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Academic year: 2021

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CAPITOLO SECONDO

"SIAMO NOI HEGELIANI?"

Riflessioni sulla triade dialettica Logos-Natura-Spirito

e sulla Filosofia della storia

Hegel è stato il rappresentante più significativo del movimento idealistico seguìto a Kant: soggetto e oggetto coincidono: se l'uomo non può sapere tutto, non può sapere nulla. Non c'è alcuna trascendenza: dopo di lui, siamo tornati al dualismo materia-Dio ignoto e inattingibile.

Per il Croce, criticabile è non tanto la vecchia metafisica dell'Ente, già liquidata da Kant, bensì la nuova, hegeliana, della Mente (die Vernunft, l'Idea), accolta sostanzialmente, come abbiamo visto, anche dallo Spaventa.

Ad ogni modo chi l'ha superata? I detrattori l'hanno liquidata dichiarandola incomprensibile o fuori moda, cosicchè, venuta a mancare la serietà critica l'hegelismo è poi risorto per chiedere "quella sepoltura cristiana" finora negatagli:

"Ecco a che cosa si riduce il nostro preteso hegelismo"1, e raccomanda di mantenere nei

confronti del filosofo di Stoccarda lo stesso atteggiamento usato per tutti i grandi pensatori, anzi, verso di lui a maggior ragione dal momento che è l'ultimo (cronologicamente), e di guardarlo sotto i molteplici aspetti di metafisico, filosofo, scrittore, da leggere pagina per pagina, come una specie di saggista.

I titoli, le "etichette", sono pericolosi, in quanto semplificazioni, e rischiano di ostacolare l'individuazione della verità effettuale2, quando "hegeliani" possiamo

chiamarci da noi stessi laddove accettiamo una determinata posizione del maestro. Essere avversari di un filosofo implica averne studiate, o perlomeno lette, tutte le opere: ora, in Italia, nessuno di quelli che combattono Hegel è partito da questa operazione basilare, e ciò è evidente a partire dalle confutazioni di seconda mano, condotte sui manuali o sui compendi (ricordiamo le lamentele torinesi dello Spaventa), e dalle citazioni di terza o quarta...3

1 Siamo noi hegeliani?, in "La Critica", II, (1904), 261-4. 2 Ibid, 264.

3 Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, in "La Critica", IV, (1906). 410-12, 411, in cui spiega le

ragioni dell'omonimo libro in uscita in quei giorni per Laterza e non sulla rivista al fine di evitare lo spezzettamento del testo. In realtà, spiega Croce, in Hegel tutto è vivo e tutto è morto, nel senso che il suo sistema è lo svolgimento coerente di un principio che conviene superare in un altro, e così via, senza soluzione di continuità. Illuminante a tal proposito la recensione al libro di Betty Heimann System und Methode in Hegels Philosophie, Leipzig Meiner, 1927, in "La Critica", XXV, (1927), 392-4. I sistemi mutano, simili a "castelli in aria" del pensiero, che, nella loro precarietà e transitorietà, sono destinati a cadere a ogni minimo soffio di vento: bella immagine che Nicolai Hartmann cita a sostegno della distinzione da lui avanzata tra pensiero-sistema e pensiero-problema.

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La grande scoperta filosofica di Hegel è una scoperta di teoria logica e, quindi, di concezione della realtà: l'attrazione del Croce nei suoi confronti discendeva dallo Spaventa e dal Labriola che gli avevano trasmesso l'amore per i testi tedeschi, attrazione unita alla paura di non riuscire a comprenderne la complessità, ma quando, nel 1905, aveva buttato alle ortiche commenti e commentatori per leggerlo nell'originale si era reso conto che quella era effettivamente la sua strada, pur senza definirsi mai "hegeliano", in quanto il suo atteggiamento verso il "sistema" non era dissimile da quello dello zio Bertrando, che lo pensava, lo ripeteva, lo ripensava ancora e ancora vi ritornava alla ricerca dell'evidenza del vero, convinto che la storia della filosofia, e quindi del pensiero umano, non consiste in una serie di sistemi retti da un principio, cioè da una categoria eterna, ma rappresenta la storia dei singoli problemi variamente sistemati da ogni pensatore nell'arco del proprio svolgimento mentale: in questo senso la filosofia e la storia (ovvero la critica) della filosofia coincidono; per Hegel ciò accadeva solo in virtù della meditazione di pensatori originali e non a opera di meri ripetitori.

