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I COSTI DI R ICERCA E S VILUPPO : ALLOCAZIONE E GESTIONE Capitolo II

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Capitolo II

I

COSTI DI

R

ICERCA E

S

VILUPPO

:

ALLOCAZIONE E GESTIONE

SOMMARIO: 2.1 INTRODUZIONE

2.1.1 La contabilità direzionale: contabilità generale e contabilità analitica 2.1.2 Il concetto di costo

2.1.3 Costi di R&S e classificazioni di costo 2.2 IL COST ACCOUNTIG

2.2.1 Il Full Costing e la contabilità per centri di costo 2.2.2 La logica dell’Activity-Based Costing

2.3 IL COST MANAGEMENT

2.3.1 L’Activity-Based Management 2.3.2 Il Target Cost Management

2.4 IL PUNTO DI VISTA CONTABILE: UNA PANORAMICA DEGLI APPROCCI ALLA GESTIONE DEI COSTI DELLA RICERCA E SVILUPPO

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2.1 Introduzione

Una questione antica ma sempre nuova: l’analisi dei costi rappresenta sicuramente una tematica da sempre al centro del dibattito economico, sia negli atenei universitari che nelle diverse realtà aziendali.

Non è certamente un caso se nel passato troviamo tutta una serie di grandi nomi dell’economia accostati a teorie di analisi dei costi, né è tanto meno un caso se, ai tempi delle grandi ristrutturazioni, il dibattito in materia era tanto acceso.

Ma se vogliamo comprendere pienamente l’importanza dell’analisi dei costi, possiamo soffermarci a scorrere le innumerevoli e profonde evoluzioni sia teoriche che pratiche che questo tema richiama fino ai nostri giorni. Basti pensare al fenomeno della globalizzazione dei mercati e alla “customizzazione” dei prodotti che ha messo al centro delle aziende il cliente spostando il focus, che per molti anni era posto all’interno dell’azienda, oltre i suoi confini.

Con questo capitolo intendiamo addentrarci nell’argomento, dapprima, fornendo una rapida panoramica di questa tematica e, in un secondo momento, concentrandoci sull’analisi dei costi di R&S.

2.1.1 La contabilità direzionale: contabilità generale e contabilità analitica

Come primo punto riteniamo opportuno esporre gli obiettivi dell’analisi dei costi e più in generale di tutta quella selva di strumenti che si suole far rientrare sotto il nome di contabilità direzionale.

La contabilità direzionale è, infatti, un articolato sistema composto da tutta una serie di strumenti volti alla rilevazione e organizzazione, nonché interpretazione di informazioni sia di tipo economico-finanziario che di tipo non monetario1. Queste informazioni così raccolte ed elaborate verranno utilizzate all’interno dell’azienda per l’attività di carattere direzionale, sia “nell’ordinaria amministrazione”, sia nella “straordinaria amministrazione”. Tali informazioni saranno infatti indispensabili per attività come l’ottimizzazione dell’efficienza nell’uso delle risorse o in attività volte al miglioramento delle prestazioni.

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LA CONTABILITÀ DIREZIONALE: CONTABILITÀ GENERALE E ANALITICA

Ma, forse ancora più rilevanti, possono risultare alcune attività che hanno un carattere direzionale più accentuato quali:

− le attività di pianificazione e controllo che permettono, le une, l’individuazione degli obiettivi da perseguire e le modalità per il loro raggiungimento, le altre, la verifica dei risultati ottenuti;

− la formulazione di strategie dell’azienda (ad esempio l’ingresso in un nuovo mercato o lo sviluppo di un nuovo prodotto);

− la presa di decisioni che vanno dalla determinazione dei prezzi dei prodotti/servizi a decisioni di make or buy.

All’interno della contabilità direzionale è possibile individuare due grandi famiglie di strumenti con finalità differenti: la contabilità analitica e la contabilità generale. La prima ha lo scopo di rielaborare i dati di costo e di ricavo con finalità conoscitive interne (attività decisionale e di controllo). La contabilità generale, invece, si pone l’obiettivo di misurare il reddito prodotto dall’azienda e di determinarne il capitale di funzionamento, con una finalità comunicativa rivolta ovviamente all’esterno; in altre parole, si pone l’obiettivo di redigere quella serie di documenti raggruppati sotto il nome di bilancio di esercizio.

Le differenze tra questi due sottosistemi non riguardano soltanto gli obiettivi, ma concernono anche i momenti della rilevazione, l’ampiezza di tali rilevazioni e la classificazione degli oggetti dell’analisi (costi e ricavi).

Una ulteriore considerazione può essere fatta se prendiamo in esame la natura perentoria o discrezionale che queste due famiglie di strumenti possiedono.

La contabilità generale ha da sempre avuto una natura prescrittiva: sono da sempre esistiti obblighi di legge che, se da un lato hanno reso quasi meccanica la sua applicazione ed il suo utilizzo, d’altra parte ne hanno vincolato lo sviluppo e l’affinamento. In maniera speculare, la discrezionalità che caratterizza la contabilità analitica ha, da un lato rallentato la sua diffusione limitandone l’utilizzo nelle realtà aziendali più grandi e complesse, ma, dall’altro, ha reso possibile una sua evoluzione libera e mirata al miglioramento dell’efficienza di

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tali strumenti. Quanto appena detto è ancora più rilevante se visto nell’ottica dell’adeguamento ai sempre nuovi e mutevoli scenari delle realtà aziendali.

