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157Desde este momento nada quedaba que hacerpara los tímidos sino taparse los oídos y cerrarlos ojos. (Domingo Faustino Sarmiento,Facundo)

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Desde este momento nada quedaba que hacer para los tímidos sino taparse los oídos y cerrar los ojos.

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4. LA LIBERTÀ DI AVERE TIMORE

(OVVERO, TRADURRE LA TRADIZIONE)

Accostarsi alla traduzione di un classico significa entrare a piè pari in un territorio tanto suggestivo quanto insidioso, dove il fascino nei confronti di un’opera maestra, con una sua tradizione nel senso etimologico del termine, si lega al senso di reverenziale rispetto che la stessa opera ispira. Un classico è un testo che il tempo ha trasmesso e consegnato nelle mani del lettore e che il traduttore ha il compito di riconsegnare, assumendosi la responsabilità di «portarlo oltre», di attuare il superamento di una barriera linguistica, culturale e temporale. È un ritrasmettere e un riconsegnare. Un passaggio in cui a cedere il testimone è nientemeno che la tradizione.

Nel percorso di traduzione del Facundo è stato necessario fare i conti costantemente con questo aspetto. La sensazione di invadere un campo altrui – sensazione che si fa strada in qualsiasi traduttore, anche solo per un momento – si è sommata a un ulteriore carico, alla considerazione inevitabile del valore aggiunto dell’opera e del suo autore. Tuttavia il timore reverenziale di partenza si è ben presto scontrato, nella pratica, con le naturali difficoltà e le continue problematiche poste dal testo. Ai fini di una più corretta e onesta fruizione dell’opera, è emersa allora l’esigenza di doversi gradualmente emancipare dalla tendenza a ridurre al minimo gli interventi in sede di traduzione. Questa consapevolezza è stata raggiunta in maniera graduale, acquistando progressivamente una maggiore confidenza con il processo di traduzione, con il testo stesso e con le sue dinamiche. È proprio mediante l’approccio traduttivo che si consolida il rapporto con il testo, passando per fasi diverse e via via più intime. Si acquisisce maggiore familiarità con lo stile dell’autore, con i temi a lui cari, e allo stesso tempo si è portati a passare al setaccio il testo in profondità, fin nelle fondamenta, alla ricerca di un senso spesso non univoco, affidandosi a scelte che possono rivelarsi azzeccate o fuorvianti, e che non bisogna avere timore di correggere. Parola dopo parola,

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riga dopo riga, pagina dopo pagina, il traduttore sembra sentirsi rivolgere in maniera sempre più urgente le parole dello stesso Sarmiento: «Desde este momento nada quedaba que hacer para los tímidos sino taparse los oídos y cerrar los ojos»1. Alternativa piuttosto secca. Di fronte a un’opera come il Facundo, con la sua tradizione e il suo bagaglio di presupposti e conseguenze, è

forte la tentazione di rimanere timidi spettatori del testo, anche e soprattutto in sede di traduzione. Tuttavia il timore fine a sé stesso e non costruttivo, che evita una presa di posizione nei confronti dei problemi, non conduce ad altro se non alla chiusura, all’impossibilità di aprire veramente gli occhi e le orecchie di fronte al ventaglio di suggestioni prospettate dal capolavoro sarmientino. È questo il primo e più importante suggerimento che ci viene dal testo. Ed è lo stesso invito all’impegno appassionato ribadito da Umberto Eco a conclusione del suo celebre Dire quasi la stessa cosa:

La fedeltà è […] la tendenza a credere che la traduzione sia sempre possibile se il testo fonte è stato interpretato con appassionata complicità, è l’impegno a identificare quello che per noi è il senso profondo del testo, e la capacità di negoziare a ogni istante la soluzione che ci pare più giusta.

Se consultate qualsiasi dizionario vedrete che tra i sinonimi di fedeltà non c’è la parola esattezza. Ci sono piuttosto lealtà, onestà, rispetto, pietà2.

Un invito al coraggio ma con la consapevolezza della fallibilità e, dunque, di una necessaria umiltà. Da questi presupposti stimolanti ha preso forma il nostro percorso.

La resa in traduzione dell’opera ha richiesto un costante lavoro di approfondimento su diversi aspetti della storia e della cultura del tempo, data la molteplicità di riferimenti, e in parallelo, un lavoro sul testo che, partendo dai tratti stilistici e contenutistici considerati imprescindibili, ha mirato a una resa quanto più possibile rispettosa dell’originale: si è cercato un bilanciamento tra le peculiarità stilistiche dell’autore e le caratteristiche della lingua di arrivo, in particolare a livello semantico-lessicale e sintattico.

1D. F.SARMIENTO, Facundo, cit., p. 214.

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Da un punto di vista generale, le maggiori difficoltà sono state riscontrate sul piano della gestione complessiva del materiale. Il Facundo è un classico che il tempo ha trasmesso e ha consegnato nelle mani del lettore con non pochi problemi irrisolti. Il carattere enciclopedico dell’opera, le continue modifiche, le imprecisioni nei riferimenti testuali e intertestuali hanno posto una serie di problemi non solo di ordine interpretativo ma anche filologico; si è reso necessario un cammino più lungo che, pur partendo da una base di negoziazione del significato, comune ad ogni atto traduttivo, si è avvicinato all’ambito della filologia e della critica testuale; un ulteriore percorso di riesamina della tradizione, oltre che di trasmissione. A questo macrolivello di difficoltà si aggiungono le specifiche problematiche traduttive di ordine linguistico e culturale, che, come si avrà modo di vedere, si legano inevitabilmente al rapporto con lo stile personale dell’autore e con la sua peculiare modalità di comunicazione.

4.1. Questioni preliminari

Prima di illustrare nel dettaglio i principali punti critici del testo in sede di traduzione, è opportuno accennare ad alcuni aspetti di riflessione preliminare che hanno condotto a delle scelte di metodo specifiche. A questo proposito, si rende necessaria una premessa. Il rischio di un eccessivo attaccamento a certi schemi teorici è quello di ricondurre l’attività di traduzione a un processo meccanico, atteggiamento che mostra tutta la sua impraticabilità se si tiene conto della natura in fieri della traduzione, e della continua dialettica di scelte, ricerche, confronti, a cui è portato il traduttore. Allo stesso tempo, però, è impossibile non impostare il proprio lavoro sulla base di alcune scelte metodologiche. Il dibattito traduttologico antico, moderno e contemporaneo offre la possibilità di confrontarsi con tutta una serie di problematiche legate all’atto traduttivo affrontate da differenti angolazioni, che variano a seconda della sensibilità delle epoche e delle aree geografiche di riferimento: approcci che coinvolgono la linguistica, la

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semiotica, l’estetica, la dimensione culturale, il ruolo del testo, dell’autore, del lettore, del traduttore stesso e persino del committente. In ogni caso è comune l’esigenza di discutere della possibilità della traduzione come atto in sé, con risposte anche molto diverse tra loro, nel segno costante di una supposta e sofferta fedeltà al testo di partenza, della percezione di un residuo impossibile da trasferire, e del rapporto tra i due sistemi (siano essi intesi come «codici», «funzioni», «lingue», «culture») che entrano in gioco nel processo di traduzione. Franco Lucentini, divenuto «professor Marziano» nelle lezioni di traduzione tenute sulla rivista «Urania», indica quello che a suo modo di vedere è il

primissimo, fondamentale principio del buon tradurre in generale: «Per tradurre un qualsiasi testo, applicate pure qualsiasi criterio vi piaccia. Non esiste, in questo campo, alcuna regola a priori. Ma ne esiste una, ferrea, a posteriori: quale che sia il criterio scelto, esso va applicato fino alla fine»3.

Ci è sembrato un buon punto di partenza. Come si è accennato, si tratta di scelte che possono sempre essere corrette, ma che devono essere condotte sulla base di un principio di coerenza.

Nel nostro caso, in particolare, alcuni aspetti hanno richiesto una presa di posizione preliminare: si è ragionato sull’aspetto della fruizione dell’opera, sulla dicotomia arcaicizzazione/modernizzazione del tessuto linguistico e, infine, si è tenuto conto anche di specifiche problematiche editoriali, legate alla presentazione del testo sulla pagina.

