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3. La Stella che genera la comunità

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Academic year: 2021

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3.

La Stella che genera la comunità

Negli ultimi mesi della guerra e nei primi della rivoluzione, dall’agosto 1918 fino al febbraio 1919, le forze raccolte si sono liberate in un libro più ampiamente sistematico… Ho l’insopprimibile sensazione di aver tracciato qui la summa della mia esistenza spirituale e che tutte le cose che verranno dopo saranno soltanto aggiunte, così come forse l’attimo e le sollecitazioni esteriori potrebbero occasionalmente carpirmi. Ciò che è in me più autentico, per quanto si possa dare ciò che e il più autentico di sé in un libro, io l’ho dato qui. Solo nella vita, non più nello scrivere, io vedo ancora un futuro davanti a me.1

Se il 1913 segna la svolta spirituale di Franz Rosenzweig, la stesura della Stella della

Redenzione segna il punto di arrivo del suo pensiero filosofico, della repulsione totale di

ogni forma d’idealismo e dell’enunciazione del nuovo pensiero. La Stella, che si apre con un richiamo dell’attenzione alla paura della morte e che si conclude con un invito alla vita, rimprovera alla filosofia sistematica, sintetica, di aver voluto comprendere l’intera realtà senza aver posto l’attenzione sul singolo come punto di partenza della conoscenza del reale.2 Proprio per queste ragioni la filosofia dei sistemi è costretta a

1 Lettera di Rosenzweig indirizzata a Buber senza data, ricondotta con molta probabilità alla fine

dell’agosto 1919; tr. It. in F. Rosenzweig- M. Buber, Amicizia nella parola. Carteggio, tr. It. a cura di N. Bombaci, Morcelliana, Brescia 2011, cit. pp. 21-24.

2 Cfr. F. Rosenzweig, La Stella…, op. cit., pp. 3-23. Per maggiori approfondimenti sull’ In Philosophos di

F. Rosenzweig crf. F. Fusilli, Il quadro appeso alla parete ovvero una nota critica sull’In Philosophos!, in «Hermeneutica», 3, 1983, pp. 197-205; cfr., C. Belloni, In philosophos! Franz Rosenzweig e la critica all'idealismo tedesco in Franz Rosenzweig. Ritornare alle fonti, ripensare alla vita, a cura di Massimo Giuliani, il pozzo di Giacobbe, Trapani 2012, pp. 89-98. Löwith in Poscritto ad “Essere e Tempo” osserva che Rosenzweig, così come Heidegger, sente una pressante esigenza di rinnovare dalle radici i contenuti e le forme della filosofia tradizionale sentita come una pratica di pensiero ormai insostenibile e incapace di fornire risposte credibili agli interrogativi della sua epoca. Il bisogno di individuare nuovi orizzonti filosofici è sorto dall’appartenere ad una generazione che vede la propria esistenza posta dinanzi ad un bivio: la storia o l’eterno? La temporalità o l’utopia? Cfr. K. Löwith, M. Heidegger e F. Rosenzweig. Poscritto a “Essere e tempo”, tr. It. a cura di E. Greblo, in «aut-aut», 222, novembre-dicembe 1987, pp. 77-102; Cfr. anche E. Greblo, Nota introduttiva al saggio di Löwith su Heidegger e Rosenzweig, in ivi, pp.71-75. Un interessare ricostruzione del pensiero di Rosenweig è stata fatta da Bensussan il quale propone una ricostruzione del Globus alla luce della Stella della Redenzione, e affronta il tema della morte a partire da una riflessione sull’esperienza diretta di Rosenzweig nel fronte balcanico; Bensussan sostiene che l’architettonica stessa della Stella (l’apertura con il tema della paura della morte e la chiusura con l’inno alla vita) faccia della Stella un opera sulla guerra; il confronto costante con la realtà della morte di un gran numero di combattenti, compagni di guerra, mostra l’incapacità del pensiero di comprendere l’intera realtà; Cfr. G. Bensussan, Rosenzweig and War.

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dirsi «idealistica»:

Infatti l’«idealismo», con la sua negazione di tutto quanto separa ciò che è singolo dal Tutto, è lo strumento artigianale con cui la filosofia rielabora la materia indocile fino a che essa non oppone più resistenza alcuna alla confusione nebulosa entro il concetto di Uno-Tutto.3

Il nulla assoluto della morte, che al tempo stesso è il nulla relativo ad ogni singola esistenza umana, rappresenta la reductio ad absurdum del vecchio sapere. Esso deve essere considerato come il «perenne punto di partenza di ciò che è perenne» in quanto «cerchiamo ciò che è perenne, ciò che non ha bisogno del pensiero per poter essere».4 All’astrattezza del Tutto, Rosenzweig oppone la realtà dell’uomo, del sé, realtà in sé conchiusa, che pensa in sé ed a partire da sé. In tal modo la morte, o meglio «il nulla della morte», la paura di ogni uomo di divenire un nulla nel momento in cui sta per morire, diventa l’incipit a partire dal quale la nuova filosofia, non sistematica, bensì della vita, deve cercare di comprendere la realtà.5

3.1. Il nulla come punto di partenza della decostruzione del sistema Uno/Tutto

Nodo principale della riflessione filosofica di Rosenzweig è l’individuo. Rosenzweig condanna alla filosofia di aver perso di vista il suo obiettivo: dare una risposta alle domande di senso dell’uomo. La ricerca del principio primo, da cui tutto scaturisce, che per millenni ha tormentato il pensiero di filosofi, è determinata innanzitutto dal bisogno

Between Creation, Revelation and Redemption, tr. eng. M. H. Anderson, in «The New York Central Review», vol. 13, n. 1, primavera 2013 pp. 25-45. Cfr. anche S. Mosés «De Rosenzweig à Levinás: philosophie de la guerre», in Au-delà de la guerre, Éditions de l’Éclat, Paris 2004.

3 F. Rosenzweig, La Stella…, op. cit., p. 4.

4 Cfr. F. Rosenzweig Das Neue Denken, trad. it. op. cit., p. 46; Cit. F. Rosenzweig, Der Stern Erlössung,

trad. it., op. cit., p. 21.

5 Ivi, p. 5. Rosenzweig invita la filosofia a riflettere sul senso della morte, dell’esistenza della morte,

dell’esistenza che deve diventare inesistenza. Perché gli esseri nascono se devono perire? Qual è il senso di ogni singola esistenza umana se ogni singola esistenza è costretta ad essere assorbita nella notte del nulla? Perché esistono molteplici esperienze se queste si perdono nel Tutto in cui vengono appianate e in cui ognuna perde il suo valore di individualità?

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dell’uomo di dare una risposta alle sue domande di senso; ma la filosofia nel cercare di dare una risposta a queste domande ha smarrito la via, ha iniziato a chiedersi che cos’è il mondo e nel tentativo di dare delle risposte ‘logiche’ è giunta a perdere di vista il suo obiettivo principale, l’uomo in carne ed ossa, creando dei sistemi che non solo mortificano l’individuo nel senso che non se ne prendono proprio cura, ma soprattutto nella loro pretesa di essere assolutamente razionali arrivano a conclusioni irrazionali. «La paura della morte non sa nulla della divisione di anima dal corpo», la filosofia dello Spirito ha accantonato la paura della morte come se fosse un problema legato al corpo facendo credere all’uomo che la sua anima sia immortale.6 Nelle righe immediatamente successive Rosenzweig invita gli uomini a riflettere sul senso della propria morte e sull’inadeguatezza di quelle teorie che giustificano la storia dell’umanità come un cammino dello Spirito, in cui l’individuo rimane un numero all’interno del complesso dello Spirito, che se mai morisse il suo io diventerebbe un

Illud, insomma perderebbe la sua identità. La filosofia pertanto non fornisce delle

risposte adeguate all’individuo che teme la morte e che quindi lotta per la propria vita:

«L’uomo…vuol rimanere, vuol vivere... L’uomo sente fin troppo bene di essere condannato alla morte ma non al suicidio. E quella raccomandazione filosofica saprebbe soltanto suggerire il suicidio».7

L’opera elaborata nel periodo in cui Rosenzweig è impegnato in un’unità di combattimento sul fronte Balcanico, si apre con una riflessione sulla paura della morte e sul senso dell’esistenza caduca. La critica, che in queste primissime righe viene elaborata, si connette perfettamente con alcuni elementi già in germe all’interno delle opere che abbiamo analizzato nel capitolo precedente. In Hegel e lo Stato Rosenzweig

6 F. Rosenzweig, La Stella…, op. cit., p. 3. Cfr. F. Rosenzweig, Il Grido, tr. it. a cura di F. P. Ciglia,

Morcelliana, Brescia 2003; come spiega Ciglia, nell’introduzione all’edizione italiana di quest’operetta di Rosenzweig redatta durante l’ultima fase della Grande Guerra, il Grido si presenta come una prima e provvisioria antropologia filosofica.