Allo scopo di ottenere informazioni utili alla presa di decisioni, risponde pienamente la contabilità analitica che, riprendendo quanto già detto, deve essere vista come un sistema di strumenti del quale la direzione aziendale si avvale per controllare periodicamente e analiticamente i risultati economici della gestione. Da questa sua finalità deriva un ulteriore differenza con la contabilità generale relativa al momento della rilevazione: i costi saranno rilevati al momento dell’utilizzazione del fattore produttivo e non al momento della variazione numeraria avvenuta per l’acquisto e/o altre cause (conferimenti, costruzioni in economia, ecc.).

Le differenze tra contabilità generale e contabilità analitica proseguono nel caso in cui si prendano in esame le peculiarità sul piano spazio-temporale di quest’ultima. La dimensione spaziale riguarda il grado di dettaglio con il quale la contabilità analitica opera: l’oggetto in esame non è più necessariamente l’intero sistema-azienda, ma ogni singola sua componente che presenti una certa significatività economica o una rilevanza tattico-strategica2. Come sostiene Selleri: “[…] gli oggetti ai quali vanno riferite le determinazioni dei risultati

analitici vanno definiti in modo tale da permettere la composizione di sintesi di ricavi e di costi che abbiano un fondamento economico, ossia di risultati parziali sulla base dei quali sia possibile chiarire come le risorse disponibili siano state impiegate nella realizzazione di particolari combinazioni produttive e come si stia formando il risultato di esercizio”.

Con riferimento alla dimensione temporale, non è possibile dare indicazioni valide in assoluto, dal momento che la periodicità con la quale i risultati analitici devono essere determinati dipende strettamente dalla durata dei processi produttivi dell’azienda e dalle condizioni del contesto competitivo nel quale l’azienda si trova ad operare. Questa sua caratteristica differenzia profondamente la contabilità analitica dalla contabilità generale che presenta una rigida

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LA CONTABILITÀ DIREZIONALE: CONTABILITÀ GENERALE E ANALITICA

periodicità prescritta dalla legge e non minimamente legata alla durata dei cicli produttivi o alle caratteristiche di turbolenza dell’ambiente.

Addentrandoci sempre più in quello che è l’argomento centrale di questa tesi, passiamo ora a descrivere quelle che sono le funzioni principali della contabilità analitica. Come ritroviamo nella letteratura nazionale3 ed internazionale4 possiamo definire le funzioni della contabilità analitica individuandole come di seguito:

− misurare le componenti del risultato economico della gestione semplificando le valutazioni di bilancio;

− fornire un supporto informativo alla presa di decisioni;

− fornire informazioni indispensabili per la programmazione ed il controllo di gestione.

È possibile evidenziare come, in alcune aziende, la contabilità analitica rivesta anche il ruolo di indirizzo operativo: dare maggiore risalto ad alcune configurazioni di costo piuttosto che ad altre, pone volontariamente l’attenzione su alcuni aspetti piuttosto che su altri. La contabilità analitica, infatti, come sostiene Spranzi5 costruisce i costi, non li rileva e come tutte le costruzioni ha alla base un progetto ed un obiettivo da raggiungere.

I bisogni informativi ai quali le configurazioni di costo e, di conseguenza, la contabilità analitica devono rispondere sono molteplici e dipendono, da un lato dall’ambiente esterno in cui l’azienda opera, e dall’altro, dal profilo strategico-organizzativo e dai risultati di impresa. In questo modo si tratta quindi di decidere quali fabbisogni soddisfare dal momento che, purtroppo, non esiste una configurazione di costo che risponda a tutti i possibili fabbisogni: costi diversi tendono a soddisfare bisogni informativi diversi. Come sostiene Ceccherelli: “[…] non esiste un costo, ma tanti costi diversi quanti sono gli scopi ai quali tende la determinazione”6.

3 Bubbio A., 1994, Analisi dei costi e gestione di impresa, Guerini Scientifica, Milano. 4 Le Bas M., 1986, Comptabilité analytique de gestion, Nathan, Alençon.

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2.1.2 Il concetto di costo

Non è sicuramente agevole dare una definizione di costo che possa risultare oggettiva. Pertanto, riteniamo opportuno sintetizzare quelle che sono state nel corso della storia e della letteratura economica le più comuni definizioni di costo: il costo è il valore che viene attribuito a un fattore produttivo (bene o servizio) di cui quell’azienda ha disponibilità7.

Tale definizione non vuole essere risolutiva e soprattutto esaustiva, dal momento che è sempre più necessario puntualizzare a quale concetto di costo facciamo riferimento, ovvero, quale sia la finalità dell’analisi che vogliamo condurre.

È importante, infatti, capire che esistono costi legati all’acquisto di un fattore produttivo che genera una variazione numeraria. Quando un fattore produttivo entra a far parte del sistema azienda, tramite uno scambio impresa-ambiente che genera una variazione numeraria, la spesa per tale acquisto è corrispondente al cosiddetto costo originario. Esiste, quindi, una variazione numeraria che misura inequivocabilmente il valore del costo (spesa).