4.1.1. TIPOLOGIA DI PUBBLICO E RICEZIONE DELL’OPERA

Uno dei principali protagonisti del processo traduttivo – e forse inconsapevole di esserlo – è senza dubbio il lettore. Come nota Osimo, è proprio attorno alla figura del «lettore modello» che vengono attuate le principali scelte di metodo e si stabilisce il grado di mediazione del traduttore:

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[…] a seconda di quanto il lettore modello della cultura ricevente venga considerato capace e attrezzato per affrontare la realtà del mondo altro, il traduttore sarà nei suoi confronti più o meno paternalista, producendo un testo più o meno ghiotto di novità, più o meno liscio, scorrevole4.

Va osservato che, in considerazione della sua specifica tipologia testuale, il Facundo si rivolge naturalmente a un pubblico più ristretto. L’ipotesi di partenza è dunque che i lettori italiani possiedano una conoscenza abbastanza avanzata del contesto di riferimento, trattandosi per lo più di studenti o ispanisti. Questo non implica, tuttavia, l’impossibilità per chi sia interessato in qualsiasi forma alla cultura e alla storia argentina di avvicinarsi al testo. Per questa ragione si è scelto di estendere la fruizione del testo a una fascia di lettori media e non esclusivamente specialistica, utilizzando note esplicative per agevolare la lettura attraverso una collocazione più precisa degli eventi nel loro contesto.

4.1.2. ARCAICIZZARE O MODERNIZZARE?

Di fronte all’originale sarmientino il lettore madrelingua percepisce chiaramente una lontananza rispetto al’uso linguistico contemporaneo. Ci si è chiesti se questa arcaicità fosse un tratto linguistico da conservare e riprodurre anche nel testo di arrivo. Da un lato, un linguaggio distante nel tempo da quello del lettore potrebbe risultare eccessivamente forzato, rivelandosi d’ostacolo alla fruizione del testo – che risulterebbe meno riconoscibile secondo i criteri contemporanei di ricezione – o comunque creare un effetto di innaturale anacronismo; lo stesso anacronismo insito nel principio che richiede al traduttore di dover rendere il testo secondo modalità linguistiche ormai lontane dalle sue, che inevitabilmente non può padroneggiare fino in fondo. Anche tentando di restituire il carattere della lingua e del periodo storico d’origine egli finisce sempre per modernizzare in qualche modo l’originale, anche se involontariamente. Occorre poi considerare l’inevitabile influenza

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esercitata sul traduttore dal suo orizzonte di riferimento: «Ogni traduzione (e per questo le traduzioni invecchiano) si muove in un orizzonte di tradizioni e convenzioni letterarie che fatalmente influenzano le scelte di gusto»5.

D’altra parte è altrettanto importante fornire al lettore gli strumenti per un corretto inquadramento dell’opera nel suo specifico contesto di produzione. In questo senso ci viene in aiuto la particolare modalità espressiva di Sarmiento: giocando sull’enfasi retorica, le ripetizioni, le costruzioni articolate, caratteristiche stilistiche dalle quali è impossibile prescindere, tramite l’impiego di un registro medio-alto, il testo sembra acquisire in maniera spontanea un livello linguistico adeguato e una certa patina arcaicizzante, senza condurre a un’eccessiva forzatura del linguaggio. Nel seguire un tale approccio non sono mancate però le difficoltà: una traduzione più aderente all’originale ha rivelato a un primo esame un appiattimento semplicistico del linguaggio in diversi punti del testo, mostrando la naturale differenza tra la lingua spagnola e quella italiana nell’articolazione del materiale lessicale. La maggiore ricchezza dell’italiano da questo punto di vista si rivela un’arma a doppio taglio. Se, ad esempio, non disturba affatto leggere nell’originale sarmientino,

Un año después todavía no han concluido las Parroquias de dar su fiesta; el vértigo oficial pasa de la ciudad a la campaña, y es cosa de

nunca acabar6.

la nostra traduzione ha dovuto procedere in altro senso:

Passa un anno e le parrocchie non hanno ancora terminato di dare ognuna la propria festa: la vertigine ufficiale si sposta dalla città alla campagna, ed è una storia senza fine.

Si è cercato in questi casi di operare maggiormente sul tono, compensando la perdita di immediatezza con una maggiore armonia nel registro.

5U. ECO, Dire quasi la stessa cosa, cit., p. 274. 6D. F.SARMIENTO, Facundo, cit., p. 316.

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4.1.3. NORMEREDAZIONALI

La modalità di presentazione del testo ha costituito un ulteriore elemento di riflessione preliminare. A questo proposito, è importante valutare le caratteristiche dell’opera e fare delle scelte conformi al genere letterario e al contesto di produzione. Nel caso specifico del Facundo si è scelto di adottare alcuni criteri guida tenendo conto del periodo di composizione dell’opera e della sua struttura complessiva.

La critica letteraria è essenzialmente concorde nel sottolineare l’impossibilità di incasellare il Facundo all’interno di una precisa etichetta di genere. La definizione di Palcos di «libro-síntesis y libro símbolo» , una delle più appassionate, racchiude efficacemente questo aspetto:

Clasificarlo, conforme se ha propuesto, entre las novelas equivale a caer en error tan grave como incluirlo entre los libros de historia. Facundo es de todo un poco: biografía, novelesca por su interés, de Quiroga, y, en menor grado de Rosas; magnífico poema descriptivo, hasta ahora no superado, de nuestra República y de los tipos peculiares que engendra; movida, drámatica historia de la revolución y de los sucesos posteriores; fascinante ensayo sociológico trazado cuando el género está en pañales en Europa; y, en todo momento, formidable alegato contra el sistema reinante en el país y programa de nuestro porvenir de América7.

Pur considerando in tutta la sua complessità la questione, la tipologia testuale di riferimento per il Facundo è senz’altro più vicina a un impianto saggistico piuttosto che a uno romanzesco: ciò ha consentito un uso abbastanza libero di uno strumento quale, appunto, le note a piè di pagina, generalmente avvertite come invasive in sede di traduzione e il cui impiego deve comunque essere sempre accuratamente dosato. A queste si aggiungono le note autoriali, che si è scelto di mantenere per un criterio di esattezza filologica.

La punteggiatura è stata uniformata secondo l’uso italiano, sebbene in alcuni casi il testo originale presenti delle imprecisioni, soprattutto nei dialoghi. La grafia è stata modernizzata e corretta nel caso di imprecisioni, che

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riguardano a volte i nomi propri, i luoghi geografici, l’uso alternato di maiuscoli e minuscoli, i titoli dei testi citati e delle riviste segnalate.

Di particolare problematicità è risultata la resa dei corsivi e dei maiuscoli, la cui abbondanza costituisce una peculiarità del testo. Si tratta di particolari spie grafiche, che evidenziano parole o espressioni che l’autore intende segnalare in maniera particolare. Inizialmente la scelta di mantenere quest’enfasi era apparsa una strada percorribile. L’effetto finale, tuttavia, si è rivelato eccessivamente complesso e fuorviante dal punto di vista dell’armonia grafica della pagina: anche in questo caso una normalizzazione è parsa la scelta più azzeccata e funzionale ai fini della comprensione del testo. Lo stesso effetto di enfasi, d’altra parte, è mantenuto grazie a precisi artifici retorici interni al testo, che diventano altrettante spie stilistiche, come ripetizioni, parallelismi, interrogativi retorici.

Si è cercato di seguire una linea redazionale omogenea, segnalando in corsivo solo le parole in lingua diversa da quella italiana: in particolare, le espressioni in altre lingue – latino e francese – , i titoli di opere e riviste, e i termini che si è scelto di mantenere in spagnolo, quando questi non siano di uso comune. Fanno eccezione alcuni termini evidenziati per la loro particolare rilevanza all’interno del contesto.

4.2. Traduzione e filologia

La duttilità è una caratteristica costante all’interno della storia testuale del Facundo: Sarmiento corregge, modifica, amplia, riduce la sua opera, adattandola a diverse esigenze di contesto. Un’eccezione nel complesso della produzione sarmientina, dal momento che l’autore non interveniva quasi mai a posteriori sui suoi scritti. La ragione, come si è visto, è legata al forte potenziale comunicativo del testo e delle proposte in esso contenute, la cui risonanza Sarmiento sceglie di dosare accuratamente8.

