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3. Sviluppo e Realizzazione del Primo Prototipo

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3. Sviluppo e Realizzazione del Primo Prototipo

Lo sviluppo di un primo prototipo del sistema era necessario per verificare i modelli teorici derivati dalla letteratura, ma anche per affrontare e analizzarne le criticità e le problematiche derivanti dall’implementazione fisica di un sistema di imaging stereoscopico. Di conseguenza, si è deciso di non estremizzare le specifiche dimensionali, imponendo come diametro non quello delle porte comunemente utilizzate in chirurgia SPL, che è al massimo di 12mm, ma quello dell’incisione addominale, che risulta essere pari a 25÷30mm. Più stringenti sono state invece le specifiche riguardanti le performance visive del sistema: ovvero un effetto stereoscopico nel range 5÷15cm di profondità, un un’ampiezza del campo di vista equivalente a quella dei comuni endoscopi, circa 60÷70°, e una illuminazione uniforme della scena. Viene invece accantonata, per il momento, la specifica sulla risoluzione delle immagini ottenute. Tali vincoli hanno permesso l’utilizzo di videocamere commerciali,con notevoli semplificazioni nell’implementazione del sistema.

Per quanto riguarda il dispositivo di visualizzazione, al posto dei consueti visori binoculari utilizzati in chirurgia robotica, è stato scelto uno schermo autostereoscopico. Tale display presenta il vantaggio di non estraniare l’osservatore dall’ambiente che lo circonda, di non necessitare di fastidiosi occhiali e di consentire la visione a più utilizzatori contemporaneamente.

Nel capitolo vengono presentate le problematiche affrontate in fase di progettazione: in particolare quelle riguardanti il dimensionamento della configurazione geometrica delle videocamere e quella riguardante l’illuminazione della scena. Per quest’ultima, data l’assenza di esempi in letteratura, è stato necessario implementare un modello matematico del sistema per ottenere indicazioni sulla distribuzione dei LED scelti che garantisse la migliore illuminazione della scena.

Dalla fase progettuale si è poi passati a quella realizzativa, con la produzione di una scheda elettronica per l’illuminazione, di un dispositivo robotico capace di controllare il punto di vista del sistema di visione e, infine, di una semplice scheda per interfacciare le videocamere al sistema di acquisizione dello schermo autostereoscopico.

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3.1 Scelte Progettuali

Come descritto nel capitolo precedente il design di un sistema di visione stereoscopico presenta due fondamentali problemi tecnologici: la necessità di uno strumento in grado di catturare due immagini bidimensionali e l’esigenza di isolare queste ultime in modo tale che ad ogni occhio dell’osservatore giunga solo una delle due immagini catturate. In questo paragrafo vengono descritte e giustificate le scelte progettuali, effettuate inizialmente e che hanno guidato lo sviluppo del primo prototipo di sistema di visione stereoscopica.

3.1.1 Scelta del sistema di cattura delle immagini

Ad oggi esistono tre diversi approcci per l’acquisizione di immagini stereoscopiche. I sistemi tradizionali, come, ad esempio, la piattaforma robotica da Vinci [1], utilizzano due videocamere e due canali ottici separati. Il principale vantaggio di questa soluzione è quello della semplicità ma, al contempo, le due videocamere presentano dei problemi legati al loro ingombro e agli artefatti dovuti all’impossibilità tecnologica di realizzare due sensori con i medesimi fuoco, amplificazione e aberrazione. Altro approccio possibile è quello sfruttato dal sistema Tricam, sviluppato da Karl Storz [2]. In questo caso l’immagine destra e sinistra vengono acquisite con una sola ottica, un unico sensore ed un otturatore elettronico a cristalli liquidi che blocca, alternativamente, il passaggio della luce attraverso uno dei due lati del sistema ottico, consentendo così di acquisire due immagini separate. Infine, un ulteriore approccio possibile consiste nel porre sopra il sensore un array di micro-prismi, capaci di separare la luce proveniente da direzioni differenti e di rilevare, contemporaneamente, l’immagine destra e sinistra [3]. Per lo sviluppo del primo prototipo è stata privilegiata la semplicità dell’approccio tradizionale, in quanto le sue finalità sono quelle di testate e analizzare le prestazioni e le eventuali problematiche di un sistema di imaging stereoscopico. Inoltre l’ingombro non risultava essere un vincolo critico in quanto l’incisione applicata in chirurgia SPL ha una dimensione di 25mm, consentendo così l’utilizzo di videocamere commerciali di dimensioni non superiori a 10mm. Altre specifiche imposte inizialmente riguardavano la necessità di un sensore a colori e il basso costo.

Dopo una ricerca di mercato si è deciso di adottare le videocamere Misumi (figura 3.1) modello S3588-3T [4]. Si tratta di dispositivi per webcam, dal costo contenuto, a basso consumo di potenza, con dimensioni di 8mm×8mm con integrato un sensore CMOS, ideali per il prototipo che si intende realizzare. Altra importante caratteristica delle videocamere scelte è il fatto che esse integrano sia il sistema di acquisizione, che il sistema di elaborazione e trasmissione immagini, in formato

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66 televisivo analogico NTSC. Quest’ultimo prevede la generazione di un quadro composto da 525 righe che viene trasmesso 30 volte al secondo.

Figura 3.1. Videocamera Misumi modello S3588.

Da un punto di vista ottico le videocamere presentano una lunghezza focale minima di 3.1 mm e un angolo di apertura di circa 60° (tali parametri verranno poi utilizzati per il modello di dimensionamento del sistema stereoscopico). Il loro sistema ottico è costituito da una singola lente la cui distanza dal chip di acquisizione può essere regolata avvitando o svitando la testa della videocamera: data la definizione fornita nel paragrafo 2.2 è possibile quindi considerarle come videocamere pin-hole, facilitandone così l’analisi da un punto di vista ottico-geometrico.

Da un punto di vista elettronico la loro interfaccia è molto semplice perché richiedono solamente una alimentazione da 3,3V e un riferimento. Il cavo di uscita è infatti costituito da un connettore quadrato quadripolo nel quale sono presenti: un collegamento per l’alimentazione, uno per il riferimento di massa e uno per la trasmissione del segnale video.

Limite di queste videocamere è la risoluzione: integrano un sensore VGA (648 x 488) pixel. Inoltre, la regolazione manuale del fuoco non consente una elevata precisione.

3.1.2 Descrizione del display autostereoscopico selezionato

Allo stato attuale esistono tre grandi classi di display stereoscopici: i dispositivi binoculari, quelli autostereoscopici e quelli immersivi. Per il prototipo sviluppato è stato scelto un display autostereoscopico in quanto presenta un ingombro molto inferiore rispetto ai dispositivi immersivi e non causa estraniamento dall’ambiente circostante come i display binoculari, ad esempio i visori della piattaforma da Vinci [1], consentendo al contempo a più utenti di poter visualizzare le immagini contemporaneamente. In particolare, la scelta è ricaduta sullo schermo autostereoscopico a 19” Miracube (figura 3.2), modello C190S [4]. Quest’ultimo utilizza la tecnologia della barriera di parallasse per creare l’illusione della terza dimensione oltre i confini dello spazio fisico dello schermo, senza la necessità di indossare altri componenti aggiuntivi come occhiali o lenti. Tale

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67 barriera di parallasse è un pannello, ad attivazione ellettro-ottica, composto da sottili barre verticali a distanze regolari, attaccato alla superficie di un normale schermo LCD. Quando la barriera di parallasse viene attivata le barre verticali si oscurano e l’immagine presente sullo schermo LCD è separata spazialmente in due, in modo tale che l’occhio destro e sinistro dell’osservatore ricevano due immagini differenti. In questo modo lo schermo passa da 2D a stereoscopico. Lo schermo ha un’ampiezza di 19’ (37.5 cm orizzontalmente) e presenta una risoluzione di 1280x1024 quando è in formato 2D. Purtroppo, l’attivazione della barriera di parallasse dimezza la risoluzione orizzontale a causa delle colonne oscurate e quindi la risoluzione in modalità tridimensionale è di 640x1024 per ogni occhio. In particolare il nostro schermo presenta una distanza perfetta di visione a 80 cm più o meno 10 cm a seconda della distanza interoculare dell’osservatore. Inoltre le viste presentate dal display consentono di poterlo osservare in un arco di 50° rispetto alla normale al monitor.

