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Capitolo 1. Introduzione

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Capitolo 1. Introduzione

Biologia generale delle tartarughe marine

Il mare è l’ambiente naturale di una grande varietà di animali che in alcuni casi passano la maggior parte della loro vita in mare aperto, spesso attraversando estese regioni nel corso delle varie fasi del loro ciclo vitale. Esempi di questi viaggiatori oceanici si possono trovare in gruppi diversi come calamari, aragoste, pesci, balene e tartarughe. A causa delle loro abitudini di vita sfuggenti, la conoscenza scientifica di queste specie è limitata, e le informazioni disponibili relative a molti aspetti importanti del loro comportamento è frammentaria e lontana dal fornire un quadro definito della situazione. Le tartarughe marine rappresentano una parziale eccezione a questo modello, poiché in alcune fasi del loro ciclo vitale è possibile monitorare da vicino i loro comportamenti o compiere degli esperimenti di tracking satellitare, applicando su di esse dei trasmettitori.

Le sette specie diverse attualmente viventi di tartarughe marine appartengono tutte al sottordine

Cryptodira

(ordine Cheloni, vedi Tab.1). Esse sono raggruppate nelle due famiglie dei Chelonidi (con le specie

Caretta caretta,

Eretmochelys imbricata, Chelonia mydas, Chelonia agassizii, Natator depressus,

Lepidochelys kempii e Lepidochelys olivacea

) e dei Dermochelidi (con la sola specie

Dermochelis cor

iacea)

, ed hanno una distribuzione prevalentemente

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6 In te rv a llo d i te m p o tr a c ic li d i d e p o s iz io n i d iv e rs e 2 -3 a n n i 2 -3 a n n i 1 -4 a n n i 1 -5 a n n i 1 -5 a n n i 1 -2 a n n i 1 -3 a n n i 2 -3 a n n i D u ra ta in c u b a z io n e 4 9 -6 9 g io rn i 4 7 -7 5 g io rn i 4 8 -7 0 g io rn i 5 0 -5 5 g io rn i ? 4 5 -5 8 g io rn i 4 5 -5 8 g io rn i 5 0 -7 8 g io rn i N u m e ro d i u o v a p e r d e p o s iz io n e 4 0 -1 9 0 1 0 0 -1 6 0 4 0 -6 0 u o v a 4 0 -1 5 0 5 0 -6 0 1 0 0 1 0 0 -1 7 0 4 0 -6 0 In te rv a llo d i te m p o tr a d e p o s iz io n i s u c c e s s iv e 1 4 g io rn i 1 4 -2 1 g io rn i 1 4 g io rn i 1 4 g io rn i 1 2 -2 3 g io rn i 2 5 -3 0 g io rn i 2 5 -3 0 g io rn i 9 -1 0 g io rn i N u m e ro d i d e p o s iz io n i p e r s ta g io n e 2 -5 v o lt e 5 o p iù v o lt e 2 -5 v o lt e 1 -8 v o lt e 1 -4 v o lt e 1 -3 v o lt e 1 -3 v o lt e 4 -5 v o lt e Et à s ti m a ta ra g g iu n g im e n to m a tu ri tà s e s s u a le 1 2 -3 0 a n n i, 6 -2 0 a n n i in c a tt iv it à 3 -4 a n n i, 5 a n n i in c a tt iv it à 2 5 -3 0 a n n i, 1 0 a n n i in c a tt iv it à 8 -9 a n n i ? 1 0 -1 2 a n n i, 5 a n n i in c a tt iv it à ? 3 -4 a n n i Sp e c ie F a m ig lia C h e lo n id i C a re tt a c a re tt a Er e tm o c h le y s i m b ri c a ta C h e lo n ia m y d a s C h e lo n ia a g a s s iz ii N a ta to r d e p re s s u s L e p id o c h e ly s k e m p ii L e p id o c h e ly s o li v a c e a F a m ig lia D e rm o c h e lid i D e rm o c h e ly s c o ri a c e a

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7

Il ciclo vitale di tutte le specie di tartarughe marine è in sostanza simile e può essere schematizzato come nella figura 1 a pagina 12. La diversa ecologia comportamentale degli adulti durante il periodo inter-riproduttivo determina alcune differenze nel ciclo delle varie specie, che risulta influenzato anche dai diversi sistemi di alimentazione.