8 Nella possibilità di adattarsi a diversi contesti di produzione, circolazione e ricezione, e nel

controllo dell’organismo testuale da parte dell’autore, Monica Scarano nota la modernità dell’opera: «el Facundo exhibe el fuerte impacto de la marca de la modernidad, a través de la inscripción de su

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Alla luce di queste considerazioni, il problema che si presenta in sede di traduzione è dunque innanzitutto filologico: occorre restituire il testo nella versione più fedele possibile a quella che l’autore ha pensato per il suo pubblico. In questo senso, l’edizione critica Cátedra da noi utilizzata, a cura di Roberto Yahni, ci offre un valido aiuto: come testo base viene considerato quello della quarta edizione (1874), l’ultima in vita dell’autore, collazionato con le prima edizione in folletín, con le successive in volume, e con le due edizioni critiche di Alberto Palcos e Raúl Moglia.

Ciò nonostante, molti punti del testo rimangono comunque oscuri e in alcuni casi è stato necessario effettuare ulteriori confronti con altre edizioni e operare delle scelte più decise. Sono emerse due possibilità alternative: l’aderenza al testo base della quarta edizione nella proposta di Yahni – che risponde verosimilmente alle ultime volontà di Sarmiento – o la preferenza per soluzioni maggiormente rispondenti a un criterio di coerenza interna al testo. Ci si è orientati nell’uno o nell’altro senso nella misura in cui l’intervento autoriale nel rimaneggiamento è parso più riconoscibile, appoggiandoci anche alle note di Yahni.

Alcuni termini, nella versione ultima, risultano più complessi e meno immediati rispetto a quelli impiegati nelle edizioni precedenti. Nell’esempio che segue, la scena che descrive il salvataggio del colonnello Zapiola da parte di un soldato del reggimento dei Granatieri a Cavallo, la lezione corcel sostituisce già a partire dalla seconda edizione coronel; quest’ultima è senza dubbio più coerente nell’ottica complessiva dell’episodio. Tuttavia, esistendo una chiara indicazione in nota della variante, è stata presa in considerazione la lezione presente nel testo base, e quindi corcel è stato reso con «destriero»:

Zapiola es el último en volver a su caballo, que recibe a poco trecho un balazo; y cayera en manos del enemigo, si un soldado de Granaderos a Caballo no se desmontara, y lo pusiera como una pluma sobre su montura, dándole a ésta con el sable, para que mas aprisa dispare. Un

temporalidad cambiante en el cuerpo textual y en sus constantes mutaciones, en su condición inevitable de texto situado» (M. SCARANO, El libro y su autor: las mutaciones textuales del Facundo, in

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rezagado acierta a pasar, el Granadero desmontado préndese a la cola del caballo, lo detiene en la carrera, salta a la grupa, y corcel y soldado se salvan9.

Zapiola è l’ultimo a fare ritorno al suo cavallo, che viene colpito a breve distanza, e sarebbe caduto di certo nelle mani del nemico se un soldato dei Granatieri a Cavallo, smontato, non lo avesse sollevato come una piuma sulla sua cavalcatura, puntellandola con la sciabola per accelerare ancora di più il suo passo. Un ritardatario fa per passare: il granatiere afferra la coda del cavallo, ferma la sua corsa, gli salta in groppa, e così

destriero e soldato si salvano.

Al contrario, nell’esempio che segue è prevalso il criterio della coerenza semantica:

Qué buen sirviente parece este irlandés, decía a su potro un transeúnte por Buenos Aires. Sí, contestaba aquél, lo he tomado por eso, porque estoy seguro de no ser espiado por mis criados, y porque me presta su firma para todos mis contratos. Aquí sólo estos sirivientes tienen segura su vida y sus propiedades10.

Trattando delle nuove dinamiche sociali e, in particolare, del ruolo di primo piano assunto dagli emigrati a Buenos Aires, presentati come gli unici detentori di diritti sicuri sulla vita e sulla proprietà, Sarmiento inserisce un aneddoto allo scopo di esemplificare quanto esposto: in particolare, l’elogio di un servitore irlandese tessuto da un uomo di passaggio a Buenos Aires. L’edizione critica propone un quadro abbastanza inverosimile, mantenendo la lezione potro, in conformità con l’ultima edizione del 1874, digitalizzata peraltro sul sito www. proyectosarmiento.com. Se si accetta questa soluzione, scompare il secondo interlocutore della scena, poiché escludiamo la possibilità inverosimile che possa coincidere con il cavallo. Il confronto con altre edizioni ha rivelato la presenza di un’altra lezione, patrón, che è parsa più plausibile ai fini della coerenza interna del discorso – che diventa un dialogo tra il passante e il padrone di casa che lo ospita – e per questo motivo è stata adottata, preferendo il traducente «ospite» a «cavallo».

9D. F.SARMIENTO, Facundo, cit., p. 243. 10Ivi, p. 357.

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«Sembra proprio un buon servitore, questo irlandese!», diceva al suo

ospite un uomo di passaggio a Buenos Aires. «Sì», rispondeva quello,

«l’ho preso con me per questo, perché sono sicuro di non essere spiato dai miei servi, e poi mi presta la sua firma per tutti i miei contratti. Qui solo questi servitori hanno vita e proprietà al sicuro».

In altri casi, il testo dell’edizione critica contiene lezioni che, seppur errate, persistono nell’ultima edizione del 1874, presentando in nota tra parentesi quadra la lezione corretta. In particolare negli esempi garza/gata , o

colisión/coalición. In quest’ultimo caso l’incoerenza semantica è evidente, dal

momento che l’autore si riferisce alla situazione di conflitto tra Rosas e le potenze europee esplicitatasi nel blocco francese:

Yo no quiero entrar en la apreciación de los motivos ostensibles que motivaron el bloqueo de la Francia, sino en las causas que venían preparando una coalición entre Rosas y los agentes de los poderes europeos11.

Non voglio entrare nel merito delle ragioni manifeste che motivarono il blocco della Francia, ma piuttosto considerare le cause che stavano preparando la collisione tra Rosas e i diplomatici delle potenze europee.

Nella scelta tra «gatta» e «airone» è stato invece necessario ripescare all’interno del repertorio favolistico argentino: esiste tutta una tradizione di storie legate alla coppia zorro-gato, gato-tigre, zorro-tigre che ruota attorno all’invito all’azione pericolosa, in genere un furto, e alla sfida sulle abilità messe in campo da ciascuno per salvarsi. Allo stesso tempo, però, è frequente anche il tema del

convite della volpe a diversi uccelli, sul modello della favola esopiana della volpe

e la cicogna. In particolare, nell’area di San Juan, vicina a Sarmiento, i protagonisti sono proprio la volpe e l’airone12. È ipotizzabile che Sarmiento

abbia voluto istituire un paragone tra la situazione di disagio della

11Ivi, p. 246.

12 Particolarmente utile, a questo proposito, si è rivelata la consultazione di BERTAE. VIDAL DE

BATTINI, Cuentos y leyendas populares de la Argentina, tomo II, Alicante, Biblioteca Virtual Miguel de

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cicogna/airone – impossibilitata a mangiare dalla ciotola piatta il succulento pranzo astutamente preparatole dalla comare volpe – e la condizione in cui si sarebbe trovato Facundo se fosse stato attaccato in un terreno accidentato. Alla luce di queste considerazioni si è rifiutata la lezione gata a favore di garza, operando qui una trasposizione culturale.

Imaginaos, ¿qué haría Facundo en un terreno intransitabile, contra seiscientos infantes, una batería formidable de artillería, y mil caballos por delante? ¿No es este el convite del zorro a la gata13?

Immaginate: come avrebbe potuto competere Facundo, in un terreno intransitabile, contro seicento fanti, una formidabile batteria di artiglieri e mille cavalli in prima linea? Non è forse l’invito della volpe alla

cicogna?

Va segnalato infine che la presenza di diversi errori di stampa nell’edizione critica di riferimento ha contribuito, in alcuni casi, a creare problemi di comprensione, sebbene la corretta interpretazione fosse il più delle volte chiaramente desumibile dal contesto. Nei casi più dubbi ci si è riferiti alla già citata edizione digitalizzata su proyectosarmiento.com per operare le correzioni. Indichiamo, a titolo esemplificativo, tre casi particolarmente equivoci, con la relativa correzione:

p. 223

Por otra parte, el clero que tanto había fomentado la oposición al Congreso y a la Constitución, había tenido sobrado tiempo para medir el abismo a que conducían la civilización y los defensores del culto exclusivo de la clase de Facundo, Lopez y demás, y no vaciló en prestar adhesión decidida al general Paz.