Figura 3.2. Schermo autostereoscopico Miracube.

Il monitor è inoltre progettato per garantire un buon effetto stereoscopico partendo da quattro diversi formati delle due immagini acquisite:

• Formato Frame-Sequential: in questo caso le immagini destra e sinistra sono viste sullo schermo intero in sequenza. Il vantaggio di questo formato è quindi quello di non ridurre la risoluzione dell’immagine ma la riduzione del frame-rate introduce un leggero tremolio nelle immagini che può causare fatica oculare.

• Formato Side-Field: mostra l’immagine destra e quella sinistra contemporaneamente dividendo la risoluzione orizzontale dello schermo. In questo modo il frame-rate non è diminuito ma la risoluzione orizzontale è dimezata.

• Formato Sub-Field: mostra l’immagine destra e quella sinistra, dividendo a metà la risoluzione verticale dell’immagine, ma senza diminuire il frame-rate.

• Formato Stereo-Interlaced: in questo caso viene presentata una linea di pixel dell’immagine sinistra e una linea di quella destra alternate verticalmente. Tale formato non affatica

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68 l’occhio dell’osservatore perché non diminuisce il frame-rate ma dimezza la risoluzione orizzontale.

Infine, dal punto di vista dell’interfaccia di comunicazione, lo schermo è progettato per accettare un segnale in formato digitale VGA e può essere connesso attraverso una presa VGA o una presa DVI. Il monitor è stato però acquistato assieme ad un sistema di acquisizione stereoscopica (figura 3.3) che consente di allineare e sincronizzare le immagini che giungono dalle due videocamere. Tale sistema consente di convogliare i due segnali video in ingresso in un unico segnale di uscita nel quale le due immagini risultano allineate orizzontalmente (modalità Bars, ovvero un side-by-side compresso che può essere utilizzato anche per calibrare il focus delle due videocamere). Tale dispositivo è presenta una uscita analogica, con connettore S-Video, dello stesso formato delle videocamere, quindi NTSC.

Figura 3.3. Visione frontale del sistema di acquisizione stereoscopica.

Per connettere i due dispositivi è quindi necessario un convertitore; in particolare è stato utilizzato il Convertitor V2V Pro (figura 3.4) capace di convertire, in modalità interlacciato, un segnale analogico in formato NTSC su cavo S-Video in un segnale digitale VGA.

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3.1.3 Scelta del sistema di illuminazione

Un sistema di imaging stereoscopico necessita di una illuminazione uniforme e regolare della scena per non generare artefatti o fastidio per l’osservatore. Difatti la differente informazione visiva che giunge agli occhi dell’osservatore deve dipendere unicamente dalla separazione tra le due videocamere e non dalla diversa illuminazione di uno stesso oggetto ripreso.

I dispositivi generalmente utilizzati per illuminare la scena sono le fibre ottiche, quando la sorgente di luce è remota, o LED posizionati in prossimità del sensore. La possibilità è però stata scartata per ottenere una illuminazione che fosse puntata su quanto registrato dalle videocamere. Come fonte di luce sono poi stati scelti dei LED bianchi ad alta efficienza. Inoltre, è stata considerata la composizione cromatica del tipico target biomedicale, prevalentemente spostate nel rosso e sono stati scelti LED a luce bianca ma con lo spettro il più spostato possibile verso tali frequenze (600nm). In particolare sono stati adottati i LED Nichia, modello NESW007BT, poiché, da una ricerca di mercato, risultavano essere quelli con picco di emissione più vicino al rosso (figura 3.5), anche se solamente a 480nm. Altri motivi per cui sono stati scelti questi LED sono le dimensioni ridotte, 2mmx1,2mmx1,3mm, e la buona potenza di emissione di 1000 mcd.

Figura 3.5. Spettro di emissione dei LED &ichia &ESW007BT.

Restava tuttavia il problema del numero dei LED da impiegare e della loro distribuzione per garantire una illuminazione ottimale della scena. Per risolvere queste problematiche si è però dovuto ricorrere all’implementazione di un modello matematico che verrà presentato nei prossimi paragrafi.

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3.2 Set-up delle Videocamere

Nel capitolo precedente si è visto come la configurazione a videocamere parallele consenta di ridurre gli artefatti generati in un sistema di visione stereoscopica [5]. Inoltre, occorre considerare che, in laparoscopica, non si ha il target sempre ad una distanza fissa e quindi la configurazione a videocamere convergenti perde di significato [6]. Ciò ha portato a scegliere il set-up parallelo. In questo paragrafo verranno descritti due modelli di dimensionamento ricavati dalla letteratura. Inoltre, per non creare ambiguità sulla scelta di uno dei due, verrà dimostrata la loro equivalenza. Infine, utilizzando i dati ottici e geometrici delle videocamere e dello schermo autostereoscopico a disposizione, verrà calcolata la distanza ottimale tra i centri delle videocamere per ottenere un buon effetto stereoscopico nel range 5÷15cm, senza eccedere il limite di disparità fisiologico [6].

3.2.1 Primo modello di dimensionamento

Il dimensionamento del sistema binoculare, proposto da Holliman [7], parte dalle seguenti considerazioni:

• Un sistema di videocamere stereoscopiche parallele è necessario per evitare la disparità verticale introdotta nelle immagini acquisite con la configurazione ad assi convergenti (come chiarito alla fine del capitolo precedente). Tale disparità verticale non è infatti un problema in sé ma lo diventa quando è percepita dall’osservatore a causa del fastidio procurato al sistema visivo umano.

• Nel caso di videocamere parallele il piano a disparità nulla è posto all’infinito.

• La profondità percepita dall’osservatore è legata alla disparità delle immagini secondo la seguente relazione: 1 − = F d E Z P (3.1)

dove Z è la distanza tra lo schermo e l’osservatore, E la distanza interoculare e dF è la disparità. Tale formula è facilmente ricavabile se si osserva figura 3.6.

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71

Figura 3.6. Scherma geometrico per il calcolo della profondità percepita.

Definendo la disparità angolare come δ =a −b e considerando le seguenti relazioni

geometriche: Z E a 2 2 tan =      (3.2)

(

Z P

)

E P d b F + = =       2 2 2 tan (3.3)

si può allora facilmente ricavare che:

F F d E Z d P − = (3.4)

mettendo in evidenza dF nel secondo membro della (3.4), si ottiene l’equazione (3.1).

• L’osservatore rimane fermo davanti allo schermo ad osservare la scena tridimensionale (è questo il caso degli schermo autostereoscopici ma non degli HMD).

Fissati questi punti è possibile presentare un primo modello di dimensionamento della separazione delle videocamere sfruttando le relazioni tra osservatore e display e quelle tra scena e sistema binoculare.

Si supponga che l’osservatore sia posto ad una certa distanza dal display stereoscopico, e che sia centrato orizzontalmente e verticalmente rispetto allo schermo. Da notare che tale condizione è applicabile al monitor autostereoscopico, che presenta una distanza ottima di visione.

Nella figura 3.7a è mostrata la disposizione del display e dell’osservatore: & e F sono le profondità massime, di fronte e oltre lo schermo rispettivamente, alle quali gli oggetti possono apparire all’osservatore; W è la larghezza del display; mentre dF e d& sono i valori di parallasse sul display degli oggetti che appaiono rispettivamente ai limiti F e &.

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Figura 3.7. a) schema geometrico dello spazio dell’osservatore. b) schema geometrico dello spazio della scena.