Per questo motivo il Croce non guarda alla propria filosofia come chiusa in un "sistema", ma la intende come una "serie di sistemazioni", priva di recinti e sempre suscettibile di spostarsi in avanti, dal momento che la perfezione del filosofare sta nell'aver superato la forma provvisoria dell'astratta teoria e nel pensare la filosofia dei fatti particolari, narrando la storia pensata. Così, nessun sistema è mai definitivo, come non è mai definitiva la vita: ogni sistema affronta un certo numero di problemi dati in una determinata epoca, e nello stesso tempo getta le basi per affrontarne di nuovi, in un divenire incessante; per questo ogni conclusione non può essere che provvisoria, e ogni elaborazione teorica va considerata nella sua storicità; ecco perchè non ha senso parlare di riforma di una filosofia, perchè ogni filosofia è la riforma della precedente, di cui mantiene determinati concetti, e da lì avanza verso nuove conclusioni. La filosofia è come un'unica grande tela tessuta in perpetuo che si distingue solo al suo interno e si dialettizza secondo le sue eterne categorie, e unico è il suo metodo in ogni suo atto.

Prima di Hegel nessun filosofo ha spiegato il conoscere, e dunque risolto il problema della logica, cioè il sistema delle categorie: questo non significa che la sua filosofia sia da considerare come l'ultima parola dello spirito speculativo e che dobbiamo ripetere meccanicamente le sue deduzioni come se fossero formule sacrali, perchè, come ammoniva lo Spaventa:

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"Nei filosofi, ne'veri filosofi, c'è sempre qualcosa sotto, che è più di loro medesimi, e di cui essi non hanno coscienza; e questo è il germe di una nuova vita"4.

Se si ripete meccanicamente, si soffoca questo germe...

Nella Filosofia come scienza dello spirito il Croce nega la distinzione di Fenomenologia e Logica, come nega la costruzione dialettica della filosofia della natura e della storia, non che della Logica: ugualmente, non accetta la triade di Logos, Natura e Spirito e pone come solo reale lo Spirito, nell'idea di un progresso del pensiero che si afferma nella sempre più rigorosa eliminazione del naturalismo e nell'accento più marcato sull'unità spirituale. Cogente è in lui l'impossibilità di riposare sul pensiero già pensato, in quanto i problemi ritornano dopo una serie di soluzioni e non esiste una verità attingibile una tantum; il possesso del pensiero nasce dalla continua formulazione di nuovi problemi che scaturiscono dai vecchi, e insieme stimolati da nuovi moti dell'animo e da mutate condizioni di vita. La verità si amplia con nuove verità che prima non erano pensabili poichè non se ne erano formate le condizioni dentro noi stessi o non ne era sorto il bisogno5.

Assai fecondo sarà il lungo sodalizio con Giovanni Gentile (anch'egli uomo di lettere in quanto scolaro del D'Ancona), purtroppo tramutatosi in veleno per ragioni non soltanto filosofiche; ma ancora una volta il debito più grande è quello con un altro letterato e storico, Francesco De Sanctis, traduttore dei primi due libri della Scienza della Logica, "maestro di vita morale; e maestro tanto più libero nei suoi movimenti e sicuro nei suoi fini in quanto nel suo pensiero critico aveva distinto nettamente l'arte dalla morale, e solo ciò che si è nettamente distinto si può fecondamente ricongiungere"6.

