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Gli studi sulla teoria della prosa

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C A P I T O L O Q U I N T O

Gli studi sulla teoria della prosa

Gli studi di Pumpjanskij che stiamo per presentare si inseriscono indubbiamente nel contesto teorico letterario degli anni ‟20-„30 in cui si sviluppò il dibattito intorno al romanzo e alla prosa in generale. Già con Veselovskij, e con la coppia motivo-intreccio da lui elaborata nella Istoričeskaja poėtika (1893), si era avviata la riflessione teorica sul problema del romanzo, una riflessione che continuò con i lavori dei formalisti, specie con Viktor Šklovskij e con il suo O teorii prozy (1925) (Šklovskij 1983), e con rappresentanti di altri orientamenti metodologici (B. Grifcov, B. Arvatov, M. Bachtin, G. Lukàcs, G. Špet, V. Vinogradov). Non ci dedicheremo in questo capitolo a una rassegna delle teorie esposte fra gli anni ‟20 e ‟30; il tema – ampio e assai complesso – merita una trattazione separata ed è stata in parte affrontata da alcuni studiosi (Strada 1976: VII-LI; Belaja 1977; Strada 19802: 353-406; Aucouturier 1983; Belaja 1989; Emerson 1998). Volgeremo, invece, la nostra attenzione all‟analisi dei lavori di Pumpjanskij, tenendo conto di tutto il percorso sinora esposto. Come abbiamo più volte ribadito, lo scopo che ci prefiggiamo è quello di comprendere in prima battuta l‟insieme delle idee del critico per poi inserirle e discuterle, nel corso di studi futuri, in un contesto più esteso. Vediamo dunque come si articolano gli scritti del nostro attorno alla teoria della prosa.

5.1 La prosa di Puškin e Lermontov

Nel paragrafo del capitolo quarto dedicato a Puškin e alla fine del classicismo abbiamo osservato come l‟autore dell‟Onegin sia considerato da Pumpjanskij l‟artefice dell‟esaurimento di un‟epoca letteraria e del suo genere per eccellenza, l‟ode (Infra par. 4.5.5). Puškin dà inizio alla fortuna del poema e del romanzo, due

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generi in cui non si parla più di «poeta», ma di «autore», una figura autonoma che nega la supremazia di un ordine divino e lascia prevalere l‟individualità del suo eroe (Pumpjanskij 1922: 19). L‟autore, infatti, non è più subordinato alla volontà delle Muse, ma ha una personalità precisa e riconosce nel suo eroe l‟interlocutore principale. Come abbiamo evidenziato nel secondo capitolo, Pumpjanskij sostiene che nel poema Kavkazskij plennik Puškin scelga di far morire la circassa – il simbolo per antonomasia – negando la presenza di un ordine divino che sovrasta la realtà sensibile in cui vivono gli eroi e lo stesso autore (Infra par. 2.2.4). Tuttavia, nonostante l‟autore dell‟Onegin distrugga il rapporto che sin da Omero si era istituito fra aedo e Musa, egli, secondo Pumpjanskij, mantiene sempre vivo un tratto peculiare dell‟antichità: la descrizione idilliaca dei paesaggi che si riflette negli scenari e nei colori del Caucaso, così come la presenza del personaggio femminile, simbolo di una realtà intelligibile (Pumpjanskij 2000a: 565, 568). Come rileva il critico, nell‟opera puškiniana la grandezza del Caucaso si contrappone e si trasforma successivamente nella campagna russa dove si afferma in modo sempre più dirompente una nuova tipologia di eroe: l‟eroe dandy, ozioso, un eroe che mantiene la sua «поза релятивизма» («posa di relativismo») (Ibidem: 569). In sostanza, Evgenij viene visto da Pumpjanskij in contrapposizione al personaggio di Tat‟jana che, allo stesso modo della circassa del Kavkazskij plennik, diventa il simbolo del «classico», di quella realtà trascendente che aveva dominato l‟ode del Settecento e che continua ad esistere; con essa gli eroi puškiniani si misurano. In questa prospettiva, quindi, Evgenij è espressione di quella dimensione «relativa» di cui abbiamo parlato nel par. 2.2.4, ovvero una realtà fatta, in questo caso, di semplice quotidianità, di uomini appartenenti a una realtà terrena. Ecco perché Pumpjanskij, già nel 1923, aveva affermato che in Puškin i protagonisti del poema e del romanzo cessano di essere gli ideali simbolici forgiati dal volere delle Muse che prevalevano invece nell‟ode; essi esprimono ciò che prende il nome di «realismo» (Pumpjanskij 1977: 151).

Altro elemento che il critico individua come tratto distintivo del poema e del romanzo è la presenza di una storia amorosa fra il protagonista maschile e quello femminile. Abbiamo visto che l‟ode, per sua natura, non era votata alla descrizione o alla celebrazione dell‟amore, ma era sempre rivolta, qualsiasi

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fossero i mezzi espressivi di cui essa si avvalesse, all‟esaltazione del potere statale (Infra par. 4.5.1). Nella lettura di Pumpjanskij, il poema e il romanzo introducono proprio questo nuovo ingrediente che dà luogo allo sviluppo e al potenziamento di una trama (Pumpjanskij 1922: 18): «[…] национальная поэтическая концепция вполне была создана Пушкиным. И, действительно, все темы Достоевского (убийство, политика, заговор, любовь-ненависть) уже у Пушкина.» 179 (Ibidem). Le vicende amorose e personali che si intrecciano fra i protagonisti costruiti da Puškin – e successivamente da Lermontov, Gogol‟, Dostoevskij e Turgenev – ravvivano e consolidano il genere del romanzo che, sin dalla comparsa dell‟Onegin, dominerà incontrastato tutta la scena letteraria. Vediamo come, secondo il critico, questo itinerario viene proseguito dal cammino letterario di Lermontov.

Sull‟autore di Un eroe del nostro tempo Pumpjanskij scrisse già nel 1922, anno a cui risale il saggio Lermontov. Composto fra il 17 maggio e il 21 luglio 1922, il testo era parte del corso di “Storia della letteratura russa moderna” (AP SPb) e, oltre alle numerose liriche prese in esame – fra cui ricordiamo Džulio (1830), Parus (1832), Molitva (Ja, Mater’ Božia…) (1840) e Valerik (1843) – esso contiene alcune interessanti osservazioni su Pečorin. Il protagonista lermontoviano, scrive Pumpjanskij, è indubbiamente il continuo della tipologia di personaggio maschile introdotto da Il prigioniero del Caucaso, ovvero un ufficiale che si trova nella distesa caucasica e che è legato alle guerre condotte dall‟Impero (Pumpjanskij 2000e: 634). Egli ha in sé concentrati tutti i caratteri di una «композитная личность» («personalità composita») «che cresce dal passato della Russia e si proietta verso il futuro» (Ibidem: 634). Sebbene Pumpjanskij sia dell‟idea che Lermontov debba molto al suo predecessore Puškin non solo sul piano della poesia, ma anche su quello della prosa (si pensi alla nota vicinanza con il Gusar di Puškin) (Pumpjanskij 1941: 411), egli ritiene che il percorso verso la prosa intrapreso dall‟autore di Demon esprima caratteristiche diverse. Nel saggio Stichovaja reč’ Lermontova (Pumpjanskij 1941) in cui viene analizzata quasi esclusivamente la poesia, ci sono alcuni frammenti che a noi interessano

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«[…] la concezione poetica nazionale era già stata creata da Puškin. Ed effettivamente tutti i temi di Dostoevskij (l‟assassinio, la politica, l‟intrigo, la congiura, l‟amore-odio) già li troviamo in Puškin.»

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proprio per la trattazione relativa alla prosa. Nonostante la tipologia di prosa offerta da L’eroe del nostro tempo si inserisca nella linea puškiniana legata soprattutto al Gusar, il realismo in essa contenuta inizia ad aprire il cammino alla prosa realistica di Tolstoj (Ibidem: 409). Nell‟universo letterario di Lermontov, inoltre, Pumpjanskij registra un altro cambiamento rispetto alla tradizione puškiniana. Uno dei nessi che teneva ancora legato Puškin al patrimonio classico, ovvero la rappresentazione della natura, muta in Lermontov nell‟interesse nei confronti dell‟Oriente e delle sue tinte più „mistiche‟ (Ibidem: 603); Pumpjanskij nota, inoltre, il forte debito che viene contratto nei confronti della tradizione biblica in generale («Лермонтов – гений библический», «Lermontov è un genio biblico», Ibidem).