Por otra parte, el clero que tanto había fomentado la oposición al Congreso y a la Constitución, había tenido sobrado tiempo para medir el abismo a que conducían la civilización los defensores del culto exclusivo de la clase de Facundo, Lopez y demás, y no vaciló en prestar adhesión decidida al general Paz.

p.

316 Un año después todavía no hanconcluido las Parroquias de dar su fiesta, el vértigo oficial pasa de la ciudad a la campaña, y esa cosa de nunca acabar.

Un año después todavía no han concluido las Parroquias de dar su fiesta, el vértigo oficial pasa de la ciudad a la campaña, y es cosa de nunca acabar.

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p. 283

«Gaucho ladrón de vacas!» exclama, «caro te va a costar el placer de montar en buey!»

«Gaucho ladrón de vacas!» exclama, «caro te va a costar el placer de montar en bueno!»

4.3. Il rapporto con le fonti

Diversi studi critici sottolineano il carattere essenzialmente autonomo, da autodidatta, della formazione sarmientina. La sua modalità di conoscenza si fonda quasi totalmente sulla lettura: una lettura vorace, nella volontà di assimilare il più possibile dai testi14. Basti pensare che Sarmiento vedrà per la

prima volta Buenos Aires e la Pampa solo nel 1851, quando parteciperà alla campagna di Urquiza contro Rosas. Le descrizioni paesaggistiche a cui si appoggia per dipingere gli stessi scenari nel Facundo sono quelle dei viaggi di geografi e scienziati, gli stessi autori che ritroviamo citati nella maggior parte delle epigrafi che aprono ciascun capitolo del testo15.

A questo sapere letterario va sommato un ulteriore canale informativo, che costituisce una peculiare modalità di conoscenza: «creer en lo que se escucha, en lo que se dice, creer también en la eficacia de ciertas imágenes… El aprendizaje (y el saber) sarmientino tiene mucho de creencia, de confianza en lo que enseñan los sentidos»16. Nella Advertencia del Autor, contenuta nella 14 In una lettera giovanile ad Alberdi, Sarmiento scrive: «Cuando como yo, no ha podido un joven

recibir una educación regular y sistemada, cuando se han bebido ciertas doctrinas a que uno se adhiere por creerlas incostentables, cuando se ha tenido desde muy temprano el penoso trabajo de discernir, de escoger por decirlo así, los principios que debían formar su educación, se adquiere una especie de independencia, de insubordinación que hace que no respetemos mucho lo que la preocupación y el tiempo han sancionado, y este libertinaje literario que en mí existe, me ha hecho abrazar con ardor las ideas que se apuntaron en algunos discursos del salón literario de la capital»(citato in RICARDOROJAS,

El profeta de la Pampa, Buenos Aires, Losada, 1945, p. 114, corsivo mio).

15 Un interessante studio di Roberto González Echevarría approfondisce il rapporto tra il Facundo

e la letteratura scientifica di viaggio: Sarmiento scoprirà sé stesso ed esplorerà la cultura argentina dalla distanza, partendo da un modello riconoscibile, europeo, ma allo stesso tempo superandolo, rivendicando la propria originalità e istituendo di fatto un nuovo impianto narrativo destinato a mantenere la sua influenza fino ai primi decenni del Novecento.(cfr. R.G.ECHEVARRÍA,

Redescubrimiento del mundo perdido: el Facundo de Sarmiento, in «Revista Iberoamericana», LIV, 143, abril-junio 1988, pp. 385-406).Sulla stessa scia, Lelia Area ha parlato di «ficcionalización del paisaje, paisaje narrativo que se vuelve paisaje político fundado por referencias literarias» (L. AREA, Geografías

imaginarias: el Facundo y La Campaña en el Ejercito Grande de Domingo Faustino Sarmiento, in «Revista Iberoamericana», LXVII/194-195, enero-junio 2001, p. 96).

16 GRACIELA BATTICUORE, Sarmiento: lector de imágenes, escritor de prodigios, in «Revista

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prima edizione in volume, Sarmiento sintetizza questo metodo di lavoro, spiegando di aver raccolto i dati «[…] consultando un testigo ocular sobre un punto, registrando manuscritos formados a la ligera, o apelando a las propias reminisciencias…»17.

Nel suo prezioso studio Los epígrafes y la elaboración del Facundo, Emilio Carilla rivede la distinzione tra queste due modalità all’interno del testo. Ai due strumenti paratestuali delle epigrafi e delle note a piè di pagina corrisponderebbero infatti due funzioni diverse: le epigrafi che aprono ciascun capitolo contengono citazioni di autori stranieri non strettamente legati alla storia nazionale, ma piuttosto funzionali alla riflessione, alla comparazione e al commento; le note, invece, si riferiscono ad aspetti storico-documentali e a chiarimenti dell’autore in una dimensione essenzialmente locale e aneddotica18.

La traduzione ha dovuto misurarsi appunto con queste due modalità di citazione interne all’opera. A un livello generale va riscontrata l’assenza di un criterio univoco nei riferimenti: nel caso delle epigrafi, il più delle volte Sarmiento non cita i testi in lingua originale, ma impiega in prevalenza il francese, accanto all’inglese o allo spagnolo, e sembra affidarsi in quest’ultimo caso alla sua personale traduzione e rielaborazione. Le fonti risultano difficili da rintracciare con precisione dal momento che mancano informazioni – nella maggior parte dei casi il titolo – e i nomi degli autori e delle opere risultano a volte errati. Per quanto riguarda, invece, le citazioni interne, per i documenti storici è possibile osservare una maggiore esattezza, e in alcuni casi vengono addirittura fornite informazioni bibliografiche come tomo e numero di pagine, ad esempio per la Histoire de Venise di Pierre Daru19 o per la Histoire de Paris di

George Touchard-Lafosse20. Ciò nonostante, l’impianto non è esente da errori.

Da una prospettiva critica, il rapporto con le fonti e la gestione del metodo «citazione» nel Facundo è stato considerato emblematico di una

17D. F.SARMIENTO, Facundo, cit., p. 33.

18Cfr. E.CARILLA, Los epígrafes y la elaboración del Facundo, in «Boletín de la Academia Argentina de

Letras», 54, 1989, pp. 149-150.

19D. F.SARMIENTO, Facundo, cit., p. 313. 20Ivi, p. 320.

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specifica modalità di appropriazione della cultura da parte di Sarmiento, secondo una tendenza che accomuna la letteratura rioplatense post-indipendenza. Se, come nota Carilla21, un’identificazione a priori tra l’utilizzo

delle fonti e la cultura letteraria di Sarmiento è un’operazione rischiosa (l’autore avrebbe potuto con molta probabilità rifarsi a citazioni presenti in riviste del tempo, dal momento che questa era una pratica frequente), il criterio che emerge è quello di una gestione personale del modello europeo, che diventa punto di partenza per una riconoscibilità, ma allo stesso tempo è insufficiente a spiegare la complessità della cultura argentina, e per questo viene rielaborato22.

Un quadro di riferimenti tanto articolato ha posto il problema dell’affidabilità: si è cercato di riportare il sistema a una omogeneità correggendo e segnalando, in nota, questi aspetti. Come suggerisce Carilla

la misión del traductor, en el caso de una obra con las complejidades del Facundo, no debe reducirse a la limitada traslación de un texto dado. [...] No se trata de “corregir” el texto, sino de señalar las particularidades tan llamativas que tienen las “versiones” y arreglos sarmientinos, así como las anomalías. Todo esto, fácil de subsanar con una serie de notas ilustrativas...23.