Un situazione differente si genera ogniqualvolta vogliamo misurare un costo per il consumo di fattori produttivi utilizzati nel processo produttivo. In questo caso, il valore non è legato ad una spesa monetaria, ma è il risultato di una costruzione artificiosa e, sebbene espresso anch’esso in termini monetari, presenta una componente non trascurabile di soggettività. In contabilità analitica, il costo derivato è proprio questo: la monetarizzazione del consumo di fattori produttivi per l’ottenimento di un determinato risultato.

Infatti, è necessario distinguere un concetto di costo utilizzabile in contabilità generale ed un concetto di costo utilizzabile in contabilità analitica. Sia in contabilità generale, che in contabilità analitica, “il costo si configura

7 La letteratura economica riporta numerose definizioni di costo che da noi sono state riprese e

sintetizzate nella formulazione di cui sopra, supportati dalla definizione data da:

• Bubbio A., 1994, Analisi dei costi e gestione di impresa, Guerini Scientifica, Milano; • Coda V., 1968, I costi di produzione, Giuffrè, Milano;

• Giannessi E., 1943, Costi e prezzi tipo nelle aziende industriali, Giuffrè, Milano; • Onida P., 1987, Economia d’azienda, Utet, Torino;

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IL CONCETTO DI COSTO

come componente negativo di reddito, derivato da originarie variazioni passive del patrimonio numerario, in concomitanza di acquisto dei fattori delle produzioni connessi a scambi monetari tra l’impresa e terze economie”8.

Esistono però, due famiglie di costi e spese che fanno parte dell’una ma non dell’altra contabilità. In contabilità generale, esistono le così dette spese neutrali vale a dire componenti non riguardanti valori attribuibili a fattori consumati per attività produttive, come, ad esempio, componenti negativi di reddito straordinari, costi capitalizzati o costi derivanti da minsvalenze; in sintesi, tutti i costi che non interessano la contabilità analitica, dal momento che non sono derivati dalla gestione caratteristica.

In maniera simmetrica, nella contabilità analitica sono rilevati anche i costi figurativi, ovvero, tutta quella serie di costi opportunità che sono legati al processo caratteristico di trasformazione dell’azienda, ma che, non avendo una contropartita numeraria, non possono prendere parte alla contabilità generale. Quanto detto non è una novità nella letteratura economica, in quanto riprende ciò che Schmalenbach già nel 1956 affermava9 (Tabella 2.1).

Tabella 2.1

I costi in contabilità analitica e in contabilità generale

Contabilità

analitica Costi figurativi

Costi che corrispondono a spese - Contabilità generale - Spese che corrispondono a

costi Spese neutrali

In realtà, ad oggi, l’utilizzo di sistemi integrati (come ad esempio SAP) potrebbero portare alla modifica di tale schema perché tali strumenti, nel mantenimento della completa quadratura tra le due contabilità (analitica e generale), permettono di inserire anche nei report collegati alla contabilità analitica le “spese neutrali”.

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2.1.3 Costi di R&S e classificazioni di costo

Con i termini Ricerca e Sviluppo è stata solitamente individuata la specifica funzione aziendale che comprende quella serie di attività volte a sperimentazioni scientifiche per l’ottenimento di nuove tecniche di produzione, nuovi prodotti o processi o per modificare, migliorando in termini di efficacia ed efficienza, quelli già esistenti. Sebbene tale funzione sia identificata da due parole e le attività da essa svolte possano essere distinte, alcune, come attività di Ricerca e altre come attività di Sviluppo, al fine della trattazione della tematica dei costi, tali attività sono da sempre state considerate come “two-in-one category”10.

Secondo la National Science Foundation11, l’attività di ricerca e sviluppo può essere distinta in: ricerca di base, ricerca applicata e sviluppo. Tale distinzione, come vedremo successivamente, è stata recepita anche nei Principi contabili dei Dottori Commercialisti e Ragionieri.

La ricerca di base comprende tutta quella serie di studi, esperimenti, indagini e ricerche, volti all’ottenimento di nuove conoscenze scientifiche senza una specifica finalità applicativa; in altre parole, ricerche che non abbiano come finalità l’ottenimento di nuovi prodotti e/o processi con scopi commerciali.

La ricerca applicata, invece, differisce da quella di base per la finalità che tali studi sottendono: la ricerca applicata mira al conseguimento di nuove conoscenze scientifiche con scopi commerciali.

Lo sviluppo non è altro che l’implementazione di un progetto specifico di ricerca, portato avanti con il preciso obiettivo di ottenere un risultato concreto: nella fase

10 Neuner J. J. W., 1973, Cost Accounting, Richard D. Irwing, Homewood.

11 La seguente definizione di Ricerca e Sviluppo è consultabile sul sito www.nsf.org: “R&D includes

basic and applied research in the sciences and engineering. It also includes design and development of new products and processes and enhancement of existing products and processes.

R&D includes activities carried on by persons trained, either formally or by experience, in the physical sciences such as medicine, and engineering and computer science. R&D includes these activities if the purpose is to do one or more of the following things:

1. Pursue a planned search for new knowledge, whether or not the search has reference to a specific application (Basic research).