Passiamo ora ad analizzare i saggi dedicati ad un altro scrittore di prosa che occupò un ruolo privilegiato nella concezione di sviluppo dei generi e di storia della letteratura russa.

5.2 Gogol‟, la filosofia del riso e la prosa comica

Gli appunti e i saggi su Gogol‟ che Pumpjanskij scrisse nel periodo di Nevel‟ (1915/1916-1920) costituirono la base per ulteriori studi composti più tardi a Leningrado, ovvero in quello che abbiamo definito il periodo «neveliano» (1923-1927) (Infra p. 43). In particolar modo, l‟articolo Esperimento di costruzione di un’attività relativista secondo «Il Revisore» (Infra pp. 67, 84, 85, 87) e l‟intervento proposto al pubblico di «Vol‟fila» “Riflessioni su Il revisore di Gogol‟” (17 maggio 1921) furono lo spunto per ampliare le ricerche sull‟opera del romanziere russo. Nel 1922, infatti, il filologo iniziò la stesura del libro incompiuto Gogol’, pubblicato in parte e per la prima volta solo nel 1984 e 1986 (Pumpjanskij 1984; Pumpjanskij 1986) e poi edito in forma completa nel 2000 (Pumpjanskij 2000f).

Gogol’, scritto fra il 1922 e il 1925 e di cui si conservano capitoli separati, si distingue dalla relazione di «Vol‟fila» per la nuova teoria del comico in esso formulata (Nikolaev 1992: 224; Nikolaev 2000c: 710). Il libro si divide in tre

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sezioni: una parte in cui viene abbozzata una filosofia del riso; i capitoli dedicati all‟analisi di Nos (Il naso), che costituiscono la parte finale del prospetto del corso di storia di letteratura tenuto al Tenišev fra il 1921 e il 1922 e i capitoli riguardanti Le memorie di un pazzo dal titolo O «Zapiskach sumasšedšego» N.V. Gogolja (Su «Le memorie di un pazzo» di N.V. Gogol’) (Nikolaev 1986: 92) scritti nell‟estate 1923. A questo si aggiungono i brevissimi Zametki o «Mërtvych dušach» (Appunti su «Le anime morte») editi per la prima volta nel 2000 (Pumpjanskij 2000l) e scritti alla fine del 1924-inizio del 1925 (Nikolaev 2000c: 708), e gli appunti di un‟allieva di Pumpjanskij, R.M. Mirkina, che prese parte alla lezione “Fëdor Sologub e Gogol‟” tenuta dal critico nella metà degli anni ‟20. In queste ultime annotazioni il romanzo Melkij bes (Il demone meschino) di Sologub viene collocato nella tradizione de Le anime morte (Ibidem: 709).

La prima parte del saggio Gogol’ presenta molte riflessioni sulla teoria del riso e sottolinea la necessità di formularne una in modo sistematico: «Философия смеха [...] необходима.» (Pumpjanskij 2000f: 261). Per comprenderla nella sua giusta dimensione ed elaborarla in modo articolato Pumpjanskij parte dalle osservazioni contenute nella Poetica di Aristotele (Pumpjanskij 2000f: 261) e soprattutto dalle considerazioni in cui il filosofo greco istituisce una differenziazione fra poesia del biasimo (invettiva, poesia eroicomica, satira e commedia) e poesia della lode (inni, panegirici, poesia eroica, epica e tragedia). La prima, chiosa Aristotele, è intesa come imitazione delle azioni vili, mentre la seconda come imitazione di azioni nobili (Gallavotti 19978: 12-19). In sostanza, alla prima categoria possiamo attribuire la nozione di «comico» e alla seconda quella di «serio». Pumpjanskij ritiene possibile che il carattere binario della poesia così delineato da Aristotele sia un tratto costante, tipico della storia della letteratura, ovvero uno di quei moduli antichi che si è conservato sino ad oggi nell‟evoluzione dei generi letterari. Sulla base di queste considerazioni il critico arriva ad applicare allo sviluppo della letteratura russa quanto affermato da Aristotele.

Il carattere «serio» di Puškin consiste, secondo Pumpjanskij, nel suo tentativo di continuare a rappresentare un ideale universale così come avveniva nell‟ode del Settecento; questo è dimostrato, in base alla lettura dello studioso, dalla presenza

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nelle sue opere di simboli come la donna (Zemfira, la circassa) e i paesaggi idilliaci (Infra p. 86), ma anche dall‟utilizzo del lessico aulico dell‟ode che attesta il legame del poeta con la tradizione precedente (il Vstuplenie del Mednyj vsadnik e il tema del Pamjatnik) (Infra par. 4.5.5). Tuttavia, in Puškin, come abbiamo già detto (Infra par. 2.2.4), Pumpjanskij rileva un duplice aspetto: la presenza del «simbolo» – e quindi ciò che rende la sua opera «seria» – e antisimbolo – la rappresentazione della quotidianità, della storia politica – quel carattere che invece trasforma l‟opera puškiniana in «relativa» e quindi «comica». Secondo il critico, Gogol‟ continua la tradizione cosiddetta «relativa» aperta dall‟autore dell‟Onegin, costruendo dei personaggi che ricoprono il ruolo di impostori oppure degli eroi che sono calati in un determinato contesto storico come Taras Bul‟ba; essi, di fatto, sono lontani dalla rappresentazione di un ideale simbolico (Pumpjanskij 1997b: 13).

Dopo aver stabilito e definito sul piano teorico il nesso che lega Gogol‟ a Puškin, Pumpjanskij passa all‟analisi concreta dell‟opera dell‟autore de Le anime morte, anche se buona parte delle sue riflessioni rimane incompiuta.

Tutti gli scritti gogoliani sono suddivisi in tre periodi: una prima fase definita «biografica», di cui non vengono fornite le precise coordinate temporali, che viene caratterizzata come una fase in cui prevale il «презрение к провинции» («disprezzo per la provincia») (Pumpjanskij 2000f: 273); un secondo periodo che inizia nella primavera 1829 e termina con la pubblicazione di Taras Bul’ba nel 1835, che viene chiamato periodo dell‟«epos comico» («комический эпос»), in cui domina l‟interesse per l‟Ucraina (Ibidem) e una terza tappa che costituisce un riavvicinamento «fittizio» alla Russia e a Pietroburgo (Ibidem).

A differenza della prima che occupa uno spazio piuttosto marginale, la seconda e la terza fase, se pur non definite in modo completo, sono quella che costituiscono il centro delle analisi di Pumpjanskij. Vediamole.

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5.2.1 Il «carnevale» («карнавал») e l‟«epos comico» («комический эпос»)

Il secondo periodo che Pumpjanskij individua nell‟opera di Gogol‟ si articola negli anni fra la primavera del 1829, ovvero nei mesi in cui il romanziere scrisse alla madre per chiederle sostegno economico, e la pubblicazione di Taras Bul’ba nel 1835.

Attraverso una disamina stilistica lo studioso suddivide in due ulteriori gruppi le prime quattro povesti che vengono composte durante questo lasso temporale: da una parte, Soročinskaja jarmarka (La fiera di Soročincy) e Majskaja noč’ (La notte di maggio) e, dall‟altra, Večer nakanune Ivana Kupala (La sera della vigilia di Ivan Kupalo) e Propavšaja gramota (La lettera smarrita). Questo secondo raggruppamento, però, non viene preso in considerazione.

Le prime due povesti – Soročinskaja jarmarka e Majskaja noč’ – sono caratterizzate, secondo il critico, da una grande quantità di descrizioni di oggetti, descrizioni, in cui il colore e la luce prevalgono al punto tale da far pensare a un‟«allucinazione» («галлюцинация») più che a una vera e propria descrizione: «весь небесный свод, полдень, целые массы листвы, зажженной солнцем, целые полмира в тени, насекомые миллионами. […] Ярмарка – тоже галлюцинация […] громадный, явно декоративного типа фон […]»180

(Pumpjanskij 2000f: 274, 275). La serie di questi tratti stilistici, continua Pumpjanskij, spinge efficacemente le povesti gogoliane verso un mondo fantastico che cerca di fuggire dal reale, seppure si percepisca sempre un‟oscillazione fra ciò che è verità e ciò che invece rimane immaginazione e fantasia (Ibidem: 276). È proprio la strategia del «fantastico» a costituire uno dei punti più discussi dallo studioso. Il «fantastico», scrive il critico, si contrappone alla realtà, rappresenta un tentativo di distruzione di quest‟ultima, intende cioè dissacrarla per accedere a una dimensione alternativa. Alla base di queste formulazioni giace un assunto teorico che abbiamo in parte già definito.