Del sistema hegeliano il Croce conserva il concetto della dialettica, l'essere (il positivo) che è divenire e il non-essere (il negativo) posto all'interno stesso dell'essere, che unifica il reale e costituisce la molla dello svolgimento dialettico, dissipando il dualismo dei valori e affermando la coincidenza di reale e razionale, quindi l'identità della realtà con la storia; il divenire inteso in senso temporale, dove eternità e tempo reale sono la stessa cosa, perchè in ogni attimo è l'eterno e l'eterno è in un attimo; l'Assoluto è lo Spirito7.

4 La filosofia italiana, cit., 229. 5 Ibid., 406.

6 B.Croce, Note sulla letteratura italiana. XLVI. Francesco De Sanctis, in "La Critica", XI, (1913), 81-96, 85. Non basta

essere artista, bisogna essere uomo: la sua scuola, mirante a formare "tutto l'uomo", fece la sua prova nel Quarantotto, maestro e scolari fedeli al motto "la scuola è la vita", ed entrarono nella vita politica, e affermarono c on la morte, con la prigione e con l'esilio la vera virtù di una scuola. (Note, cit., 88): tutta una generazione di intellettuali e patrioti fedele a quest'ideale, come abbiamo visto.

7 "A ogni attimo, un mondo muore e noi moriamo con lui, e ogni attimo un mondo nasce e noi con lui rinasciamo", in Conversazioni filosofiche. IX. Cultura storica, scienza, azione e religione, in "La Critica", XLI, (1943), 88-92, 89.

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Hegel rimane per lui il fondatore delle grandi verità, pur all'interno di un sistema per larga parte arbitrario e da riformare: quello che rimane particolarmente significativo del suo insegnamento è l'idea di un dovere morale che il vivere accetta tacitamente e che non è pessimismo (in quanto quest'ultimo comporta avvilimento e sfiducia in sè stessi), ma una sfida all'avversario, dove l'avversario siamo noi, o meglio, quella parte di noi che va affrontata e vinta, quindi sorpassata: la vita è lotta, e insieme, armonia, concordia discors. La storia della filosofia, che ingloba tutte le altre storie, si identifica con la filosofia, divorando questa oppure da questa divorata, secondo l'alternativa lasciata libera agli interpreti (da qui il divergere delle interpretazioni degli scolari); il Croce accetta l'unità della storia, e l'unità della filosofia con la storia, ma mettendo in guardia contro un'unità ottenuta astrattamente che riduca tutte le forme all'astratta filosofia, o che identifichi la storia con la filosofia astratta o la filosofia con la storia astratta; se l'unità non fosse, non si penserebbe, ma non si penserebbe nemmeno senza la distinzione, dal momento che il pensiero unifica in quanto distingue: qui, in questa distinzione, sta la possibilità per l'uomo di cambiare il mondo, oppure, meglio, conoscerlo per poterlo cambiare8.

La sfera dell'attività pratica è inferiore alla sfera dell'arte, della religione e della filosofia: è lo spirito oggettivo, inferiore allo spirito assoluto e ponte di passaggio a quello; quindi la pratica vista come un mezzo, e il fine è la vita contemplativa: da qui la ribellione degli uomini di azione nei confronti della filosofia hegeliana.

La religione è il primo nodo dell'autocoscienza, cioè la coscienza spirituale dello spirito stesso del popolo, dell'universale: ecco perchè, in Hegel come in Croce, il simbolo dell'umanità non è nè Dio nè l'uomo, ma il Dio-uomo, l'unità dell'universale e del soggetto (quindi dell'individuo), cioè il Cristo, l'eterno nel tempo e il tempo nell'eterno, la Storia che ha in sè9: lo spirito e la sua storia sono identici, e identiche

sono a loro volta la filosofia e la storiografia, perchè nè lo spirito nè la filosofia sono qualcosa di già confezionato al di fuori della storia, nè quest'ultima può svolgersi senza lo spirito e la filosofia, mentre Hegel mirava a risolvere la storia nella filosofia col darle l'andamento di un sistema che si svolge e compie nel tempo.