Nella traduzione delle epigrafi e delle citazioni interne si è cercato di mantenere un criterio di coerenza che tenesse conto dell’effetto di straniamento linguistico, inevitabilmente legato alla disomogeneità delle lingue utilizzate da Sarmiento. Si è scelto di tradurre solo i riferimenti in lingua spagnola, mentre le citazioni in francese sono state mantenute e tradotte in nota a piè di pagina. Quando possibile è stata inserita la traduzione italiana

21 E.CARILLA, Los epígrafes y la elaboración del Facundo, cit., p. 157.

22 Si vedano a questo proposito, GEMA ARETAMARIGÓ, Sarmiento, a vueltas con la barbarie, in

«Cuadernos Hispanoamericanos», n.551, mayo 1996, pp. 7-16 e RICARDOPIGLIA, Notas sobre Facundo,

in «Punto de vista», III, n.8, marzo-junio 1980, pp.15-18. Da una prospettiva singolare, Piglia analizza la modalità della citazione nel Facundo mettendo in relazione gli errori e le imprecisioni con una natura in qualche modo «viziata» del sapere acquisito, che vuole essere esibito ma allo stesso tempo manifesterebbe la sua essenza di «cultura di seconda mano».

(17)

accreditata, come nel caso della Storia della Repubblica di Venezia o delle citazioni di Shakespeare.

A questo proposito, una breve parentesi sull’epigrafe del capitolo X può risultare esemplificativa del tipo di approccio necessario. Sarmiento non inserisce l’epigrafe con il testo originale di Shakespeare, ma la traduzione in francese, consentendoci di affermare con molta probabilità che è questa la lingua in cui ha letto l’opera. A proposito del testo francese va notato che il traduttore, Pierre Letourneur, si è concesso un margine relativamente ampio di rielaborazione dell’originale shakespeariano («Que cherchez vous ? Si vous êtes jaloux de voir un assemblage effrayant de maux y d’horreur, vous l’avez trouvé»24) che appare più immediato («What is it you would see? If aught of

woe or wonder, cease your search25»). D’altra parte, tuttavia, è proprio

l’immagine sicuramente d’effetto di un «assemblage effrayant de maux y d’horreur» quella a cui Sarmiento intende far riferimento nella narrazione degli orrori e delle efferatezze compiute da Quiroga dopo la sconfitta della Tablada e dei suoi singolari mezzi di finanziamento della successiva battaglia di Oncativo. Per questo tra le varie traduzioni italiane esistenti – che in linea di massima mostrano una certa fedeltà all’originale – si è scelto di adottare quella di Michele Leoni («Che cerchi? Se in traccia vai di non più vista scena/ Di disastri, e d’orror, tu l’hai trovata»26): nonostante la lingua risulti maggiormente

datata, la sua proposta è parsa la più vicina a quella particolare connessione semantica che Sarmiento, tramite l’epigrafe, intende creare fin dall’inizio nella mente del lettore.

Sempre a proposito delle epigrafi, è da sottolineare l’incisività del rapporto intertestuale stabilito dall’autore. Il legame con il contenuto di ciascun capitolo viene svelato a poco a poco, man mano che si procede nella lettura, e alcune soluzioni si rivelano una piacevole sorpresa agli occhi del lettore, con un effetto particolarmente riuscito. Circa a metà del capitolo XI,

24 P. LETOURNEUR, Oeuvres dramatiques de Shakespeare, Paris, Lavigne, 1836, p.59. 25 W. SHAKESPEARE, Hamlet, Prince of Denmark, V, 2, vv. 312-313.

26 W. SHAKESPEARE, Amleto, tragedia di G. Shakspeare, trad. it. di Michele Leoni, Firenze, Vittorio

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ad esempio, compare la scena in cui i tre caudillos per eccellenza, Rosas, López e Quiroga, si sfidano quasi per gioco nei pressi del torrente Pavón, ostentando la propria abilità a cavallo e contendendosi metaforicamente il governo:

Estas justas del Arroyo de Pavón han tenido una celebridad fabulosa por toda la República, lo que no dejó de contribuir a allanar el camino del poder al campeón de la jornada, ¡el imperio AL MAS DE A CABALLO27!

È chiaro, a questo punto, il senso dell’epigrafe iniziale, tratta dal Riccardo III di Shakespeare, e citata nuovamente in francese: «Un cheval! Vite un cheval!... Mon royaume pour un cheval!»28.

Un’ultima osservazione interessante a proposito di un particolare trabocchetto posto dall’epigrafe al capitolo XIII: il testo è tratto da The History

of the Five Indian Nations of Canada dello storico scozzese Cadwallader Colden29:

la citazione inserita da Sarmiento in spagnolo riporta equivocamente

El fuego que por tanto tiempo abrasó la

Albania, se apagó ya. Se ha limpiado toda

la sangre roja, y las lágrimas de nuestros hijos han sido enjugadas. Ahora nos atamos con el lazo de la federación y de la amistad30.

Come osserva acutamente Carrilla, la traduzione corretta deve riportare «Albany», dal momento che il contesto geografico ci porta sicuramente in America Settentrionale e non in Europa:

Il fuoco che per tanto tempo ha bruciato

Albany si è ormai spento. Tutto il rosso

del sangue è stato lavato, e le lacrime dei nostri figli sono state asciugate. Ora ci lega il nodo della federazione e dell’amicizia.

27D. F.SARMIENTO, Facundo, cit., p. 242. 28Ivi, p. 237.

29 Il titolo è peraltro citato erroneamente dallo stesso Sarmiento come History of six nations. Si veda

a proposito la nostra traduzione, cap. XIII, nota 1, p. 76.

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4.4. Coordinate culturali

Uno degli aspetti da sempre più discussi nel dibattito teorico sulla traduzione è il rapporto con la componente culturale del testo di partenza. Se può apparire scontato affermare che la traduzione è un processo che coinvolge non soltanto le lingue ma anche e soprattutto le culture, solo scontrandosi concretamente con il testo si può percepire fino in fondo la responsabilità del traduttore in merito alle scelte e alle conseguenze che riguardano questo ambito, e si fa sempre più chiaro il senso della costante negoziazione richiesta.

Si è più volte sottolineato come il Facundo viva proprio grazie al legame con la dimensione culturale. Si tratta di un testo così intimamente legato alla storia, al territorio, alla cultura argentina che è impossibile pretendere di trasferire la stessa risposta di pubblico nella cultura di arrivo. L’opera non ha mai cessato di suscitare reazioni: a caldo, subito dopo la sua pubblicazione, così come anche nel nostro tempo. Le innumerevoli riflessioni prodotte dalla critica letteraria, le risposte spesso di rabbia e di condanna, sono la prova di quanto l’argomento incidesse sulle coscienze del mondo politico e culturale argentino contemporaneo all’autore e non solo31. Si potrà guardare a questo

mondo con estremo interesse, con curiosità, affascinati dalle descrizioni e dai racconti, turbati dalla violenza dei rivolgimenti storici; si potrà, infine, riflettere sulle dinamiche politiche così accuratamente tracciate da Sarmiento, come pure sulla bontà delle sue proposte. Ma sarà sempre l’occhio esterno di chi non vive questi eventi nella loro essenza, come parte della propria cultura. Ed è impossibile ragionare, da questo punto di vista generale, in termini di equivalenza d’effetto: leggendo il Facundo si prende atto già in partenza di questa distanza importante.

In linea di massima, l’idea è stata quella di evitare un’eccessiva esotizzazione del testo: proprio perché i riferimenti alla cultura sono costanti e

31 Per una panoramica sulla ricezione dell’opera si veda, ad esempio, il già citato A. PALCOS, El

Facundo: rasgos de Sarmiento (in particolare la prima parte, «Génesis y peripecías del Facundo»), e DIANA

SORENSENGOODRICH, The wars of persuasion: the early years of Facundo’s reception, in «Revista Hispánica

(20)

continui, il rischio è quello di appoggiarsi a priori al criterio «traslitterazione con nota» ogni qualvolta si incontrano termini che presentano particolari difficoltà di resa. Si è cercato, quando possibile, di proporre soluzioni alternative nel rispetto di un’ equivalenza dinamica che, secondo la definizione di Nida, mira a ricercare «il più vicino equivalente naturale del messaggio nella lingua di partenza, in primo luogo nel significato e in secondo luogo nello stile»32. Con la consapevolezza, ovviamente, della problematicità di questo

concetto. Si è applicato questo principio nel caso di termini che rimandano a realtà culturali trasferibili senza per questo essere decontestualizzate, come ad esempio alcune istituzioni e unità territoriali: casas del cabildo, «palazzo municipale»; villa/pueblo, «villaggio/paese»; sociedades industriales ganaderas, «consorzi di allevatori».