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«tutta la volta celeste, il meriggio, le intere masse di fogliame bruciato dal sole, interi mondi a metà nell‟ombra, insetti a milioni. […] Anche la fiera è un‟allucinazione […] un immenso sfondo di tipo decorativo […]»

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La premessa di base consiste ancora una volta nella contrapposizione fra «simbolo» e sua «relativizzazione» e nel tentativo di ciascun autore, qualsiasi sia l‟epoca a cui esso appartiene, di riprodurre il mondo simbolico.

Nel Settecento e nel genere dell‟ode, come abbiamo ricordato, la „fuga‟ del poeta dalla propria realtà avveniva, secondo Pumpjanskij, attraverso l‟invocazione delle Muse che, con il dettato del canto, suggerivano al nuovo aedo il percorso letterario da compiere. Puškin, come abbiamo visto, ha distrutto il simbolo della Musa, e quindi ha messo fine al processo di ascesa verso la realtà simbolica. Nella lettura di Pumpjanskij, quindi, Gogol‟ non può più richiamare il simbolo adesso frantumato e l‟unico modo che ha per rifugiarsi in una dimensione alternativa è creare un‟ulteriore strategia che si sostituisca al simbolo (Ibidem: 277, 290). A questa nuova strategia Pumpjanskij attribuisce il nome di «comico» e «carnevale» (Ibidem: 277).

Le feste e il folclore che troviamo in Gogol‟, secondo lo studioso, mirano proprio a dare voce a un mondo che tenta di sottrarsi da quella realtà già abbozzata da Puškin, una realtà «relativa» che si impone con la propria storia e i propri personaggi; anche il riso, che costituisce una reazione a un momento di tensione, risponde al medesimo scopo (Ibidem: 280-284).

Il «comico» e il «carnevale» si fondono poi a una tipologia di narrazione che, secondo Pumpjanskij, ricorda la struttura dell‟epos omerico già rilevata a suo tempo da Belinskij (Ibidem: 291, 295). Le gesta eroiche di Taras Bul‟ba, le immagini di vita quotidiana, che conservano sempre una forte carica di pathos, ma anche il carattere idilliaco con cui sono descritte alcune scene (Ibidem: 303, 304, 306, 310, 311), sono incorporate nel tessuto del racconto al punto tale da poter essere paragonate all‟epos narrativo di argomento mitico. Tuttavia, ricorda Pumpjanskij, Gogol‟ è lontano dal voler rappresentare epopee di grandi eroi mitici, anche se il suo noto interesse per la storia poteva averlo indotto a voler creare una lingua omerica (Ibidem: 306). Le descrizioni di Taras Bul’ba sono più simili a una «cronaca familiare» di tipo cavalleresco (Ibidem: 295), dove lo schema che si propone è il medesimo dei poemi che avevano per oggetto le imprese dei cavalieri medievali: un padre saluta i due figli pronti per la battaglia, ricorda al maggiore la sua appartenenza all‟ordine cavalleresco, punisce il figlio

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traditore e vendica il primogenito: «единство отца с сыновей» – scrive Pumpjanskij – «есть черта рыцарская» («l‟unità fra padre e figli è il tratto cavalleresco», Ibidem: 296).

Passiamo ora a quello che Pumpjanskij definisce il «terzo periodo» gogoliano e vediamo come il critico lavora su altri due testi fondamentali.

5.2.2 Nos e Zapiski sumasšedšego

La terza fase che Pumpjanskij individua nello sviluppo dell‟opera di Gogol‟ viene definita come il periodo in cui si realizza un riavvicinamento ai temi e ai motivi della Russia e di Pietroburgo (Pumpjanskij 2000f: 273). Il romanziere, secondo la lettura dello studioso, abbandona l‟Ucraina e la suggestiva esperienza narrativa di Taras Bul’ba per collocare le azioni della narrazione sul suolo russo e in particolar modo su quello pietroburghese.

In Nos, scrive Pumpjanskij, non troviamo più quel carattere idilliaco con cui venivano descritte le scene di Taras Bul’ba, ma ci trasferiamo sullo sfondo della grande città di Pietroburgo, in cui domina la questione sociale (Ibidem: 325, 326). Nos è, quindi, il «первое произведение, которое з а д у м а н о по совершенно иному типу»181

(Ibidem: 325). La scelta di Pietroburgo, secondo il critico, ha significato per Gogol‟ il trasferimento in una realtà, in cui a prevalere non è soltanto il problema sociale, ma anche la cosiddetta «механизация личности чрез социальное ее значение» («meccanizzazione della personalità attraverso il suo significato sociale») che da essa deriva (Ibidem: 326, 327). Il presupposto teorico su cui poggiano queste affermazioni è l‟idea che Kovalëv aspiri a essere riconosciuto dal sistema sociale a cui appartiene; del resto, è lo stesso Gogol‟ a dire che il suo protagonista amava chiamarsi e farsi chiamare «майор» («maggiore») anziché «коллежский асессор» («assessore di collegio») (Gogol‟ 1938: 53). Siamo quindi di fronte allo sviluppo del personaggio: dall‟eroe che portava con sé il pathos dell‟impresa cavalleresca, si passa ora a rappresentare un

181

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činovnik, ridotto, suo malgrado, a un fantoccio, a un automa, la cui personalità è controllata dalla struttura sociale e burocratica di cui fa parte.

Nell‟incipit degli appunti dedicati ai Zapiski sumasšedšego Pumpjanskij ritorna sulla definizione del concetto di «follia» che aveva già cercato di chiarire in Dostoevskij i antičnost’ (Infra par. 3.3.5): «Сумасшествие есть один из видов изгнания, вытеснения за пределы жизни […]»182

(Pumpjanskij 2000f: 329). In sostanza, la follia, per il critico, si conferma ancora una volta l‟espediente per fuggire dalla realtà in cui i personaggi sono costretti a vivere. Nonostante nella letteratura russa, dice Pumpjanskij, non vi siano esempi fortunati di pazzia in senso lato, il primo caso letterario ad aver utilizzato questa categoria è stato proprio Puškin, il quale nel Mednyj vsadnik ha rappresentato una forma di follia attraverso l‟evoluzione del personaggio di Evgenij dopo la notizia della morte di Paraša (Ibidem: 330). La stessa pazzia, continua il critico, può essere ritrovata in Popriščin: sia nel Mednyj vsadnik che nei Zapiski sumasšedšego siamo infatti di fronte alla stessa città, alla stessa «нищета» («miseria») e anche allo stesso «мелкий человек» («individuo insignificante») (Ibidem). Non solo. Al fine di dimostrare la stretta dipendenza che lega Gogol‟ a Puškin, Pumpjanskij rintraccia in entrambi gli scrittori un precedente letterario comune: E.T.A. Hoffmann. Sia in Pikovaja dama (La donna di picche) che nei Zapiski sumasšedšego l‟idea di fantastico e di folle ripropone quell‟atmosfera hoffmaniana che porta con sé allucinazioni, miraggi e sdoppiamenti di personalità. Tuttavia, nota Pumpjanskij, questa tradizione letteraria, che conobbe il suo picco in Europa con Hoffmann, ma che era già conosciuta con lo Shakespeare dell‟Amleto, non ha riscosso in Russia molto successo se escludiamo l‟esperienza narrativa di V. Odoevskij. La pazzia degli eroi, continua lo studioso, avrebbe potuto raggiungere qui un‟alta potenzialità artistica e avrebbe permesso agli autori di astrarsi dalla realtà «relativa» in cui erano calati per cercare „ristoro‟ in un‟altra dimensione parallela. Ma, così come già detto in Dostoevskij e l’antichità e in Per una storia del classicismo russo, ciò che ha frenato questo processo di „ascesa verso l‟alto‟ è stato il v a l o r e s o c i a l e intrinseco che è custodito dalla storia letteraria

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russa (Ibidem: 332; Infra p. 87; Pumpjanskij 2000h: 32). Si ripete, pertanto, un caposaldo di Pumpjanskij sull‟evoluzione della storia letteraria russa.