In ogni istante noi possediamo nell'atto del pensiero tutta la verità perchè in ogni affermazione di verità, anche la più piccola, risiede la verità, e quella verità evolve incessantemente in nuove questioni del pensiero; la verità non sarebbe indagabile se non fosse in qualche modo conosciuta, ovvero posseduta, e non la si può possedere se non cercandola: per questo va continuamente pensata, ripensata e commentata.

8 Il concetto del divenire e l'hegelismo, in Saggio sullo Hegel, Bari Laterza 1967⁵ (1906¹), 152s, 164.

9 Cristo, in quanto morto, è spirito, cioè elevato al cielo alla destra di Dio; il soggetto ha in sè un valore infinito perchè

è oggetto della 'grazia' divina. Qui emerge che la frattura dell'unità dell'individuale e dell'universale proietta in modo incontrovertibile l'immagine di un sopramondo, un mondo di pure forme che incombe sul nostro e con esso contrasta, e di un Dio trascendente. Cfr. B.Croce, Intorno all'intuito e al giudizio, in "La Critica", XXXII, (1934), 321-25.

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Il principio motore della storia è la libertà, principio esplicativo del corso storico e insieme ideale morale dell'umanità; il fine dello spirito non è nè l'astratto pensiero nè l'astratta azione, ma il pensiero che si fa azione e l'azione che si fa pensiero, lo spirito stesso, quindi, che è vita e ha per suo scopo la vita; in Hegel e nei suoi scolari la storia ha il significato, per il Croce criticabile, di uno sviluppo della libertà dal suo primo nascere, al farsi adulta per restare salda in un raggiunto stadio definitivo che per lui era il mondo germanico. Con la conquista dell'Idea, la storia della filosofia sarebbe quindi terminata, ed esaurita la serie delle particolari determinazioni del concetto, sarebbe finito il processo storico ed essa passerebbe nell'assoluta interiorità del concetto, e la storia universale, raggiunto il grado dello spirito germanico della libertà assoluta, avrebbe chiuso il ciclo e non rimarrebbe che vivere in questa Politeia perfetta (per quanto essa non sia altro che lo Stato Prussiano della Restaurazione) -cosa che, argomenta il napoletano, se è perfettamente logica, non è meno assurda- ma poi il tedesco, alla fine della Filosofia della storia, si lascia sfuggire un:

"Fin qui è giunta la coscienza del mondo"10, come a dire che la storia continua, e gli

avvenimenti e le azioni acquistano pieno valore alla luce delle conseguenze postume, che possono essere anche molto lontane, e solo a questo punto si vede il loro significato definitivo.

Questo il tentativo del Croce di superare le formule e le architetture hegeliane, le triadi (su cui si esercitavano gli scolari), alla ricerca del concetto animatore, sempre con l'appoggio dei testi, in opposizione a tutto ciò che è astratto e immobile, contro la triade dello Spirito assoluto (Arte, Religione, Filosofia), che chiude la Filosofia dello Spirito e il sistema hegeliano; tale sfera è per lui un'escogitazione suggerita da motivi trascendenti e ascetici, il primato della vita contemplativa, l'affrancamento della dura vita reale del conoscere e del fare11.

La suddetta triade non è giustificabile: perchè?

Il fine comune delle tre forme è l'unificazione di soggetto e oggetto, ma si tratta di un processo filosofico imperfetto che va dall'arte alla filosofia (o dalla religione alla filosofia, come avviene nella Filosofia della storia), passaggio da un più rozzo a un più elaborato pensiero; eppure l'arte è arte e non filosofia, mentre la religione, intesa come misticismo o mitologia, è filosofia, mistica o mitica, quindi considerata come una forma inferiore di filosofia, insieme negata e conservata nella forma superiore.

10 La "fine dell'arte" nel sistema hegeliano, in "La Critica", XXXII, (1934), 425-34. L'originale suona: "Wir haben in

diesen Vorlesungen beobachtet, wie das Bewubtsein bis hierher gekommen ist", in G.W.F.Hegel, Vorlesungen über

die Philosophie der Weltgeschichte. IV. Band: Die Germanische Welt, Leipzig 1923/ Verlag von Felix Meiner. Per la

trattazione in italiano G.W.F.Hegel, Filosofia della storia. Antologia, a cura di C. Cesa, Firenze La Nuova Italia 1975.