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aveva già posto le basi di un pensiero che guarda con un certo scetticismo alle teorie di filosofia che vedono lo Stato elevarsi sul cittadino, sull’uomo, giustificando le proprie azioni, anche violente, in vista di un disegno talmente grande da non aver bisogno di porre lo sguardo sulla vita singola del singolo uomo. Nel Globus, Rosenzweig aveva dimostrato come le ragioni della guerra fossero determinate da un continuo spostamento di confini, dalla lotta per la supremazia sulla terra. Si tratta di azioni che sacrificano le vite di uomini, d’individui, giustificate dall’ideologia politica. Il rimando al suicidio nelle primissime pagine dell’introduzione alla Stella, manifestano già la posizione antagonista assunta da Rosenzweig nei confronti di tutto il pensiero filosofico a lui precedente. La filosofia, che trova il suo culmine in Hegel, che ha fatto dello Stato territoriale uno stato di natura, questa filosofia giustifica non solo la guerra ma anche la miseria in cui sono costretti a vivere alcuni uomini, come per esempio le classi più deboli, affinché una macchina più grande funzioni. Questo per Rosenzweig significa condannare la vita al suicidio, ovvero ad una morte «assolutamente contronatura». Così Rosenzweig invita l’uomo a rimanere in questa paura della morte; rimanere nella paura significa desiderare la vita. Rosenzweig invita l’uomo a non accettare quegli ideali che giustificano la sua morte innaturale. Che lo invitano alla guerra, alla violenza, alla miseria, al conflitto:

«intessendo intorno a ciò che è terreno il vapore ceruleo dell’unità del Tutto. Poiché, certo, un Tutto non morrebbe e nel Tutto nulla morirebbe. Soltanto ciò che è singolo può morire… Questo, il fatto che la filosofia debba escludere dal mondo il singolo… è anche il motivo che la costringe ad essere idealistica.8

Ovvero è il motivo che la costringe a ricondurre l’essere al pensiero riconoscendone la totale identità.

8 Ibidem.

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Caratteristica del pensiero, dell’idea, è il suo essere concettuale, sintetica, capace di racchiudere in un sol colpo, l’intera realtà, ma questa appropriazione della realtà nel pensiero fa sì che sfugga, o meglio che venga messa da parte, ogni singola particolarità. Nel momento in cui l’intera realtà viene compresa all’interno dell’idea del Tutto, ogni singola morte, che coinvolge le singole esistenze umane, perde in sé valore perché l’essere del singolo trova il suo posto, seppure nella terza persona, nel Tutto immortale. E Rosenzweig invita la filosofia a riflettere che se la morte c’è, e lui nei campi di battaglia ne fa esperienza ogni giorno, ha un senso e la filosofia deve riflettere circa il senso della morte. Così la vita concreta, come la morte concreta, sfuggono ad ogni sistema logico. L’uomo, anche dopo Hegel, continua a desiderare la vita e a voler rigettare via la morte. La concretezza della vita, che in queste pagine si esprime con la paura di morire, svela in questo modo la «menzogna» della filosofia sistemica.

La filosofia che ha cercato di comprendere tutta la realtà con l’identificazione di essere e pensiero, in realtà non è stata in grado di dare delle risposte esaurienti all’uomo; l’esistenza stessa della morte come evento inevitabile nella vita di ogni uomo, come evento che si ripete continuamente, costringe il filosofo a riporsi la domanda sull’esistenza. In questo senso il «nulla non è un nulla, è qualcosa».9 È un qualcosa innanzitutto perché la morte molteplice (Rosenzweig insiste spesso all’interno delle sue opere nell’utilizzare il termine ‘mille morti’) rinvia a riflettere sull’impossibilità di ridurre il complesso della realtà ad una singola unità, ma anche perché invita la filosofa a riflettere sugli errori metodologici, ovvero su quelle domande sulla base delle quali sono state stabilite delle riflessioni che hanno cercato di comprendere il complesso della realtà in modo errato. Rosenzweig individua l’errore della filosofia nella sua domanda ‘primordiale’ «che cos’è il mondo?» da cui si determinavano, nei tentativi di

9 Ivi, p. 5.

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risoluzione, due errori costanti: il primo è quello di pensare che il complesso ontologico della realtà sia necessariamente unico, il secondo è quello di aver ritenuto che il complesso della realtà segue le stesse leggi razionali che noi scorgiamo nei fenomeni naturali, e, quindi, di aver creduto di poter comprendere la realtà esclusivamente per mezzo del pensiero, della logica. Questo atteggiamento da parte del filosofo ha fatto sì che egli si ponesse in un atteggiamento quasi antitetico nei confronti della fede, che annuncia con la rivelazione, per mezzo del testo sacro, una realtà che va oltre gli schemi ‘chiusi’ della logica. Così la storia del pensiero filosofico si presenta come la storia del confronto e dello scontro tra fede e sapere. Nella dialettica hegeliana, il confronto di fede e sapere ha raggiunto, poi, il suo fine e la sua meta, nel momento in cui il Sapere circa il Tutto, ovvero il Sapere Assoluto, è giunto all’Autocoscienza in sé e per sé. Hegel, partendo dal vangelo di Giovanni, ha creduto di ridurre la fede alla ragione e di aver abolito la differenza essenziale tra fede e sapere, per mezzo dell’identificazione di Essere e Pensiero, «istante in cui il sapere circa il Tutto perviene a conclusione in se stesso».10 Tuttavia «sia la soluzione del problema della fede che l’auto-compimento de sapere erano solo apparenza»; così, dopo Hegel, il problema si ripropone al centro dell’interrogativo.11 Così Kierkegaard ha rivendicato, contro il bel sistema hegeliano, il valore della sua coscienza individuale, «coscienza del proprio peccato e della propria redenzione, non bisognosa, né suscettibile di una dissoluzione nel cosmo»; Schopenhauer ha rivendicato il dovere della filosofia di prosi come domanda originaria non che cosa sia il mondo, bensì quale valore abbia il mondo per l’uomo; infine Nietzsche ha elevato, al di sopra di ogni sistema, l’unità dell’uomo, «egli fece la sua

10 Sul rapporto fede e sapere Cfr. K. Löwith, Fede e Sapere, in Storia e Fede, Roma-Bari, Latera 1985,

pp. 37-65.

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strada tutto intero, anima e spirito, uomo e pensatore, una unità fino all’ultimo», che muta in rapporto alla vita.12

Se con la filosofia hegeliana si è consumata, secondo Rosenzweig, l’espropriazione totale dell’individuo dalla sua individualità a favore dello ‘spirituale’, con i filosofi come Kierkegaard, Schopenhauer e Nietzsche (ma anche Marx) il filosofo, ovvero l’uomo, rivendica non soltanto la sua soggettività individuale, rivendica anche il dovere, da parte della filosofia, di dare delle risposte di senso alla sua esistenza innanzitutto individuale:

L’uomo, non quello trasposto nello spirituale, ma quello dotato di anima…era divenuto padrone della filosofia; essa doveva riconoscerlo, riconoscerlo come qualcosa che non arriva a concepire e tuttavia…non poteva negare. L’uomo nella pura e semplice singolarità della sua essenza individuale, nel suo essere, contrassegnato con nome e cognome, uscì dal mondo che si sapeva accessibile al pensiero, uscì dal Tutto della filosofia.13

L’aver cercato di comprendere l’uomo all’interno del sistema dell’etica, logicamente intesa, ha fatto sì che l’uomo non fosse preso in considerazione come esistenza individuale ma come personalità; per mezzo di un termine del tutto generico, egli finiva con il produrre «una teoria della comunità intesa come porzione di essere».14 Il problema deve essere ricollocato nell’ambito della nuova prospettiva, della concezione della vita in opposizione alla concezione del mondo; del meta-etico, volendo intendere con il suffisso ‘meta’ tutto ciò che sfugge alla possibilità di una comprensione all’interno delle leggi della logica. 15

Spostare l’asse dell’attenzione sull’esistenza dell’uomo individuale che sfugge alle leggi rigide della logica significa per Rosenzweig riconoscere anche una nuova

12 Cit. ivi, pp. 8-9. 13 Cit., ivi, p. 10.

14 Prospettive settanta 1991 13/04 pp.698-714 E. D’antuono Rosenzweig e Kant affinità elettive 15 Cfr. L. Bertolino, La filosofia del nulla in franz rosenzweig, op. cit., p. 266.