5.2.3 La catalogazione del materiale gogoliano: gli appunti inediti dal terzo tomo delle Sočinenija di N.V. Gogol‟ (pod red. N.S. Tichonravova), Moskva 1889 (Mërtvye duši)

All‟inizio del 1923 Pumpjanskij lavorò su Le anime morte utilizzando il terzo tomo delle Sočinenija (Opere) di Gogol‟ nell‟edizione del 1889 curata da uno dei più autorevoli studiosi del XIX secolo, Nikolaj Savvič Tichonravov (1832-1893). In alcune pagine del volume, oggi custodito presso la Sezione Libri Rari della biblioteca dell‟Università di San Pietroburgo (Gogol‟ ORK NB SPbGU), si individua una scrupolosa schedatura del romanzo, una schedatura che Pumpjanskij realizzò servendosi di sottolineature di diversi colori (matite blu, rossa, rosa e nera) e appunti decifrabili grazie a una legenda posta all‟inizio del tomo. In essa si definiscono le seguenti categorie letterarie:

f.h.183 = Фиктивно-историографический стиль и фразеология184 f.h. dét.185 = Фикт.<ивно>-историогр.<афическая> детализация186 мех. сл. = механизация слов187 маш. = изображение людей как заводных машин или игрушек188 abs.189 = бессмыслица, словесный бред190 изд.191 διασ. = (διασσρμός) зр. = зрительный мир192 слух. = слуховой мир193 мот., муск. ф. = моторная, мускульная фантазия194 183 «fictive-historiographique» (dal fr.) 184

«stile fittizio-storiografico e fraseologia» 185

«fictive-historiographique détails» (dal fr.) 186

«elaborazione fittizio-storiografica dei dettagli» 187

«meccanizzazione delle parole» 188

«rappresentazione delle persone come macchine meccaniche o giocattoli» 189

«absurde» (dal fr.) 190

«nonsense, delirio letterario» 191 «издевательство» («scherno») 192 «mondo visivo» 193 «mondo acustico» 194

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звуч. колл. = «звучащий коллектив»195 арх. г. = архитектура города196 зв = звание197 к. = комната198 пр. = предмет199 явл. = явление (приезд, отъезд, дорога, гроза и пр.)200 (Gogol‟ ORK NB SPbGU ORK)

La legenda fu ampliata negli appunti dal titolo N.V. Gogol’, scritti all‟inizio del 1923 e pubblicati per la prima volta nel 2000 (Pumpjanskij 2000g). In essi Pumpjanskij aggiunse altre voci alla legenda che aveva formulato, come la «неправильность языка» («scorrettezza linguistica»), la «механизация человеческих движений, лиц, и пр.» («meccanizzazione dei movimenti dell‟individuo, delle persone etc…), «превращение движений человека в заводную игрушку» («trasformazione dei movimenti dell‟individuo in giocattolo meccanico») e «механизация слов (чрез повторение и пр.) («meccanizzazione delle parole (attraverso ripetizione etc…))» (Nikolaev 2000c: 706, 707) che dipendono evidentemente dalle categorie già enunciate. C‟è da dire, tuttavia, che, nonostante Pumpjanskij abbia metodicamente elaborato tutte queste classificazioni, egli non le ha applicate tutte e neppure a tutto il testo de Le anime morte, anzi, le sottolineature e gli appunti riguardano soltanto alcune categorie e alcune delle prime pagine del tomo. Guardiamone alcuni esempi.

La classe «abs.» («absurde, nonsense, delirio letterario») è utilizzata nei primi capitoli del testo gogoliano ed è spesso segnalata con una matita azzurra. Vediamo un paio di frammenti, riportando, così come nel volume su cui ha lavorato il critico, sia i diversi colori delle sottolineature che le sigle adoperate, le quali noi metteremo all‟interno di parentesi quadre [ ].

1) Siamo nel primo capitolo in cui si descrive l‟arrivo di Čičikov nella città di NN; l‟arrivo della carrozza dello straniero desta l‟attenzione di due contadini che fanno alcuni commenti sulle ruote della vetturina:

195

«collettivo suonante» 196

«architettura della città» 197 «grado» 198 «stanza» 199 «oggetto»

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«Вишь ты, – сказал один другому, – вон какое колесо! что ты думаешь, доедет то колесо, если б случилось, в Москву или не доедет?» – «Доедет», – отвечал другой. «А в Казань-то я думаю, не доедет?» – «В Казань не доедет», отвечал [abs.] (Gogol‟ ORK NB SPbGU: 3)

2) Troviamo l‟«absurde» sempre nel primo capitolo, quando viene descritta la stanza in cui alloggia Čičikov: «[abs.] Покой был известного рода, ибо гостиница была тоже известного рода есть именно такая как бывают гостиницы.» (Ibidem: 4)

Passiamo ad un‟altra categoria, quella che Pumpjanskij definisce «lo stile fittizio-storiografico e la fraseologia» designata dalla sigla «f.h.». Essa è solitamente indicata dalle sottolineature in matita rossa e si riferisce ai seguenti brani:

1) all‟inizio del primo capitolo, poco prima dei commenti dei due contadini, ovvero quando viene annunciato l‟arrivo di Čičikov, troviamo:

Въезд его не произвел в городе совершенно никакого шума и не был сопровожден ничем особенным; только [f.h.] два русские мужика стоявшие у дверей кабака против гостиницы, сделали кое-какие замечания. (Ibidem: 3) 2) ancora nel primo capitolo, quando Čičikov si dirige verso la sala comune: «Покамест слуги управлялись и возились, господин отправился в общую залу. Какие бывают эти общие залы – всякий проезжающий знает очень хорошо. [f.h.]» (Ibidem: 5)

Tutto questo dimostra come Pumpjanskij fosse interessato all‟analisi stilistica de Le anime morte per formulare una specifica tassonomia che identificasse e definisse nuove categorie letterarie nella prosa gogoliana. Il progetto, che teneva conto degli studi sulla teoria della prosa usciti in quegli anni (si pensi al Die Theorie des Romans di Lukács) (Spisok), ma anche alle ricerche di M. Bachtin, non ha evidentemente trovato un compimento sistematico, anche se, come abbiamo visto con Dostoevskij e l’antichità, esso sia stato abbozzato già a partire dalla fine degli anni „10. Mettiamo ora a confronto proprio un saggio concepito nel periodo di Nevel‟, che abbiamo già dettagliatamente discusso, con un altro scritto tardo di Pumpjanskij in cui continua il dibattito teorico intorno alla prosa.

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5.3 Due saggi a confronto: Dostoevskij e l’antichità (1922) e L’errore principale del romanzo «Invidia» (1931)

I due lavori che in questo paragrafo metteremo a confronto, al fine di capire come si evolvono le ricerche sulla teoria della prosa, sono il libretto del 1921, pubblicato nel 1922, Dostoevskij e l’antichità e il saggio Osnovnaja ošibka romana «Zavist’» (L’errore principale del romanzo «Invidia») scritto nel 1931 (Pumpjanskij 2000p). Prima di procedere a un parallelo fra i due scritti, sarà utile definire i contenuti del secondo testo.