Le fasi vitali di cui abbiamo maggiore conoscenza sono quelle del periodo riproduttivo, in cui le femmine adulte escono dall’acqua per nidificare sulla spiaggia, trascorrendovi un periodo di tempo sufficientemente lungo da consentire di monitorare i loro comportamenti (Miller, 1997).

Le femmine adulte raggiungono le zone di nidificazione all’inizio del periodo riproduttivo e vi rimangono per 3-4 mesi, deponendo le uova ogni 2-3 settimane. Durante la deposizione delle uova si possono notare numerosi accoppiamenti nelle acque antistanti le spiagge di nidificazione, tuttavia non è noto con precisione quando sia avvenuta la fecondazione.

Le femmine di tutte le specie mostrano fedeltà alla spiaggia di nidificazione in stagioni successive, come evidenziano i risultati degli esperimenti di marcatura (Carr et al., 1978). È stato appurato che in molte specie le femmine ritornano, alla prima nidificazione, alla spiaggia dove sono nate almeno 15-20 anni prima, fenomeno conosciuto come “

natal beach homing

”, che si è ipotizzato sia dovuto ad una forma di

imprinting

chemosensoriale, analogo a quello noto nei salmoni, che permette di riconoscere un luogo conosciuto sulla base di stimoli chimici (Carr, 1984; Owens et al., 1986; Grassman e Owens, 1987).

Durante la deposizione delle uova, che avviene di solito la notte o al crepuscolo, le femmine escono dal mare e si trascinano in un luogo ritenuto

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idoneo per la deposizione, in genere sopra il limite massimo dell’alta marea. In seguito aprono una cavità profonda 50-60 cm circa, e vi depongono dentro un centinaio di uova circa a seconda della specie. In ogni stagione riproduttiva le femmine di tutte le specie depongono più volte le uova a distanza di alcuni giorni l’una dall’altra: il numero di deposizioni per stagione varia da specie a specie e da individuo a individuo nella stessa specie.

Negli intervalli fra le deposizioni, (

inter-nesting)

le femmine non si allontanano dall’area prescelta, rimanendo nelle immediate vicinanze della spiaggia. Una volta concluso il ciclo di riproduzione, le femmine lasciano le zone di nidificazione per tornare nelle zone residenziali, dove trascorreranno l’intero periodo non riproduttivo. Tutte le specie di tartarughe marine a differenza di altri animali migratori, mostrano la tendenza a riprodursi a intervalli variabili da 1 a 5 anni.

La fase inter-riproduttiva del ciclo vitale delle tartarughe marine è strettamente dipendente dal tipo di alimentazione della specie. Questa fase è molto meno conosciuta di quella riproduttiva, in quanto gli animali trascorrono la maggior parte del tempo in mare aperto e lontano da terra.

Le aree di riproduzione di solito non offrono anche le risorse alimentari necessarie, perciò le tartarughe devono necessariamente migrare verso le zone di foraggiamento. La maggior parte delle tartarughe marine si sposta fra le spiagge di nidificazione e le aree di foraggiamento di solito situate nella zona neritica. I due punti possono trovarsi ad una distanza relativamente piccola oppure sullo stesso tratto di costa continentale, ma è comune anche il caso di viaggi migratori quando il target è una minuscola isola in mezzo all’oceano (Luschi et al., 2003). Il caso più evidente è quello delle tartarughe verdi

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(

Chelonia mydas

) che essendo erbivore, trovano raramente il cibo nelle vicinanze delle spiagge in cui nidificano, per questo si devono spostare verso aree più idonee. La maggior parte di tartarughe verdi compie migrazioni post-riproduttive, spesso a lungo raggio, dirigendosi verso aree specifiche di foraggiamento, nelle quali trascorrono la maggior parte del periodo inter-riproduttivo.

