività già facenti capo ai Servizi Generali (sia nel senso che non tutte le attività rientranti nei detti Servizi sono state oggetto di trasferimento, sia nel senso che lavoratori già estranei all'unità economica in oggetto sono stati ceduti con l'asserito ramo di azienda). Il trasferimento, invece, ha riguardato tutti (o quasi) i lavoratori del "Centro di costo 991", che, per ammissione della stessa

Finmeccanica, era stato costituito per ricevere tutto il personale rientrato nell'aprile 1996 dalla Cassa integrazione guadagni, e già indicato dall'azienda come eccedente le esigenze strutturali.

Tale centro, peraltro, di cui non è stata provata alcuna autonomia organizzativa, si caratterizzava per la estrema eterogeneità delle funzioni dei lavoratori ad esso addetti, ed - è bene ribadirlo - per la mancanza di qualsiasi funzione unitaria, suscettibile in qualche modo di farlo assurgere ad unitaria "entità economica". Né, di certo, la stipulazione del contratto di appalto era di per sé idonea a trasformare in una "unità" i vari e ben distinti elementi costituenti l'oggetto del trasferimento.

Come ha puntualmente osservato la decisione impugnata, è mancata nel caso di specie la prova di un assetto organizzativo, che valesse ad attribuire ai Servizi Generali una portata unificante e, nello stesso tempo, un carattere di autonomia nell'ambito della globale struttura imprenditoriale della Finmeccanica, sicché l'operazione, sulla cui legittimità questa Corte è chiamata a

pronunziarsi, è stata dai giudici di appello correttamente considerata come cessione di una pluralità di rapporti lavorativi non assoggettabili alla normativa di cui all'art. 2112 c.c..

Come detto, l'art. 2112 c.c., anche nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. 18/2001, certamente non impedisce del tutto di ricondurre alla cessione di azienda i processi di

"esternalizzazione", consentendo che siano ceduti singole funzioni o singoli servizi, ma solo a condizione che essi si presentino, prima del trasferimento, funzionalmente autonomi. Ma certamente il suddetto articolo preclude una "esternalizzazione" come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate tra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni, non autonome con identificazione dei lavoratori coinvolti sulla base delle mansioni svolte e non dell'inerenza del rapporto ad un ramo di azienda.

In conclusione, non merita censura alcuna la sentenza impugnata per avere ritenuto la mancanza dei requisiti richiesti per configurare il ramo di azienda ed applicare imperativamente l'art. 2112 c.c. (e l'automatismo in esso sancito) e per avere, conseguentemente, configurato la vicenda traslativa come cessione del contratto di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso del lavoratore ceduto.

Nemmeno possono, infine, trovare accoglimento, infine, le censure contenute nel quinto motivo del ricorso.

La Corte di appello di Genova ha accertato in fatto che, di fronte all'univoca contestazione degli

(11)

effetti che la società Finmeccanica intendeva collegare ai contratti di cessione e di appalto, non era consentito desumere una volontà negoziale contraria dal fatto della prosecuzione dell'attività lavorativa alle formali dipendenze del Consorzio e della riscossione del superminimo

unilateralmente attribuito dallo stesso consorzio.

Si tratta di valutazione neppure specificamente contestata e comunque insindacabile in questa sede perché sorretta da motivazione sufficiente e logicamente plausibile.

La decisione di rigetto del ricorso principale assorbe il ricorso incidentale, con il quale, con duplice motivo, si censura la sentenza impugnata per avere escluso la rilevanza del consenso del lavoratore ceduto anche in presenza di un effettivo trasferimento di ramo di azienda, e per aver ritenuto assorbiti i profili riguardanti la violazione della legge n. 1369/60 e del divieto contrattuale di appalti continuativi svolti in azienda (ex art. 24, parte generale, sezione terza, CCNL

metalmeccanici pubblici).

Al riguardo è sufficiente osservare che manca qualsiasi interesse all'esame delle censure, non potendone derivare utilità ulteriori alla parte ricorrente, e che, inoltre, le doglianze si manifestano del tutto generiche in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

La complessità delle questioni costituiscono giusti motivi per compensare le spese tra tutte le parti.

(Omissis)

Riferimenti

Documenti correlati

Comunque, noi non trascuriamo la rappresentazione matricia1e di tutte le nozioni che sono introdotte intrinsecamente:facciamo infatti a posteriori un dettagliato studio dei sistemi

- il compito e' stato rinormalizzato a 36, tenuto conto del notevole numero di domande rispetto al

[r]

Il Comitato tecnico grandi invalidi, nella seduta del 26 marzo 1991, ha deliberato di aumentare come di seguito riportato la misura della elargizione in denaro

Organo: INAIL. Documento:

Il Comitato tecnico grandi invalidi del lavoro, nella seduta del 6 marzo 1986, ha deliberato di aumentare come appresso la misura dell'elargizione in denaro a favore degli

Il Comitato tecnico grandi invalidi del lavoro, nella seduta del 16 marzo 1982, ha deliberato di aumentare come appresso la misura dell'elargizione in denaro a favore degli

- :l (A.T.R.) Alluvioni sciolte di rocce palcozoichc delle sponde occidcutu li della rossa tcuonica, sopra banchi sino a 40150 metri di spessore di argille plastiche bianche o grigie