Composto nel marzo del 1931 durante quella fase che abbiamo definito «sociologica» (Infra p. 48), le pagine sul romanzo di Jurij Oleša rappresentano la variante di un altro articolo dal titolo Ju. Oleša. «Zavist’» (Ju. Oleša. «Invidia»), scritto nell‟autunno 1928 e contenuto nel quaderno “Sovetskaja literatura 1917-1927 i sled.” (Letteratura sovietica 1917-1917-1927 e oltre) edito solo in parte nel 2000 (Nikolaev 2000c: 776); in quest‟ultimo lavoro Pumpjanskij accenna ai Zapiski iz podpol’ja (Memorie dal sottosuolo) e ai Brat’ja Karamazovy, elencando tutta la serie di romanzi che si distinguono da Zavist’, ovvero «от конфликтного романа старого времени» («dal romanzo conflittuale di vecchio stampo») (Ibidem). Pervaso da una chiara „sociologizzazione‟ del linguaggio, che, oltre a riflettere lo spirito dell‟epoca, è testimone del passaggio di Pumpjanskij a posizioni di tipo «sociologico», L’errore principale del romanzo «Invidia» accusa Oleša di non aver mostrato in modo d i a l e t t i c o la «lotta fra i personaggi» del romanzo, ovvero fra la cultura borghese rappresentata da Nikolaj Kavalerov, scrittore semifallito datosi all‟alcol, e quella proletaria, il cui esponente è Andrej Babičev, direttore dell‟Ente dell‟industria alimentare 201

. Pumpjanskij nota che, nell‟articolare lo scontro fra i due protagonisti, Oleša non riesce a definire in modo nitido i loro confini sociali e non dà alla sua opera la forma di una «sintesi»

201

Notiamo che subito dopo l‟uscita di Zavist’ la critica sovietica si divise sull‟identità sociale di Kavalerov e Babičev: alcuni, come il critico della RAPP Ermilov e lo studioso Percov, videro nel «salsicciaio» Babičev il «modello di futura umanità» (e quindi in Kavalerov il prototipo del borghese sabotatore), e altri, come Osip Brik, che accusarono Oleša di contrapporre «i forti, i potenti di questo mondo, i Babičev» agli «infelici, gli schiacciati Kavalerov e Ivan». Sul tema rimandiamo al saggio di Vittorio Strada I

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così come dovrebbe essere nel genere del romanzo, ma le attribuisce quella di un « d i a l o g o n e o k a n t i a n o » (Pumpjanskij 2000p: 551, 556). In questa rappresentazione dialogica, continua il critico, l‟autore non prende mai posizione né per Kavalerov e né per Andrej Babičev, dimostrandosi quindi assolutamente «neutrale» nei confronti dell‟uno e dell‟altro (Ibidem: 552, 554, 555). Oleša, scrive il critico, sostituisce alla «naturale» antitesi fra i due personaggi una serie di coppie oppositive che poco dicono sulla loro natura sociale: «здоровый, сильный – слабый, побежденный в биологическом подборе, невротический, биологически малоценный; приспособленный к реальности […] – неприспособленный […]; социально приспособленный – социально неприспособленный; удачник – неудачник; реалист – романтик.»202

(Ibidem: 556). Ciò che manca in questa indefinita antinomia è la coppia oppositiva principale: rivoluzionario-proletario versus romantico borghese (Ibidem).

Inoltre, nell‟organizzare i contenuti del saggio Pumpjanskij chiama spesso in causa il mondo del «sottosuolo» di Dostoevskij, evidenziando un confronto tipologico fra i personaggi dostoevskiani e la nevrosi di Kavalerov, il cui cognome ironicamente altisonante già ricorda i Vidopljasov e i Dolgorukij dell‟autore de I fratelli Karamazov (Ibidem: 553). C‟è, in altre parole, un elemento di continuità che unisce la pratica narrativa dei due romanzieri, ovvero la «follia», categoria letteraria cui ci siamo già soffermati quando abbiamo enucleato gli aspetti tematici di Dostoevskij (Infra 3.3.6). Questo significa che Pumpjanskij rintraccia uno schema comune che vede tramandarsi da una generazione di scrittori all‟altra, da quella di Dostoevskij a quella di Oleša. Ma c‟è un‟altra curiosa osservazione che vale la pena sottolineare. Nonostante L’errore principale del romanzo «Invidia» sia stato scritto quasi dieci anni dopo Dostoevskij e l’antichità, esso ripropone, senza alcun cambiamento sostanziale, la medesima terminologia e gli stessi moduli teorico-narrativi che Pumpjanskij aveva già formulato nel saggio del 1922. In entrambi ritroviamo, infatti, la «lotta fra l‟autore e l‟eroe» e la «follia» (Infra parr. 3.3.5, 3.3.6): a suo tempo, il critico aveva esaminato come l‟autore de I fratelli Karamazov combattesse contro il suo

202

«sano, forte – debole, vinto nella selezione biologica, nevrotico, biologicamente di poco valore; adatto alla realtà […] – inadatto […]; socialmente adatto – socialmente inadatto; uomo fortunato – uomo sfortunato; realista – romantico.»

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Raskol‟nikov, costantemente assalito dalla propria personalità «psicologica»; adesso lo studioso fa lo stesso, quando analizza il romanzo di Oleša, intravedendo in Invidia la medesima lotta fra autore ed eroe: Oleša, infatti, cerca di combattere con i suoi Babičev e Kavalerov, personaggio – quest‟ultimo – considerato tipologicamente molto simile a Raskol‟nikov. Tuttavia, fra le pratiche narrative dei due romanzieri Pumpjanskij registra una notevole differenza: Dostoevskij si fa vincere dal proprio eroe, quando lascia che i propri personaggi si «emancipino» (Raskol‟nikov ha una sua autonomia e Smerdjakov, il figlio illegittimo, si rivela l‟assassino), mentre Oleša, quando fa fallire il progetto di Kavalerov, non dà una connotazione sociale ai suoi eroi, si mantiene di fatto equidistante da essi.

Ciò che vale la pena sottolineare dall‟analisi di questo confronto è la comune terminologia utilizzata nei due lavori, una terminologia che risponde all‟impostazione strutturale degli scritti del periodo precedente. Nonostante l‟ufficiale adesione alla metodologia sociologica, quindi, Pumpjanskij mantiene saldo e compatto l‟impianto teorico formulato negli anni neveliani e su quella stessa linea sviluppa ora i suoi studi sulla teoria della prosa. Vediamo ora come queste ricerche si evolvano nella disamina di un altro importante romanziere che occupò un ruolo di primo piano nel tardo Pumpjanskij: Ivan Turgenev.

5.4 Le ricerche su Turgenev

Gli studi su Turgenev si concentrano principalmente nel periodo conclusivo della vita di Pumpjanskij, anche se una riflessione sul suo romanzo viene già offerta nel 1919, quando in Smysl poėzii Puškina il critico aveva ravvisato i tratti strutturali del romanzo turgeneviano, dicendo che in esso – e nella t i p o l o g i a del romanzo russo in generale – sono racchiusi valori come «il predominio della donna, la seduzione senza amore, la debolezza in amore» (Infra par. 2.2.4).

Nel 1929-1930, durante gli anni della cosiddetta «svolta sociologica», Pumpjanskij dette alle stampe alcuni saggi critici nell‟edizione accademica della raccolta delle opere di Turgenev (Pumpjanskij 1929; Pumpjanskij 1929a; Pumpjanskij 1929b; Pumpjanskij 1929c; Pumpjanskij 1930; Pumpjanskij 1930a;

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Pumpjanskij 1930b). Successivamente, come si evince dalla corrispondenza con la redazione della rivista «Literaturnyj kritik» risalente al luglio settembre 1938203, il critico avrebbe dovuto pubblicare sulle pagine del periodico un articolo dedicato al romanziere russo e la letteratura francese, articolo che probabilmente confluì in quello che divenne poi Turgenev i Zapad (Pumpjanskij 1940). In tutti questi lavori lo scrittore russo viene inserito nella linea della prosa puškiniana da cui dipende strettamente e viene visto non solo alla luce del contesto letterario europeo – il che di per sé già costituisce una singolare novità per il periodo in cui Pumpjanskij scrive –, ma viene analizzato anche e soprattutto per la struttura e il tessuto narrativo dei suoi romanzi. Lo stesso si verifica in alcuni passi del libro inedito Literatura Sovremennogo Zapada i Ameriki (AP SPb) e in frammenti del saggio su Proust, O Marsele Pruste (Pumpjanskij 1998), dove il nome di Turgenev compare ancora una volta per tornare a riflettere su elementi e categorie letterarie già definite, come per esempio l‟idea di «царевич-обманщик» («zarevič-impostore») (Ibidem: 14) (Infra par. 2.2.4). Vediamo allora come Pumpjanskij opera sulla base del materiale letterario offerto da Turgenev e cerchiamo di osservare da vicino la nuova tassonomia elaborata principalmente sulla base di Romany Turgeneva i roman «Nakanune» (Pumpjanskij 1929), in cui si individuano in modo più netto alcune categorie chiave.