In figura 3.7b sono invece forniti alcuni dettagli della scena: Z’ è la distanza delle videocamere dal “display virtuale” nella scena; &’ e F’ sono rispettivamente il punto più vicino e il più lontano dalle videocamere che si vuole visualizzare; dF’ e d&’ sono le disparità relative a tali punti. Per definizione Z’ è quindi la distanza dal piano a disparità nulla (ZDP): ovvero i punti a tale profondità nella scena appariranno nel piano del display quando l’immagine sarà visualizzata, perciò questa è la posizione effettiva dello schermo nello spazio della scena e per questo è chiamato

display “virtuale”.

Si supponga di aver già scelto la lunghezza focale f delle due videocamere e la loro corrispondente apertura angolare θ. Il primo passo è allora quello di ottenere delle espressioni per i valori di parallasse sullo schermo: con una dimostrazione analoga a quella precedente (equazione (3.1)) si ricava che: & Z &E d& − = (3.5) Z F FE dF − = (3.6)

e, analogamente, possono essere ricavate le espressioni delle corrispondenti disparità sulla scena:

(

)

' ' ' ' & & Z A d& − = (3.7)

(

)

' ' ' ' F Z F A dF − = (3.8)

Queste due equazioni dipendono dalle due incognite Z’ e A (definita come la distanza tra le videocamere). Le disparità nella scena non saranno uguali ai valori di parallasse sullo schermo, ma dovranno comunque essere nella stessa proporzione così da poter essere visualizzate correttamente sul display. Imponendo tale ipotesi si ottiene quindi che:

(

)

(

' '

)

' ' ' ' ' ' & Z F F & Z d d R d d F & F & − − = = = (3.9)

(10)

73 Il passaggio precedente rimuove quindi l’incognita A e consente di ricavare la distanza dal display “virtuale”: ' ' 1 1 ' F R & R Z + + = (3.10)

Con l’equazione precedente è quindi stata specificata la mappatura della profondità della scena sul display: in altre parole, una volta calcolata la corretta separazione tra le videocamere gli oggetti posizionati tra &’ e Z’ sulla scena appariranno fino a & unità davanti allo schermo, mentre quelli posti tra Z’ e F’ appariranno fino a F unità dietro lo schermo.

Dato che sono noti la lunghezza focale (o il campo di vista) delle videocamere e la distanza dal display virtuale, è possibile calcolare l’ampiezza del campo visivo a Z’, cioè l’ampiezza dello schermo virtuale:       = 2 tan ' 2 ' Z

θ

W (3.11)

Nota W’ è possibile calcolare il fattore di scala tra i due schermi:

W W

S= ' (3.12)

Infine, è possibile calcolare la distanza tra le videocamere semplicemente notando che d =&' Sd& o

che, analogamente, d =F' SdF. Da una delle due equazioni iniziali della disparità nella scena si può

allora ricavare A (per completezza in questo paragrafo le riportiamo entrambe):

' ' ' ' ' ' ' & Z & Sd & Z & d A & & − = − = (3.13) ' ' ' ' ' ' ' Z F F Sd Z F F d A F F − = − = (3.14)

Con la risoluzione di una di queste due equazioni si conclude il dimensionamento del sistema di visione stereoscopico.

Tale modello consente un preciso controllo dei parametri della scena e del display tenendo conto dei limiti umani descritti nel primo paragrafo, ma, allo stesso tempo, è abbastanza flessibile da consentire l’utilizzo di nuovi risultati quando saranno disponibili. È anche possibile cambiare i parametri relativi alla comodità della visione da parte dell’osservatore dovuti al cambiamento di display stereoscopico senza modificare il metodo, ma solamente variando i valori iniziali dei parametri dello schermo [7].

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3.2.2 Secondo metodo di dimensionamento

Si assume, anche in questo secondo metodo, una configurazione parallela delle videocamere che guardano dal proprio punto di vista prospettico un punto nello spazio. Se le due immagini ottenute si sovrappongono allora il parallasse è nullo e la posizione dell’oggetto ripreso apparirà sul piano dello schermo (condizione ZPS come precedentemente definito). Si ricorda però che un oggetto non esiste soltanto negli assi x e y, ma anche nell’asse z: è possibile allora raggiungere la condizione di parallasse nullo solo in un piano di punti dell’oggetto (ortogonale all’asse ottico delle videocamere per quanto dimostrato nel paragrafo 2.1.3).

Nella guida “Stereographics Developers Handbook” [8] si suggerisce di usare videocamere poste a breve distanza e con ampio angolo di vista a causa della seguente relazione:

      − = m C m d d f Mt P 1 1 0 (3.15)

Tale equazione descrive come varia il massimo o minimo valore di parallasse al variare del setup della videocamera. In particolare M è il fattore di amplificazione di frame (dato dal rapporto tra la larghezza del piano dei sensori e quella del display stereoscopico), tC è la separazione tra le videocamere, f è lunghezza focale, d0 è la distanza dal “display virtuale” nella scena e dm è la distanza tra le camere e il punto che presenta parallasse massimo sullo schermo (quindi la distanza massima o minima osservabile correttamente). Questo modello, a differenza del precedente, consente di ottenere un valore massimo positivo di parallasse ma anche un valore minimo di parallasse con segno negativo.

Lo scopo, ricordando quanto detto nel primo paragrafo, è quello di ottenere l’effetto stereoscopico più forte possibile senza eccedere il valore angolare massimo di ±1.5° di parallasse. Naturalmente il valore di M influenzerà il valore di parallasse massimo: una immagine vista su di uno schermo grande avrà infatti parallasse maggiore rispetto a quella vista su di uno schermo più piccolo. Si può però notare che anche una riduzione della lunghezza focale delle videocamere riduce il valore massimo di parallasse. Naturalmente, il fattore più importante per il controllo dell’effetto stereoscopico è la distanza tC tra le due videocamere: più grande è quest’ultimo valore e maggiore è il valore di parallasse e quindi l’informazione di profondità stereoscopica (quindi videocamere con ampio angolo di apertura possono anche avere una distanza di separazione minore) [8].

3.2.3 Considerazioni sui modelli

Sebbene i procedimenti dei due modelli di dimensionamento precedenti sembrino molto diversi le considerazioni iniziali sulle quali si basano sono praticamente identiche. Inoltre anche la geometria

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75 del sistema di imaging stereoscopico è sempre la stessa; ciò ha suggerito la possibilità di dimostrare l’equivalenza dei due metodi.

In primo luogo si prendono in considerazione le due equazioni per il calcolo della distanza tra le videocamere del primo modello che, per praticità, sono riportate di seguito:

     − = − = ' ' ' ' ' ' Z F F Sd A & Z & Sd A F & (3.16)

Per poter analizzare le differenze tra i due metodi è però conveniente rinominare i parametri di queste due equazioni con una terminologia identica a quella utilizzata nel secondo modello. Di conseguenza la distanza tra le videocamere verrà indicata con tC, la distanza dallo schermo virtuale nella scena con d0, il parallasse positivo massimo calcolato dal primo modello con Pmax’, il parallasse negativo massimo con Pmin’, la profondità minima osservabile correttamente nella scena con dmin e quella massima con dmax. Applicando dunque le seguenti trasformazioni:

C t A ↔ ' max P dF ↔ ' min P d& ↔ min ' d & ↔ max ' d F ↔ 0 ' d Z ↔

Il sistema (3.16) diviene quindi:

      − = − = 0 max max max min 0 min min ' ' d d d SP t d d d SP t C C (3.17)

che, riarrangiato, diviene:

(

)

(

)

      − = − = max 0 max max min min 0 min ' ' Sd d d t P Sd d d t P C C (3.18)

Riprendendo l’equazione (3.12) è possibile esplicitare il parametro S come il rapporto tra l’ampiezza dello schermo “virtuale” nella scena (data dall’equazione (3.11))e la larghezza del display:

( )

schermo schermo virt W d W W S = = 2 0tan

θ

2 (3.19)

(13)

76 Nel secondo metodo di dimensionamento il fattore di scala tra sensore di immagine e display era invece dato dal parametro di amplificazione di frame M, definito come il rapporto tra la larghezza dello schermo e quella del sensore di immagine:

Sensore schermo

W W

M = (3.20)

Esiste però una relazione fissa tra l’ampiezza della superficie sensibile della videocamera, il suo angolo di apertura e la sua lunghezza focale:

( )

2 tan 2f

θ

Wsensore= (3.21)

Includendo l’equazione (3.21) nell’equazione (3.20) si ottiene quindi:

( )

2 tan 2f

θ

W W W M schermo Sensore schermo = = (3.22)

A questo punto, confrontando le equazioni (3.22) e (3.19), si può ricavare la relazione tra i due fattori di amplificazione:

( )

fM d W d S schermo 0 0tan 2 2 = =

θ

(3.23)

Sostituendo l’equazione (3.23) nel sistema (3.18) si ottiene:

(

)

(

)

             − = − =       − = − = max 0 max 0 0 max max 0 min min 0 min 0 min 1 1 ' 1 1 ' d d f Mt d d d d fM t P d d f Mt d d d d fM t P C C C C (3.24)

Imponendo i medesimi vincoli all’equazione (3.15) del secondo modello si ottiene il seguente sistema:              − =       − = max 0 max min 0 min 1 1 1 1 d d f Mt P d d f Mt P C C (3.25)

Le due equazioni per il calcolo del parallasse positivo massimo sono identici nei due modelli, mentre le espressioni per i valori massimi di parallasse negativo sono l’una l’inversa dell’altra. Ricordando che il valore di parallasse negativo è in realtà un vero e proprio numero negativo è possibile concludere che i due modelli di dimensionamento sono identici, ad eccezione del fatto che il primo considera solo i valori assoluti di parallasse mentre il secondo i valori algebrici.

(14)

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3.2.4 Dimensionamento del prototipo

La seguente tabella 1 riassume i simboli e i valori dei parametri ottici e geometrici delle videocamere Misumi e dello schermo autostereoscopico Miracube.

Simbolo Descrizione Valore

e Distanza interoculare 65mm

f Lunghezza focale delle videocamere 3.1mm

θ Angolo di apertura delle videocamere 65.59°

Wschermo Dimensione orizzontale dello schermo 375mm

µ Disparità angolare massima fisiologica ±1.5°

Z Distanza di visione dallo schermo 800mm

dmin Profondità minima di visione stereoscopica 50mm

dmax Profondità massima di visione stereoscopica 150mm

M Fattore di amplificazione di frame Da calcolare

t Distanza tra i centri delle due videocamere Da calcolare d0 Distanza, nella scena, dal piano a disparità nulla Da calcolare

Tabella 1. Valori e descrizione dei parametri ottici dello schermo autostereoscopico e delle videocamere.

Per il calcolo della distanza tra i centri delle due videocamere è stato applicata l’equazione (3.15)

             − =       − = max 0 max min 0 min 1 1 1 1 d d Mtf P d d Mtf P (3.26)

Il primo parametro che occorre ricavare è il fattore di amplificazione di frame, M, che è così definito: CMOS schermo W W sensore e orizzontal Ampiezza schermo e orizzontal Ampiezza M = = _ _ _ _ (3.27)

Occorre quindi calcolare prima la dimensione orizzontale del sensore WCMOS. Nota la lunghezza focale della videocamera e il suo angolo di apertura è però facilmente verificabile che:

mm f WCMOS 4 2 tan 2 =      = θ (3.28)

Si ottiene così un fattore di amplificazione di frame M di valore 95.75.

Noto anche questo parametro occorre calcolare i valori lineari massimi e minimi di parallasse. In figura 3.8 è presentato lo schema geometrico che consente il calcolo del valore di parallasse minimo p.

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78

Figura 3.8. Schema geometrico per il calcolo del valore minimo di parallasse, ovvero con punto visualizzato A che è più vicino all’osservatore del piano dello schermo (punto B), che è posto a distanza Z.

In questo caso, l’angolo α tra gli occhi dell’osservatore e il punto A, è facilmente ricavabile come: ° =       = 4.65 2 arctan 2 Z e α (3.29)

Imporre poi una disparità massima angolare µ significa imporre la seguente condizione:

(

−1.5°

)

=6.15 − = − =

α

µ

α

β

(3.30)

dove il valore di µ è negativo in quanto il punto A si trova tra osservatore e schermo. Noto anche l’angolo β è possibile anche calcolare la distanza x del punto A, utilizzando la seguente equazione:

(

)

mm e Z x 195 2 tan 2 = − = β (3.31)

Infine, si ricava il valore di parallasse minimo p:

mm x P 21 2 tan 2 min =      = β (3.32)

Da notare che, trattandosi del valore minimo di parallasse questo valore è convenzionalmente preso con il segno negativo.

Ripetendo il medesimo ragionamento per un punto oltre lo schermo, con il medesimo limite angolare di disparità, si ottiene un valore di parallasse massima Pmax di 21mm, preso

convenzionalmente con il segno positivo.

Una volta calcolati questi parametri, inserendoli nelle equazioni del modello di dimensionamento, si ricava una distanza tra i centri delle videocamere t di 8mm e una distanza nella scena dal piano a disparità nulla d0 di 63.97mm.

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3.3 Dimensionamento del Sistema di Illuminazione

Il sistema di illuminazione costituisce uno dei componenti fondamentali del prototipo realizzato. Come detto, per ottenere un buon effetto stereoscopico ed evitare distorsioni tale illuminazione deve essere il più uniforme possibile. Oltre a questa specifica di carattere generale, ce ne sono altre dipendenti direttamente dalle videocamere scelte: in particolare il modello S588 della Misumi presenta un range dinamico massimo di 60dB e una sensitività ( illuminazione minima richiesta) di 1.5 lux [9]. Il sistema di illuminazione avrebbe quindi dovuto garantire una intensità di luce superiore al valore minimo in ogni punto del campo di vista stereoscopico, evitando al contempo di portare al livello di saturazione il sensore.

Data la mancanza di dati a disposizione, sia teorici che sperimentali, è stato deciso di implementare un modello matematico del sistema utilizzando varie configurazioni del LED scelti, diverse sia nel numero che nella disposizione geometrica. L’obiettivo di questo modello è di descrivere la distribuzione dell’intensità luminosa all’interno del campo di vista stereoscopico nelle varie configurazioni. I risultati ottenuti, per quanto approssimati, guideranno la scelta di tali parametri nel prototipo in fase di sviluppo. D’altra parte, occorre anche considerare il fatto che è impossibile utilizzare un numero eccessivamente elevato di LED in quanto lo spazio a disposizione è limitato. Inoltre, per quanto riguarda l’applicazione laparoscopica, è da evitarsi un riscaldamento eccessivo dei tessuti.

Nel presente paragrafo verranno dapprima analizzate formalmente le ipotesi e le equazioni utilizzate nell’implementazione del modello. Successivamente verranno presentati i risultati ottenuti e le conclusioni tratte.

3.3.1 Studio del modello di illuminazione

La propagazione della luce viene descritta completamente solo risolvendo le equazioni di Maxwell nelle loro variabili spaziali e temporali nel mezzo in esame. Tale soluzione risulta però eccessivamente gravosa da un punto di vista computazionale e quindi si è passati ad una soluzione approssimata. Sono quindi state adottate alcune ipotesi semplificative; senza, tuttavia, intaccare eccessivamente la veridicità del modello stesso.