2. Apply existing knowledge to problems involved in the creation of a new product or process,

including work required to evaluate possible uses (Applied research).

3. Apply existing knowledge to problems involved in the improvement of a present product or process (Development)”.

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COSTI DI R&S E CLASSIFICAZIONI DI COSTO

di sviluppo, si utilizza quanto ottenuto nella ricerca applicata realizzando i nuovi prodotti o processi prima della loro commercializzazione.

In prima analisi andremo a considerare i costi di Ricerca e Sviluppo come tutti facente parte di una stessa famiglia, senza fare alcuna distinzione tra ricerca di base, ricerca applicata e sviluppo.

Dal momento che l’obiettivo di questa trattazione è comprendere come i costi di ricerca e sviluppo entrino a far parte del difficile mondo della contabilità aziendale, è necessario, a questo punto, fornire una breve classificazione dei costi, per individuare meglio a quali famiglie tali costi possano appartenere.

Come precedentemente detto, in economia aziendale non esiste un costo, ma esistono molteplici classi di costo in funzione dell’obiettivo che l’analisi si prefigge e dell’oggetto al quale tali costi sono riferiti (Tabella 2.2).

Tabella 2.2

Alcune classificazioni dei costi

Criterio di classificazione

Classi

Variabili Costanti Comportamento rispetto ad un cost driver

Misti Speciali Oggettività di imputazione all’oggetto di costo

Comuni Diretti Modalità di attribuzione all’oggetto di costo

Indiretti

La prima classificazione, e forse la più conosciuta, è quella che vede come discriminante il comportamento dei costi rispetto a un determinate di costo (cost

driver). Da tale analisi, possiamo distinguere i costi fissi (o costanti), quelli

variabili e i costi misti.

Si definiscono costi fissi quelli la cui entità non varia al variare del cost driver. Sono variabili, invece, quei costi il cui valore è strettamente legato al determinante di costo. Tra le due classi si pongono i costi misti che possono essere semivariabili e a scalini.

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Come è facilmente desumibile da quanto in precedenza detto, non è possibile inquadrare in maniera assoluta ed oggettiva i costi di Ricerca e Sviluppo in una di queste classi. L’appartenenza dei costi di Ricerca e Sviluppo all’una o all’altra famiglia è strettamente legata alla scelta del parametro di riferimento rispetto al quale rilevare o meno la variabilità ed è anche legato al contesto aziendale nel quel effettuiamo la rilevazione. Volendo chiarire con un esempio, prendiamo in esame il caso di una Piccola o Media Impresa in cui il personale dedica parte del suo tempo ad attività di ricerca e sviluppo. In questo caso, scegliendo come cost

driver le ore lavorate al nuovo progetto, risulta chiaro che questi costi di Ricerca

e Sviluppo saranno variabili. Al contrario, se prendiamo in esame una grande impresa con al suo interno uno specifico reparto impegnato nella Ricerca e Sviluppo, questi stessi costi di manodopera risulteranno non più proporzionali alle ore lavorate sul progetto, dal momento che il personale è esclusivamente impiegato nella R&S.

La seconda classificazione che prendiamo in esame è quella che vede la distinzione tra costi speciali e costi comuni, data dalla maggiore o minore oggettività nella misurazione dei costi rispetto all’oggetto di costo.

Sono speciali quei costi che possono essere riferiti in maniera univoca all’oggetto di costo ed il cui valore è dato dalla quantità del fattore utilizzato per il suo prezzo unitario. I costi comuni, invece, non possono essere riferiti ad uno specifico oggetto di costo, se non imputati tramite un procedimento di allocazione o ripartizione, dal momento che non è determinabile la quantità di fattore consumato direttamente dall’oggetto di costo. Inoltre, il confine tra costi comuni e costi speciali è estremamente labile, dal momento che varierà con l’estensione dell’oggetto di costo scelto per l’analisi: più ampio sarà l’oggetto di costo, maggiore sarà il numero dei costi imputabili direttamente a quell’oggetto12.

Una classificazione che, ad una prima osservazione, può apparire simile alla precedente, è quella che distingue i costi diretti da quelli indiretti.

12 Per approfondimenti si veda: Cinquini L., 2003, Strumenti per l’analisi dei costi, Volume I,

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COSTI DI R&S E CLASSIFICAZIONI DI COSTO

Saranno costi diretti quei costi imputabili all’oggetto di costo secondo criteri di specialità, ossia mediante il prodotto tra volume di fattore impiegato e prezzo unitario.

I costi indiretti, invece, vengono imputati all’oggetto di costo tramite criteri di comunanza, ossia attraverso un processo di ripartizione o allocazione in quanto comuni a più oggetti di costo.

Esiste una similitudine tra costi speciali e costi diretti, ma è anche possibile che un costo speciale non sia convenientemente imputabile ad un oggetto di costo e dunque si preferisca attribuirlo indirettamente. Al contrario i costi comuni sono sempre anche indiretti.

Quanto detto fino ad ora, riveste una particolare importanza dal momento che è sempre più rilevante per le aziende l’analisi ed il controllo dei costi di produzione. Questa esigenza nasce dalla nuova complessità nella gestione dell’azienda, una complessità che deriva dai nuovi scenari ambientali in cui l’azienda opera e dall’evoluzione delle esigenze dei clienti.