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L'arte, invece, viene negata e conservata dentro la filosofia non come una filosofia in un'altra filosofia, ma come l'universale forma artistica dello spirito nella universale forma filosofica: quindi l'arte come momento negativo, e il valore positivo è solo della filosofia.

Senza le categorie è impossibile il giudizio, e quindi la storia: senza conoscere cosa sia il bene (la vita etica), il bello (la vita estetica), l'utile (la vita economica), il vero (la vita del pensiero) non si racconta la storia; ogni fatto, per piccolo che sia, è storia: dividere i fatti in "storici" e "non storici" è un atto di arbitrio, che pur essendo utile, non produce verità. Solo il giudizio storico mantiene la sua neutralità, mentre il giudizio pratico è solo un'espressione 'affettiva', diverso dal razionale che è reale, ossia storia; e il giudizio morale è uno pseudo-giudizio che non può trovar posto in una storia che sia storiografia, sempre che intenda affermarsi autonomamente come giudizio del soggetto. Il pensiero si libra sul passato senza rompere con esso ma trasformandolo in conoscenza: guardare in faccia il passato vuol dire ridurlo a problema mentale e risolverlo in una proposizione di verità, punto d'appoggio per una nuova azione e una nuova vita12.

Il corso della storia ha il diritto di spingere alla rovina i singoli individui, perchè il diritto dell'individuo non riguarda la storia del mondo, a cui gli individui servono solo come mezzo per il suo progresso; in Hegel il particolare è troppo insignificante a paragone dell'universo: gli individui vengono sacrificati e abbandonati al loro destino; l'idea paga il tributo dell'esistenza mercè le passioni degli individui13.

Pure, chiosa il Croce, tale consapevolezza non annulla l'ammirazione per l'autonoma ribellione dell'uomo che trova la forza di rovesciare le situazioni avverse, sempre nella cornice dell'inesorabilità degli eventi, ribellione che ha il suo monumentum nella forma più nobile di sacrificio dell'uomo, quello della perdita della libertà e, in ultimo, della vita: eretici e ribelli politici e religiosi, sul modello di un Savonarola o di un Giordano Bruno, dei patrioti napoletani del '99 e degli ergastolani delle galere borboniche, che lottano per il rinnovamento e la storia di domani: bisogna andare a cercare qui il motivo della simpatia per il Machiavelli e la sua concezione dell'uomo terrena ma così tragicamente morale14, simile, in certo modo, alla propria, interamente laica, fedele

all'idea che il significato ultimo dell'uomo sia da ricercare in questa vita e non in un

12 Qui il Croce ha in mente una proposizione di Goethe (si veda Praef.,1), da lui molto ammirato e citato (ricordiamo

la monografia dedicatagli nel '17), secondo la quale scrivere di storia significa liberarsi del passato, perchè il pensiero storico lo rende oggetto di indagine, e così la storiografia, grazie al suo potere catartico, ci libera dalla storia, dalla vuota cronaca, dal fatto inanimato, per aprirci all'azione intesa come continua creazione di nuova vita e formazione di equilibri sempre nuovi. Cfr. La storia come pensiero e come azione. VIII. La storiografia come

liberazione dalla storia, in "La Critica", XXXV, (1937), 1-35, 21s. 13 G.W.F.Hegel, Filosofia della storia, cit., 58s.

14 Ricordiamo gli Studi storici sulla rivoluzione napoletana del 1799, Torino Loescher 1897, poi ripubblicati col titolo La rivoluzione napoletana del 1799. Sull'argomento rimando al bel saggio di E.Garin Benedetto Croce o della «separazione impossibile» fra politica e cultura, in Intellettuali italiani del XX secolo, Roma Editori Riuniti 1974, 59s.

