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Sicurezza sismica delle strutture industriali
L’eterogeneità delle strutture industriali, che si differenziano per vari aspetti quali la tipologia di struttura, le lavorazioni che si svolgono all’interno e i materiali utilizzati, rendono lo studio della vulnerabilità sismica ancora più complesso rispetto a quello di strutture civili, più facilmente riconducibili a poche tipologie.
La predisposizione di una costruzione ad essere danneggiata assume una rilevanza ancora maggiore se ci riferiamo ad edifici industriali; se infatti all’evento sismico associamo la pericolosità intrinseca di un edificio industriale dovuta alle sostanze pericolose utilizzate e alla presenza di macchinari ne derivano conseguenze socio economiche non trascurabili.
Aspetto da non sottovalutare è infatti il tessuto urbano in cui queste strutture sono inserite; i danni registrati in seguito ad un evento sismico possono essere:
- Ristretti: nel caso di stabilimenti caratterizzati dalla presenza di soli macchinari; - Mediamente consistenti: nel caso in cui tali danni siano per esempio
accompagnati dalla fuoriuscita di sostanze infiammabili con conseguente innesco di incendio sia in zone operative che di stoccaggio dei materiali, ma comunque circoscritto all’area dello stabilimento;
- Gravi: nel caso del danneggiamento di centrali nucleari dove il materiale radioattivo può facilmente contaminare vaste aree del territorio circostante. In generale la fragilità degli impianti e la vulnerabilità dei materiali pericolosi utilizzati oltre alla vulnerabilità della struttura stessa non può essere trascurata nello studio del rischio sismico delle strutture industriali, il quale è alla base per non permettere che conseguenze disastrose, alle quali talvolta siamo stati costretti ad assistere, possano ripetersi nuovamente.
In riferimento a quanto sopra detto sono annoverabili alcuni eventi sismici del recente passato che hanno causato ingenti danni non solo in termini di vite umane, ma anche in termini ambientali, produttivi e socio economici. Il primo caso storico di evento sismico ad aver interessato una concentrazione urbana industrializzata producendo danni gravissimi al sistema edilizio, vario e produttivo fu quello avvenuto a Kobe nel 1995.
Si ricorda inoltre il terremoto del 1999 a Izmit (Turchia) che causò l’incendio del più grande stabilimento petrolchimico turco con conseguente collasso di un serbatoio di stoccaggio nella raffineria di Yarimca, arrecando danni ambientali ed atmosferici e problemi di approvvigionamento di combustibile per il trasporto.
Nella raffineria di Off Tomakomai City (Giappone) nel 2003 a 220 km dall’epicentro in seguito al sisma un serbatoio contenente greggio si incendiò dopo l'evento principale, successivamente un serbatoio con nafta si incendiò durante un aftershock; 45 dei 105 serbatoi presenti nella raffineria furono danneggiati, 30 in modo grave, 29 con fuoriuscita di liquido. La rottura delle coperture dei serbatoi, alle quali seguirono gli incendi, si dovette ai movimenti ondosi “di pelo libero” (sloshing) dei liquidi infiammabili contenuti, innescati dalle vibrazioni sismiche.
Più recente è l’incendio avvenuto nella centrale nucleare di Fukushima (Giappone) a seguito del terremoto che nel 2011 ha colpito il paese, il quale provocò la fuoriuscita di centinaia di tonnellate di acqua radioattiva che si riversarono in mare. Figura 2.1
Figura 2.1: Incendio nella centrale nucleare di Fukushima (Giappone)
Per quanto riguarda il territorio italiano, esso per la sua posizione geografica, è il paese del Mediterraneo a maggior rischio sismico. Mediamente, ogni anno vengono
registrate circa 2.000 scosse telluriche, alcune delle quali ultimamente sono state di forte drammaticità e di esiti disastrosi sia in termini umani che sociali ed economici: basti pensare all’Aquila ed ai terremoti in Emilia e nel mantovano.