I contesti competitivi sono sempre più difficilmente prevedibili, i cambiamenti sono repentini e la necessità di un rapido adeguamento è sempre più sentita. D’altra parte, i clienti richiedono prodotti e/o servizi a prezzi sempre più bassi, ma con qualità intrinseche sempre più alte; i tempi di consegna si accorciano, nonostante l’ampliamento della gamma dei prodotti risulti una caratteristica ineludibile per le aziende che vogliono mantenere quote di mercato importanti. Il controllo di gestione e la contabilità dei costi si fanno largo come strumenti manageriali indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi: la sopravvivenza dell’azienda nel lungo periodo, è strettamente correlata alla capacità che l’azienda stessa ha nel controllo dei propri costi di produzione.

È fondamentale che questo controllo dei costi venga effettuato sia a un livello analitico con un elevato grado di dettaglio, che ad un livello più generale e con un grado di dettaglio tale da permettere una visione di insieme dell’azienda. Da un lato, infatti, una visione di dettaglio determinata attraverso l’individuazione di oggetti di costo intermedio, sarà utile per misurare le performance in termini di efficacia ed efficienza di ogni singola componente aziendale presa in esame.

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Dall’altro lato, sarà, forse, ancora più rilevante avere la possibilità di “ribaltare” tutti gli oggetti di costo intermedi su centri di costo finali, che in ultima analisi vengono attribuiti ai prodotti determinando il costo di produzione.

Tale costo, come asserisce Coda13, “si può definire, in una prima

approssimazione, come la somma dei valori attribuiti a vari fattori impiegati o utilizzati in una determinata attività produttiva”.

Nel calcolo del costo di produzione, è possibile includere differenti elementi di costo; in funzione della presenza o meno di alcuni di essi otterremo differenti configurazioni di costo. Al fine di non incorrere in fraintendimenti, ricordiamo che il costo di prodotto, o costo medio unitario, è derivato dal rapporto tra costo di produzione e risultati fisico-tecnici, ottenuti dalla produzione qualora da un’attività produttiva si ottengano più beni o servizi.

Focalizzando nuovamente la nostra attenzione sui costi di Ricerca e Sviluppo, possiamo affermare che una loro analisi, quindi una stima del loro ammontare e una valutazione delle sue performance, è senza dubbio indispensabile e facilmente realizzabile. Un grado di difficoltà maggiore si incontra al momento in cui si voglia ampliare la nostra analisi al di là dei confini della funzione di R&S, andando a capire l’impatto che suddetta funzione ha a livello di sistema azienda. La Ricerca e Sviluppo, pur consumando fattori produttivi e quindi sostenendo costi, non genera solitamente nel breve periodo, risultati tangibili e quantificabili sui quali far ricadere i suddetti costi: è concettualmente difficoltoso imputare ai volumi di produzione attuali di una azienda costi i cui risultati tecnico-economici si manifesteranno in un futuro di incerta prossimità.

La ricerca “è un costo o un investimento lontano dall’offrire risultati garantiti; essa è uno sforzo altamente speculativo ed incerto, che richiede la più grande perizia manageriale per produrre risultati”14.

13 Coda V., 1968, I costi di produzione, Giuffrè, Milano, p. 8.

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IL COST ACCOUNTING

2.2 Il Cost Accountig

Un ulteriore specificazione della contabilità analitica è rappresentata dal cost accounting. Questo può essere definito come un insieme di determinazioni economico quantitative, mediante le quali si calcolano i costi (e conseguentemente i risultati) di particolari ambiti gestionali (oggetti di costo), individuabili all’interno del sistema aziendale. Gli oggetti di costo possono essere sia finali che intermedi.

In buona sostanza, si tratta di una sorta di specializzazione imposta al monitoraggio dei costi dai recenti scenari del mercato in generale: senza scendere nel dettaglio dei singoli settori produttivi, che implicano giocoforza una differenziazione di metodo e di standard, possiamo comunque affermare che le crescenti difficoltà competitive (per aumentata concorrenza, scarsità delle materie prime, congiuntura macroeconomica negativa, crisi dei consumi, ecc.) hanno imposto una ritrovata minuzia nel sistema informativo generale e soprattutto in quello contabile.

Del sistema informativo contabile la parte dedicata all’interno (contabilità direzionale ed in particolare la contabilità analitica) è diventata via via sempre più scientifica e precisa, per ottimizzare l’efficienza economica dell’attività aziendale, qualunque essa sia.

Il cost accounting condivide così con la contabilità analitica gli scopi ed i motivi fondamentali che lo hanno fatto evolvere.

Nel particolare, il cost accounting deve orientare ancora meglio le scelte gestionali dell’azienda, sia quelle a livello corrente che quelle di tipo strategico. Inoltre, il cost accounting si occupa di monitorare l’efficienza economica della gestione e di valorizzare, nel giusto modo, ogni elemento del patrimonio in sede di redazione del bilancio.

Per sviscerare quanto meglio l’argomento, passeremo adesso in rassegna i più importanti strumenti di imputazione dei costi.