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ipotetico aldilà15; ed è sempre in quest'ottica che bisogna indagare il problema della

teoria e della prassi, della storia come pensiero e come azione, della missione dell'intellettuale (sempre presente nella sua meditazione sulla storia), perchè

"Nella storia, è grandissima ciò che potrebbe dirsi l'efficacia dell'esperimento non riuscito, specie quando vi si aggiunga la consacrazione di un'eroica caduta"16:

e ancora una volta ha in mente le sfortunate vicende napoletane del '99, le cui conseguenze hanno fecondato una tradizione rivoluzionaria meridionale e un exemplum per tutta l'Italia. E rimarca:

"Per quei vinti e contro quei vincitori, ci è, di più, la ribellione del nostro sentimento etico; e la condanna non è qualcosa di vano o di superfluo, non è un postumo infierire: è una di quelle colonne infami che la civiltà deve innalzare per ricordare i limiti che, nelle necessarie lotte sociali, non è lecito calpestare da chi non voglia trarsi fuori dell'umanità"17.

Gli individui muoiono, mentre la storia non muore mai perchè in ogni attimo raggiunge la fine con il principio; la morte è opposta e correlativa della vita, si muore ogni istante e la morte individuale è vita in quanto lo spirito si rinnova in essa e con essa, forgiando nuovo strumento in luogo di quello che viene a sostituire; e il riposo è qui, nella vita stessa, nella sua inquietudine commista di gioia e di dolore, di idillio e di epopea e di tragedia, di pace e di guerra; lo storicismo, che fuga l'inconoscibile, fuga insieme l'ottimismo e il pessimismo, dando verità al conoscere e convalidando nell'uomo la duplice ma unica forza di cui ha sempre bisogno, la rassegnazione e il coraggio18.

Due sono i criteri possibili per la misurazione di un fatto storico, quello morale e quello propriamente storico: il primo fondato sul giudizio etico, il secondo sulle convinzioni individuali circa i fini della storia e il corso del progresso.

La storia non ha inizio nè fine: noi ci troviamo al suo interno, siamo lei stessa, con le sue eterne categorie e il suo processo dialettico, i suoi ritorni di gioia e di dolore; dramma che non si sottomette al tempo, ma lo adopera per orientarsi in mezzo al fiume della realtà che ci trascina, cosicchè noi non dobbiamo attendere nè dall'avvenire nè da un'altra vita il congiungimento con l'infinito e con l'eterno, perchè lo possediamo in ogni momento19.

15 Posizione simile a quella dannunziana, pur nella sostanziale estraneità al suo ideale estetizzante e immaginifico, in

cui talora non manca la materia poetica -avverte-"ma vi sta come un attaccapanni a cui si sospendono splendidi panni e preziose pellicce", e il contenuto morale rimane convenzionale e ovvio. Cfr. Notizie ed osservazioni. VIII

L'«Arte per l'arte», in "La Critica", XXXIII, (1935), 439-41, 441. 16 La rivoluzione napoletana, cit., pref. alla II ed., Laterza, 1926⁴, xiii. 17 Ibid., xvi.

18 Lo storicismo e l'inconoscibile, in "Quaderni della Critica", 5, (agosto 1946), 14-20, 20.

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Nel sistema hegeliano la storia ha carattere immanente: pure, non si può parlare di materialismo (dal momento che si tratta di una filosofia dell'attività), e neanche di una filosofia totalmente antireligiosa, perchè, se è vero che risolve in sè la religione e la sostituisce, nello stesso tempo si propone di soddisfare in modo razionale il bisogno religioso, che è il più elevato nell'uomo, e non lascia niente al di fuori della ragione. La storia, a differenza dell'arte, presuppone il pensiero filosofico, però, come l'arte, trova il materiale nell'elemento intuitivo: perciò la storia è sempre narrazione e mai teoria o sistema, pur avendo entrambi al suo fondo. Hegel ha posto l'idea di una filosofia della storia, dividendo la filosofia in 'pura' o 'formale' (cioè la logica, la metafisica), 'applicata' o 'concreta' (la filosofia della natura) e quella dello spirito, in cui fa rientrare la storia.