In particolare, possiamo attribuire a diverse regioni della Penisola una pericolosità sismica medio-alta. Rispetto ad altri paesi come la California o il Giappone (nei quali la pericolosità è anche maggiore), l'Italia ha inoltre una vulnerabilità molto elevata a causa della notevole fragilità del suo patrimonio edilizio, nonché del sistema infrastrutturale, industriale e produttivo. Anche per quanto riguarda l’esposizione, quest’ultima si attesta su valori altissimi, in considerazione dell’alta densità abitativa e della presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale di elevato valore.
Focalizzando l’attenzione sugli edifici industriali è automatico purtroppo ricordare il recente terremoto che nel 2012 colpì l’Emilia. Figura 2.2 e 2.3. A seguito del sisma sono stati danneggiati moltissimi capannoni industriali con conseguente distruzione di gran parte del ciclo produttivo. In particolare da indagini post-sismiche è stato osservato che rilevante è stato il danno agli elementi secondari “non strutturali”, ovvero si è manifestato il collasso di scaffalature con conseguente perdita dei contenuti portati, di tamponamenti, di tubazioni e parti di impianto.
Figura 2.3: Crollo di un capannone industriale. Terremoto Emilia 2012
Gli esempi sopra riportati hanno evidenziato un’elevata vulnerabilità delle costruzioni ad uso industriale realizzate in assenza di criteri di progettazione anti-sismica sia a livello internazionale che nazionale. Tale tema risulta quindi di estrema attualità anche per il territorio italiano. Quanto avvenuto in Emilia Romagna è soltanto uno degli scenari che potrebbero ancora verificarsi data l’estrema vulnerabilità del nostro patrimonio edilizio. Fondamentale è perciò il ruolo svolto dall’ingegneria antisismica nello studio della vulnerabilità sismica degli edifici, in particolare delle strutture industriali, al fine di evitare conseguenze disastrose in seguito ad eventi naturali catastrofici.
2.1 Gli eventi Na Tech
Si definiscono Na-Tech (Natural-Tcnological Event) gli eventi naturali catastrofici che comportano un rischio tecnologico.
La prima definizione in letteratura di evento Na-‐Tech è stata fornita nel 1992 da due ricercatrici americane, Showalter e Myers: un disastro naturale che
crea una catastrofica calamità tecnologica (Showalter e Myers, 1992).
In particolare, questi eventi includono l’insieme degli incidenti tecnologici, quali esplosioni, incendi e rilasci tossici che possono verificarsi all’interno di complessi industriali, lungo reti di distribuzione o anche all’interno di laboratori che trattano materiali pericolosi, in conseguenza di eventi calamitosi di origine naturale (terremoti, tsunami, alluvioni, etc.). La magnitudo di tali incidenti è inoltre amplificata dal possibile contemporaneo fuori servizio dei sistemi di mitigazione preposti al contenimento degli eventi o alla messa in sicurezza degli impianti. Non è da trascurare inoltre il danno economico che può derivare dal blocco della produzione di un impianto. Sebbene si possa pensare che tali combinazioni di eventi abbiano una probabilità di accadimento trascurabile, molti studi (MAHB, 2003; Young, 2002) confermano che in realtà il numero e l’intensità degli eventi Na-Tech è in costante crescita anche a seguito dello sviluppo e dell’aumento di complessità degli insediamenti umani esposti alle catastrofi naturali.
Il terremoto avvenuto il 17 agosto 1999 nei pressi della località di Koceali (Turchia) causò significativi danni strutturali e la distruzione di attrezzature e impianti industriali con la conseguente generazione di molti eventi Na-Tech : rilascio di sostanze pericolose e giganteschi incendi.