Si parte quindi dalla descrizione convenzionale di un’onda luminosa che si propaga nella direzione positiva dell’asse z:

( )

{

j(kz t)

}

e E t z E , =Re 0 −ω (3.33)

dove E0è un vettore nel piano x-y, ω è la frequenza angolare dell’onda e k è il numero d’onda. In

(17)

80

k

π

λ = 2 (3.34)

definendo poi la lunghezza d’onda nel vuoto:

ω π

λ0 = 2 c (3.35)

dove c è la velocità della luce nel vuoto. Si riesce poi a definire il coefficiente di rifrazione come il rapporto tra le due grandezze precedenti:

ω

λ

λ

ck

n= 0 = (3.36)

L’intensità di un’onda è invece definita come il quadrato dell’ampiezza, mediata nel tempo su molte oscillazioni, ed è quindi pari a:

( )

( ) 2 0 2 0e E E z Ijkz−ωt = (3.37)

da notare che tale valore di intensità risulta indipendente dalla coordinata z, segno che tale onda non si sta attenuando con la distanza; si definisce quindi I0 tale valore di intensità costante:

( )

2 0 0 E I z I = ∝ (3.38)

Un modo per integrare il fenomeno dell’attenuazione nella descrizione matematica dell’onda è quello di inserire un coefficiente di assorbimento:

( )

z

{

j(kz t)

}

e E e t z E abs ω α − − = 2 Re 0 , (3.39)

dove

α

abs è definito coefficiente di assorbimento e dipende dal mezzo attraversato e dalla lunghezza d’onda. Con l’aggiunta di quest’ultimo parametro il valore puntuale di intensità assume la seguente espressione:

( )

j(kz t) z z abs abs e E e E e z I ∝ −α −ω = 0 2 −α 2 0 2 (3.40)

da cui si ricava la legge di propagazione di tipo Lambert-Beer:

( )

z I e absz

I = 0 −α (3.41)

Tale coefficiente di proporzionalità, come detto, dipende dal mezzo attraversato dall’onda e, in alcuni materiali, ha anche una dipendenza direzionale. Una prima ipotesi semplificativa introdotta nel modello è stata quindi quella di considerare il mezzo all’interno del quale l’onda luminosa si sta propagando omogeneo e isotropo. Il coefficiente di proporzionalità

α

abs rende quindi conto della perdita di intensità luminosa dovuta al maggiore spessore attraversato, dovuto al fatto che gli atomi e le molecole del mezzo sottraggono energia al fascio. Tuttavia ciò può avvenire attraverso

(18)

81 meccanismi diversi che, comunemente ma impropriamente, vengono denominati con il termine generale di assorbimento. In realtà, essi possono essere suddivisi in due categorie fondamentali:

• Assorbimento vero: nel quale la luce sottratta al fascio viene trasformata in energia di agitazione termica degli atomi e delle molecole attraversati.

• Fenomeni in cui l’energia luminosa sottratta al fascio viene riemessa dalle particelle del mezzo attraversato in tutte le direzioni, senza produrre agitazione degli atomi e delle molecole: ovvero i fenomeni di scattering.

Una seconda ipotesi restrittiva applicata nel modello è stata quindi quella di considerare solamente l’assorbimento vero del mezzo, trascurando i fenomeni di scattering che avrebbero apportato una eccessiva complessità di implementazione. Per includere lo scattering sarebbe stato necessario considerare anche il numero medio di atomi incontrati da ogni singolo fotone luminoso in quanto una percentuale di questi costituisce una nuova sorgente luminosa. Inoltre sono stati trascurati i fenomeni ottici di riflessione e rifrazione della luce perché dipendenti dalla particolare topologia della scena illuminata e quindi di difficile generalizzazione. Sotto le ipotesi fin qui enunciate si ottiene che l’intensità luminosa presente in un punto distante d da una sorgente che emette ad intensità costante I0 è pari a:

( )

d

e I d

I = 0 −α (3.42)

dove α è pari al coefficiente di assorbimento vero del mezzo attraversato, che è ipotizzato omogeneo e isotropo.

Altro importante aspetto del modello è la presenza di sorgenti multiple che illuminano una stessa scena nello spazio. Una trattazione rigorosa richiederebbe l’applicazione delle leggi dell’interferenza previste dalla teoria ondulatoria della luce: tuttavia ciò si sarebbe tradotto nella necessità di considerare la fase di ogni singolo fotone emesso. Dato però che le dimensioni dello scena, dell’ordine dei mm, sono molto superiori a quelle della lunghezza d’onda della luce, dell’ordine dei µm, è stato possibile trascurare la natura ondulatoria della luce e applicare le regole dell’ottica geometrica, che prevedono l’utilizzo del principio di sovrapposizione degli effetti tra le sorgenti per calcolare in ogni punto l’intensità luminosa risultante.

Anche la scelta dei LED costituisce un problema da un punto di vista modellistico in quanto si tratta di sorgenti distribuite e non puntuali di luce. Tuttavia, anche in questo caso, date le loro piccole dimensioni, è possibile approssimarle come sorgenti puntuali di luce. L’unico svantaggio di questa semplificazione è una riduzione della risoluzione del modello, costruendo celle di dimensioni 2mmx2mm×2mm. D’altra parte questo valore risultava comunque più che soddisfacente per gli obiettivi del modello e quindi è stata accettata.

(19)

Una caratteristica dei LED che non può ogni altro dispositivo fisico, i LED

verticale né su quello orizzontale. La loro direttività ha infatti piuttosto un andamento sigmoidale come mostrato dal grafico fornito dal cos

Figura 3.9. Grafico di direttività dell’emissione luminosa dei led &ichia fornito sul datasheet del componente.

Tale aspetto deve essere integrato nel modello per ottenere una informazione veritiera della distribuzione della luce. È stato quindi necessario implementare in Matlab® un algoritmo di tipo

brute-force a quattro parametri che, sfruttando la seguente funzione base di tipo sigmoide:

( )

( ) d e b t at c + + = 1 σ

ne va a calcolare il valore ottimo dei parametri in m

i dati sperimentali. Il risultato grafico di tale algoritmo (il cui codice è presentato in appen presentato il figura 3.10, mentre i valori ottenuti sono i seguenti:

( )

( ) 0,25 1 3 , 1 1 , 1 9 , 2 − + = t e t σ

l’errore quadratico medio commesso con questa approssimazione è pari a 0. trascurabile.

non può essere trascurata è la loro direttività di illuminazione.

ico, i LED Nichia non presentavano una emissione isotropica né sul piano verticale né su quello orizzontale. La loro direttività ha infatti piuttosto un andamento sigmoidale come mostrato dal grafico fornito dal costruttore e mostrato in figura 3.9.

. Grafico di direttività dell’emissione luminosa dei led &ichia fornito sul datasheet del componente.

essere integrato nel modello per ottenere una informazione veritiera della stato quindi necessario implementare in Matlab® un algoritmo di tipo a quattro parametri che, sfruttando la seguente funzione base di tipo sigmoide:

(3.43

a calcolare il valore ottimo dei parametri in modo tale da fittare con il minore errore possibile i dati sperimentali. Il risultato grafico di tale algoritmo (il cui codice è presentato in appen

, mentre i valori ottenuti sono i seguenti:

(3.44 l’errore quadratico medio commesso con questa approssimazione è pari a 0.

82 la loro direttività di illuminazione. Come Nichia non presentavano una emissione isotropica né sul piano verticale né su quello orizzontale. La loro direttività ha infatti piuttosto un andamento sigmoidale

. Grafico di direttività dell’emissione luminosa dei led &ichia fornito sul datasheet del componente.

essere integrato nel modello per ottenere una informazione veritiera della stato quindi necessario implementare in Matlab® un algoritmo di tipo a quattro parametri che, sfruttando la seguente funzione base di tipo sigmoide:

3.43)

odo tale da fittare con il minore errore possibile i dati sperimentali. Il risultato grafico di tale algoritmo (il cui codice è presentato in appendice A) è

.44)

(20)

Figura 3.10. Risultato grafico dell’algoritmo di fitting della curva di emissione dei

Tale parametro di direttività, fortunatamente ugual

inserito come parametro moltiplicativo dell’intensità luminosa in un punto.