In altre specie invece, le richieste ecologiche ed alimentari del periodo inter-riproduttivo sono soddisfatte anche nelle zone riproduttive, perciò non si verifica nessun comportamento migratorio. Esempi si ritrovano in

E. imbricata

, ma anche in popolazioni di

C. caretta

e

Chelonia mydas

. In specie come

D.

coriacea

e

L. olivacea

si nota un ulteriore tipo di comportamento. Queste specie

infatti, sono chiaramente migratrici e si allontanano sensibilmente dalle aree di nidificazione: esse però non si dirigono verso un’area ben specifica, raggiunta la quale interrompono la migrazione, ma manifestano un comportamento erratico, continuando a spostarsi anche su vaste aree, probabilmente fino alla successiva stagione riproduttiva (Luschi et al., 2003).

Il comportamento dei maschi durante le fasi del ciclo vitale, è ancora poco conosciuto. In alcuni casi, i maschi delle tartarughe marine sono ritrovati e osservati nei quartieri di foraggiamento, in altri casi i maschi sono presenti per tutta la durata del periodo riproduttivo nelle aree di nidificazione, anche in quelle popolazioni in cui le femmine compiono lunghe migrazioni tra quartieri riproduttivi e di foraggiamento. Sembra quindi possibile che anche i maschi compiano migrazioni riproduttive analoghe a quelle delle femmine, pur non avendone necessità.

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Per meglio comprendere il comportamento migratorio delle tartarughe, sono stati effettuati esperimenti accurati anche sui piccoli (

hatchlings

). Terminata l’incubazione, che dura dai 45 agli 80 giorni, gli hatchlings escono dalle uova, e grazie ad una attività coordinata di scavo riescono a fuoriuscire dalla buca scavata dalla madre. Una volta emersi sulla superficie della sabbia, devono raggiungere il più velocemente possibile l’ambiente acquatico, per cercare di sopravvivere alle insidie dalla spiaggia e dei predatori. Una volta in acqua iniziano a nuotare freneticamente fino a raggiungere il mare aperto, dove saranno più al sicuro e si lasceranno trasportare da una corrente che li allontanerà dalla spiaggia di nascita.

Il processo di allontanamento dei piccoli dalla spiaggia di nascita è stato ampiamente studiato dal gruppo di Lohmann (fig. 2 pag. 12). I sistemi di orientamento utilizzati nelle varie fasi del processo sono stati accuratamente investigati sia in laboratorio sia in natura, ottenendo risultati interessanti anche per spiegare i problemi di orientamento degli adulti (Lohmann et al., 1997).

L’orientamento, durante la prima fase di attraversamento della spiaggia, non è basato su una preferenza innata per una direzione specifica, né sulla visione diretta del mare, ma su informazioni visive di tipo indiretto. È stato, infatti, provato che gli hatchlings localizzano il mare dirigendosi verso la parte più luminosa o meno oscura dell’orizzonte; visto che una superficie acquosa riflette in ogni condizione più luce (lunare o stellare) di una paragonabile area terrestre, un tale sistema di localizzazione del mare sembra garantire sempre un elevato grado di efficienza.

Una volta in acqua, gli stimoli visivi non forniscono più informazioni utili per l’orientamento, infatti gli hatchlings, in prossimità della costa, si riferiscono

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alla direzione di propagazione delle onde, che in prossimità della costa sono disposte parallele ad essa. Gli hatchlings quindi si allontanano dalla costa mantenendo una direzione perpendicolare a quella delle onde. Man mano che gli hatchlings si allontanano dalla costa, ad un centinaio di metri circa, la direzione di arrivo delle onde non fornisce più stimoli utilizzabili, per cui essi adottano un altro sistema.

Da esperimenti in laboratorio sembra possibile che gli hatchlings siano in grado di percepire informazioni desunte dal campo magnetico, e di utilizzarle per orientarsi tramite una cosiddetta bussola magnetica. L’utilizzo di questa bussola permetterebbe loro di mantenere la direzione appropriata per allontanarsi. Questa direzione di preferenza dovrebbe essere stata acquisita inizialmente durante le prime fasi di attraversamento della spiaggia, e tramite la bussola magnetica, si orienterebbero verso la stessa direzione.