Tra questi eventi, due sono particolarmente degni di nota a causa delle loro estensioni e conseguenze:
• Il massiccio incendio alla raffineria Tupras di Izmit in Korfez - Kocaeli, durato 5
giorni e spento grazie anche agli aiuti internazionali; il secondo incendio divampò nell’ impianto di trasformazione del petrolio greggio. Uno dei due “stack” dell’impianto, con un’altezza di 115 e un diametro di 10,5 metri, crollò a causa del terremoto, danneggiando seriamente la fornace dell’impianto e rompendo una serie di tubi di collegamento. Il terzo e il più grande incendio accadde presso il serbatoio di nafta: il fuoco divampò in quattro serbatoi della nafta a causa delle scintille provocate dallo sfregamento del tetto scorrevole dei serbatoi con le guarnizioni metalliche della loro parte interna (metallo contro metallo). L’intensità del sisma fu tale da causare l’interruzione della fornitura dell’energia elettrica e le pompe dell'acqua furono alimentate da generatori diesel la cui capacità era nettamente insufficiente.
Figura 2.3: Rottura di un serbatoio di stoccaggio nella raffineria di Yarimca (Turchia) durante il terremoto di Izmit nel 1999
• La fuoriuscita di 6500 tonnellate di acrilonitrile presso lo stabilimento di produzione di fibre acriliche della fabbrica AKSA in Ciftlikkoy – Yalova. Tale evento ha portato alla morte di animali domestici e al danneggiamento di attività agricole, causando un inquinamento ambientale che ha richiesto cinque anni di trattamento continuo di bonifica . Fu consigliata in seguito al sisma l’evacuazione di un aria di 6 km di raggio dall’impianto. La mancanza di energia elettrica e l’insufficiente fornitura di acqua furono due importanti fattori aggravanti degli eventi Na-‐Tech durante il terremoto.
La probabilità che si inneschi l’effetto domino all’interno di uno stabilimento industriale in seguito al sisma è perciò molto elevata e ovviamente legata alle caratteristiche intrinseche dello stabilimento stesso, la vicinanza delle attrezzature, la presenza di materiale stoccato e il trasporto di sostanze pericolose possono contribuire in maniera rilevante ad innescare questo fenomeno .
2.1.1 Analisi dei rischi
La pericolosità sismica definisce la probabilità, con cui un terremoto di una determinata potenza si verificherà in un determinato luogo in un intervallo di tempo. E’ perciò un concetto che va sempre riferito alla probabilità che un dato evento accada.
Per definire la pericolosità sismica si utilizzano informazioni su terremoti storici, tettonica e geologia, descrizioni storiche di danni e modelli di propagazione delle onde.
La stima della pericolosità sismica è il primo passo per valutare e limitare il rischio sismico, definito come il prodotto della probabilità di accadimento per la magnitudo del danno atteso.
R = p M
In sostanza il rischio non tiene conto solo della probabilità di un certo evento naturale, ma anche degli effetti che esso avrà, sia in termini di perdita di vite umane che in termini di danno economico e danneggiamento delle infrastrutture.
Per gli eventi Na-Tech esso è esprimibile come:
RNT = f(p, V, E)
Ovvero è funzione di tre fattori:
• della probabilità p associata al verificarsi dell’evento naturale di determinata intensità;
• della vulnerabilità V delle tubazioni ed apparecchiature critiche;
• dell’esposizione E intesa come estensione dei danni con particolare riferimento
al numero di persone, beni, infrastrutture, servizi potenzialmente coinvolti dagli effetti degli eventi incidentali .