A questo punto è possibile andare a scrivere la formula finale che governa l’intensità in un punto qualsiasi P dello spazio implementata nel modello:

( )

(   + = = − −

1 1,3 1 2,9 1,1 0 iP iP e e I P I &sorgenti i d φ α

dove diP è la distanza euclidea tra il punto P e la sorgente i

tra il punto P e la sorgente i-esima

punto P e la medesima sorgente nel piano z

Una volta impostata l’equazione del modello resta mezzo e quindi il valore del coefficiente di attenuazione

come applicazione finale e la cavità toracica insufflata come

osservazione è stato scelto di considerare il mezzo composto di sola anidride carbonica coefficiente di attenuazione è stato inserito nel modello

forte dipendenza dalla lunghezza d’onda della luce che non hanno una emissione monocro

. Risultato grafico dell’algoritmo di fitting della curva di emissione dei

Tale parametro di direttività, fortunatamente uguale per l’emissione verticale e orizzontale, è stato inserito come parametro moltiplicativo dell’intensità luminosa in un punto.

possibile andare a scrivere la formula finale che governa l’intensità in un punto spazio implementata nel modello:

) − 1+ ( − ) −0,25 3 , 1 25 , 0 2,9 1,1 1 , e ϑiP (3.45

è la distanza euclidea tra il punto P e la sorgente i-esima misurato in mm; esima nel piano z-y, misurato in radianti, e infine

nel piano z-x, ancora misurato in radianti. l’equazione del modello resta solamente da decidere

o e quindi il valore del coefficiente di attenuazione α. A tal proposito è stata considerata l come applicazione finale e la cavità toracica insufflata come area di lavoro

vazione è stato scelto di considerare il mezzo composto di sola anidride carbonica

coefficiente di attenuazione è stato inserito nel modello. Quest’ultimo termine presenta però una forte dipendenza dalla lunghezza d’onda della luce che attraversa il mezzo. Inoltre,

non hanno una emissione monocromatica ma spettrale (figura 3.11) per generare luce bianca.

83

. Risultato grafico dell’algoritmo di fitting della curva di emissione dei LED.

e per l’emissione verticale e orizzontale, è stato

possibile andare a scrivere la formula finale che governa l’intensità in un punto

3.45)

esima misurato in mm;

φ

iP è l’angolo e infine

ϑ

iP è l’angolo tra il

solamente da decidere la composizione del stata considerata l’SPL area di lavoro. Basandosi su tale vazione è stato scelto di considerare il mezzo composto di sola anidride carbonica e il suo Quest’ultimo termine presenta però una Inoltre, i LED utilizzati ) per generare luce bianca.

(21)

84

Figura 3.11. Spettro di emissione dei led &ichia a disposizione.

Come è possibile osservare in figura 3.11, il picco di emissione dei LED Nichia è a circa 480 nm, quindi nel verde. Sebbene sembrerebbe una buona approssimazione considerare tale valore come lunghezza d’onda alla quale riferire il coefficiente di attenuazione la scelta modellistica effettuata è stata diversa. In particolare, tenendo conto che le immagini target sono prevalentemente rosse, è stata scelta come lunghezza d’onda caratteristica della luce emessa il valore di 600 nm.

Una volta fissato il valore della lunghezza d’onda è possibile, grazie ai grafici riportati in letteratura [10] (figura 3.12), imporre un valore del coefficiente di attenuazione pari a 10−5 −1

mm .

(22)

85 Dai modelli implementati sono state estrapolate le distribuzioni dell’intensità luminosa all’interno del campo di vista stereoscopico, per valori crescenti di profondità nella scena. Per poter ritagliare le matrici di dati corrispondenti al solo campo di vista stereoscopico è stato utilizzato il modello geometrico del sistema mostrato in figura 3.13.

Figura 3.13. Schema geometrico per il calcolo della dimensione del campo di vista stereoscopico ad una data profondità.

Dal modello si evince che, data la similitudine tra i due triangoli costruiti, l’angolo di apertura del campo di vista stereoscopico sarà uguale a quello delle videocamere, pari quindi a 65.59° orizzontalmente e a 52.825° verticalmente. Occorre poi considerare che il FOV stereoscopico non parte dallo stesso piano al quale appartengono le videocamere, ma solo dal punto nel quale i campi di vista delle due videocamere si intersecano, quindi ad una profondità p. Tale valore può essere calcolato però a partire dalla separazione delle videocamere t e dall’angolo di apertura α:

(

)

mm t p 6.75 2 tan 2 = = α (3.46)

e quindi la dimensione orizzontale o del campo di vista stereoscopico alla profondità z risulta essere calcolabile come:

(

z p

)

o  −      = 2 tan 2 α (3.47)

L’analisi delle distribuzioni ottenute è stata invece scissa in due parti principali: le prime due prove sono legate all’analisi quantitativa dell’uniformità della distribuzione dell’illuminazione; mentre le seconde due sono legate alla verifica del rispetto delle specifiche, quali illuminazione minima e massimo range dinamico, riportate sul datasheet delle videocamere Misumi.

Il primo parametro analizzato è la percentuale di celle, appartenenti al campo di vista stereoscopico, con Coefficiente di Variazione inferiore a ±5%. Tale coefficiente è definito, per un punto, dal rapporto tra la differenza tra valore dell’intensità e il valore medio stesso. Per il calcolo di

(23)

86 quest’ultimo è stata usata la media aritmetica m ˆ

( )

z del valore di intensità luminosa di tutte le celle

appartenenti al campo di vista stereoscopico ad una data profondità zˆ .Definendo Iij l’intensità della

cella con coordinate (i, j, zˆ ), appartenente al campo di vista stereoscopico, si ottiene quindi il corrispondente valore del coefficiente di variazione (CV) come:

( )

( )

z m z m I CVi jz ijz ˆ ˆ ˆ , , ˆ , , − = (3.48)

Sfruttando tale equazione è stata costruita la matrice corrispondente e visualizzato il numero di celle con CV inferiore al ±5%.

Il secondo parametro analizzato deriva invece dalla considerazione che le distribuzioni ottenute potevano essere facilmente approssimate a gaussiane. Sono state quindi calcolate le due deviazioni standard lungo le due direzioni principali. Si deve ricordare che, per questo parametro, era meglio considerare un valore più basso, in quanto indicava una distribuzione più piatta, e quindi più uniforme, dell’intensità luminosa. Tali valori sono infine stati normalizzati per la media per svincolarli dallo specifico valore numerico ottenuto.

Il primo parametro collegato alle specifiche delle videocamere Misumi utilizzate riguarda il valore minimo di illuminazione, pari al 1.5lux [9], necessario per il loro corretto funzionamento. Purtroppo non è stato possibile confrontare questo valore direttamente con quelli ottenuti nel modello, in quanto quest’ultimo ha, come unità di misura, la candela (cd. Tale conversione non è però semplice in quanto la candela misura l’intensità luminosa in maniera assoluta mentre il lux misura il flusso luminoso relativo ad un’area. In particolare la regola di conversione è la seguente:

2 2 1 1 1 1 m e steradiant cd m lumen lux= = × (3.49)

dove uno steradiante è definito come l’angolo solido, con vertice al centro di una sfera di raggio r, che sottende una calotta sferica di area pari a quella di un quadrato di lato r. In particolare, nel caso di un cono di apertura α, l’angolo solido in steradianti rispetto al vertice è pari a:

            − = Ω 2 cos 1 2

π

α

(3.50)

Per riuscire ad applicare tale regola di conversione è stato sfruttato il fatto che ogni cella ha, in realtà, un’area di 4mm2. Tuttavia, per poter applicare l’equazione (3.50), occorre considerare come forme geometriche dei coni, mentre nel modello si hanno celle quadrate e quindi piramidi a base quadrata. Per valutare e compensare l’errore commesso è stato quindi calcolato il volume corrispondente a tali piramidi e rapportato a quello di un cono con raggio di base r variabile. L’altezza è considerata pari alla distanza euclidea tra il centro delle videocamere e il punto considerato, preso tra quelli appartenenti al campo di vista stereoscopico. Per valutare l’errore

(24)

87 commesso è stato calcolato il rapporto tra i due volumi ottenuti. Con una procedura del tipo trial-and-error si è giunti ad un errore del 10%, dunque accettabile, con un raggio di base del cono pari a 2√2mm. Imposto tale parametro, l’angolo di apertura del cono corrispondente ad ogni cella è stato calcolato come:         = − ij ap d 2 2 tan 2 1 α (3.51)

dove dij è la distanza euclidea tra il centro della videocamera e il punto considerato. Naturalmente,

dato che i punti del campo di vista stereoscopico appartengono ad entrambe le videocamere, questo calcolo è stato ripetuto per entrambe, ottenendo però risultati analoghi. Noto l’angolo di apertura del cono è stato possibile convertire il valore di intensità di ogni cella in lux moltiplicando il valore in candele per l’angolo solido, grazie all’equazione (3.49), e normalizzando per la superficie della cella, convertita in m2.