La fase vitale dello sviluppo dei piccoli è quella meno conosciuta, data l’impossibilità di seguire gli spostamenti che avvengono in alto mare. I ritrovamenti di giovani di specie di tartaruga in habitat pelagici (Mar dei Sargassi, Carr,1987), ha fatto supporre che gli hatchlings assumano un habitus planctonico simile a quello di molte larve, lasciandosi trasportare passivamente dalle correnti. Gli hatchlings stazionano di solito nelle zone ai bordi delle correnti oceaniche, dove si accumula materiale inorganico ma anche organico, che fornisce risorse trofiche per il loro sviluppo.

Alla fine di queste migrazioni di sviluppo, i giovani della maggior parte delle specie abbandonano tale

habitat

a favore di zone di foraggiamento più

circoscritte dove soggiorneranno fino al raggiungimento della maturità sessuale. Nelle aree residenziali è, infatti, comune osservare la presenza di

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12

giovani di varie classi di età insieme agli adulti, quindi probabilmente le zone dove si fermano i giovani diventeranno le specifiche zone di residenza, da dove effettueranno le migrazioni pre e post riproduttive.

Figura 1. Schema del ciclo vitale delle tartarughe

Figura 2. Stimoli orientanti utilizzati dagli hatchlings durante l’attraversamento della spiaggia e in mare.

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13

I sistemi di orientamento utilizzati dagli animali

Secondo la definizione di Schöne (1975) l’orientamento è “

la capacità

degli organismi di assumere e controllare attivamente posizioni e movimenti

totali o parziali, in rapporto a informazioni (endogene o esogene) di natura

spaziale.”

Una classificazione delle forme di orientamento, che per molto tempo ha costituito un punto di riferimento, fu quella fornita da G.S. Fraenkel e D.L. Gunn nel 1940, secondo i quali l’orientamento si divide in primario e secondario. L’orientamento primario o posturale consiste nel mantenimento e nel controllo di una posizione del corpo nello spazio, mentre quello secondario o

goal

orientation

consiste nel raggiungimento di una meta extracorporea.

L’orientamento secondario è classificato in

immediato,

quando la meta positiva fornisce essa stessa gli stimoli che dirigono l’animale e

mediato,

quando la meta o non emette nessuno stimolo orientante o può emetterlo solo al di fuori dell’ambito sensoriale o infine emette solo stimoli motivanti, capaci di indurre un comportamento di ricerca della meta.

Nel caso dell’orientamento secondario mediato, quando la meta può essere raggiunta utilizzando solo informazioni interne si parla di

orientamento

idiotetico

, al contrario quando la fonte di stimolazione è esterna, si parla di

orientamento allotetico.

I riferimenti esterni possono essere suddivisi in tre

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14

a. spazialmente continui, di validità universale e specie-specifica come il campo gravitazionale, il campo magnetico, e i riferimenti astronomici e celesti come il sole, la luna, le stelle, la luce polarizzata;

b. spazialmente discontinui, con variabilità temporale nell’esistenza, come le correnti marine e fluviali, i venti, il moto ondoso;

c. spazialmente discontinui e di validità locale, spesso individuale o della popolazione, come il paesaggio o altri reperi che derivano dall’esperienza esplorativa dell’individuo.

Per raggiungere una meta definita al di fuori della portata degli organi di senso mediante uno dei riferimenti indiretti prima specificati, l’animale deve avere prima acquisito in qualche modo informazioni circa la relazione spaziale tra quel riferimento e la posizione della meta. Quando la meta si trova in una direzione fissa e costante, lo spostamento è uni-direzionale o assiale, mentre se la relazione fra il riferimento e la meta, e quindi l’angolo di orientamento, non è più fissa, si ha un orientamento pluri-direzionale che implica che l’animale sia in grado di stabilire e mantenere direzioni variabili di volta in volta, come avviene nel caso dell’

homing

e della navigazione.