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collocazione del mondo, detronizzarlo dalla sua pretesa di essere un Tutto; a quest’unità per eccellenza Rosenzweig oppone l’unica ‘unità’ possibile che è l’unita della singola esistenza umana in cui non è prevista la scindibilità dell’anima dal corpo, che è unità assoluta e inscindibile (ebreo e tedesco al tempo stesso). L’unità del mondo era pensabile solamente nel momento in cui si sosteneva l’unità del pensiero, ma l’epoca in cui vive Rosenzweig «scaglia un guanto di sfida all’intera venerabile comunità dei filosofi dalla Ionia fino a Jena» e propone di comprendere, per mezzo del pensiero, la sua non-identità con l’essere. Il mondo quindi non può più essere definito logico bensì meta-logico, non alogico perché la logica non è esclusa dal mondo, ne è una componente essenziale, ma pur sempre solo una componente. Ne emerge il carattere passivo del pensiero. La logica, nella concezione rosenzweighiana perde il suo ruolo ‘produttivo’ della realtà ma ne diventa un contenuto.16

Rosenzweig, sempre nelle pagine introduttive, dimostra inoltre che l’emancipazione della filosofia dalla possibilità dell’azione di un Dio esterno, essere altro, nel mondo, la quale ambiva a difendere l’uomo da un essere che si erigeva onnipotente su di lui, finisce con il «non offrire alcun riparo nei confronti di Dio», perché il cosmo stesso prende il posto di Dio, includendo dentro di sé l’assoluto.17 Così egli si appresta ad analizzare la natura altra di Dio, meta-fisica, ovvero la natura di un essenza che proprio

16 In queste pagine della Stella [ F. Rosenzweig, La Stella…, op. cit., pp. 13-18] Rosenzweig utilizza la

metafora del quadro appeso alla parete per spiegare il rapporto intercorrente tra l’unità del pensiero e l’unità di essere e pensiero: mentre la parete vuota, nuda, rappresenta il pensiero rapportato all’essere, il quadro (le concezioni del mondo), nella sua totalità interna e chiusura verso l’esterno, rappresenta la molteplicità in sé infinita del mondo. Inoltra accanto al quadro si potrebbero appendere altri quadri, così come la concezione del mondo può coesistere con quella dell’uomo e di Dio. A questa visione si oppone quella dell’idealismo in cui la parete, cioè il pensiero, è tutta affrescata, ovvero si identifica con il pensiero. Cfr. L. Bertolino, Il nulla e la filosofia. Idealismo critico e esperienza religiosa in Franz Rosenzweig, Trauben, 2005 Torino, pp. 58-60.

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perché si pone al di là del mondo non è costretta a rispondere a quelle leggi del logos che sono interne al mondo.18

In questo modo termina l’introduzione di Rosenzweig alla Stella, come vediamo, l’operazione di decostruzione del sistema Uno-Tutto operata da Rosenzweig si identifica con il conseguente tentativo di recuperare i tre oggetti della conoscenza (Dio, uomo e mondo) non più come oggetti razionali bensì meta-, ovvero «irrazionali». Mi soffermo a sottolineare che il tentativo di accedere alla conoscenza dei tre enti in senso, potremmo dire, oltre-logico, è determinato dall’esigenza di invitare il mondo filosofico a riflettere sulla realtà andando oltre agli schemi rigidi di una logica che nel tempo non solo ha perso gli stessi caratteri della logicità, ma che credendo di aver compreso la realtà se ne è distaccata. Si tratta pertanto di un lavoro che pone come suo obiettivo il recupero della conoscenza della realtà libera da schemi rigidi che paralizzano il pensiero e il pensatore, non consentendo una conoscenza ‘pura’ della realtà.19 Il metodo, che per certi versi ricorda lo scetticismo socratico, consiste dunque nel ripartire dal nulla della conoscenza, da quel nulla privo di pregiudizi che è l’unica base a partire dalla quale è possibile, al filosofo, comprendere la realtà; la realtà di ciò che è perenne, ovvero di ciò che non abbisogna del pensiero per esistere, bensì che lo precede. Il non sapere nulla della filosofia non costituisce un limite, ma l’inizio da cui bisogna ripartire.20

18 Ivi, p. 18:«Dio ha una natura sua propria che prescinde totalmente dal rapporto in cui entra con

l’elemento fisico a lui estraneo, con il “mondo”».

19 Cfr. F. Rosenzweig, Il filosofo è tornato a casa. Scritti su Herman Choen, a cura di R. Bertoldi,

Diabasis, Reggio Emilia 2003, p. 23.

20 Come suggerisce Fabris «il percorso dell’introduzione della prima parte della Stella può essere letto dal

punto di vista filosofico, come il tentativo di recuperare, nella sua paradossale valenza positiva e nella sua problematica produttività, quel concetto aporetico di nulla che, annunciandosi immediatamente nell’esperienza della morte, viene tuttavia, in una prospettiva sistematica, o identificato al vuoto essere o espulso – vista la contraddittorietà del suo porsi – dalla totalità esprimibile degli enti»; 20 Cit. A. Fabris,

Linguaggio della rivelazione. Filosofia e teologia nel pensiero di F. Rosenzweig, Marietti, Genova, 1990, p.25.

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Come vedremo uno dei perni della critica che Rosenzweig rivolge alla filosofia che identifica Essere e Pensiero è legata al tentativo di comprendere la realtà in una dimensione logica e quindi atemporale:

Nella domanda «che cos’è propriamente?» il pensiero fissa ciò che accade nel conoscere in modo da pensarci sopra.21

Il pensiero esprimendosi attraverso l’essenza perde la sua dimensione temporale e si fissa in quella atemporale ed eterna.22 Ma l’esistenza effettiva è indeducibile logicamente, pertanto il nuovo pensiero, che si vuol porre come base per un nuovo metodo del filosofare, non deve iniziare da una determinazione logica. 23 Compito del nuovo pensiero diventa quello di liberare la filosofia e la teologia dal pericolo dell’astrazione e, come sottolinea Glatzer, di spronare il pensiero e la fede alla reciproca critica e alla cooperazione.24 Per le ragioni appena indicate diventa centrale il ruolo della temporalità dell’esistenza che non è più esclusa dal pensiero, ma è determinata dal pensiero stesso che ha assunto come punto d’inizio del filosofare l’assoluta positività dell’esistenza empirica. Tuttavia nella prima parte della Stella Rosenzweig si muove ancora, in via critica, sulla base del pensiero atemporale, in cui si riappropria dei tre enti Dio, uomo e mondo, partendo dal nulla della conoscenza.25 Proprio perché si tratta di un nulla gnoseologico, esso non può essere riferito ad un nulla ontologico.

21 La cit. è tratta da B. Casper, op. cit., p. 96; l’autore cita F. Rosenzweig Das Büchlein vom gesunden und

kranken Menschenverstand, a cura di N. Glatzer, Köln 1964, p. 30, trad. it. Dell’intelletto comune sano e malato, a cura di G. Bonola, Trento, 1987, p. 37.

22 F. Rosenzweig, Dell’intelletto comune sano e malato, op. cit. p. 38.

23 Casper puntualizza che una dei primi interrogativi posti da Rosenzweig è legato alla possibilità di

concepire la totalità dell’essere «che si deve pur concepire per comprendere l’integralità della storia dell’umanità» e che giunge alla conclusione per la quale «la totalità dell’essere non si lascia cogliere dal pensiero»; Cit., B. Casper, Rosenzweig e Heidegger. Essere ed evento, ed it. a cura di A. Fabris, tr. it. di A. Cimino e G. Moretto, Morcelliana 2008 Brescia, pp. 38-39.

24 Glatzer, introduzione, in F. Rosenzweig, dell’intelletto comune…,op. cit., p. 11.

25 Cfr. Casper, op. cit., p. 100. F. Rosenzweig, L’uomo il suo sé ovvero la metaetica, tr. It. di A. Moscati,

in «aut-aut», CLXXXIX-CXC (1982), p. 114: «Il nulla del sapere che dimostra è pertanto qui sempre solo un nulla del sapere e, più precisamente, un nulla del dimostrare, di fronte al quale il fatto…resta fermo, intoccato nella sua integra e assoluta fatticità». Come Rosenzweig stesso sottolinea il metodo utilizzato in

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Il primo libro della Stella, Dio e il suo essere o meta-fisica, è volto all’appropriazione della conoscenza dell’ente di Dio. Il metodo del filosofare impone di partire dal nulla della conoscenza, si tratta di un nulla che si limita a denotare il fatto, che per noi Dio è «un problema».26 Il nulla dunque, denota lo stato iniziale della conoscenza, il momento che precede l’attimo in cui viene posto il problema della conoscenza.27 In questo senso il nulla non può essere definito un principio, perché il principio pone l’esistenza di qualcosa. L’inizio della conoscenza pone, di conseguenza, il “si” della conoscenza di qualcosa che non può essere nulla, si tratta di un “sì” che implica soltanto l’esistenza di un principio che non è stato ancora riempito dei suoi contenuti.28 Il “sì” (è in principio) è preceduto dal “no” di Dio, ovvero da quel “no” che si presenta come negazione del nulla.