Dalle matrici costruite con l’intensità luminosa espressa in lux è stato ricavato anche l’intervallo della dinamica del sensore sfruttata, per compararla al valore massimo imposto dalle specifiche delle videocamere di 60dB. Per ogni valore di profondità è stato infatti cercato il valore massimo di intensità luminosa Imax,zˆ, espresso in lux, all’interno del campo di vista stereoscopico. È poi stato

calcolato il valore della dinamica sfruttata come:

      = lux I dinamicaz z 5 , 1 log 20 max,ˆ ˆ (3.52)

Infine, occorre considerare che i valori ottenuti sono un’approssimazione per eccesso di quelli reali, in quanto il modello comprendeva unicamente l’attenuazione come fenomeno fisico di perdita di energia luminosa.

3.3.2 Risultati ottenuti dai modelli implementati

Per una visione dei codici utilizzati per implementare i vari modelli si rimanda all’appendice B. Nel seguito del paragrafo verranno unicamente presentati e commentati i risultati numerici ottenuti con le quattro configurazioni dei LED testate.

1) Prima configurazione a sei LED: la prima configurazione testata utilizza 6 LED disposti

linearmente e simmetricamente sopra e sotto le videocamere (figura 3.14). Una volta fissate le loro posizioni all’interno della matrice principale è stata applicata l’equazione del modello (3.45) per il calcolo del valore dell’intensità luminosa in tutte le celle. In figura 3.15 viene presentata la distribuzione dell’intensità luminosa, all’interno del campo di vista stereoscopico, alle profondità di 20mm, 50mm, 80mm e 150mm.

(25)

88

Figura 3.14. Prima configurazione a 6 LED: in nero sono rappresentate le videocamere mentre in rosso sono riportati i LED.

Figura 3.15. Distribuzione dell’intensità luminosa, calcolata dal modello, sfruttando 6 LED nella prima configurazione. In particolare tali distribuzioni si riferiscono ad una profondità di: a) 20mm; b) 50mm; c) 80mm; d)

150mm.

Già da questi primi risultati grafici è possibile osservare come la distribuzione sia, a tutte le profondità considerate, approssimabile ad una gaussiana bidimensionale, che giustifica il calcolo delle deviazioni standard nei due assi principali come fattore di merito dell’uniformità della distribuzione. Successivamente a questa analisi grafica a priori si è passati al calcolo del coefficiente di variazione per ogni punto appartenente al campo di vista stereoscopico, sfruttando il procedimento precedentemente descritto e formalizzato nell’equazione (3.48). Come osservabile in figura 3.16 la distribuzione dei punti con CV inferiore al ±5% è sempre approssimabile, indipendentemente dalle profondità calcolate, ad una corona circolare centrata rispetto alle coordinate del campo di vista stereoscopico. In figura 3.17 è quindi presentato l’andamento della percentuale del campo di vista con bassa variazione dal valore medio. Da tale grafico si osserva

(26)

89 come vi sia una drastica diminuzione iniziale della percentuale e poi un assestamento, verso una profondità di circa 40mm, attorno al valore del 40%. La rapida diminuzione iniziale è spiegabile con il veloce aumento delle dimensioni del campo di vista, che porta a considerare sempre più velocemente i bordi delle distribuzioni mostrate precedentemente. La regione finale di plateau è invece spiegata dall’assestarsi del valore medio dell’intensità luminosa (figura 3.18) utilizzato per il calcolo del coefficiente di variazione.

Figura 3.16. Distribuzione dei punti con coefficiente di variazione inferiore a ±5% all’interno del campo di vista stereoscopico alle profondità di: a) 20mm; b) 50mm; c) 80mm; d) 150mm.

Figura 3.17. Andamento della percentuale di punti del campo di vista stereoscopico con coefficiente di variazione inferiore al 5%.

(27)

90

Figura 3.18. Particolare dell’andamento del valore medio dell’intensità luminosa all’interno del campo di vista stereoscopico, usato per giustificare il grafico precedente.

Dato che la distribuzione ottenuta era approssimabile ad una gaussiana si è potuto calcolare le deviazioni standard lungo le due direzioni principali. I valori così ottenuti alle diverse profondità sono poi stati normalizzati per il valore medio a quelle stesse profondità per renderli confrontabili (figura 3.19). Dai valori ottenuti si osserva come la deviazione standard verticale si stabilizzi quasi immediatamente (alla distanza di circa 50mm) ad un valore molto basso, circa 0.035: ciò ci garantisce una buona uniformità verticale della luce. La deviazione standard orizzontale presenta invece un trend crescente che la porta da un valore iniziale di circa 0.6 ad un valore finale di 0.8: ciò indica che la distribuzione orizzontale della luce risulta accettabile per l’applicazione stereoscopica.

Figura 3.19. Andamento delle deviazioni standard normalizzate: a) orizzontale; b) verticale.

Nel modello, a questo punto, viene applicata la conversione di unità di misura precedentemente descritta. Dalle distribuzioni espresse in lux si può concludere che, con questa configurazione di LED, non ci sono punti con intensità luminosa inferiore al limite di sensibilità delle videocamere

(28)

91 Misumi. Infine, sfruttando l’equazione (3.52), è stata calcolata la dinamica del sensore di luce sfruttata con questa illuminazione (figura 3.20).

Figura 3.20. Range dinamico sfruttato con questa configurazione di illuminazione.

Il grafico mostra come vi sia una breve finestra iniziale nella quale il sensore satura per una eccessiva illuminazione. Tale finestra si trova però a profondità inferiori al limite entro il quale la visione stereoscopica è stata dimensionata e quindi risulta accettabile. Se infatti si considerano unicamente i valori nel range di visione stereoscopica, ovvero da 5cm a 15cm, si può facilmente verificare come anche la specifica della dinamica venga ampiamente verificata. La diminuzione della diminuzione della dinamica oltre la profondità di 80mm è poi giustificata se si osserva che, alla stessa distanza, si ha un assestamento del valore massimo di intensità luminosa all’interno del campo di vista stereoscopico (figura 3.21).

Figura 3.21. Andamento del valore massimo dell’intensità luminosa all’interno del campo di vista stereoscopico.

2) Seconda configurazione a sei LED: la seconda configurazione testata utilizza ancora 6 LED.

Rispetto alla configurazione precedente, in questo caso vengono posti due LED ai due lati delle videocamere e solamente quattro vengono disposti simmetricamente sopra e sotto le stesse (figura 3.22). Una volta calcolate le loro coordinate all’interno della matrice principale è stata applicata l’equazione del modello (3.45) per il calcolo del valore dell’intensità luminosa in tutte le celle. In

(29)

92 figura 3.23 viene presentata la distribuzione dell’intensità luminosa, all’interno del campo di vista stereoscopico, alle profondità di 20mm, 50mm, 80mm e 150mm.