(11)

15

La navigazione e l’

homing

Il solo sistema di orientamento tramite una o più bussole, non è sufficiente a spiegare le prestazioni di navigazione di alcuni animali come le tartarughe marine, che utilizzano probabilmente sistemi più complessi.

La navigazione è la capacità di orientamento verso una meta, definita nello spazio e circoscritta, che l’animale non può scorgere o percepire dal luogo di partenza. Le varie forme di navigazione sono classificate in base all’origine dell’informazione su cui sono basate (Papi, 1980) in:

1.

ricerca casuale o sistematica

, l’animale tenta di raggiungere la meta

in assenza di informazioni specifiche semplicemente muovendosi a caso oppure mantenendo una rotta momentanea;

2.

orientamento su base genetica

, si basa su informazioni innate, come la conoscenza di una direzione, tali fenomeni si ritrovano nei passeracei che migrano di notte; è detta anche

navigazione vettoriale

poiché le informazioni dei giovani riguardano solo la direzione e la lunghezza del percorso, infatti dove i giovani non riescono a compensare i dislocamenti gli adulti riescono a farlo grazie anche all’esperienza;

3.

orientamento su orme precedenti

, si manifesta quando l’animale segue una traccia lungo il cammino già percorso, di solito l’andata; si ritrova in molluschi e formiche;

(12)

16

4.

orientamento basato sul viaggio di andata

, molti animali si servono di informazioni assunte e memorizzate durante il viaggio di andata per ritrovare il luogo di partenza; può avvenire con tre modalità diverse:

a. con la semplice

inversione di percorso

, in cui semplici

landmarks

rilevati all’andata sono ripercorsi in modo

inverso;

b. con l’

inversione di rotta

, che presuppone la capacità

dell’animale di orientamento alla bussola;

c. con l’

integrazione del percorso

, che si basa sulla capacità degli animali di tenere conto della direzione e della lunghezza di ogni tratto del percorso di andata, anche se tortuoso, e di calcolare direzione e distanza del punto di partenza;

5.

pilotaggio

, un animale in un territorio abitualmente frequentato si muove con sicurezza da un punto all’altro conoscendo la posizione reciproca di punti di riferimento, che finiscono per essere incorporati in una mappa topografica mentale, detta mappa cognitiva;

6.

navigazione vera

, è il meccanismo di guida spaziale che, in caso di dislocamento, consente all’animale di stabilire la rotta diretta verso casa; presuppone quindi

1)

la capacità di determinare, su riferimenti esterni rilevati sul luogo di partenza la propria posizione rispetto all’obiettivo e la direzione da tenere per raggiungerlo, e

2)

di assumere la direzione calcolata con uno dei meccanismi di orientamento alla bussola. Si fonda quindi su due momenti

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17

successivi, “mappa” e “bussola. Una vera navigazione su mappa dei luoghi familiari e su mappa estesa al di là di tali luoghi è stata accertata solo nel colombo viaggiatore (Papi, 1991; Papi e Walraff, 1992).

Vari meccanismi di vera navigazione per coordinate sono stati proposti per spiegare la navigazione su grandissime distanze, che presuppone la rilevazione da parte dell’animale di almeno due fattori fisici o chimici che varino in maniera regolare su grandi estensioni o sul globo. Lontano da casa il confronto tra i valori locali dei gradienti, le cui isolinee formano un reticolo, e quelli di casa, potrebbe consentire la determinazione della posizione e quindi la rotta da tenere.

Nella grande maggioranza dei casi i meccanismi di navigazione sono usati per raggiungere un luogo già noto all’animale: si parla allora di

homing

o “ritorno a casa” (Papi, 1992).

Fenomeni di

homing

compaiono nel regno animale quando l’organizzazione nervosa ha raggiunto un livello di complessità tale da riconoscere e ritrovare un luogo circoscritto e determinato, che l’animale distingue da altri luoghi con caratteristiche ecologiche simili. Nei rettili l’

homing

può riguardare il ritorno ad un’area preferenziale, come quella di nidificazione, oppure alle zone di foraggiamento.