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2.2.1 Il Full Costing e la contabilità per centri di costo

Lungo la sua evoluzione, il cost accounting ha visto la nascita di sempre nuove tecniche volte ad una migliore attribuzione dei costi aziendali. Una prima metodologia è quella chiamata Direct Costing (sistema di calcolo a costi variabili15).

Tale approccio, che si basa sulla microeconomia (branchia dell’economia politica), si fonda sull’analisi marginale. Infatti, nel Direct Costing si distinguono i costi tra quelli fissi e quelli variabili16 e, sulla base di questa classificazione, si pone al centro dell’analisi il margine di contribuzione, ossia la differenza tra i ricavi e i costi variabili. Questo valore, infatti, riesce a esplicare la capacità di un certo prodotto di contribuire alla copertura dei costi fissi, una volta coperti i costi variabili attraverso i ricavi. Risulta pertanto fondamentale la presenza di un margine di contribuzione positivo: questa condizione rappresenta il cuore di ogni analisi nel direct costing17.

Una teoria parallela si basa su una diversa classificazione dei costi: i costi diretti e quelli indiretti18. Nel Full Costing (o contabilità a costi pieni), infatti, diventa rilevante comprendere quali costi possono essere attribuiti in maniera oggettiva al prodotto e quali, invece, devono essere allocati in modo indiretto. Alla base di questa tecnica, infatti, troviamo il principio secondo cui il costo di tutti i fattori impiegati deve concorrere alla determinazione del costo totale del prodotto (questo principio viene solitamente chiamato dell’assorbimento integrale dei costi). Essa imputa al prodotto anche i costi comuni attraverso l’utilizzo di adeguate basi di riparto.

Possiamo distinguere due tipologie di full costing: quella a base unica e quella a base multipla. Nel primo caso, come dice il nome stesso, si utilizzerà una sola base di riparto per l’attribuzione di tutti i costi indiretti: questo può portare a imprecisioni e ad evidenti errori, perché si svincola l’attribuzione dei costi al

15 Il termine “direct” non deve far equivocare in quanto non si riferisce al costo direttamente attribuibile (i

cosiddetti costi diretti), ma, con traduzione letterale, al “costo variabile proporzionale”.

16 Per chiarimenti ed approfondimenti si veda il paragrafo 2.1.3.

17 Per approfondimenti si veda Cinquini L., 2003, Strumenti per l’analisi dei costi, Volume I,

Giappichelli, Torino, pag. 145 e ss.

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IL FULL COSTING E LA CONTABILITÀ PER CENTRI DI COSTO

fattore che lo ha generato. Nel full costing a base multipla, invece, verranno utilizzate basi di riparto differenziate a seconda delle caratteristiche delle diverse aggregazioni di costi indiretti. Questa seconda possibilità, sebbene più complessa, sarà notevolmente migliore perché, in molti casi, riesce a rispettare il principio funzionale: l’attribuzione dei costi indiretti avverrà, cioè, in base ad un driver che effettivamente influenza l’ammontare del costo.

Quando la complessità della produzione o la dimensione aziendale superano un certo limite, si cerca di definire, all’interno della combinazione produttiva, delle aggregazioni di costi con il fine di giungere ad un più corretto calcolo del costo unitario di prodotto. Queste aggregazioni molto spesso coincidono con le unità organizzative che compongono l’azienda e prendono il nome di centri di costo19.

Per la precisione, i centri di costo possono essere reali, se corrispondono ad unità operative individuabili anche in senso fisico (come ad esempio un reparto o un ufficio), oppure fittizi, se hanno solo una funzione di riferimento per l’attribuzione e il controllo dei costi, ma non esistono fisicamente.

I centri di costo possono essere distinti in funzione dell’attività svolta; si hanno così centri di costo produttivi, ausiliari, di servizi alla produzione, funzionali, e così via.

I centri di costo vengono costituiti sia per la determinazione dei costi di prodotto, sia per il loro controllo; ecco i principali vantaggi che determinano i centri di costo:

- permettono una più corretta imputazione di costi ai prodotti individuando dei raggruppamenti intermedi che rendono più logica la determinazione di costi; - permettono analisi molto approfondite su determinati contesti aziendali che

possono condurre a decisioni più accurate su temi come il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza;

- risultano quasi indispensabili per il controllo di gestione, in quanto si collegano ai cosiddetti centri di responsabilità.

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Infatti, un ulteriore sviluppo del monitoraggio dei costi vede la nascita dei centri di responsabilità. Questi costituiscono unità organizzative caratterizzate dall’assegnazione a un soggetto della responsabilità dell’attività che viene svolta nel centro (o che vi può essere riferita) in termini di impiego di risorse e di raggiungimento di risultati prefissati, nel rispetto dei previsti vincoli di efficienza.

Sebbene molto spesso accada, i centri di responsabilità non necessariamente coincidono con i centri di costo: un solo responsabile, per esempio, potrebbe presiedere a più centri di costo contemporaneamente.

La teoria vorrebbe la creazione di due distinti sistemi di centri aziendali:

- uno a livello contabile, con lo scopo di rilevare i costi e attribuirli agli oggetti di riferimento;

- uno a livello organizzativo, con lo scopo di controllare i costi.