Entriamo così nel campo dei realia o culturemi, ovvero, in ambito traduttologico, quei termini che denotano oggetti della cultura materiale. I ricercatori bulgari Vlahov e Florin ne forniscono una definizione precisa:

[…] parole (e locuzioni composte) della lingua popolare che costituiscono denominazioni di oggetti, concetti, fenomeni tipici di un ambiente geografico, di una cultura, della vita materiale o di peculiarità storico-sociali di un popolo, di una nazione, di un paese, di una tribù, e che quindi sono portatrici di un colorito nazionale, locale o storico; queste parole non hanno corrispondenze precise in altre lingue33.

Nel Facundo i riferimenti a specifici «oggetti culturali» sono legati essenzialmente:

- all’ambito geografico: Pampa, Los Llanos, Los Pueblos, travesía ...

- all’ambito etnografico: leguas, varas, medio, real, onzas, pesos, fuertes, mate,

caña, poncho, bolas ...

32 EUGENENIDA, Principi di traduzione esemplificati dalla traduzione della Bibbia, in SIRINERGAARD (a

cura di), Teorie contemporanee della traduzione, Milano, Bompiani, 2002, p.162.

33 S. VLAHOV, S. FLORIN, Neperovodimoe v perevode. Realii, in «Masterstvo perevoda», n. 6, 1969,

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- all’ambito politico e sociale: oltre ai termini già citati in precedenza,

estancia, pulpería, Sala de Representantes, Fuerte, casa de Gobierno, Mazorca, Salón literario, montonera, lomos negros, federales netos, gaucho, caudillo, chusma ...

La scelta di mantenere alcuni di questi termini in spagnolo ha seguito due criteri: da un lato, l’effettiva assenza di un equivalente italiano in riferimento a specifiche realtà culturali, dall’altro il livello di interiorizzazione delle stesse nella cultura italiana. Nel primo caso (es. pulpería, montonera, Mazorca, bolas…) si è aggiunta in nota una breve spiegazione; nel secondo (gaucho, caudillo, mate,

poncho…) trattandosi di riferimenti ben noti, si è evitata la banalizzazione

attraverso una resa italiana che non avrebbe restituito a pieno le sfumature semantiche implicite. Si pensi a figure come quella del gaucho o del caudillo: il primo non è un semplice mandriano, ma un carattere intorno al quale ruota tutta una letteratura e che lo stesso Sarmiento nella prima parte dell’opera si impegna a descrivere con ricchezza di particolari. Allo stesso modo, il caudillo non è un semplice capo militare, ma un vero e proprio capo politico, che, attraverso un iter scandito esclusivamente da vittorie sul campo e azioni arbitrarie e populiste, giunge al potere. Non è a tutti gli effetti un dittatore, non è di certo un politico, ma sfrutta la sua azione militare per un’ascesa che va al di là dell’ambito della guerra e del combattimento. Tenendo conto anche del fatto che entrambi i termini compaiono nei più comuni dizionari italiani, in questi casi il corsivo non è stato utilizzato. Allo stesso tempo, la resa delle corrispondenti forme verbali gauchear e acaudillar ha dovuto procedere nel senso di una rielaborazione:

Montan a caballo los tres, y salen todas las mañanas a gauchear por la Pampa34.

Escono tutte le mattine a cavalcare per la Pampa, per fare mostra delle

loro abilità di gauchos.

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Mientras permaneció el Jeneral Paz en Córdova, acaudilló las montoneras mas obstinadas e intanjibles de la Sierra35.

Nel periodo in cui il generale Paz rimase a Cordoba, fu a capo delle montoneras più ostinate e intoccabili della Sierra.

Ulteriori casi di rielaborazione possono essere riscontrati nella traduzione di alcuni americanismi, come nell’esempio che segue:

Algunos toldos de indios fueron desbaratados, alguna chusma hecha prisionera36.

Alla voce chusma, il RAE riporta tra le accezioni:

4. f. Am. Conjunto de indios que, viviendo en comunidad, no eran guerreros, o sea mujeres, niños y viejos considerados en conjunto.

In traduzione il sostantivo è stato quindi esplicitato:

Vennero distrutte alcune tende indigene, e furono fatti alcuni prigionieri tra donne, vecchi e bambini

Diverso e più complesso il caso di alcuni termini carichi di precise sfumature semantiche impossibili da trasferire. In riferimento al gaucho malo, ad esempio, qualsiasi traduzione non riesce a rendere la peculiarità di questo carattere, descritto da Sarmiento nel capitolo II come uno dei quattro tipi argentini, insieme al rastreador, al baqueano e al cantor. Personaggio misterioso e temuto, il gaucho malo è un fuorilegge misantropo e solitario, perennemente a cavallo. L’aggettivo più adatto, pur nella sua neutralità, sembrerebbe essere «cattivo», ma la soluzione non giova alla resa italiana del testo, che appare pesante e palesemente calcata dallo spagnolo. L’alternativa migliore è sembrata

35Ivi, p. 305. 36Ivi, p. 288.

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quella di mantenere il termine originale, scelta che coinciderebbe in qualche modo con una tipizzazione di questo carattere.

Un ulteriore problema è quello della polisemia di alcuni termini, che sono stati tradotti con accezioni diverse a seconda del contesto: è il caso, ad esempio, di pueblos, reso alternativamente come «paesi», «popoli» o «gente». A questa problematica si collega anche la difficoltà di resa di alcuni toponimi. Il termine travesía , ad esempio, in molti punti del testo designa semplicemente un territorio desertico, una zona impervia; allo stesso tempo, però, si tratta anche di una specifica area delimitata da Sarmiento37, che è stata mantenuta nella

nostra traduzione perché ritenuta più affine al contesto.

Nel caso di Los Llanos, l’imprecisione grafica sull’uso alternativo del maiuscolo o del minuscolo costituisce un ulteriore elemento di difficoltà.

Llanos è un termine geografico generico che designa le zone pianeggianti e

quindi traducibile come «pianure». E con questa accezione è da intendersi soprattutto nei primi capitoli, in cui Sarmiento descrive la geografia dell’Argentina:

Diez años aún después de tu trágica muerte, el hombre de las ciudades y el gaucho de los llanos argentinos, al tomar diversos senderos en el desierto, decían: “No! no ha muerto! Vive aun! Él vendrá!!”38.

Colombia tiene llanos, vida pastoril, vida bárbara americana pura, y de ahí partió el gran Bolívar; de aquel barro hizo su glorioso edificio39.

Allo stesso tempo, però, in diversi punti del testo, Sarmiento definisce questa zona in termini ben precisi:

Ultimamente, al Sudeste y rodeados de estensas travesías, están los

Llanos, país quebrado y montañoso, a despecho de su nombre, oásis

de vegetación pastosa, que alimentó en otro tiempo millares de rebaños40.

37 «Media entre las ciudades de San Luis y San Juan un dilatado desierto, que por su falta completa

de agua recibe el nombre de travesía», ivi, p. 127.

38Ivi, p. 38. 39Ivi, p. 49. 40Ivi, p. 146.

(24)

[...] contaban con el apoyo de D. Prudencio Quiroga, residente en los

Llanos y muy querido de los habitantes [...]. Los Llanos, como ya

llevo dicho, son un oásis montañoso de pasto, enclavados en el centro de una extensa travesía: sus habitantes, pastores esclusivamente, viven en la vida patriarcal y primitiva que aquel aislamiento conserva toda su pureza bárbara y hostil a las ciudades41.

Inoltre viene istituito un rapporto diretto tra Facundo e Los Llanos di La Rioja:

Facundo Quiroga fue hijo de un sanjuanino de humilde condición, pero que avecindado en los Llanos de la Rioja había adquirido en el pastoreo una regular fortuna42.

In continuità con questa interpretazione ci sembra debba essere letto anche l’epiteto Tigre de Los Llanos riferito a Facundo:

También a él le llamaron tigre de los Llanos, y no le sentaba mal esta denominación, a fé43.

La traduzione del termine ha tenuto conto, essenzialmente, del contesto: quando il riferimento è apparso più marcato e maggiormente rispondente a una precisa località geografica, la traduzione italiana ha mantenuto «Los Llanos», identificando il luogo; negli altri casi è stato reso come «pianure».