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18

Migrazioni ed orientamento delle tartarughe marine

Durante il loro ciclo vitale, le tartarughe marine compiono molti spostamenti, anche su lunga e lunghissima distanza, che spesso assumono carattere di vere e proprie migrazioni. In molte specie questi viaggi migratori avvengono tra specifiche zone di foraggiamento e di nidificazione e sono sovente diretti verso luoghi familiari all’animale, per cui costituiscono un esempio di

homing

.

È difficile trovare nella letteratura scientifica una definizione univoca di migrazione, a causa della natura multiforme del fenomeno, che presenta espressioni e tempi diversi nei vari gruppi di animali. Le migrazioni, infatti, si possono manifestare con periodicità stagionale, giornaliera o in concomitanza con le fasi lunari o maree; inoltre possono essere compiute dagli stessi individui o da generazioni differenti, da tutti gli individui di una specie o solo da popolazioni particolari. Infine anche le distanze percorse sono variabilissime, visto che lo stesso termine è usato per indicare fenomeni così diversi come le migrazioni stagionali degli uccelli, il ciclico cambio di localizzazione della cicala sull’albero (fra radici, tronco e chioma), oppure le oscillazioni giornaliere del plancton fra le differenti fasce di profondità.

Secondo il Pardi, la migrazione è un fenomeno attivo di massa, iniziato spontaneamente dall’individuo e compiuto in gruppi socialmente organizzati o senza organizzazione. Lo spostamento avviene secondo rotte definite e l’orientamento dei singoli è statisticamente simile.

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In generale possiamo dire che la forma più tipica di migrazione è caratterizzata da una periodicità definita dal movimento, che riflette l’esistenza di ritmi endogeni regolati da stimoli esterni. Questo si traduce in un regolare comportamento di andata e di ritorno tra aree definite che vengono abbandonate e riprese. La migrazione rappresenta quindi una strategia che l’animale ha dovuto mettere in atto per sopravvivere e riprodursi, sfruttando in modo ottimale ogni risorsa che l’ambiente renda disponibile.

Uno spostamento migratorio attivo e direzionato deve essere necessariamente sostenuto da meccanismi di orientamento nello spazio che permettono all’animale di scegliere e mantenere rotte determinate, per dirigersi verso zone specifiche e determinate.

Lo studio delle migrazioni e dei sistemi di orientamento usati dagli animali durante questi movimenti occupa uno spazio cospicuo nello studio dell’etologia, anche perché sono numerosi gli animali che fanno della migrazione una strategia per sopravvivere e riprodursi. La conoscenza delle abitudini migratorie di alcune specie ora minacciate, come le tartarughe marine, è fondamentale per una più completa salvaguardia perché consente di pianificare efficaci misure di protezione.

Gli spostamenti che le femmine di tartarughe marine, e probabilmente anche i maschi, compiono tra i quartieri riproduttivi e quelli di residenza abituale, assumono carattere di vere e proprie migrazioni, che avvengono su lunghissime distanze (Carr, 1984; Papi e Luschi, 1996; Lohmann et al., 1997). Lo studio scientifico delle migrazioni delle tartarughe è iniziato nella seconda metà del XX secolo, con i primi sistemi di marcatura degli animali adulti (Hughes, 1995), effettuata sulle femmine durante le nidificazione, cioè nell’unico

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20

momento in cui sono fuori dall’acqua. I ritrovamenti di individui contrassegnati hanno consentito di delineare il comportamento migratorio nei suoi tratti generali, rilevando l’entità e il decorso degli spostamenti. È stato dimostrato che molte specie di tartarughe marine compiono lunghe migrazioni lontano dall’area di nidificazione alla fine del periodo riproduttivo (Carr, 1984; Papi e Luschi, 1996; Lohmann et al., 1997). Nello stesso modo le femmine sono generalmente fedeli alle spiagge su cui depongono e alle quali tornano ad ogni stagione riproduttiva, mentre in alcune specie si è notata una certa fedeltà anche alle zone residenziali di foraggiamento dove trascorrono il periodo non riproduttivo (Balazs, 1983; Miller, 1997).