Francesco Paolo Ciglia in relazione allo scaturire della conoscenza di Dio per l’uomo, nella prima parte della Stella, sostiene che Rosenzweig intende riferirsi al sapere

intuitivo dell’esperienza, dal quale il pensiero filosofico non deve distaccarsi ma con il

quale deve dialogare.29

L’ente di Dio che ne scaturisce da questa riflessione si presenta come illimitato, immobile, infinito, inesauribile, libertà assoluta, in sé conchiuso e di conseguenza

questa prima parte della Stella segue la logica della matematica, secondo la via utilizzata dal maestro Choen Cfr. F. Rosenzweig, La Stella…, op. cit., pp. 21-23.

26 Cit. ivi, p. 28.

27 F. Rosenzweig, La Stella…, op. cit., p. 25. Cfr. ivi, p. 94;Cfr. L. Bertolino op. cit. p.269: Bertolino

sostiene che il nulla particolare abbia una duplice valenza gnoseologica e ontologica; a mio parere accettando questa tesi si rischia di ricadere in quello che Rosenzweig cerca di dimostrare che essere e logos sono irriducibili. È necessario non confondere l’essere in quanto tale dall’essere della conoscenza. Riporto quanto dice Casper a tal proposito:«Il nulla che, in quanto problematicità, ha creato il paradossale ‹così› dei fenomeni originari va dunque distinto molto chiaramente dal nulla che, in quanto ultima problematicità, porta alla questione della realtà reale»; Casper, op. cit., cit., pp. 122-123.

28 Ivi, p. 29:«La forza del “sì” consiste nel suo inerire a tutto, nelle sconfinate possibilità di realtà che

risiedono in lui. Il “sì”… attribuisce ad ogni parola della frase il suo diritto ad esistere». In merito alla problematicità del nulla divino Ciglia, nel suo articolo dedicato specificatamente al primo libro della prima parte della Stella, spiega che il nulla del sapere di Dio è un nulla assolutamente determinato e circoscritto, del nascondimento e del velamento di Dio alla ragione umana. F. P. Ciglia, Fra problematicità e fattualità. Il Dio “elementare” di Franz Rosenzweig in «Filozofija I Društvo» XXIII(2), 2012, p. 9.

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nascosto all’esperire umano. Utilizzando la simbologia algebrico-matematica Rosenzweig designa la libertà divina con il simbolo A=A; la “A” designa il carattere assolutamente originario e privo di presupposti dell’ente di Dio, mentre il simbolo “=” implica la tensione divina verso l’altro, ma poiché è rinchiuso in se stesso difronte non può che trovare nuovamente sé; ne consegue che l’altro è sempre Dio.

Anche il modo in cui l’uomo si appropria dell’essere del mondo tramite la conoscenza ha inizio nel nulla della conoscenza.30 Nel secondo libro della prima parte, inerente il

mondo e il suo senso, l’essenza del mondo, vien fatta scaturire con lo stesso metodo con

cui nel primo libro ci si appropriava dell’essere di Dio. Differentemente dall’ente di Dio, l’essenza che ne scaturisce dal “sì” dell’affermazione del non-nulla, poiché non può essere l’essere del mondo che è «abbondanza inesauribile delle visioni, sempre di nuovo generata e recepita», ma deve affermare un’essenza infinitamente in quiete, ovvero ciò che è ovunque e perenne, universalmente valida, quel che viene affermato come essenza è il logos del mondo.31 Il logos, che in queste pagine è espresso con la formula =A, volendo indicare con “A” il suo carattere di universalità che è posto alla destra del segno “=” per esprimerne la passività.32 Nel paragrafo sull’abbondanza

mondana, Rosenzweig si sofferma a spiegare che il mondo non è soltanto spirito ma è

anche composto dalla molteplicità degli elementi che producono incessantemente qualcosa di nuovo.33 Emerge quindi che anche l’abbondanza sempre rinnovata, così come l’ordine, è un’essenza del mondo. Tuttavia il modo in cui si esperisce l’emergere dell’abbondanza dal nulla, segue un percorso diverso rispetto a quello del logos; l’ordine prodotto dal logos, è perennemente in quiete, fermo, l’abbondanza invece è la

30 F. Rosenzweig, La Stella…, op. cit., p. 44.

31 Ivi, p. 45:«Il pensiero è effuso sul mondo come un sistema pluriramificato di singole determinazioni. È

quanto nel mondo vale in ogni luogo e per tutti i tempi».

32 Ivi, p. 46.

33 Ivi, p. 47:«Il suo grembo non è mai sazio di concepire, è inesauribile nel generare. O meglio poiché il

maschile ed il femminile sono entrambi inclusi in esso, il mondo, in quanto “natura”, è tanto la matrice senza fine di figure quanto l’instancabile forza procreatrice dello “spirito” che nel mondo è “di casa”».

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continua negazione del nulla determinata da un qualcosa sempre nuovo che viene prodotto. Proprio perché il molteplice è abbondanza delle particolarità, questo non presenta alcuna direzione e nessuna idea di compimento, «alla nascita è cieco, non è altro che essente». Così Rosenzweig indica, attingendo sempre dalla terminologia algebrica, il particolare con il simbolo “B” privo di uguaglianza, esso denota il suo essere qualcosa che sa accanto ad un altro, «non un dato ma un dono sempre nuovo», differente dalle forme logiche che sono sempre «date» ovvero perenni. Questo emergere del particolare, della vita dei singoli individui, rompe il Tutto dell’idealismo che poteva rimanere Tutto solo ed esclusivamente nel momento in cui era in grado di produrre se stesso e fa del Tutto, solo un “un” volendo intendere con l’utilizzo dell’articolo indeterminativo che:

Il logos intramondano… non ha più bisogno di essere gravato da un’attività che contraddice direttamente la sua essenza mondana, la sua molteplicità ed applicabilità; esso produce l’unità del mondo soltanto all’interno, per così dire, non già come forma esterna del mondo, ma come forma interna. Questo Tutto, meta-logico possiede l’unità esterna per virtù propria, giacché non è «il» Tutto

pensabile, bensì «un» Tutto permeato di pensiero.34

Ne emerge un mondo che è «la viva profusione, sempre rinnovata, del fenomeno». Di un mondo la cui figura sorge dal particolare sempre nuovo che ogni volta che con il suo io individuale nega il nulla e legandosi agli altri io produce l’universale.35 Il particolare, cioè l’individuum irrompe, nel mondo cieco e privo di direzione, ma l’universale, con la sua forza d’attrazione, in qualche modo apre gli occhi al particolare che diventa cosciente del suo movimento indotto verso l’universale. Ma questo movimento che va dal particolare in direzione dell’universale, è un movimento che in un certo senso

34 Cit., ivi, p. 49.

35 Ivi, p. 51:«La figura del mondo sorge, così, non immediatamente dalla caduta del particolare

nell’universale, ma piuttosto dall’ingresso dell’individuo nella specie. Il vero “e” del mondo non è l’”e” che sta tra mondo spiritualizzato e spirito ‘di casa’ nel mondo (che sono gli estremi) ma immediatamrnte quello che sta tra la cosa e il suo concetto, tra l’individuum ed il suo genus, tra l’uomo e la sua comunità».

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avviene per gradi, dal momento che l’universale che il particolare porta dentro di sé è il “suo” universale (es. genere, specie, o anche comunità, popolo, stato). Infatti tutti i concetti che vogliono indicare un universale possono dirsi tali solamente in confronto al loro proprio particolare, così, per esempio le comunità costituiscono un universale solo in relazione ai loro componenti, ma in relazione alle altre comunità rappresentano un particolare. Rosenzweig esplica meglio la relazione individuum-genus, ovvero del particolare con il suo universale, per mezzo del processo dell’accoppiamento e della conseguente nascita: l’accoppiamento che è l’atto sempre uguale e ripetuto, prodotto dal

genus, determina la nascita sempre nuova di un nuovo individuuum, che proprio perché

è un assoluta particolarità non ha un rapporto diretto con il movimento sempre ripetuto dell’universale. Questo vuol dire che l’uomo, come spiega Rosenzweig nelle righe immediatamente successive, viene alla luce innanzitutto come individualità e solamente nella relazione con gli altri uomini accede al suo universale:

L’individuum, che alla sua nascita è perfettamente individuale, addirittura tal quale una cosa, privo di collegamenti e di relazioni… nell’accoppiamento è altrettanto perfettamente entrato nella sua specie. Contro il concetto iedealistico di produzione questo processo circolare nel suo costante svolgimento si rivela essere la raffigurazione perspicua dell’essenza meta-logica del mondo.36

Si comprende a questo punto perché Rosenzweig utilizzi la formula B=A per esprime la figura del mondo, volendo intendere con quest’equazione non solo l’uguaglianza di due entità ineguali (particolare che è contenuto del mondo e universale che ne è la forma) ma anche l’attività del contenuto che muove verso l’universale e la passività della forma sempre in quiete. Visto in questo modo, il mondo appare come un intero, rivolto solo a se stesso e in sé conchiuso. Questo mondo, definito come plastico, è un mondo

36 Cit., ivi, p. 52.

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configurato, il cui interno non equivale a Uno-Tutto. Esso è la somma delle sue parti, sorrette da tutto ma costitutrici di un’universalità.