Negli ultimi anni sono state elaborate diverse metodologie per la valutazione quantitativa del rischio Na-Tech relativo ai terremoti. Tali metodologie comportano:
1. La stima della probabilità di eccedenza (EP), ovvero la probabilità che un dato valore del picco di accelerazione (PGA) superi un assegnato valore in uno specifico intervallo di tempo (generalmente legato alla vita nominale della costruzione o dell’impianto);
2. Per ogni apparecchiatura critica, la stima della probabilità associata ad una determinata tipologia di danno (lieve, moderato, grave, catastrofico), per ciascun valore della PGA di riferimento;
3. Per ciascuna apparecchiatura critica e per ogni valore di PGA, la stima delle conseguenze associate a ciascuna tipologia di danno;
4. L’identificazione di tutte le combinazioni credibili di eventi (contemporaneità di eventi, compresi effetti domino), e stima delle relative frequenze di accadimento;
5. La stima delle conseguenze di tutte le combinazioni credibili di eventi e la valutazione della vulnerabilità;
6. La stima del rischio RNT associato al sisma di una certa intensità (PGA), che
provoca un effetto di magnitudo E per un dato impianto che ha vulnerabilità V.
L’approccio metodologico descritto è rigoroso e completo, ma presenta alcune difficoltà di applicazione in quanto per lo svolgimento sono necessarie molte informazioni non sempre disponibili, come per esempio le curve di fragilità di apparecchiature di impianto diverse dai serbatoi atmosferici non sempre reperibili.
Alcuni autori come Cruz ed Okada hanno proposto metodi semplificativi di approccio al problema della valutazione del rischio Na – Tech e si rimanda ad essi per ulteriori approfondimenti.
2.2 Sistemi innovativi di protezione sismica
In passato l’obiettivo dell’ingegneria antisismica è stato per molto tempo quello di salvaguardare le vite umane realizzando delle strutture in grado di resistere all’evento sismico, senza crollare, facendo unicamente affidamento alla duttilità delle membrature, ma allo stesso tempo prevedendo e accettando il verificarsi di danni ingenti della struttura stessa e delle finiture e impianti presenti
all’interno. Spesso in seguito all’evento sismico si hanno quindi elevati costi associati alla riabilitazione dell’edificio e alla riparazione o sostituzione degli impianti; talvolta può risultare addirittura più conveniente la demolizione e ricostruzione dell’ intera struttura.
In seguito a ciò negli ultimi decenni sono state affinate tecniche di protezione simica.
La protezione sismica degli edifici ricopre un ruolo molto importante non solo per la salvaguardia delle vite umane, ma anche per la difesa dell’integrità delle apparecchiature e dispositivi contenuti all’interno.
I benefici economici di un edificio progettato con tali criteri non sono immediati, perché l’investimento economico iniziale è maggiore, ma nel lungo periodo la struttura si mantiene integra.
Le tecniche utilizzate sono sostanzialmente due:
• Isolamento sismico • Dissipazione di energia
L’isolamento sismico consiste essenzialmente nel ridurre l’energia cinetica in arrivo disaccoppiando il moto del terreno da quello della struttura mediante delle sconnessioni poste lungo l’altezza della colonna (solitamente alla base) , mentre la dissipazione di energia tende a concentrare l’energia su dei dispositivi che hanno la funzione di assorbirla. I dispositivi di controllo strutturale possono essere classificati in 3 grandi categorie in base al modo in cui rispondono all’eccitazione indotta dal sisma.
1) Sistemi attivi
Sono progettati per monitorare lo stato della struttura nel tempo, elaborarne le informazioni e applicare in tempo reale un insieme di forze interne in modo da regolarne più favorevolmente lo stato dinamico della struttura. Questi sistemi sono molto complessi e costosi da realizzare, inoltre funzionano solamente in presenza di energia elettrica.
2) Sistemi semi-attivi
L’apporto di energia è ridotto rispetto ai sistemi attivi ed il controllo dello stato della struttura non è effettuato a livello globale. Il controllo è limitato alle proprietà locali dei dispositivi.
3) Sistemi passivi
Sono sistemi il cui comportamento dipende solo dalle caratteristiche fisico-meccaniche dei dispositivi. Non necessitano di energia ed hanno un costo contenuto.
2.2.1 Sistemi di protezione passiva
Tra i sistemi descritti al paragrafo precedente, quelli di protezione passiva sono i più utilizzati. I dispositivi interagiscono passivamente con la struttura, mantenendo per tutta la vita della costruzione un comportamento costante come stabilito in fase di progetto.