Il già citato sostantivo tigre pone dei problemi di errata contestualizzazione: l’animale a cui si fa riferimento è più plausibilmente il giaguaro e non la tigre, la cui area di diffusione è l’India e non di certo il Sudamerica. È Sarmiento stesso a chiarire l’origine dell’errore, motivandolo con la tendenza dei colonizzatori all’esportazione della propria cultura:

[…] los españoles al desembarcar en América, daban un nombre europeo conocido a un animal nuevo que encontraban; salutando con el terrible de león […] al miserable gato llamado puma, que huye a la vista de los perros, y tigre al jaguar de nuestros bosques44.

41Ivi, p. 148. 42Ivi, pp. 131-132. 43Ivi, p. 130. 44Ivi, pp. 103-104.

(25)

Ciò nonostante, l’animale tigre compare in diversi punti del testo spesso con lettera maiuscola, sempre in riferimento a Quiroga, come in questo esempio:

[...] logran reunir las sumas perdidas, para hacer volver a sus deudos del camino que conduce a la guarida del Tigre45.

In questi casi, in conformità con la scelta di conservare in spagnolo l’epiteto El

Tigre de Los Llanos, la traduzione ha mantenuto «Tigre», segnalando però in

corsivo il termine per evidenziarne la ricchezza semantica:

[...] riescono a raccogliere le somme richieste, per riportare indietro i loro cari dal cammino che conduce alla tana della Tigre.

Una soluzione diversa dovrebbe essere adottata invece nell’episodio della lotta contro il giaguaro del capitolo V: non è stato oggetto diretto della nostra traduzione ma è importante tenerne conto per impostare un criterio di logicità nella scelta. In questo caso sarebbe possibile tradurre «giaguaro», dal momento che far scontrare Facundo con una tigre darebbe luogo a un’incoerenza culturale, spiegando in nota il problema. Un unico caso, nella nostra traduzione, ha seguito questa seconda direzione, dal momento che il sostantivo «tigre», è apparso sganciato dal riferimento diretto a Quiroga:

Facundo vuela a la ciudad, y al amanecer del día siguiente estaba como

el tigre acecho, con sus cañones e infantes46.

Facundo torna di volata in città e all’alba del giorno seguente resta in

agguato come un giaguaro con i suoi cannoni e i suoi fanti .

Un ulteriore banco di prova nel contesto della trasposizione culturale è costituito dalla resa della fraseologia. Pur non trattandosi di un elemento particolarmente caratterizzante nell’ottica complessiva del testo, può essere interessante fare accenno a un caso di espressione idiomatica la cui traduzione è stata vincolata alla presenza del paratesto autoriale. Nel capitolo XIII, a chi

45Ivi, p. 231. 46Ivi, p. 217.

(26)

gli fa notare come la strada per l’affermazione del sistema federale sia ormai in discesa, Facundo replica perplesso: «Todavía hay trapitos que machucar»47. Si

potrebbe tentare una soluzione equivalente in italiano con l’espressione: «ne abbiamo ancora, di gatte da pelare!», con la dislocazione della frase a conferire un tono maggiormente colloquiale. Tuttavia, l’intervento autoriale limita fortemente questo tipo di operazione sostitutiva, dal momento che Sarmiento spiega in nota il significato del modo di dire popolare trapitos que machucar:

Frase vulgar tomada del modo de lavar de la plebe golpeando la ropa; quiere decir que todavía faltan muchas dificultades que vencer48.

È stato quindi necessario appiattire la vivacità dell’espressione e fornire una traduzione letterale: «Abbiamo ancora tanti stracci da battere».

4.5. Aspetti linguistici e stilistici

Una delle caratteristiche più evidenti della modalità espressiva di Sarmiento all’interno del Facundo è quella che Fernández Pedemonte ha definito «rottura dell’isotopia stilistica»49: in altre parole, la compresenza di

diversi linguaggi, diversi paradigmi e generi all’interno del testo. A un macrolivello di analisi, la varietà può essere ricondotta all’intreccio tra la dimensione argomentativa e la dimensione narrativa; tra un Sarmiento cronista e saggista, che si propone attivamente di delineare un quadro che costituisca un’analisi su base sociale della condizione argentina, e un Sarmiento narratore50, che si cimenta nell’aneddotica e nelle digressioni paesaggistiche,

cosciente del suo ruolo di scrittore e con una precisa volontà stilistica. Questo aspetto si manifesta anche attraverso la ricerca di un rapporto costante con il

47Ivi, p. 282. 48Ibidem.

49 D. FERNÁNDEZPEDEMONTE, Sarmiento: polémica sobre una estética polémica, in «Rilce. Revista de

Filología Hispánica», 8, n.1, 1992, p. 45.

50 Sulla peculiarità del concetto di ficción applicato al Facundo si veda RICARDOPIGLIA, Sarmiento,

escritor, in «Revista de Filología», XXXI, n.1-2, 1998, pp.19-34: nell’Argentina del XIX secolo, in un momento in cui la letteratura è indissolubilmente legata alla politica e si predilige la parola vera all’invenzione, la dimensione narrativa si configura come strumento a servizio della realtà e della verità.

(27)

lettore, rispetto al quale vengono adottate specifiche strategie di comunicazione che prendono a prestito tecniche dell’oralità e della retorica come incisi, appelli, apostrofi. Soffermandosi sull’andamento generale del testo, nel suo dispiegarsi pagina dopo pagina, questa ricchezza si traduce in una certa discrepanza, in un’alternanza nella resa e, perché non dirlo, nell’ efficacia della presentazione dei contenuti. È quel cambiamento di ritmo che Emilio Carilla individua in alcuni momenti specifici del testo51, ma che ci

sembra possibile estendere a tutta l’opera come tratto stilistico dominante. La traduzione ha risentito inevitabilmente di questo aspetto: si è avvertita spesso la sensazione di trovarsi in balia del testo, senza riuscire totalmente a domarlo, pur percependone la chiara forza; un’urgenza di affastellare il materiale, scaraventandolo spesso sul lettore senza che questi abbia il tempo di assimilarlo: «Sarmiento trata menos de demostrar que de convencer […]: es como una suerte de presión que se ejerce sobre el lector, cubriéndolo de datos como para que se entere de algo cuya enormidad o monstruosidad tiene fatalmente que condenar»52.

Un primo approccio ha puntato a una resa quanto più possibile aderente all’originale, nella convinzione che il testo potesse rivelarsi così nella sua luce essenziale. Questa scelta ha portato a un risultato interessante e ben visibile agli occhi del lettore: sono le sezioni più marcatamente saggistiche a beneficiare dell’operazione. La traduzione dei passaggi in cui l’autore si sofferma ad analizzare le cause dei fenomeni illustrati, a spiegare, a proporre, a dare giudizi, risulta molto più agile e scorrevole rispetto a momenti più specificamente narrativi del testo. In queste sezioni dell’opera la lingua trova maggiore respiro, la sintassi – sebbene non rinunci alla complessità e alla ricerca dell’effetto – appare più distesa. L’intervento sul testo è stato dunque ridotto al minimo, a testimonianza della grande abilità di Sarmiento come

51Cfr. E. CARILLA, Lengua y estilo en el Facundo, Universidad Nacional de Tucumán, Buenos Aires,

1955, p. 14: «[…] pesadez de arranque y rapidez de peso. Son suyas [di Sarmiento] estas lucidas palabras que evitan las redundancias del comentario ajeno: «Mis ideas se arrastran al comenzar el escrito, que no adquiere vigor sino a medida que avanza[…]».

(28)

saggista e analista delle dinamiche storiche e culturali del suo tempo. Al contrario la descrizione delle battaglie, la narrazione di alcuni aneddoti, così come anche alcuni passaggi di analisi politica che sfociano nello sfogo e nell’attacco, attraverso una resa letterale sembrano perdersi in costruzioni ridondanti e ripetizioni, e sembrano risentire dell’inevitabile semplificazione lessicale che è il risultato del passaggio alla lingua italiana, più ricca e articolata dal punto di vista espressivo. La traduzione ha richiesto in questo caso un intervento più incisivo sul testo, nel tentativo di smussare alcuni aspetti che agli occhi e alle orecchie del lettore suonano come vere e proprie stonature, esempi di quell’ «italiano delle traduzioni» che sarebbe sempre auspicabile evitare. In molti casi si è cercato di snellire la sintassi, spezzando il periodo come nella scena che segue, che descrive l’ultimo atto d’amore di un giovane oppositore di Facundo:

Pobre iluso! Cuánto hubiera dado por la vida! Al confesarse había sacado una sortija de la boca donde, para que no se la quitaran, habíala escondido, encargando al sacerdote devolverla a su linda prometida, que al recibirla dió en cambio la razon, que no ha recobrado hasta hoy la pobre loca53!