Nella visione idealistica «una sola strada» conduce alle diverse membra che esso colma, ed è:

quella attraverso la quale scorre il flusso di energia del tutto, mostrando così un tratto di unidimensionalità. Il singolo non viene dedotto immediatamente dall’intero, ma viene sviluppato attraverso la sua collocazione precisa tra la sua entità immediatamente superiore e quella immediatamente inferiore all’interno del sistema; ad esempio in Hegel la «società civile» nella sua collocazione intermedia tra «famiglia» e «stato».37

Il carattere dell’unidimensionalità, determinato dalla visione rigida e sistematica dell’unità che raccoglie in sé il Tutto, non lascia spazio alla possibilità del punto di vista del filosofo.38 Altrettanto non accade nella visione meta-logica del mondo, la quale, impone al filosofo ad accostarsi ad una nuova visione del mondo:

A partire da ogni singolo punto corrono fili e relazioni che toccano ogni altro punto e l’intero. Il filosofo osservando l’insieme delle innumerevoli relazioni giunge ad una conclusione unitaria circa l’intero che è soltanto relativo del suo punto di vista soggettivo.39

Confrontandosi con Platone e Aristotele, Rosenzweig spiega che i pensatori antichi non insegnano alcun rapporto tra universale e particolare, tra idee e fenomeno, presentando sistemi che apparentemente sembrano rimandare al rapporto meta-logico. Tuttavia questi sistemi mostrano delle difficoltà sia quando il rapporto idea-fenomeno deve essere spiegato in relazione al macrocosmo, sia quando deve essere spiegato in

37 Cit. Ibdem.

38 Come spiega Casper per Rosenzweig il concetto di mondo proprio dei sistemi idealistici è

essenzialmente unidimensionale perché si muove seguendo soltanto un’unica strada, quella di una riduzione sempre maggiore, che va dall’inferiore verso il relativamente superiore e poi verso il superiore assoluto. Casper, op. cit., p. 115.

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relazione al micro-cosmo ovvero in relazione alla polis sebbene in quest’ultimo caso sembra che la visione meta-logica del mondo fosse compiutamente perseguibile. Nello stato dell’antichità, la polis, il rapporto tra il singolo e la comunità è diretto, non mediato da alcuna forma di organizzazione né tanto meno relativo alla parte con il tutto.40 «Bensì lo stato è il Tutto dal quale un flusso unitario d’energia esce a percorrere tutte le sue membra».41 Il cittadino racchiude già dentro di sé l’intero, «è solo se stesso», egli genera ed è a sua volta generato dallo Stato. In questa forma sociale rimane lontana l’idea di assoluta responsabilità collettiva dell’umanità, in quanto, il cittadino della polis è già un intero dentro l’intero; in lui rimane lontana l’idea della responsabilità comune e reciproca degli uomini tra loro.42 Chi si sacrifica lo fa per sé e per la propria comunità, ma al di là di essa «lo sguardo gli è precluso».43 In questa organizzazione sociale, la parte, è parte di un intero che a sua volta è parte di un altro intero e mai del Tutto. L’impero ne è la dimostrazione; le poleis vengono spoliticizzate, ma i cittadini non si sentono cittadini dell’impero. Il cittadino si sente parte di un Tutto:

dove al contrario la comunità di appartenenza appare all’uomo come potenza che lo genera, dove egli in quanto singolo sa di essere in essa non già un individuo della propria specie ma un membro di un Tutto, là la comunità è anch’essa forzata a sentirsi membro di un Tutto.44

Alla limitatezza della visione meta-logica della vita comune degli uomini della polis si oppone la sofistica imponendo la dottrina del punto di vista dell’uomo singolo che reclama la sua singolarità, la sua incontrastata signoria su tutte le cose e su tutti gli

40 Per Rosenweig l’organizzazione è una formazione del tutto idealistica. 41 Cit. ivi, pp. 57-58.

42 Cfr. Ivi. p. 58 «anche là dove bisogna giungere necessariamente all’idea di rappresentanza, nel culto in

special modo nel sacrificio, nell’uomo che compie il sacrificio e nell’uomo che viene sacrificato, anche là questa difficoltà si manifesta nello sforzo di attribuire al sacrificatore una condizione di purità personale, al sacrificato quello di essere votato alla morte». L’individuo assume il suo ruolo non in vista della società, per tutti, ma in vista della sua natura, del suo proprium, per sè.

43 Cit. ivi, p. 59. 44 Cit. Ibdem.

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ordinamenti. La sofistica costituisce una rivoluzione inseno all’antichità, ma non è in grado di dire come «la libera natura dell’uomo debba farsi valere in tutte le cose e su tutti gli ordinamenti».45 Questo problema che verrà risolto da Rosenzweig solamente nella seconda parte della Stella, al momento rimane in sospeso. Dalla comprensione dell’ente originario del mondo finora abbiamo compreso che non c’è uno spirito del mondo il quale, irrompendo dall’esterno, pone il Tutto. L’unità nasce dall’interno. Il mondo contiene sia la pienezza del particolare, che il logos del mondo che gli è familiare. Nel suo interno esso è concluso, nessuna parte vi è inserita per mediazione di altre parti, ma ciascuna lo è in modo immediato.46 Resta da chiedersi:

C’è per lui un fuori? Esso deve probabilmente rispondere di sì. Ma deve anche aggiungere che non sa nulla di questo fuori e, peggio, che non vuol sapere nulla. Non può negarlo ma non ne ha bisogno. Può esserci un Dio, ma finché rimane fuori e non diviene parte del mondo stesso, questo esserci di Dio rimane invisibile al macrocosmo del mondo. Può esserci un uomo, ma finché può essere soltanto una figura che si giustappone al mondo dall’esterno e non è forza agente in esso, il microcosmo del mondo è sordo nei confronti di questo esser-ci.47

Anche dell’uomo non sappiamo nulla, o almeno è il punto di partenza imposto dal metodo finora adottato:

Si doveva pure pensare almeno una volta l’assurdo. Infatti il senso profondo del mio tanto abusato creo quia absurdums è che ad ogni fede occorre come presupposto un absurdum del sapere. Quindi perché il contenuto della fede divenga ovvio è necessario che quanto è ovvio per il sapere, in apparenza, sia bollato come assurdo.48

Il così non altrimenti dell’uomo è il suo essere perituro. Richiamando Goethe:

45 cit. ivi., p. 60.

46 Cfr. ivi., p. 63. 47 Cit. ivi., p. 64. 48 Cit. ivi, p. 65.

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che cosa differenzia gli dei dagli uomini? Che davanti a quelli passano molte onde, noi, l’onda ci alza, l’onda ci inghiotte, ci inabissiamo.49

Questa è l’essenza dell’uomo, sta nella sua transitorietà, mentre il suo essere sta nell’essere nel particolare. Rispetto al sapere, l’uomo lo precede e lo posticipa con il suo essere ancora qui, arrischiandosi a respirare, nel suo agire ancora nonostante il pensiero sia giunto al capolinea, «anche se il sapere si illudeva di averlo imprigionato nei vasi della propria validità universale e della propria necessità».50

L’uomo c’è ed è ancora qui, nella sua singolarità, nel suo essere io e solamente io, non un io insieme ad altri, ma un io e basta; la sua coscienza individuale, espressa con il “sì” originario posto come negazione del suo specifico nulla, fonda il suo proprium ovvero la sua peculiarità specifica che va oltre il carattere dell’individualità, la peculiarità di chi è designabile solamente per mezzo del suo nome e cognome. L’ethos di quest’uomo individuale, che non ha i tratti dell’universalità fin quando non è messo in relazione con gli altri uomini, è il «carattere».51 La libertà dell’uomo, sin dal principio finita, è consapevole e non vuole nient’altro se non ciò che essa è; desidera la sua essenza finita, così come la libertà di Dio desidera la propria essenza infinita. Così si muta da volontà libera in volontà caparbia. La caparbietà è l’autoconsapevolezza dell’uomo consapevole del suo essere finito, il suo “sé”.52 La libertà dell’individuo, del sé, è chiusa in se stessa, così come lo spirito del mondo per il mondo, essa non può essere inserita in un ordine etico già sussistente, in quanto viene prima del mondo.53 Il sé, espresso nella formula B=B indica pertanto un’individualità che non procede verso alcunché di universale; ne consegue che l’uomo occupa due “posti”: esso è sia un B=B, ovvero sé conchiuso in ste

49 Cit. ivi, p. 66. 50 Cit. ivi, p. 67.

51 D’Antuono ricorda la dipendenza di Rosenzweig dalla nozione di “carattere” fornita da Kant; Cfr. E.

D’Antuono, Ebraismo e filosofia. Saggio su Franz Rosenzweig, Guida editori, Napoli 1999, pp. 93-100.