Una tecnica molto efficace è quella della dissipazione d’energia che consiste nell’inserimento nella struttura di dissipatori capaci, sotto l’azione sismica, di assorbire grandi quantità di energia. In questo caso, l’energia fornita alla struttura resta immutata, a differenza di quel che si vedrà nell’isolamento sismico, ma viene in gran parte assorbita dai dissipatori, con conseguente significativa riduzione delle sollecitazioni e degli spostamenti, e quindi della fase plastica. Generalmente questo metodo è basato sull’uso di controventi inseriti nelle maglie strutturali di edifici con struttura intelaiata e dotati di speciali dispositivi che dissipano l’energia trasmessa dal terremoto nella struttura, riducendo sensibilmente gli spostamenti di quest’ultima e, dunque, le richieste di duttilità. L’effetto sullo spettro di risposta è quello di ridurre i valori di accelerazione. Figura 2.4. Se la riduzione delle accelerazioni è notevole e/o se la struttura vera e propria è sufficientemente deformabile in campo elastico, la dissipazione di energia avviene solamente nei dispositivi aggiuntivi senza alcun danno alla struttura stessa.
Un altro metodo di protezione passiva è l’isolamento sismico. Quest’ultimo consiste essenzialmente nel disaccoppiare il moto del terreno da quello della struttura, introducendo una sconnessione lungo l’altezza della struttura stessa (generalmente alla base), che risulta quindi suddivisa in due parti:
• la sottostruttura , la parte della struttura posta al di sotto dell’interfaccia del
sistema d’isolamento e soggetta direttamente agli spostamenti imposti dal movimento sismico del terreno;
• la sovrastruttura, parte della struttura posta al di sopra dell’interfaccia di isolamento.
La continuità strutturale e con essa la trasmissione dei carichi verticali al terreno è garantita attraverso l’introduzione, fra sovrastruttura e sottostruttura, di particolari dispositivi detti isolatori.
La sottostruttura, generalmente molto rigida, subisce all’incirca la stessa accelerazione del terreno, mentre la sovrastruttura risente dei benefici derivanti dall’aumento di deformabilità dovuta all’introduzione degli isolatori, infatti essa si comporta quasi come un corpo rigido, subendo spostamenti relativi di interpiano molto contenuti. Di conseguenza si riducono drasticamente o si eliminano totalmente anche i danni alle parti non strutturali.
L’utilizzo degli isolatori porta il periodo proprio del sistema strutturale in una zona dello spettro a più bassa accelerazione. Il periodo proprio della struttura viene allontanato dalle frequenze di risonanza. Ovviamente l’aumento di periodo si traduce anche in un incremento di spostamenti che però si concentrano negli isolatori, dove viene assorbita e dissipata gran parte dell’energia immessa dal terremoto nel sistema strutturale. Figura 2.4.
Isolamento alla base Dissipazione di energia
Figura 2.4: Confronto tra il comportamento di una struttura a base fissa e una isolata
Come si può osservare in Figura 2.5 le accelerazioni prodotte dal sisma sulla struttura isolata risultano drasticamente minori rispetto a quelle prodotte nella configurazione a base fissa.
Figura 2.5: Confronto tra il comportamento di una struttura a base fissa e una isolata
2.2.2 Sistemi di isolamento sismico
Esistono, in generale, due tipologie principali di isolatori sismici che al loro interno racchiudono una vasta gamma di variazioni. Le due tipologie sono:
• Isolatori elastomerici
- Isolatori elastomerici
Gli isolatori elastomerici sono sostanzialmente costituiti da una serie di strati di gomma vulcanizzati a lamiere in acciaio, in modo da ottenere un dispositivo in grado di sopportare elevati carichi verticali con minima compressione (elevata rigidezza verticale) e di consentire elevati spostamenti orizzontali con reazioni relativamente piccole (bassa rigidezza orizzontale). Questi dispositivi sono dotati anche di un’adeguata capacità dissipativa conferita loro dal tipo di mescola elastomerica adottata. Solitamente il coefficiente di smorzamento viscoso equivalente varia per questi dispositivi tra il 10 % e il 15 %. Figura 2.6.