Nella realtà però i due centri tendono a sovrapporsi; infatti la responsabilità è legata alla possibilità per il responsabile di intervenire nel processo di formazione dei costi (e dei ricavi).

2.2.2 La logica dell’Activity-Based Costing

Nel panorama degli strumenti di imputazione dei costi, nell’ultimo decennio ha preso piede una nuova metodologia che prende il nome di Activity-Based Costing (ABC).

Questo nuovo sistema di determinazione dei costi, elaborato in primis da Cooper e Kaplan20 nel 1988, mira al superamento delle problematiche di attribuzione dei costi indiretti emerse nei nuovi contesti aziendali. Fino a non molti anni fa, i costi aziendali erano generalmente legati ai volumi di produzione, in quanto generati da dall’acquisto di materie prime o di manodopera diretta e, di conseguenza, erano facilmente imputabili, tramite la logica di full costing, al prodotto finale.

Le imprese hanno poi visto lievitare l’incidenza dei costi indiretti, quali ad esempio costi per impianti e macchinari, costi per le attività di supporto alla

20 Cooper R., Kaplan R. S., 1999, The Design of Cost Management Systems (2nd ed.), Prentice Hall, New

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LA LOGICA DELL’ACTIVITY_BASED COSTING

produzione (manutenzione, controllo, ecc.), ma soprattutto quelli delle attività di marketing, della distribuzione e delle altre attività di servizio.

Parte non trascurabile dei costi indiretti, la cui incidenza è aumentata, come abbiamo visto nel corso del primo capitolo, è rappresentata dai costi di Ricerca e Sviluppo.

I costi indiretti di produzione, nelle realtà aziendali odierne, nascono dalla presenza di quelle attività di supporto al processo produttivo che prendono il nome di hidden factory21, piuttosto che dal maggior o minor impiego di una determinata quantità dei fattori produttivi. L’inadeguatezza dei tradizionali strumenti di cost accounting a far fronte ai nuovi e sempre più rilevanti costi indiretti, portava a distorsioni nel calcolo dei costi pieni, dovuti a quel fenomeno conosciuto come sovvenzionamento incrociato tra produzioni; in altre parole, in aziende con più tipologie di prodotti con complessità diverse, spesso una allocazione dei costi indiretti con metodologie tradizionali, porta a far gravare maggiormente suddetti costi sulla tipologia di prodotto a più alto volume, nonostante sia dimostrato che questi trovino origine dalle produzione a maggiore complessità. Non deve più essere considerato il volume di produzione “l’artefice” e quindi il driver per la ripartizione dei costi indiretti, ma la complessità del prodotto.

Alla base dell’ABC c’è una vera e propria rivoluzione copernicana: come dice il nome stesso di questo strumento, il focus dell’analisi è posto sulle attività. Le attività, in questo contesto, vengono definite come “un insieme di operazioni collegate, miranti ad ottenere un certo output utilizzando determinati input”22: in termini più semplici, è una attività qualunque azione o gruppo di azioni tra loro collegate che, in azienda, mirano a produrre un certo risultato utilizzando le risorse disponibili.

Rispetto ai tradizionali strumenti di cost accounting, le attività vanno a sostituire il prodotto nel ruolo di primario oggetto di costo. Infatti, la logica di

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fondo del ABC è che le risorse aziendali vengono impiegate nelle attività, determinando, quindi, la nascita del costo.

A loro volta le attività, dal momento che sono realizzate per supportare la produzione e la consegna dei beni e/o servizi, vengono “consumate” dal prodotto finale o dai servizi forniti, o ancora direttamente dal cliente: per questa ragione, tutti i costi delle diverse attività svolte dall’azienda devono andare a ricadere, in ultima analisi, sul costo di prodotto (e/o servizio) (Figura 2.1).

Figura 2.123

Lo schema logico dell’ABC

Fonte: tratto da opera citata di Silvi R., 2002.

Dunque, oltre ai costi che classicamente ricadono nel costo di prodotto (come il costo di produzione, quello di logistica e di distribuzione), anche altri costi quali il marketing, quelli inerenti il servizio di finanziamento o il servizio amministrativo ed informatico e, naturalmente quelli concernenti le attività di ricerca e sviluppo, devono essere presi in considerazione e fatti pesare sui costi unitari di prodotto.

Nei sistemi tradizionali di cost accountig, il volume di produzione risultava essere l’unico driver utilizzato per la distinzione tra costi fissi e costi variabili, ovvero, era considerato l’unico metro per l’allocazione dei costi. Una successiva e più attenta analisi ha evidenziato, però, che esistono altri fattori che

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LA LOGICA DELL’ACTIVITY_BASED COSTING

influenzano l’ammontare dei costi, importanti almeno quanto il volume di produzione.

In ogni azienda, infatti, si possono e si devono individuare tutta quella serie di attività per le quali le tradizionali basi di imputazione legate al volume di produzione (ore di manodopera diretta, quantità di materie prime consumate) non riescono a rivelare in maniera corretta i consumi di risorse da esse alimentati e conseguentemente i costi da esse generati.

Nodo cruciale della questione è l’identificazione delle attività che diventano più intense e frequenti, quindi più “costose”, al crescere della differenziazione delle linee di prodotto e delle tecnologie utilizzate nei processi produttivi, al crescere del numero dei fornitori, della clientela e dei canali di marketing.