52 Cfr. Ivi., p. 71.

53 Rosenzweig per spiegare meglio la peculiarità del “sé”, fa riferimento ad Adam, il sé in questo caso è

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stesso assoluta particolarità, sia un B=A, nel senso di individuo particolare, abitante del mondo, quindi del mondo parte, attratto dall’universale; l’appartenenza dell’uomo ad entrambe le due sfere, del sé e dell’individuum, determina la confusione circa la definizione dell’ethos dell’uomo. Difatti fin quando l’uomo è attivo nel mondo, il suo sé rimane occulto, egli sembra più un «pezzo di mondo», ma quando l’uomo è posto, di fronte alla propria morte, non nel giorno in cui sa che deve morire ma nel giorno in cui sa che sta per morire, «lo stesso giorno in cui muore la morte delle specie», il sé si scopre assolutamente solo:

non c’è solitudine maggiore che negli occhi di un morente e non c’è singolarizzazione più caparbia di quella che si dipinge sul volto irrigidito di un morto. 54

L’uomo anziano, diventato inefficiente per la comunità perde la sua personalità per la comunità, ma posto difronte alla solitudine della propria morte il suo carattere si palesa in tutta la propria forza; è il sé posto difronte al nulla, che tra qualche istante cadrà nel nulla, staccato da tutte le relazioni della vita: «Insieme con l’individualità quindi anche la specie e la comunità, i popoli, gli stati e l’intero mondo etico decadono a mero presupposto del “sé”». L’intero mondo morale sta alle sue spalle, egli non riconosce le leggi di tale mondo come leggi per lui, ma li possiede come presupposti a cui lui non deve necessariamente obbedire.

Il sé ha il proprio ethos. Il sé «vive solamente rivolto all’interno».55 L’uomo può risvegliarsi al sé contemplando l’opera d’arte, nel silenzio della contemplazione, muto.56 Il sé e solo e non può essere messo in relazione con l’opera d’arte tramite alcun

ponte linguistico. Cos’è l’ethos per l’uomo destinato a morire? L’intero mondo morale tiene a bada i conflitti sociali, ma l’uomo posto di fronte alla propria morte, non l’uomo

54 Cit. ivi., p. 75. 55 Cit. ivi., p.86.

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zoon politikon, ma l’uomo autentico quale legalità sente di dover rispettare? Da dove

rintrona questo deve?

Con Hegel la filosofia ha legato, attraverso il pensiero logico, l’ethos proprio dell’uomo con la realtà esterna, creando un ordine morale che proprio per il fatto di avere la sua ragion d’essere nel mondo esterno, non da una risposta esauriente al singolo sé. L’analisi sul sé moribondo mette in risalto la precarietà della tesi hegeliana che non poteva non andare in frantumi. In Rosenzweig si avverte l’immediato bisogno di dare una risposta di senso all’uomo che non si esaurisca in una utilità per lo Stato ma che trovi nel bisogno dell’altro la piena realizzazione del suo sé; un sistema etico che ad un certo punto non venga lasciato alle spalle, ma che accompagni il sé oltre l’istante della propria morte. Nel far questo Rosenzweig ripropone una nuova relazione, nuova innanzitutto perché partendo dalla constatazione che il pensiero è il pensiero di un soggetto temporalmente esperiente cerca sia di comprendere il pensiero nel suo accadere, sia di ristabilire la relazione dei tre enti attraverso le loro forme temporali.

3.2. La nuova dimensione della temporalità che determina l’apertura verso l’altro

Siamo giunti al momento in cui al pensiero si sono mostrati i tre fenomeni originari di Dio, dell’uomo e del mondo. È necessario adesso comprendere se e in che modo a questi tre fenomeni corrisponda la realtà. Il nulla della conoscenza dei tre enti è il nulla del concetto, «il nulla come luogo atemporale in cui viene posto il problema».57 Rosenzweig critica Hegel per aver pensato il tempo secondo le stesse leggi che regolano la natura, il mondo. Il tempo, pensato come un susseguirsi di connessioni logiche, si fissa in una dimensione eterna in cui la singola coscienza risulta relativamente necessaria. In questo senso la conoscenza della filosofia può e deve dirsi

57 Cit. Casper, op. cit., p. 122.

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atemporale. In una lettera indirizzata a Rudolf Hallo, del 4 febbraio1923, esprime la sua

preoccupazione nei riguardi di una pensiero filosofico che ci costringe a pensare la Storia come una totalità spirituale giustificando la guerra all’interno di questa totalità.58 L’analisi del tempo, così come si presenta nel «nuovo pensiero» ha un fondamento totalmente diverso rispetto al metodo hegeliano. Per Rosenzweig, che riconosce le connessioni logiche soltanto all’interno della dimensione mondana, il tempo non risponde a delle leggi della logica ma scaturisce dall’interconnessione relazionale che si stabilisce tra i tre enti ontologicamente differenti. Il fondersi del tempo nella dimensione eterna, in Hegel e nella filosofia a lui precedete, è stato determinato dall’aver voluto pensare sopra il tempo ovvero dall’aver voluto porre delle leggi razionali a fondamento dell’accadere temporale, senza aver cercato di comprendere il tempo nel suo accadere sempre diverso e sempre nuovo. In altri termini Rosenzweig opera una rottura metodologica con il passato, in quanto non si domanda circa l’essenza del tempo ma si dedica alla temporalità in quanto eventualità, in quanto manifestazione verso l’esterno e interazione con l’altro.

Eppure Rosenzweig scorge in questa tendenza della filosofia a fissare i concetti in una dimensione atemporale il tentativo di trovare una soluzione all’esigenza dell’uomo di non pensare alla propria morte. Il soggetto che s’interroga circa il tutto non ha bisogno di pensare alla propria caducità perché il senso della sua singola esistenza si perde nel tutto che comprende dentro di sé ogni mutamento. L’incipit della nuova filosofia, del nuovo metodo del filosofare, intende trovare il fondamento del senso dell’esistenza umana a partire dalla domanda circa la sua temporalità. Perché muoio? Qual è il mio rapporto con il tempo? Cosa sono io che dal nulla provengo e nella notte del nulla devo tornare?

58 Cfr., F. Rosenzweig, Der mensch und sein werk. Gesammelte schriften. Briefe und tagebūcher 1. Band

1900-1918, a cura di R. Rosenzweig e E. Rosenzweig-Scheinmann e B. Casper, Nijhoff, Den Haag, 1979 pp. 888-890.

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Hegel cercando le connessioni logiche su cui si fonda e si struttura il complesso del reale ha creduto di aver risolto il problema del senso dell’esistenza caduca attribuendole il valore di porzione infinita del Tutto. Ma l’uomo, soggetto individuale, soprattutto l’uomo che ha vissuto il dramma della Grande Guerra e ancora prima l’uomo che vive sin dalla nascita il dolore del riconoscimento del suo essere ebreo e tedesco, ha deciso che da questo Tutto vuol uscire e dare una risposta innanzitutto alla sua esistenza individuale e soggettiva, pensando la propria temporalità, e comprendere come questa sua esistenza individuale e soggettiva si colleghi con il resto della realtà, con gli altri uomini, con il mondo e con Dio.