Figura 2.6: Immagine e tipico digramma isteretico di un isolatore elastomerico ottenuto in prove dinamiche ad ampiezza crescente
Accanto ai tradizionali isolatori elastomerici, sono stati introdotti gli isolatori elastomerici con nucleo centrale in piombo la cui plasticizzazione durante gli spostamenti orizzontali indotti dal sisma aumenta le capacità dissipative degli isolatori e di conseguenza della struttura in cui sono collocati. Per questa tipologia di isolatori il coefficiente di smorzamento viscoso equivalente può arrivare fino al 30 %. Figura 2.7.
Figura 2.7: Immagine e tipico digramma isteretico di un isolatore elastomerico con nucleo in piombo ottenuto in prove dinamiche ad ampiezza crescente.
• Isolatori a scorrimento
- Isolatori a scorrimento a superficie piana
- Isolatori ad attrito con superficie sferica (Friction pendolum System – FPS)
Gli isolatori a scorrimento a superficie piana sono apparecchi di appoggio multidirezionali con superfici di scorrimento a basso attrito. Sono sempre utilizzati in combinazione con altri dispositivi antisismici (isolatori e/o dissipatori).
Dovendo generalmente consentire ampi movimenti a 360°, gli isolatori sono caratterizzati da un elemento di scorrimento di notevoli dimensioni, di forma circolare o quadrata. Figura 2.9.
Figura 2.9: Isolatore a scorrimento a superficie piana con dissipatori
Il sistema FPS riduce gli effetti indesiderati sulle strutture indotti dall’azione sismica in due differenti modi: spostando il periodo naturale della struttura lontano dalle frequenze predominanti del sisma (attraverso il moto pendolare) e assorbendone l’energia (attraverso il comportamento a frizione). Una prima importante caratteristica di questo dispositivo riguarda il periodo proprio che risulta essere dipendente, principalmente, dal raggio di curvatura della superficie concava di contatto; variando questo si riescono ad ottenere diversi periodi di oscillazione. Il periodo risulta invece indipendente dalla massa della struttura. Il secondo importante meccanismo è quello che permette di assorbire parte dell’energia sismica, assorbimento che avviene mediante scorrimento attritivo;
la scelta del materiale e delle proprietà della superficie di scorrimento definisce la quantità di energia assorbita dal sistema. La capacità di ricentraggio è fornita dalla curvatura della superficie di scorrimento. Figura 2.10.
Figura 2.10: Immagine e tipico digramma isteretico di un isolatore a scorrimento a superficie curva ottenuto in una prova a velocità costante
2.2.3 Dispositivi di dissipazione dell’azione sismica
Una classificazione dei sistemi di dissipazione di energia può farsi sulla base del metodo utilizzato per conseguire la dissipazione, si individuano sostanzialmente tre tipi di dissipatori, corrispondenti a tre diversi principi di funzionamento:
• Viscosità: dispositivi che lavorano in funzione della velocità degli spostamenti. Rientrano in questa categoria gli smorzatori visco-fluidi: si tratta di cilindri cavi riempiti con materiale fluido, generalmente a base di silicone. Il pistone entrando in funzione obbliga il fluido a passare attraverso delle fessure o attraverso la testa del pistone stessa; la differenza di pressione risultante nel pistone genera delle forze che si oppongono al moto relativo del pistone. L’ attrito generato tra le particelle del fluido e la testa del pistone provoca dissipazione di energia sotto forma di calore.
• Isteresi: dispositivi che lavorano in funzione degli spostamenti. Sono dispositivi basati sulla deformazione plastica di materiali duttili, solitamente metallici. Rientrano in questa categoria i dispositivi elasto-plastici.