Povero illuso! Quanto avrebbe dato per poter vivere! Mentre si confessava aveva tirato fuori di bocca un anello, che si era impegnato a nascondere perché non glielo portassero via, incaricando il sacerdote di renderlo alla sua bella promessa. Al riceverlo, la giovane diede in cambio la ragione, e ancora oggi non l’ha recuperata, povera pazza!

Emergono alcuni tratti caratteristici della sintassi sarmientina, come la preferenza per il periodo lungo e il conseguente impiego di subordinate e forme relative, e costruzioni ellittiche legate a un’articolazione in fieri, spontanea, del discorso. Gli stessi aspetti si riscontrano anche in sezioni maggiormente discorsive:

A Rosas además debe la República Argentina en estos últimos años

haber llenado de su nombre, de sus luchas y de la discusión de sus

intereses el mundo civilizado, y puéstola en contacto más inmediato

(29)

con la Europa, forzando a sus sabios y a sus políticos contraerse a estudiar este mundo trasatlántico, que tan importante papel está llamado a figurar en el mundo futuro54.

Di fronte all’uso costante di forme pronominali enclitiche, la traduzione italiana appare spesso meno agile e più ridondante rispetto all’originale:

Porque él ha estado continuamente suscitando querellas a los Gobiernos vecinos y a los europeos; porque él nos ha privado del comercio con Chile, ha ensangrentado al Uruguay, malquistádose con el Brasil, atraídose un bloqueo de la Francia, los vejámenes de la marina norte-americana, las hostilidades de la inglesa, y metídose en un laberinto de guerras interminables ...55.

Poiché egli ha ricercato costantemente lo scontro con i governi vicini e con gli europei, poiché ci ha privati del commercio con il Cile, ha insanguinato l’Uruguay, si è inimicato il Brasile, ha attirato su di sé il blocco della Francia, gli scherni della marina nordamericana, le ostilità di quella inglese, e si è perso in un labirinto di guerre interminabili …

Come si può notare, un ulteriore problema è rappresentato dall’uso abbondante del gerundio, che conferisce al testo un’eccessiva semplicità e ripetitività all’orecchio. Si è cercato di spezzare queste costruzioni, quando possibile, sfruttando gli strumenti sintattici della lingua italiana (incisi, participi) ma lasciando il più possibile intatti i segni di punteggiatura, salvo in casi strettamente necessari.

Navarro queda solo en la guardia, entorna la puerta y con su florete defiende la entrada; catorce heridas de sables y bayonetas recibe el alférez, i apretándose con una mano tres bayonetazos que ha recibido cerca de la ingle, con el otro brazo cubriéndose cinco que le han traspasado el pecho, y ahogándose con la sangre que corre a torrentes de la cabeza, se dirije desde allí a su casa, donde recobra la salud y la vida despues de siete meses de una curacion desesperada y casi imposible56.

Navarro rimane da solo ad assicurare la difesa, socchiude la porta e protegge l’entrata con la sua spada; il sottotenente incassa quattordici ferite da sciabola e baionetta e, mentre si ferma con una mano tre colpi ricevuti all’inguine e col braccio altri cinque che gli hanno

54Ivi, p. 342. 55Ivi, p. 367. 56Ivi, p. 254.

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trapassato il petto, soffocato dal sangue che gli scorre a fiumi dalla testa, da lì fa ritorno a casa propria, dove recupera salute e vita dopo sette mesi di cure disperate che hanno quasi del miracoloso.

Risalta il tono espressionistico della scena, un certo gusto per i dettagli crudi e macabri che è possibile ritrovare in diversi punti del testo. Si tratta di semplici descrizioni di gesti, senza grandi pretese di stile, che spesso sconvolgono per l’obiettività, la freddezza e l’assenza di coinvolgimento emotivo da parte dell’autore: appaiono dettate dall’urgenza di comunicare il clima di drammatica violenza vissuto dagli oppositori di Quiroga, e allo stesso tempo sono funzionali alla rappresentazione degli istinti più barbari di cui il caudillo è espressione. Nell’esempio che segue viene descritta la tortura inflitta al giovane Rodríguez, accusato ingiustamente di aver favorito la comunicazione tra i profughi e i loro familiari:

[...] Quiroga toma las gruesas riendas que sirven para la ejecucion, batiéndolas en el aire con su brazo hercúleo, y descarga cincuenta azotes para que sirvan de modelo. Concluido el acto, él en persona remueve la tina de salmuera, le refriega las nalgas, le arranca los pedazos flotantes, y le mete el puño en las concavidades que aquellos han dejado57.

In traduzione il linguaggio sembra perdere particolarmente dal punto di vista stilistico; tuttavia tentare di arricchire, come in altri punti è stato fatto (soprattutto per la sintassi), non produce gli stessi effetti sconvolgenti dell’originale.

Quiroga afferra le grosse redini utilizzate per l’esecuzione, scuotendole in aria con il suo braccio erculeo, e scarica cinquanta frustate perché servano da modello. Terminata l’operazione, lui in persona mescola la tinozza della salamoia, gli strofina le natiche, gli strappa i lembi di pelle rimasti sollevati e gli mette il pugno nelle piaghe che vi si sono formate.

A fare da contraltare è la ricchezza retorica delle descrizioni paesaggistiche, che rivelano la particolare abilità di Sarmiento nel tratteggiare la

(31)

realtà con uno stile plastico e visuale, che colpisce il lettore per la concretezza delle immagini. Il paesaggio di Tucumán, ad esempio, viene presentato con un sottile gioco metaforico:

Imaginaos los Andes cubiertos de un manto verdinegro de vegetación colosal, dejando escapar por debajo de la orla de este vestido, doce ríos que corren a distancias iguales en dirección paralela, hasta que empiezan a inclinarse todos hacia un rumbo, y forman reunidos un canal navegable que se aventura en el corazón de la América58.

In questi casi la resa letterale, salvo piccole modifiche sintattiche, consente di restituire in maniera abbastanza efficace la bellezza dell’ immagine:

Immaginatevi le Ande coperte da un manto verde scuro di vegetazione colossale, che lasciano sfuggire dal lembo di quest’abito dodici fiumi che scorrono alla stessa distanza l’uno dall’altro in direzione parallela, finché non iniziano a inclinarsi tutti verso un’unica rotta e, riunitisi, formano un canale navigabile che si avventura nel cuore dell’America.

L’interesse, tutto romantico, per il paesaggio si fonde con la celebrazione della natura e della vegetazione autoctona59:

El nogal entreteje su anchuroso ramaje con el caoba y el ébano; el cedro deja crecer a su lado el clásico laurel, que a su vez resguarda bajo su follaje el mirto consagrado a Venus; dejando todavía espacio para que alcen sus varas el nardo balsámico y la azucena de los campos60.

Il lessico di Sarmiento è ricchissimo e spazia dall’abbigliamento, al commercio, alla scienza, al mondo dei mestieri, della campagna e della botanica, passando per suggestioni bibliche e poetiche, come i costanti riferimenti al mondo del teatro. Dal punto di vista della traduzione possono

58Ivi, p. 266.

59 Secondo una linea che accomuna diversi autori ispanoamericani contemporanei o di poco

precedenti a Sarmiento: cfr. in particolare José Maria Heredia, En el teocalli de Cholula (1832), o Andrés Bello, Silva a la agricoltura de la zona tórrida (1826); sempre dello stesso autore, sono significativi i vv.189-206 della Alocución a la poesía (1823): «[...]donde cándida miel llevan las cañas, /y animado carmín la tuna cría,/donde tremola el algodón su nieve,/y el ananás sazona su ambrosía;/de sus racimos la variada copia/rinde el palmar, da azucarados globos /el zapotillo, su manteca ofrece /la verde palta, da el añil su tinta...».

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