Si comprende così l’importanza dall’affermazione: «Nell’oscuro retroscena del mondo di annidano, come suo inesausto presupposto, mille morti e invece che di un unico nulla, che sarebbe realmente nulla, stanno mille nulla, che proprio perché molti sono già qualcosa».59 Il nulla della morte ha consentito a Rosenzweig di riflettere nuovamente sui tre fenomeni originari nel loro darsi nella conoscenza e ogni volta in chi egli ha cercato di “fissarli” questi apparivano come un tutto, tre tutto che pertanto un tutto non possono essere. La filosofia è giunta all’identità di essere e pensiero nell’Uno-Tutto del sistema idealistico esclusivamente «tramite la forza alterante della parolina “è”» ma si tratta di una falsa strada, non esperibile.60 L’esperienza «per quanto in profondità possa penetrare scopre nell’uomo sempre e solo l’umano, nel mondo il mondano, in Dio il divino. Ed il divino soltanto in Dio, il mondano solo nel mondo, l’umano solo nell’uomo».61 I tre enti affrontati concettualmente risultano chiusi in se stessi, e inaccessibili gli uni agli altri:

59 Cit. F. Rosenzweig, La Stella…, op. cit., p. 5. Cfr. F. Rosenzweig, Il Grido, op. cit., p. 43. 60 Cit. F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, trad. it., op. cit., p. 47

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Dove si trovano dunque queste forme cariche di essenza e tuttavia carenti di verità, o di vita, o di realtà? Un Dio che non è il vero e non è reale, un mondo che non è quello vivo e vero, uomini che non sono quelli reali e viventi? Che nulla sanno, nulla vogliono l’uno dell’altro, né alcuno di volta in volta degli altri due? Ombre quindi, che non vivono dello stesso spazio della nostra realtà, della nostra verità e della nostra vita e tuttavia si intromettono come fantasmi in tutto quanto avviene nel nostro spazio.62

La relazione tra i tre elementi è sperimentabile nell’ambito concreto della vita; è la ragione per cui, nella seconda parte della Stella della Redenzione, la realtà è rappresentata nel modo in cui è esperita, con il metodo del narrare e non con i «mezzi della vecchia filosofia i quali non si spingono oltre la domanda circa l’essente».63 Lo scopo della filosofia di Rosenzweig non è mirato alla decostruzione della totalità, bensì all’edificazione di una nuova totalità in cui la realtà sia compresa nella sua dinamicità.64 L’uomo accede alla conoscenza del reale per mezzo dell’esperire; ma

l’esperienza è un evento che accade, nel tempo; ed è proprio su questa temporalità che Rosenzweig tenta di fondare il nuovo pensiero a condizione che la filosofia consideri l’abisso che separa il tempo dall’eternità e ne determina l’irriducibilità del primo rispetto al secondo.

La riflessione sul nulla si trasforma così in una riflessione sul Tempo e sull’Eterno che, per effetto del superamento del monismo panteistico hegeliano, si sono smarriti nella storia universale. L’eternità che si amalgama e confonde con il tempo del mondo incorre necessariamente nella contraddizione di una storia universale che «al cospetto delle molteplici vite dei popoli e dei singoli non si dà mai».65 Dopo la crisi dell’idealismo, una nuova filosofia ha opposto al Tutto la «concezione del mondo», il

62 Cit. ivi., p. 50.

63 Cit. ivi., p. 53.

64 G. Fornero, Rosenzweig: decostruzione e ricostruzione della totalità, in Storia della filosofia, a cura di

N. Abbagnano, IV, tomo secondo, UTET, Torino 1994, pp. 3-16.

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pensiero con cui uno spirito individuale reagisce alle impressioni che il mondo produce su di lui. Il filosofo scopre di essere il prodotto del contesto ambientale e culturale a cui appartiene e che la sua visione del mondo è l’espressione di questo contesto. Una scoperta di tal portata implica l’assunzione di una coscienza prospettica da parte del filosofo consapevole che la sua visione del mondo non può assumere l’obiettività delle scienze empiriche. L’unidimensionalità idealistica è stata sostituita dalla molteplicità delle visioni del mondo. Ma Rosenzweig cerca di superare il limite della filosofia delle visioni del mondo elaborando una nuova filosofia che s’impone come la filosofia del tempo che accade, del conoscere nel tempo, non del tempo. E dal momento che i tempi della realtà non sono tra loro interscambiabili, è necessario legare ad ogni ente il suo tempo. L’accesso alla conoscenza dei tre enti è determinato dalla conoscenza di ciò che essi fanno nei tre tempi della realtà (aion, kronos e kairos), cosa accade loro o cosa fanno, o accade, nel momento in cui si mettono in relazione. Per comprendere il modo in cui si pone la relazione, è necessario ammettere che il loro essere è separato e che è un altro elemento, il tempo, a gettare il ponte della relazione. Infatti, come abbiamo visto, ogni qual volta si cerchi di comprendere concettualmente la realtà, questa si chiude alla possibilità della conoscenza. Per comprenderla è necessario capire come si genera la relazione che ci consente di accedere alla conoscenza del sé, del mondo e di Dio.

Nella seconda parte della Stella Rosenzweig oppone al pensiero che ‘fissa’ il pensiero che ‘accade’, il linguaggio. Il parlare, come atto che accade, nel suo mutare continuo consente al filosofo del Nuovo pensiero di riappropriarsi della realtà non fissandola per mezzo di concetti ma nel suo essere temporale. Proprio il bisogno di comprendere la realtà nel suo accadere induce Rosenzweig a dialogare con la teologia. Infatti come approfondiremo meglio nel paragrafo successivo, solamente attraverso i concetti di

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creazione, rivelazione e redenzione Rosenzweig riesce ristabilire la complessità del reale esprimendo il suo carattere temporale. Il linguaggio teologico, consente a Rosenzweig, di richiamare a fondamento della realtà una nuova logica, la logica della grammatica, che pretende di assemblare il complesso della realtà rispettandone la diversità, così il nuovo pensiero non ricerca l’essenza delle cose, non fa dell’”è” il suo fondamento, ma si rifà all’”e” congiunzione, che diviene connettivo di tre identità irriducibili l’una all’altra riconoscibili solo nel tempo in cui si sono manifestate l’una all’altra, ovvero, attraverso la parola della narrazione.66 La filosofia se vuol comprendere ciò che è propriamente non deve pertanto domandarsi «che cos’è?», perché la peculiarità dell’oggetto, che è quella d’essere temporale, viene meno; essa deve domandarsi «che cos’è successo in realtà?».67 L’attenzione si sposta dalla comprensione dell’oggetto alla comprensione dell’azione, ovvero alla comprensione dell’evento che accade. Il tempo diventa la matrice della riflessione filosofica.

Mentre nella prima parte della Stella i tre fenomeni originari risultano chiusi in se stessi e inaccessibili l’uno all’altro, nella seconda parte questi operano un movimento inverso, si rivolgono verso l’esterno rendendosi manifesti l’uno all’altro. La manifestazione dell’ente implica un movimento temporale, in questo senso il nuovo pensiero si identifica come una filosofia dell’evento che accade storicamente, nel senso in cui l’essere di Dio, dell’uomo e del mondo, si invera nella manifestazione di sé all’altro che avviene storicamente. L’intero complesso della realtà si esplica quindi come un atto di manifestazione, di rivelazione. La prima manifestazione si identifica con l’apertura

66 Cfr. G. Bonagiuso, L’eroe tragico e la filosofia narrante. Franz Rosenzweig e la genesi del Nuovo

pensiero, in «Idee» 52/53, 2003, p. 67. «Il linguaggio è appendice del mondo. È l’unica cosa che può essere se oltre al mondo c’è dell’altro» F. Rosenzweig, Dell’intelletto comune…, op. cit., p. 87. P. Plata sottolinea il debito di Rosenzweig a Rosenstock nell’elaborazione della «filosofia narrante»; Cfr. P. Pata, Quali retroscena hanno contribuito al costituirsi del «nuovo pensiero»? L’interesse per il linguaggio di Franz Rosenzweig, in «Teoria», III/1, XXVIII, 2008/1 p. 230; F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, op. cit., p. 58. Per una considerazione sulla filosofia narrante, Cfr. E. L. Fackenheim, To mend the World: Foundations of post-holocaust jewish thought, Indiana University press, Bloomington, Usa 1994 pp. 72-73.

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verso l’esterno di Dio che si apre al mondo, rivelandosi come creatore, e con la conseguente apertura del mondo a questa relazione, nel suo rivelarsi a se stesso e a Dio come creatura. Si tratta di un’azione che avviene in un tempo passato e che rimarrebbe ‘morta’ se non avesse la possibilità di essere inverata in un tempo presente. Libro fondamentale dell’intera opera è il secondo libro della seconda parte della Stella, che tratta della rivelazione intesa come la «nascita incessantemente rinnovata dell’anima»; in questo libro il gesto di apertura coinvolge simultaneamente Dio, uomo e mondo, perché se da un lato della relazione c’è Dio, il suo interlocutore che singolarmente viene chiamato per nome è l’uomo che è al tempo stesso essere dell’uomo ed essere del mondo in quanto ne è un abitante. Nell’atto della rivelazione l’evento schiude il sé dell’uomo, che nella prima parte rimaneva in sé conchiuso, irreale, e lo trascina nella realtà che accade, ovvero nella realtà in cui si stabiliscono le relazioni temporali. La rivelazione, definita come «accadere sorto dall’attimo», esprime la manifestazione degli enti nel tempo presente ovvero nell’attimo in cui essi accadono. L’evento della rivelazione risulta particolarmente centrale all’interno del pensiero di Rosenzweig, perché è in grado di spiegare la storia mettendo in relazione passato-presente-futuro. Difatti la rivelazione non è altrimenti se non, da un lato, l’inveramento del tempo passato nel tempo presente, del Dio che manifestatosi già una volta si manifesta di nuovo nel presente, dall’altro lato si tratta di un presente che è ‘trascinato’ dal futuro che attende il suo compimento, del mondo che attende di essere redento.