Queste tre filosofie prese insieme, compongono l'Enciclopedia delle scienze filosofiche: da una parte la storiografia spontanea e la storiografia riflessa, dall'altra la storiografia filosofica o filosofia della storia, che è una costruzione a priori.

Nella Storia della filosofia Hegel presuppone che la storia della filosofia e il sistema della filosofia siano identici: si tratta di un medesimo svolgimento, che nel sistema è rappresentato puro nell'elemento del pensiero, libero dalle esteriorità storiche, e nella storia vede aggiunte queste esteriorità (cioè nomi e date); ma la tesi hegeliana di una filosofia della storia, ovvero di una storia 'ideale', non già eterna ma dentro il tempo, è per il Croce erronea, perchè nega la storia propriamente detta, e nella definizione di "contemplazione pensante della storia" è implicito il fatto che la storia come tale o non è un pensiero oppure è un pensiero imperfetto. Allo stesso modo, una filosofia della natura, cioè una filosofia che abbia a fondamento le scienze naturali, è una contraddizione in termini, perchè comporta riflessione filosofica di quei concetti arbitrari che la filosofia non pone (e sui quali di conseguenza non ha presa), nè per affermarli nè per negarli. L'esigenza di superare il dualismo di queste due realtà distinte che sono Natura e Spirito aveva indotto Hegel a porre un terzo termine, il Logos: siccome però natura e spirito non sono due astrazioni ma due realtà concrete, la forma triadica risulta inapplicabile; il Logos nella sua triade è la tesi, ma come un soggetto che non si può pensare come tale, o meglio, che non è pensabile, un Dio nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e dello spirito finito.

Ora, come possiamo pensare un Dio prima (o fuori) della natura e dell'uomo? semmai un Dio dentro la natura e lo spirito finito: quindi il dualismo rimane.

Questo errore logico in cui si impiglia il suo idealismo assoluto è la ragione della divisione della scuola in due fazioni, la destra e la sinistra: la destra ne interpretava l'insegnamento in senso teistico, leggendo il soggetto come il dio personale, laddove la

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sinistra lasciò cadere la filosofia della religione e anche la Logica, dando risalto al carattere di immanenza del sistema e giungendo ad accordarsi col materialismo filosofico; in realtà non è lecito parlare di un'interpretazione più genuina dell'altra perchè entrambe affondano le radici nella dottrina del maestro, e le divergenti letture sorgono dall'ambivalenza della dottrina e dalle sue difficoltà.

Allo stesso modo, la stessa definizione di "idealismo" è ambigua: già Kant nella Critica della Ragion Pura aveva intuíto il senso originario della dottrina, quello della creazione, non del pensiero, bensì del mondo della scienza, pur senza vederlo con chiarezza. Ora, se la scienza può essere detta "ideale" in quanto costruzione astratta e arbitraria, lo stesso non può dirsi della filosofia, che è autocoscienza, e la sua realtà non si costruisce ma si pensa dialettizzandola: per questo essa non è mai rappresentazione di cose, perchè le cose, le res, non esistono se non come quelle finzioni che si giustificano solo nell'ufficio proprio della scienza, che è realistica in quanto idealistica, laddove l'autocoscienza si esprime per concetti, giudizi e ragionamenti che il processo storico dello spirito suscita e di cui si compone.

Ne consegue che quella di "idealismo" è una formula vuota da lasciare al campo scientifico, in quanto suggerisce un pensiero come unità mistica di conoscere e volere, in cui l'Idea viene a essere non più il pensiero che, in quanto tale, è sempre critico, ma quel Dio alquanto vago che abbiamo visto venir inteso da una parte della scuola hegeliana come il Dio personale, creatore del cielo e della terra e dell'uomo a propria immagine, fondamentalmente estraneo allo sviluppo storico20.

20 Conversazioni filosofiche. VIII Noterelle di Logica. Una denominazione filosofica da abbandonare. L'«Idealismo», in

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