• Attrito: sfruttano il principio dell’attrito che si sviluppa tra due corpi solidi che slittano l’uno sull’altro, dissipando così energia sotto forma di
I dispositivi viscosi e viscoelastici (dipendenti dalla velocità) si basano su un meccanismo elementare in cui la forza reattiva Fd è proporzionale alla velocità di deformazione v(t).
Immaginando di applicare sul dispositivo una forza variabile nel tempo Fd(t), si misurerà durante l’applicazione della forza una deformazione x(t), corrispondente al moto relativo tra i punti di estremità del dispositivo, e una velocità di deformazione v(t) sempre nella direzione della forza applicata. Al termine dell’applicazione della forza il dispositivo si fermerà in corrispondenza della posizione finale. L’energia in ingresso risulta completamente dissipata al termie del processo. Le caratteristiche del fluido e la geometria dell’orifizio determinano la reazione di proporzionalità.
Nel caso di dispositivi viscoelastici, il materiale, in questo caso solido, presenta una capacità di dissipare energia dipendente dalla velocità come sopra descritto, ma a differenza di quelli viscosi questi sistemi hanno la capacità di ricentraggio ovvero di ritornare nella posizione iniziale quando termina l’applicazione della forza esterna. Per questi dispositivi la reazione forza- spostamento del dissipatore deriva dalla deformazione a taglio dei due strati di materiale; in base al valore a taglio della deformazione del materiale è possibile calibrare il corrispondente spostamento del dispositivo variando lo spessore degli strati mentre la rigidezza può essere controllata variando l’area. Le applicazioni in campo sismico sono iniziate introno gli anni ’90 utilizzando materiali polimerici.
Un'altra categoria sono i dispositivi isteretici, la loro risposta è scarsamente influenzata dalla velocità. Per quanto riguarda i dispositivi di tipo attritivo, in essi le capacità dissipative sono riconducibili ad un meccanismo elementare non lineare di tipo attritivo. Si tratta di sistemi puramente dissipativi, tutto il lavoro fatto dall’esterno viene trasformato in energia dissipata. La forza di attrito dipende dalla forza di contatto tra le superfici, la quale può essere controllata e ricalibrata durante la manutenzione. La forza trasmessa dipende dal materiale utilizzato, dalle caratteristiche superficiali delle parti a contatto e dalla forza di coazione . E’ da tenere in considerazione la dipendenza del coefficiente di attrito dalla velocità del moto relativo tra le superfici.
Dispositivi isteretici di tipo elasto-plastico sono basati sulla deformazione plastica dei materiali duttili, solitamente metallici. Prima di superare il valore di soglia si osserva una deformabilità, solitamente di tipo elastico. In alcuni casi questi dispositivi possono
conservare una rigidezza anche dopo aver superato il valore di soglia, in questo caso si parla di dispositivi elasto-plastico incrudenti.
Una caratteristica di questi dispositivi è la limitata capacità del materiale di subire deformazioni cicliche in campo plastico, in generale più l‘ampiezza della deformazione plastica è grande, meno cicli possono essere sostenuti dal materiale.
Ciò comporta che diversamente da tutti gli altri sistemi descritti questi devono essere sostituiti dopo che hanno svolto la loro funzione di protezione sismica dissipando energia.
Una seconda caratteristica riguarda le relazioni geometriche tra la deformazione locale del materiale e lo spostamento relativo delle estremità di dispositivo. Lo spostamento complessivo deriva dall’integrazione della deformazione locale sul tratto interessato dalla plasticizzazione ed è possibile raggiungere gli spostamenti necessari all’inserimento all’interno di telai solo se tale plasticizzazione non si localizza in zone ristrette ma riguarda un tratto sufficientemente lungo.[6]
Recentemente i dissipatori hanno trovato una buona applicazione nei controventi dissipativi. Figura 2.11
2.2.3.1
Controventi dissipativi
Quando l’inserimento dei dissipatori all’interno della struttura avviene per mezzo di controventi si parla di controventi dissipativi. Questi dispositivi hanno avuto grande applicazione nell’adeguamento sismico di strutture esistenti, in particolar modo offrono evidenti vantaggi nelle strutture intelaiate.