Casper, nel saggio su essere ed evento nella filosofia di Rosenzweig e Heidegger, spiega in che senso Rosenzweig parli di evento della rivelazione distinguendo l’evento dall’ Erlebnis: rifacendosi al Faust di Goethe mostra come in tedesco il termine evento venga utilizzato nella doppia valenza di mostrarsi e di aver luogo, e questo viene utilizzato da Rosenzweig, a parere di Casper, in contrasto con il termine Erlebnis che,

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soprattutto a partire da Dilthey, può indicare anche solamente l’esperire interiore, soggettivo, privato.68 In Rosenzweig infatti l’evento, in quanto determina un atto di apertura verso l’esterno, esprime il trascinamento dei soggetti della relazione verso qualcosa di estraneo, che sta di fronte, verso l’altro. In questi termini accade quindi che nel caso dell’uomo egli venga trascinato con forza verso l’esterno, che egli venga chiamato, verso l’evento avvenuto della manifestazione di Dio che chiama l’uomo e gli ordina di amarlo, stabilendo una relazione che necessariamente si proietta nell’azione futura dell’uomo. L’uomo, che nella prima parte della Stella abbiamo conosciuto come essere, dopo l’azione rivelatrice di Dio, diventa esser-ci, all’interno di uno spazio e di un tempo precisi che si rivolge ad un altro esser-ci e per mezzo di un dialogo che sempre si rinnova e persegue il suo cammino.

3.3. Il linguaggio come ponte che pone la relazione tra Io e Tu

Rosenzweig, come abbiamo visto, si allontana dal mondo dell’idealismo tedesco, che riduce il mondo all’io che percepisce, rimandando al mondo l’esperienza del mondo, a Dio l’esperienza di Dio e al sé l’esperienza dell’uomo. La separazione tra i tre elementi consente all’uomo sano di esperirli tutti e tre a partire dalla loro realtà, ovvero a partire dal loro modo di manifestarsi all’uomo per mezzo del loro reciproco interagire.

Mosès, in riferimento al capovolgimento di prospettiva del secondo volume della Stella

della Redenzione fa notare che, per Rosenzweig, noi in realtà viviamo spontaneamente

in un universo non di sostanza ma di relazioni. Rispetto ad uno schema elementare, l’esistenza umana è un tessuto di esperienze complesse, fatte di relazioni entro determinate condizioni. Le condizioni di queste sostanze, riposano senza dubbio nel fondo dell’esperienza e allo stesso tempo ne fondano la possibilità e li trasportiamo

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riflessivamente nel mondo del concetto. Il secondo libro della Stella ci catapulta quindi immediatamente nel cuore dell’esperienza vissuta, in cui la novità radicale viene niente meno che da un cambiamento di temi e di pensieri, ovvero da un’inversione del punto di vista. 69

La filosofia nel 1800 è giunta alla conoscenza pensante del tutto. Nel 1900, soprattutto dopo la pubblicazione della Dottrina delle visioni del mondo di Dilthey, ha opposto al filosofo impersonale, il filosofo del punto di vista. Rosenzweig da un lato si domanda se questo sia ancora scienza, dall’altro riflette sull’importanza di tenere «saldamente la nuova posizione di partenza, il sé soggettivo, estremamente personale…incomparabile, immerso in se stesso».70 Da questo sé bisogna ripartire, ma a questo sé non ci si deve fermare, perché Rosenzweig intravede in questa “deriva” della filosofia il pericolo di una perdita maggiore di contatto con la realtà e con la vita a scapito del legame interpersonale e comunitario.71 Il linguaggio della logica, dell’ipseità cieca e sorda, per mezzo della grammatica, permette al sé di fuoriuscire ed entrare in relazione con il

69 S. Mosès, Système et révélation. La philosophie de Franz Rosenzweig, Èdition du Seuil, Paris,1982,

p.77.

70 F. Rosenzweig, La Stella…, op. cit., p. 112.

71 La critica di Rosenzweig è rivolta in generare al “vecchio” pensiero, tanto alla riflessione filosofica

quanto alla riflessione teologica che, soprattutto a partire da Lutero, non è in grado di dare uno slancio oggettivo al singolo:«L’illuminismo era stato… un illuminismo storico. Come critica storica esso aveva reso inattendibile la testimonianza oculare del miracolo e perciò il miracolo stesso come fatto storico… Direttamente dalla critica spuntò e crebbe la concezione storica del mondo. Giacché l’assunzione pura e semplice della tradizione non era più ammissibile, si dovette scoprire un principio a partire dal quale le disijecta membra che la tradizione aveva risparmiato potessero essere ricomposte in un insieme vitale. Si trovo questo principio nell’idea di “progresso” dell’umanità, un idea sorta con il diciottesimo secolo e che dal 1800 in poi… si era assoggettata in forme diverse il mondo spirituale. Con ciò il passato fu svenduto al conoscere, ma così la volontà se ne sentì liberata e si rivolse al presente e al futuro: infatti per la volontà il progresso è teso tra questi due momenti… Questa tendenza rivolta al presente e al futuro era insita anche nella nuova svolta operata dalla fede…Da un lato, infatti Lutero abbandonò l’ancoraggio della viva fede al saldo fondamento del passato e cercò di concentrare totalmente la fede nel presente e nell’esperienza vissuta; dall’altro fece sfociare questa esperienza presente nel futuro della vita pratica». Cit. ivi, p. 106. Rosenzweig a partire dalla critica al pensiero teologico riscopre l’importanza della valutazione del passato come primo momento del dischiudersi della relazione.

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«corso sferico che sempre sonoramente si rinnova, dell’eterno mondo a noi tutti comune».72

In opposizione al pensiero astratto della filosofia, atemporale, Rosenzweig pone il metodo del pensiero che accade attraverso l’atto del parlare, del parlare dell’io con un altro io che per me è un tu. Il pensiero, inespresso, sordo e muto, sta fuori dal tempo e in questa dimensione cerca d’abbracciare in un sol colpo l’intera realtà; mentre la parola è legata al tempo, «non sa in anticipo dove andrà a parare, lascia che siano gli altri a dargli lo spunto». Il soggetto è un soggetto di relazione:

La differenza tra pensiero vecchio e nuovo, tra pensiero logico e grammaticale, non consiste nell’esprimersi a voce alta o a voce bassa, bensì nel bisogno dell’altro o, che è lo stesso, nel prendere sul serio il tempo; qui pensare significa non pensare con nessuno e non paralare a nessuno (e se a qualcuno suona meglio, al posto di nessuno si può anche mettere tutti, la famosa «collettività»), parlare invece significa parlare a qualcuno e pensare per qualcuno, e questo qualcuno è sempre ben preciso, e non ha soltanto orecchie come la collettività, ma anche una bocca.73

Il soggetto quindi per mezzo della parola entra in relazione con l’altro io che, oltre ad essere un sé è anche parte del mondo. Il pensiero del filosofo, anche nel momento in cui viene espresso per mezzo della parola, proprio per il fatto che non interagisce con il pensiero dell’altro, ma è un pensiero precostituito, risulta essere privo dell’elemento dialogico.74 La parola è intesa come pensiero che accade e si muta nell’atto stesso del dialogare. Fatta di due momenti: della conoscenza e dell’aspettativa, del sapere e del volere.75 Il dialogo prevende, infatti, che nessuno degli interlocutori sappia sia cosa dirà

72 Nella Stella Rosenzweig scrive:«In luogo di una scienza di segni muti, deve farsi avanti una scienza di

suoni vivi, in luogo di una scienza matematica deve venire la dottrina delle forme della parola: la grammatica» cit. F.Rosenzweig, La Stella…, op. cit., p. 134.

73 Cit., F. Rosenzweig, Il nuovo pensiero, op. cit., p. 56.

74 «Il pensatore è sempre solitario anche se avviene in comune tra più persone che stanno filosofando

insieme, anche allora l’altro mi muove quella obiezione che io mi sarei potuto opporre da solo»

75 Cfr. E. Goodman-Tau, Da Dio-Uomo-Mondo a Storia-Linguaggio-Sé. Il Nuovo Pensiero di

Rosenzweig come critica della ragione dalle fonti dell’ebraismo, in «Teoria», III/1, XXVIII,2008, 1, pp. 30.

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