Questi risultati ottenuti con gli esperimenti di ricattura hanno indicato che, in molti casi, le migrazioni pre- e post-riproduttive delle tartarughe marine sono dirette verso un luogo preciso e già conosciuto in precedenza, quindi assumono un carattere di

homing

.

Impressionanti sono i casi di tartarughe marine che si riproducono su isole oceaniche o comunque molto lontane dalla terraferma, in quanto mostrano la grande abilità di questi animali di ritrovare l’isola, ad anni di distanza, navigando in mare aperto. Un esempio illuminante e paradigmatico, è quello della popolazione di tartarughe verdi (

Chelonia mydas

) nidificanti sull’Isola di Ascensione, in mezzo all’oceano atlantico (Carr, 1975,1984). I ritrovamenti delle femmine contrassegnate sull’isola e i successivi esperimenti di tracking satellitare, hanno mostrato che, alla fine del periodo riproduttivo, le femmine migrano per oltre 2000 km verso quartieri residenziali localizzati sulle coste del brasile (Mortimer e Carr, 1987; Luschi et al., 1998).

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21

ancora poco chiari, e finora sono state formulate solo delle ipotesi che sono al momento scarsamente supportate da dati sperimentali (Papi e Luschi, 1996; Luschi et al. 2003; Lohmann e Lohmann 2006). Le scarse conoscenze che abbiamo sui sistemi di navigazione delle tartarughe marine, deriva anche dalle difficoltà incontrate nel ricostruire le rotte seguite dagli animali. Lo sviluppo delle tecniche di telemetria satellitare ha consentito un sostanziale progresso nello studio dei movimenti degli animali su lunga distanza. Fino ad oggi sono stati effettuati numerosi studi sulla maggior parte delle specie di tartarughe marine, anche se spesso il monitoraggio è stato di durata limitata (Luschi et al., 2003). Nella quasi totalità dei casi, sono state seguite delle femmine, in genere catturate durante la nidificazione, nei periodi tra le successive deposizioni di uova (

internesting

) oppure durante i movimenti post-riproduttivi alla fine del ciclo di deposizioni stagionali. In alcuni casi si è riusciti a ricostruire una vera e propria migrazione, in cui gli animali abbandonavano le zone riproduttive per dirigersi verso le zone residenziali (Luschi et al., 1996). In questo modo sono state ricostruite numerose rotte di tartarughe nel corso delle loro migrazioni su lunga distanza in molte aree geografiche (Luschi et al., 1996,1998; Papi et al., 1997).

Alcuni esperimenti mirati a investigare specificatamente i sistemi di orientamento e navigazione delle tartarughe marine sono stati infine compiuti sia con individui saggiati in vasche circolari (Lohmann e Lohmann 2006) che in natura, a seguito di dislocamento sperimentale (Luschi et al. 2001; Hays et al. 2003). Essi hanno evidenziato il possibile ruolo di informazioni derivanti dal campo magnetico terrestre o dai venti nei processi di homing delle tartarughe, come descritto in dettaglio nel capitolo successivo.

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Metodi di studio

La comprensione dei meccanismi della navigazione in una specie animale presuppone la conoscenza almeno del decorso spazio-temporale dei movimenti compiuti dagli animali liberi nel loro ambiente naturale. I metodi di studio con cui sono studiati questi fenomeni sono svariati. Il più semplice è il sistema di cattura-marcatura-ricattura, basato sull’applicazione agli individui di contrassegni come targhette, anelli, tatuaggi e sul successivo ritrovamento degli animali marcati (Papi, 1992). Tuttavia questo sistema anche se oggi è sempre utilizzato, è poco efficiente data la scarsità di animali segnalati, inoltre i dati riguardano solo informazioni sul luogo di partenza e di arrivo, e il tempo impiegato, ma rimangono sconosciute tutte le informazioni sulle rotte seguite e sui tempi impiegati.