5.4.1 Il «romanzo dell‟eroe» («героический роман»)

Ciò che, nella lettura di Pumpjanskij, caratterizza il romanzo di Turgenev è la c e n t r a l i t à d e l l ‟ e r o e (Pumpjanskij 1929: 9, 11, 12), un eroe che, chiosa il critico, è alla continua ricerca di se stesso (non a caso Pumpjanskij parla di «поиски героя» («ricerche dell‟eroe», Ibidem: 10). Si tratta di un eroe che tenta di autodefinirsi in tutte le sfere della propria vita, ivi compresa quella psicologica, pur non raggiungendo risultati concreti (Ibidem: 11); l‟eroe turgeneviano, dunque, è un eroe irrisoluto. Sull‟origine di questa tipologia di personaggio Pumpjanskij avanza alcune riflessioni e ipotesi: la genesi di tale protagonista può essere

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ritrovata nell‟Adolphe di Benjamin Constant (1816), romanzo non a caso letto, continua il critico, da Tat‟jana nell‟ottavo capitolo dell‟Onegin; tale supposizione permette allo studioso di dimostrare come già Puškin stesse riflettendo sulla natura inetta del personaggio di Evgenij e come a sua volta lo sviluppo del genere del cosiddetto «romanzo dell‟eroe» («героический роман») (Ibidem: 9, 11, 12) abbia trovato terreno fertile prima nell‟opera di Lermontov con il suo Pečorin e poi in quella di Turgenev (Ibidem: 12, 13). Non è un caso, aggiungiamo noi, che quanto ravvisato da Pumpjanskij nel 1929 sia stato successivamente ripreso, senza però essere citato, da Anna Achmatova nel suo «Adol’f» Benžamena Konstana v tvorčestve Puškina («Adolphe» Benjamin Constant nell’opera di Puškin), in cui la poetessa ricorda gli studi pioneristici su Puškin e l‟autore francese pubblicati da N.P. Daskevič, N.O. Lerner e N. Vinogradov (Achmatova 1936: 91). Ma torniamo a Pumpjanskij.

Due sono, secondo il critico, gli elementi che stabiliscono un legame fra i romanzi di Turgenev e l‟Onegin puškiniano: da una parte, l‟inoperosità del personaggio, la sua incapacità di realizzare un progetto concreto (Rudin, Bazarov, e, suo malgrado, Insarov) (Pumpjanskij 1930: V), e, dall‟altra, la rappresentazione della cultura nobiliare abbandonata a se stessa, quella tradizione che era stata rifiutata da Gogol‟ e che viene invece recuperata da Turgenev (Pumpjanskij 1929: 16). In realtà, è anche vero che Turgenev molto doveva all‟autore de Le anime morte che fu il suo punto di riferimento soprattutto per l‟utilizzo dei cognomi comici e dei diminutivi; pensiamo, per esempio, al vecchio barista chiamato djadja Chvost in Mumu oppure a djad‟ka Vasilij soprannominato Gusynja nel Diario di un uomo superfluo (Turgenev 1963: V, 531). Pumpjanskij, tuttavia, pur sicuramente consapevole del nesso che univa i due romanzieri, è interessato a dimostrare come la struttura narrativa – e non tanto i dettagli stilistici – del romanzo turgeneviano continuasse la linea intrapresa da Puškin.

Ciò, quindi, che è il tratto distintivo del romanzo turgeneviano, nella lettura di Pumpjanskij, è la mancanza d‟azione o, per meglio dire, di un a t t o , un atto che definisca chiaramente i contorni del personaggio e che lo collochi in modo preciso all‟interno della storia del genere romanzesco. A questo processo Pumpjanskij attribuisce il nome di «atto qualificato».

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5.4.2 L‟«atto qualificato» («квалификационный поступок») e il «romanzo dell‟atto» («роман поступка»)

Nei romanzi di Turgenev, ma anche nelle povesti e nei racconti come Gamlet Ščigrovskogo uezda (Amleto del distretto di Ščigry), Dnevnik lišnego čeloveka (Diario di un uomo superfluo) e Vešnie vody (Acque di primavera), il critico rintraccia uno stretto rapporto fra individuo e società (Pumpjanskij 1929: 11). Turgenev, nella lettura di Pumpjanskij, non dà all‟individuo la possibilità di riconoscersi e quindi di essere g i u d i c a t o dalla comunità (Infra par. 5.4.3): a causa della sua inettitudine, l‟eroe turgeneviano non compie ciò che Pumpjanskij chiama «atto qualificato» («квалификационный поступок»). È lo stesso studioso a dare una chiara e nitida definizione della categoria che ha formulato:

Под квалифицированностью поступка мы имеем здесь в виду, напр., приближение его к тому, что становится преступлением и в юридическом смысле слова. Громадная роль убийства, государственного суда, государственного наказания (всѐ это не играет никакой роли в романах Тургенева) у Достоевского – бросается в глаза, а тяготение романа к такого рода сюжетам всегда прямо пропорционально их приближению к полюсу «романа поступка»204 . (Ibidem: 10)

In questo breve, ma denso frammento, che dà un‟immagine perfetta dell‟idea di Pumpjanskij sul romanzo turgeneviano, ritroviamo elementi e categorie che il critico aveva già individuato e discusso negli anni precedenti, quando aveva enucleato le linee tematiche portanti che costituivano la nervatura del romanzo di Dostoevskij: il «delitto» («убийство») (Infra par. 3.3.2) e il «giudizio» («суд») (Infra par. 3.3.3). E sull‟autore de I fratelli Karamazov Pumpjanskij si pronuncia ancora una volta a distanza di sette anni dalla pubblicazione di Dostoevskij e l’antichità, riproponendo le m e d e s i m e riflessioni al fine di comparare la tipologia del romanzo dostoevskiano con quella del romanzo di Turgenev:

204«Per qualificazione dell‟atto intendiamo qui, per esempio, il suo accostamento a ciò che diventa delitto anche nel senso giuridico del termine. Il grande ruolo dell‟omicidio, del giudizio statale, del castigo statale in Dostoevskij (tutto questo non ha alcun ruolo nei romanzi di Turgenev) salta agli occhi, e la costruzione del romanzo sulla base di trame di questo tipo è sempre proporzionale al suo accostamento al polo del “romanzo dell‟atto”».

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В «Преступлении и наказании» Достоевского […] совершается суд, но над чем? над поступком (и над теорией, обусловившей поступок), а над лицом уже в зависимости от предварительной оценки его поступка. Суд романа совершается не над Раскольниковым, а прежде всего над пролитием крови […] Преобладание поступка над лицом так очевидно, что весь роман назван не именем лица, а именем поступка205 .

Pur scrivendo in un‟epoca completamente diversa e pur avendo dichiarato la sua adesione alla metodologia sociologica, Pumpjanskij utilizza lo stesso linguaggio e gli stessi esempi che aveva riportato in Dostoevskij i antičnost’ (1922), manifesto, come abbiamo visto, della Scuola neokantiana di Nevel‟. «Суд», «пролитие крови» e «убийство» appartengono alla medesima terminologia che lo studioso aveva forgiato nel libretto del 1922. Possiamo a buon diritto affermare che nell‟articolo su Nakanune il critico non faccia altro che basarsi su quelle forme lessicali che aveva precedentemente elaborato, precisandole e arricchendole, aggiungendo a esse, fra le altre, la categoria di «квалификационный поступок», da cui deriva quella di «роман поступка» («romanzo dell‟atto»), quel romanzo, cioè, in cui è l‟atto compiuto dal protagonista a definire la posizione dell‟eroe di fronte alla società, quel romanzo che, secondo Pumpjanskij, si rivela il romanzo di Dostoevskij (Pumpjanskij 1929: 11). I romanzi di Turgenev, invece, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, gravitano attorno alla ricerca continua dell‟eroe e quindi, a differenza di Delitto e castigo e de I fratelli Karamazov, non danno alcuna importanza all‟«atto» che l‟eroe compie e in base al quale viene appunto riconosciuto e giudicato dalla comunità: «Перед нами не роман суда над героем, как законченным лицом, занявшим определенную, хотя бы неверную, жизненную позицию, а, скорее, поиски героя.»206

(Ibidem: 10).