Figura 3.22. Seconda configurazione a 6 LED: in nero sono rappresentate le videocamere mentre in rosso sono riportati i LED.

Figura 3.23. Distribuzione dell’intensità luminosa, calcolata dal modello, sfruttando 6 LED nella seconda configurazione. In particolare tali distribuzioni si riferiscono ad una profondità di: a) 20mm; b) 50mm; c) 80mm; d)

150mm.

Anche in questo caso la distribuzione dell’intensità luminosa è approssimabile, alle varie profondità, ad una gaussiana bidimensionale. Si è poi passati al calcolo del coefficiente di variazione per ogni punto appartenente al campo di vista stereoscopico, sfruttando il procedimento descritto precedentemente e formalizzato nell’equazione (3.48). In figura 3.24 si può verificare come, anche in questa seconda configurazione, la distribuzione dei punti con CV inferiore al ±5% è approssimabile ad una corona circolare centrata rispetto alle coordinate del campo di vista stereoscopico. Nella figura 3.25 è invece presentato l’andamento della percentuale del campo di vista con bassa variazione dal valore medio. Da tale grafico si osserva che, come nella

(30)

93 configurazione precedente, c’è una drastica diminuzione iniziale della percentuale e poi un assestamento, verso una profondità di circa 40mm, attorno al valore del 40%. La rapida diminuzione iniziale è spiegabile con il rapido incremento delle dimensioni del campo di vista, che porta a considerare sempre più i bordi delle distribuzioni mostrate precedentemente. La regione finale di plateau è invece spiegata dall’assestarsi del valore medio dell’intensità luminosa (figura 3.26) utilizzato per il calcolo del coefficiente di variazione.

Figura 3.24. Distribuzione dei punti con coefficiente di variazione inferiore a ±5% all’interno del campo di vista stereoscopico alle profondità di: a) 20mm; b) 50mm; c) 80mm; d) 150mm.

Figura 3.25. Andamento della percentuale di punti del campo di vista stereoscopico con coefficiente di variazione inferiore al 5%.

(31)

94

Figura 3.26. Particolare dell’andamento del valore medio dell’intensità luminosa all’interno del campo di vista stereoscopico, usato per giustificare il grafico precedente.

Dato che la distribuzione ottenuta era approssimabile ad una gaussiana si è potuto calcolare le deviazioni standard lungo le due direzioni principali. I valori così ottenuti alle diverse profondità sono poi stati normalizzati per il valore medio a quelle stesse profondità per renderli confrontabili. (figura 3.27). Dai valori ottenuti si osserva come la deviazione standard verticale si stabilizzi quasi immediatamente (alla distanza di circa 50mm) ad un valore molto basso, circa 0.035: ciò ci garantisce una buona uniformità verticale della luce. La deviazione standard orizzontale presenta invece un trend crescente che la porta da un valore iniziale di circa 0.6 ad un valore finale di 0.8: ciò indica che la distribuzione orizzontale della luce non presenta una uniformità non ottimale per l’applicazione stereoscopica.

(32)

95 Nel modello, a questo punto, viene applicata la conversione di unità di misura precedentemente descritta. Dalle distribuzioni espresse in lux, anche in questo caso, si può concludere che non ci sono punti con intensità luminosa inferiore al limite di sensibilità delle videocamere Misumi. Infine, sfruttando l’equazione (3.52), è stata calcolata la dinamica del sensore di luce sfruttata con questa illuminazione (figura 3.28).

Figura 3.28. Range dinamico sfruttato con questa configurazione di illuminazione.

Il grafico mostra come vi sia una breve finestra iniziale nella quale il sensore satura per una eccessiva illuminazione. Tale finestra si trova però a profondità inferiori al limite entro il quale la visione stereoscopica è stata dimensionata e quindi risulta accettabile. Se infatti si considerano unicamente i valori nel range di visione stereoscopica, ovvero da 5cm a 15cm, si può facilmente verificare come anche la specifica della dinamica venga ampiamente verificata. La diminuzione della dinamica oltre la profondità di 80mm è poi giustificata se si osserva che, alla stessa distanza, si ha un assestamento del valore massimo di intensità luminosa all’interno del campo di vista stereoscopico (figura 3.29).

Figura 3.29. Andamento del valore massimo dell’intensità luminosa all’interno del campo di vista stereoscopico.

3) Prima configurazione a otto LED: la terza configurazione testata utilizza invece 8 LED. Tale

configurazione è una estensione diretta della precedente, in quanto aggiunge solamente un LED sopra e uno sotto alle videocamere (figura 3.30). Una volta calcolate le loro coordinate all’interno della matrice principale è stata applicata l’equazione del modello (3.45) per il calcolo del valore

(33)

96 dell’intensità luminosa in tutte le celle. In figura 3.31 viene presentata la distribuzione dell’intensità luminosa, all’interno del campo di vista stereoscopico, alle profondità di 20mm, 50mm, 80mm e 150mm.

Figura 3.30. Prima configurazione a 8 LED: in nero sono rappresentate le videocamere mentre in rosso sono riportati i LED.

Figura 3.31. Distribuzione dell’intensità luminosa, calcolata dal modello, sfruttando 8 LED nella prima configurazione. In particolare tali distribuzioni si riferiscono ad una profondità di: a) 20mm; b) 50mm; c) 80mm; d)

150mm.

Si osserva che l’aumento della numerosità delle fonti di luce non modifica la forma della distribuzione dell’intensità della luce, che si mantiene approssimabile ad una gaussiana bidimensionale. Come nei modelli precedenti, si è poi passati al calcolo del coefficiente di variazione per ogni punto appartenente al campo di vista stereoscopico, sfruttando il procedimento descritto in precedenza e formalizzato nell’equazione (3.48). In figura 3.32 si può verificare come, anche in questa configurazione, la distribuzione dei punti con CV inferiore al ±5% è approssimabile ad una corona circolare centrata rispetto alle coordinate del campo di vista stereoscopico. Nella

(34)

97 figura 3.33 è invece presentato l’andamento della percentuale del campo di vista con bassa variazione rispetto al valore medio. Da tale grafico si osserva che, come nelle configurazioni precedenti, c’è una drastica diminuzione iniziale della percentuale e poi un assestamento, verso una profondità di circa 40mm, attorno al valore del 40%. Tale andamento è giustificato osservando la variazione del valore medio al variare della profondità (figura 3.34).

Figura 3.32. Distribuzione dei punti con coefficiente di variazione inferiore a ±5% all’interno del campo di vista stereoscopico alle profondità di: a) 20mm; b) 50mm; c) 80mm; d) 150mm.

Figura 3.33. Andamento della percentuale di punti del campo di vista stereoscopico con coefficiente di variazione inferiore al 5%.

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98

Figura 3.34. Particolare dell’andamento del valore medio dell’intensità luminosa all’interno del campo di vista stereoscopico, usato per giustificare il grafico precedente.

Anche in questo caso sono state calcolare le deviazioni standard, normalizzate per il valore medio, lungo le due direzioni principali (figura 3.35). Dai valori ottenuti si osserva come la deviazione standard verticale si stabilizzi quasi immediatamente (alla distanza di circa 50mm) ad un valore molto basso, circa 0.035: ciò ci garantisce una buona uniformità verticale della luce. La deviazione standard orizzontale presenta invece un trend crescente che la porta da un valore iniziale di circa 0.7 ad un valore finale di 0.8: ciò indica che la distribuzione orizzontale della luce non presenta una uniformità non ottimale per l’applicazione stereoscopica.

Figura 3.35. Andamento delle deviazioni standard normalizzate: a) orizzontale; b) verticale.

Nel modello, a questo punto, viene applicata la conversione di unità di misura precedentemente descritta. Dalle distribuzioni espresse in lux, anche in questo caso, si può concludere che non ci sono punti con intensità luminosa inferiore al limite di sensibilità delle videocamere Misumi. Infine,

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