Largamente usata è la telemetria, cioè l’insieme di tutti i metodi per ottenere informazioni su animali liberi tramite sistemi remoti (Priede, 1992), grazie alla quale si può anche determinare la localizzazione geografica degli animali (

tracking

). Esistono due tecniche diverse a seconda che l’apparecchio utilizzato per tracciare l’animale sia recuperabile oppure o no. Nel primo caso si utilizzano dei

data-loggers

, che sono strumenti in grado di registrare su memorie elettroniche vari tipi di dati riguardanti ad esempio la direzione e la velocità di moto e, talvolta anche parametri fisici ambientali, come la temperatura, la pressione, e fisiologici, come la frequenza cardiaca, la temperatura corporea. Questi strumenti sono applicati agli animali in vari modi. Inoltre alcuni

data-loggers

recenti

,

possono contenere dei ricevitori GPS (global positioning systems) che permettono quindi la ricostruzione del percorso

(19)

23

tenuto dagli animali (Benvenuti et al., 1998). Questi apparecchi consentono quindi di raccogliere molte informazioni di vario tipo, sono economici ed efficienti, tuttavia c’è la necessità di recuperarli per scaricare i dati.

Quando invece l’apparecchio non deve essere recuperato, viene tipicamente usato il

radio-tracking

, che consente di mantenere un contatto via radio a distanza con gli animali, e può essere di due tipi. Il primo tipo, il

radio-tracking classico

, prevede l’applicazione di una trasmittente all’animale che emette segnali radio sulla banda VHF ricevuti dall’antenna di un ricevitore che il ricercatore controlla. La ricezione dei segnali permette di stabilire la direzione dell’emittente, e quindi di localizzarla attraverso la triangolazione. I segnali sono recepiti ad una distanza massima di qualche chilometro, o in ogni modo a brevi distanze, quindi risulta utile con animali che rimangono localizzati in un’area ristretta.

Il secondo tipo è il

radio-tracking satellitare

, che prevede l’utilizzo di trasmittenti applicate agli animali che emettono segnali ricevuti da satelliti in orbita polare.

In questo momento l’unico sistema per la telemetria satellitare degli animali è quello fornito dalla Argos, una compagnia franco-americana, istituita nel 1970. Il sistema si avvale di sei satelliti in orbita polare a bassa quota (850 km), che fornisce in tempi successivi una copertura globale. I trasmettitori sono denominati

PTT

(

Platform Transmitter Terminals

) (fig. 3) e inviano i segnali con

frequenza di 401.650 MHz, con frequenza di 50-200 ms ai satelliti. La rilevazione della posizione avviene attraverso la misurazione dell’effetto Doppler dei segnali ricevuti, e quando almeno tre segnali sono ricevuti dal satellite questo è in grado di localizzare teoricamente la posizione del PTT. Tutti i dati

(20)

24

delle localizzazioni, insieme ad altri dati rilevati dal PTT, sono trasmessi a terra alle stazioni riceventi, le quali forniscono i dati agli utenti del sistema.

Figura 3. PTT applicato sulle tartarughe.

L’applicazione dei trasmettitori satellitari alle tartarughe marine non ha mai comportato grandi problemi, anche con i primi ingombranti e pesanti modelli. Nei primi studi, i trasmettitori erano inseriti in strutture galleggianti ancorate tramite fili metallici o di nylon al bordo del carapace (Timko e Kolz, 1982). Attualmente si applicano i trasmettitori direttamente sul carapace, tramite collanti e vetroresina (Balazs et al., 1996; Papi et al., 1997), tranne che sulle tartarughe liuto (

Dermochelys coriacea

) sulle quali sono usate delle imbracature (Duron-Dufrenne, 1987; Hughes et al., 1998). I PTT usati sugli animali marini, sono dotati di interruttori,

salt water switch

, che chiudono il contatto quando il PTT è immerso. In questo modo vengono risparmiate le batterie, consentendo la raccolta di un maggiore numero di dati.

Figura

Tabella 1. Specie di tartarughe marine viventi e caratteristiche biologiche.
Figura 1. Schema del ciclo vitale delle tartarughe
Figura 3. PTT applicato sulle tartarughe.

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