205

«In Delitto e castigo […] si compie il giudizio, ma su cosa? sull‟atto (e sulla teoria che ha condizionato l‟atto), e sull‟individuo già dipendente dal valore preliminare del suo atto. Il giudizio del romanzo si compie non su Raskol‟nikov, ma prima di tutto sullo spargimento di sangue […] Il dominio dell‟atto sull‟individuo è talmente evidente che tutto il romanzo viene intitolato non in nome dell‟individuo, ma in nome dell‟atto.» 206

«Di fronte a noi non abbiamo il romanzo del giudizio sull‟eroe come individuo finito che occupa una posizione precisa, vitale, seppure sbagliata, ma piuttosto le ricerche

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5.4.3 Il «romanzo della produttività sociale» («роман социальной продуктивности»)

Così definito, il romanzo di Turgenev si profila come un nuovo esempio nel suo genere. Esso non propone più le categorie oppositive di «добрый»/«злой» («buono»/«cattivo»), «добродетельный/порочный» («virtuoso»/«deviato»), «положительный/отрицательный» («positivo»/«negativo») che invece trovano sviluppo in Dostoevskij (Pumpjanskij 1929: 11), ma dà forma, sulla base dello stesso principio antinomico fondatosi sul compimento o meno di un atto, a una

nuova polarità, «продуктивный/непродуктивный»

(«produttivo»/«improduttivo»); «непродуктивный» è, secondo Pumpjanskij, il termine che viene impropriamente denominato «лишний» («superfluo») (Ibidem). Il romanzo che incarna questo paradigma narrativo, e che si identifica con il romanzo di Turgenev, viene chiamato dal critico «роман социальной продуктивности» («romanzo della produttività sociale»), che a sua volta ha come sinonimo «героический роман» (Ibidem). Una tipologia di romanzo simile, prosegue lo studioso, svolge una chiara funzione sociale nella misura in cui esso, così come dimostrano i dibattiti intorno ai romanzi di Turgenev, rappresenta una sorta di pungolo dialettico per la società contemporanea (Ibidem). In sostanza, il romanzo della produttività sociale, per lo studioso, espleta un‟evidente funzione e t i c a grazie al fatto che il suo genere, e di conseguenza i suoi contenuti, stimola la discussione sull‟individuo all‟interno della comunità in cui lo stesso autore è calato. Oltre al romanzo di Turgenev, a questa categoria di romanzo Pumpjanskij ascrive, come abbiamo visto, Onegin, in particolar modo l‟ottavo capitolo, Geroj našego vremeni, ma anche Kto vinovat? di Herzen, Čto delat’? (Che fare?) di Černyševskij, Oblomov e Obryv (Il burrone) di Gončarov, molte pagine di Pisemskij, in sostanza, scrive Pumpjanskij, «Благодаря Тургеневу же, героический роман представляется нам типично русским литературным жанром.»207

207

«Grazie a Turgenev il romanzo dell‟eroe si presenta a noi come un genere letterario tipicamente russo.»

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5.4.4 La coppia «zarevič-impostore» («царевич-обманщик»)

Un‟ultima categoria che prenderemo in esame in questa sede è quella del cosiddetto «царевич-обманщик» («zarevič-impostore»), accennata, a differenza delle altre classi che abbia discusso nei paragrafi precedenti, non nei saggi dedicati a Turgenev, ma bensì nell‟articolo del 1926 O Marsele Pruste (pubblicato postumo), in cui Pumpjanskij analizza la pratica narrativa dello scrittore francese riflettendo sulle sorti del genere del romanzo in generale (Pumpjanskij 1998). Il punto nevralgico da cui si dipanano le considerazioni sull‟opera di Proust è la convinzione che il genere letterario del romanzo abbia assistito ad un‟evidente crisi della trama nel corso del XIX secolo, una crisi che troviamo riflessa anche nel romanzo di Turgenev (Ibidem: 14), dove l‟«atto», di cui Pumpjanskij aveva parlato nei saggi rivolti allo scrittore russo e che aveva dominato i romanzi di Dostoevskij, viene posto in secondo piano per far spazio a ciò che prende il nome – l‟abbiamo visto – di «ricerca dell‟eroe»:

лучший пример – романы Тургенева, в основе которых лежит сюжет в виде столь чистом, что он близок к мифу (царевич-обманщик) и тем не менее есть реконструкция целой части русского общества – либеральной интеллигенции208

. (Ibidem)

Nonostante queste affermazioni appaiano criptiche a una prima lettura, esse in realtà intendono porre l‟accento su una coppia oppositiva ben precisa, su cui Pumpjanskij si era già soffermato a partire dal 1919: il «simbolo» e la «sua relativizzazione» (Infra parr. 2.2.2 e 2.2.4). Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, tale opposizione aveva dato origine a un‟abbondante serie di polarizzazioni: «classico»/«non classico», «trascendente»/«immanente», «simbolo»/«antisimbolo», «realtà»/«inganno», «serio»/«comico» (Infra par. 5.2). Sul piano della prosa letteraria russa, abbiamo detto che tali valori teorici trovano applicazione solo in Puškin con cui si realizza la distruzione del simbolo (Infra par. 2.2.4): le coppie oppositive di eroi che egli presenta al lettore sono, infatti,

208

«il miglior esempio è rappresentato dai romanzi di Turgenev, alla base dei quali poggia la trama in una forma talmente evidente che essa è vicina al mito (zarevič-impostore) e oltretutto essa costituisce la ricostruzione di una parte intera della società

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circassa/prigioniero (Kavkazkij plennik), Zemfira/Aleko (Cygany), Tat‟jana/Onegin (Evgenij Onegin), dove i primi sono sempre espressione del simbolo e i secondi della sua relativizzazione. In Turgenev, secondo Pumpjanskij, l‟antinomia che Puškin aveva potenziato nella sua prosa si ripropone, e successivamente si rinvigorisce, con coppie di personaggi come Rudin/Natal‟ja, Bazarov/Anna, Sanin/Gemma, dove i primi vengono definiti dal critico «царевич/обманщик» («zarevič/impostore»). Proviamo a capire cosa si cela dietro il linguaggio simbolico di cui si avvale Pumpjanskij.

Alla stregua di Onegin, che si presentava agli occhi di Tat‟jana come un personaggio etereo, un «principe» secondo il lessico di Pumpjanskij, che avrebbe realizzato i suoi sogni d‟amore (ricordiamo il pathos di Tat‟jana quando confessa alla njanja di essere innamorata o i toni del suo epistolario), i personaggi maschili di Turgenev vengono visti dalle loro eroine con altrettanta emotività e desiderio, ma alla fine tutte le loro aspettative – così come accade per Tat‟jana – vengono disilluse; è per questo che da «zareviči» i vari Rudin, Bazarov, Sanin si trasformano in «impostori»: Rudin fallisce l‟amore che gli tributa Natal‟ja, Bazarov viene meno a quello di Anna, Sanin tradisce e abbandona Gemma. In sostanza, la categoria di «царевич/обманщик» non è altro che sinonimo dell‟«uomo superfluo» incapace di mostrarsi alla collettività, anche se Pumpjanskij ritiene impropria la definizione di «лишний человек» e la sostituisce, come detto poc‟anzi, con la categoria di «непродуктивный человек» (Pumpjanskij 1929: 11). Di «impostore» Pumpjanskij aveva già parlato quando si era proposto di analizzare la prosa puškiniana, gogoliana e dostoevskiana, in cui aveva individuato la figura dell‟«обманщик» o del «самозванец» in qualità di personaggio che custodiva caratteristiche prettamente negative; l‟intento del «самозванец» era, infatti, quello di ordire subdoli inganni (Dmitrij Samozvanec, Salieri, Čičikov, Infra par. 2.2.4), di preparare un progetto «sociale» (Raskol‟nikov, Infra par. 3.3.2), di sovvertire l‟ordine costituitosi (Smerdjakov, Infra par. 3.3.6). A differenza di tutti questi personaggi, i protagonisti di Turgenev, in base alla concezione del nostro, non si prefiggono uno scopo finale (sia esso positivo o negativo), non intendono favorire l‟esito della loro impresa, ma manifestano semplicemente l‟incapacità di «produrre» tale impresa, di

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«produrre» azioni, di trovare un ruolo preciso all‟interno della società; il loro comportamento va quindi letto al netto della consapevole perfidia e della cosciente „progettualità‟ che invece era tipica di alcuni eroi di Puškin, Gogol‟ e Dostoevskij.