Il loro utilizzo ha come obiettivo quello di aumentare nel complesso la rigidezza, la resistenza e lo smorzamento del sistema strutturale oltre a limitare la deformazione negli elementi strutturali. Rispetto al sistema di isolamento sismico alla base, l’impiego di controventi dissipativi implica un aumento della rigidezza dell’edificio, ma essendo l’azione sismica indirizzata su smorzatori installati in punti opportuni è in questi ultimi che sono concentrate le deformazioni plastiche.
Una particolare tipologia sono i controventi instabilità impedita - BRB (Buckling restrained braces). Questi controventi dissipativi coinvolgono dispositivi isteretici; il loro utilizzo determina sempre un incremento di rigidezza complessiva del sistema, almeno nel campo di risposta elastica e una conseguente variazione di risposta dinamica dovuta alla riduzione del periodo. Figura 2.12.
Questo sistema è costituito da un fuso interno realizzato in acciaio ad alto snervamento circondato da un tubo in acciaio, tale elemento interno può avere diverse sezioni come riportato in Figura 2.13.
Figura 2.13: Sezione tipiche di elementi BRB
La regione tra il tubo e il controvento è riempita con un materiale simile a cls, mentre il controvento è protetto dal contatto con tale cls mediante un rivestimento. L’azione assiale esterna viene trasmessa direttamente al fuso interno. Poiché fuso e tubo sono sconnessi assialmente, il tubo non è soggetto a fenomeni di instabilità. Quando il fuso è soggetto a sforzi di compressione, il tubo esterno impedisce, grazie alla sua rigidezza flessionale, lo sbandamento. In questo modo il fuso può plasticizzarsi sia in trazione che in compressione.
Lo schema di utilizzo di questi elementi prevede la sostituzione degli elementi diagonali convenzionali con elementi diagonali ad instabilità impedita. L’effetto che si ha nella risposta sismica è quindi quello di ridurre gli spostamenti, con conseguente beneficio in termini di danneggiamento delle parti strutturali e determinare un incremento del taglio alla base, solitamente affidato al nuovo controvento.
E importante sottolineare che in una valutazione costi-benefici, il risparmio immediato dovuto al costo ridotto è compensato immediatamente dalla necessità di intervento ogni volta che un evento sismico provoca il superamento della soglia elastica.
l’applicazione di controventi ad instabilità impedita presso la scuola Gentile-Fermi di Ancona.
La
scuola Gentile-Fermi di Fabriano, costruita negli anni Cinquanta, quando Fabriano non era considerata a rischio sismico, fu resa inagibile dal sisma del 1997. L’intervento è consistito nell’inserimento di controventi metallici dotati di dissipatori di energia. Sono stati impiegati 33 dissipatori viscoelastici elastomerici.
Figura 2.14: Controventi ad instabilità impedita presso la scuola Gentile-Fermi, Ancona.
Un altro esempio di intervento attraverso l’impiego di controventi a instabilità impedita è quello presso il plesso scolastico Cappuccini a Ramacca (CT). Il miglioramento sismico è stato effettuato mediante l’inserimento di controventi dissipativi con l’obiettivo di ridurre l’effetto delle azioni orizzontali sul complesso strutturale in c.a.. La tipologia di dissipatori scelta per l’intervento, rientra nella categoria dei dissipatori isteretici assiali ad instabilità impedita (Buckling Restrained Axial Dampers - BRAD). Figura2.15.
Figura 2.15: Controventi ad instabilità impedita presso plesso scolastico Cappuccini a Ramacca (CT)