Altro dato che vale la pena notare nelle ricerche sulla prosa compiute da Pumpjanskij è l‟utilizzo della tipologia di eroe proposto da Turgenev per prendere in esame altri fenomeni e personaggi simili che si registrano nella letteratura mondiale. Il critico, infatti, si avvale del prototipo dell‟eroina turgeneviana per comprendere come vengano costruiti i personaggi femminili all‟interno del romanzo americano di Sinclair Lewis (1885-1951), premio Nobel nel 1930 e autore del famoso Our Mr. Wrenn: The Romantic Adventures of a Gentle Man (1914), fra l‟altro citato in LSZiA:

Возможно, что и «Тургеневская женщина» сыграла известную роль в сложении героини Льюиса, реформаторши-интеллигентки, вступающей в борьбу за пробуждение людей, погруженных в сон; вероятно, поэтому роман воспринимается русским читателем как близкий по темам, заранее понятный и принципиально легкий: все, о чем рассказывает Льюис, известно нам из опыта прошлой русской литературы209 . (LSZiA)

Apparentemente può sembrare fuorviante e anacronistico da parte di Pumpjanskij prendere in esame classi di personaggi così lontani cronologicamente e culturalmente. Nella realtà, però, questo significa che lo studioso aveva individuato una linea generale di sviluppo del romanzo, propria a tutta la letteratura mondiale. Ciò che lo interessa di fatto è la nascita e l‟evoluzione del genere, come esso crea le sue più intime categorie letterarie e come queste si manifestino, e successivamente si sviluppino, in realtà culturali lontane.

Tornando all‟idea dello studioso sul romanzo di Turgenev, giova notare che tutti i moti esistenziali dei personaggi offerti dallo scrittore russo, moti che ne caratterizzano la loro più intima natura, ci permettono di riflettere su un‟ultima parte della teoria della prosa su cui il critico evidentemente stava lavorando.

209

«È possibile che anche la «donna turgeneviana» abbia giocato un ruolo certo nella formazione dell‟eroina di Lewis, la riformatrice-intelligent che aderisce alla lotta per il risveglio degli individui immersi nel sonno. Probabilmente per questo il romanzo viene percepito dal lettore russo come vicino per temi, [per questo viene] compreso in anticipo ed essenzialmente facile: tutto ciò che racconta Lewis ci è noto dall‟esperienza della

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Abbiamo ripetuto più volte che in Turgenev domina, secondo lo studioso, la ricerca dell‟eroe che non riesce a dar vita ad alcuna azione sociale: tutto il materiale letterario, storico, psicologico, tutti gli eventi descritti sono, infatti, finalizzati all‟autodeterminazione dell‟eroe. È proprio questa centralità dell‟eroe e il suo rispettivo universo che nell‟impianto teorico, e successivamente empirico, proposto da Pumpjanskij, sottrae spazio a un‟altra figura che fino al 1923-1924, cioè negli anni in cui viene scritto Per una storia del classicismo russo, compare costantemente negli studi del nostro: il «poeta» che poi, con la comparsa del poema, diventa l‟«autore». Vediamo lo sviluppo di questa categoria che è centrale nelle ricerche sulla teoria della prosa e ripercorriamone le tappe principali per arrivare a capire qual è il valore attribuito all‟autore nel romanzo turgeneviano.

5.4.5 L‟evoluzione dell‟«autore» e la “vittoria” dell‟«eroe»

In ciò che chiama «classicismo» e soprattutto nella figura del Lomonosov di Oda na vzjatie Chotina e Pis’mo o pol’ze stekla, Pumpjanskij aveva registrato la presenza del poeta/aedo che, invasato dalla Musa, si era rivelato l‟estensione di un sapere divino che riusciva a veicolare attraverso dei simboli (Infra cap. 4). Nel periodo «classicista», secondo Pumpjanskij, siamo di fronte a un sostanziale monologo da parte della Musa che parla e detta il suo progetto divino al poeta e attraverso il poeta; la personalità di quest‟ultimo ha un ruolo del tutto marginale, in quanto non esprime alcuna autonomia.

Abbiamo visto che con Deržavin, a partire da Felica, Pumpjanskij individua la comparsa dell‟«io» poetico che coincide con la presenza del poeta stesso, il quale, «contaminando» lo stile alto con forme colloquiali, inizia a «infettare» l‟idea simbolica di antichità (Infra par. 4.5.4). Puškin, a sua volta, comincia a distruggere il simbolo e a cancellare la presenza della Musa, dichiarando nel Pamjatnik «Веленью божию, о муза, будь послушна» (Pumpjanskij 1977: 147; Puškin 1995:III, kn. 1, 424, Infra par. 4.5.5). A sua volta lo stesso Puškin si trasforma in «autore», perché promuove una propria autonomia, crea il suo eroe – prima il prigioniero, poi Aleko, poi Onegin –, interloquisce con esso ed entra in conflitto

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con la sua creatura che successivamente cerca di «emanciparsi»: questo avviene in Kavkazkij plennik, nell‟Onegin, in Poltava, nel Boris Godunov e in Mozart e Sal’eri (Infra parr. 2.2.4 e 5.1).

Alla stregua del progetto avviato da Puškin, Gogol‟ ne Il revisore così come ne Le anime morte trasferisce tutto sul piano della storia e quindi sul piano «reale», negando completamente l‟esistenza del simbolo; in questo modo, Gogol‟ autore cede ai suoi eroi che perseguono solo valori «relativi».

La tappa successiva dell‟evoluzione della categoria «autore»-«eroe» elaborata da Pumpjanskij è costituita da Dostoevskij, il quale tenta di recuperare una dimensione classica riproponendo la rappresentazione della tragedia in Brat’ja Karamazovy. Il tentativo di Dostoevskij autore, però, fallisce perché il suo eroe Smerdjakov non commette un parricidio (egli è figlio illegittimo e quindi non riconosciuto dalla società), ma un «atto terroristico» (Infra par. 3.3.6); il ruolo del tribunale qualifica l‟atto dell‟eroe di fronte allo stato (Infra par. 3.3.3); l‟eroe, quindi, vince il suo autore che però cerca di resistere (Infra par. 3.3.6).

L‟ultima fase della «lotta fra l‟autore e l‟eroe» si articola in Turgenev, in cui, come detto poc‟anzi, il ruolo dell‟autore scompare completamente, giacché il centro del discorso narrativo si trasferisce esclusivamente verso la ricerca dell‟eroe: è, quindi, l‟eroe che vince la sua lotta con l‟autore.

Tutto questo significa che, mentre con Dostoevskij Pumpjanskij ravvisa un seppur fallimentare tentativo di recupero della tradizione tragica, con Turgenev questo non è più possibile. Pur rinnovando i principî che avevano mosso la pratica poetica e narrativa dei suoi predecessori (simbolo e antisimbolo), Turgenev crea una nuova tipologia di romanzo, il «romanzo dell‟eroe» o «della produttività sociale» (Infra parr. 5.4.1, 5.4.3) che non risponde più ad alcun progetto e ad alcuna azione, ma solo alla psicologia del protagonista. L‟autore, quindi, perde la sua «lotta» con il suo eroe e viene da questi completamente annientato.

In virtù di tutta questa evoluzione e forte dell‟impianto sin qui elaborato, Pumpjanskij arriva successivamente a rintracciare il vizio estetico del romanzo di Oleša. In Invidia la lotta fra cultura proletaria e cultura borghese, ovvero fra i personaggi di Nikolaj Kavalerov e Andrej Babičev, è presentata dall‟autore non in forma dialettica, ma dialogica. Oleša, nella lettura del critico, si interpone fra i

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suoi eroi nel tentativo di controllarne le azioni, ma cerca di mantenersi equidistante sia dall‟uno che dall‟altro. Questa «neutralità», secondo Pumpjanskij e in virtù del suo sistema fin qui ricostruito, è un‟operazione narrativa non congenita al genere stesso del romanzo ed è pertanto in questo che risiede l‟errore principale di Invidia (Infra par. 5.3).

Dopo aver esposto le tappe fondamentali di quella che consideriamo l‟evoluzione dell‟impianto teorico e della pratica analitica del nostro, concludiamo la nostra dissertazione con alcune osservazioni conclusive che permetteranno ulteriori prospettive di ricerca sull‟universo metodologico del critico di Vil‟na.

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