Nonostante i sostenitori dell’ABC ritengano che tale sistema non possa risolvere in maniera assoluta i problemi fin qui evidenziati, l’Activity Based Costing rappresenta comunque un netto miglioramento in termini di efficacia e di efficienza nell’attribuzione dei costi indiretti.

Affinché tale miglioramento sia significativo, è importantissimo definire ed andare ad utilizzare in maniera corretta i cost driver per l’attribuzione dei costi delle risorse alle attività. La terminologia della letteratura vede queste variabili sotto il nome di resource cost driver (o più brevemente resource diver).

Simmetricamente all’attribuzione dei costi delle risorse impiegate in attività attraverso i resource cost driver, l’individuazione del consumo di tali attività da parte dei prodotti-servizi-clienti avviene tramite gli activity cost driver, vale a dire i determinanti che misurano la frequenza e l’intensità di impiego di un’attività da parte di un oggetto di costo.

Gli ideatori dell’ABC, Cooper e Kaplan, ritengono che i costi generali aziendali (quindi non solo i costi indiretti industriali e di marketing, ma tutti i costi) possano essere attribuiti alle attività che hanno alimentato il consumo delle risorse. Quanto detto è valido fatta eccezione per due famiglie di costi:

− costi delle capacità in eccesso; − costi della Ricerca e Sviluppo.

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Abbandonando per questa trattazione i primi, focalizziamo la nostra attenzione sui secondi. I costi riguardanti la Ricerca e lo Sviluppo di prodotti e linee di prodotto interamente nuove devono essere esclusi dal sistema di determinazione basato sulle attività. Più precisamente Cooper e Kaplan sono a favore della suddivisione dei costi di R&S24: da un lato quelli sostenuti per l’applicazione di migliorie e/o modifiche a prodotti esistenti, dall’altro, quelli che si legano all’implementazione di linee di prodotti interamente nuovi.

Secondo gli autori, la prima classe di costi dovrebbe essere attribuita ai singoli prodotti in misura proporzionale al beneficio che ciascuno di essi ha tratto da dette attività. Al contrario, i costi della seconda classe non sono ricollegabili quantitativamente ai singoli prodotti e devono quindi essere considerati come costi di periodo, gravanti quindi sull’intera produzione aziendale. Gli autori, in realtà, sostengono che i costi di Ricerca e Sviluppo riferiti a particolari prodotti debbano essere valutati con riferimento all’intero ciclo di vita previsto per il prodotto e che questi non dovrebbero essere suddivisi in quote annuali stabilite in modo forfetario, come spesso, per praticità, accade in azienda.

24 Con questa affermazione andiamo a superare quanto asserito nei primi paragrafi di questo capitolo in

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IL COST MANAGEMENT

2.3 Il Cost Management

Attraverso logiche perfezionate di cost accounting, è possibile ora disporre di informazioni di costo di prodotto più accurate. Tale risultato non è però da considerarsi fine a se stesso, in quanto le indicazioni che possiamo trarre da questi strumenti permettono analisi di ben più ampio respiro, analisi che coinvolgono i livelli aziendali più elevati e che assumono una rilevanza anche di carattere strategica.

A partire dalla metà degli anni ’80, una pluralità di strumenti e di metodologie si affacciano sia sul mondo accademico che su quello aziendale e consulenziale: lo scopo principale è quello di comprendere il legame che unisce il consumo delle risorse con il valore creato per il cliente, in modo tale da definire le aree di miglioramento sulle quali poter intervenire al fine di crescere in efficacia ed efficienza.

I sistemi di produzione cambiano profondamente e con essi mutano anche le logiche organizzative e decisionali nonché le basi della competizione: le aziende giapponesi si affermano sempre più a scapito di quelle americane che, focalizzandosi soltanto sulla finanza e sul marketing, hanno perso di vista la produzione; tra le nuove teorie rilevanti che si affermano in questo periodo, occorre ricordare il Total Quality Management.

Questi sono gli anni in cui si assiste ad una rifocalizzazione marcata verso la produzione, che porta la contabilità analitica a concentrarsi più sul controllo di gestione che sulla redazione del bilancio. Come abbiamo visto nel precedente paragrafo, l’attenzione della contabilità aziendale viene indirizzata dal concetto di attività: l’attività vista come un insieme di operazioni diventa l’elemento di raccordo tra l’impiego di risorse e l’oggetto di costo che ha consumato l’attività stessa. Nasce, inoltre, la nuova consapevolezza di dover affrontare il problema dei costi in modo diverso: la massima efficienza non basta più in un mercato che non è più disposto ad assorbire tutto ciò che si produce: i mercati attuali differiscono da quelli post-bellici in cui la domanda era superiore all’offerta ed era inequivocabilmente verificabile l’equazione quantità prodotta uguale quantità venduta.

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Per queste ragioni nasce il Cost Management, che afferma che non basta ridurre i costi, ma si deve anche aumentare il valore che il cliente percepisce. Il cost management mira ad aumentare il valore per i clienti attraverso l’azione su tre leve: l’efficienza, l’efficacia e l’innovazione. È necessario agire sui costi e sul rapporto qualità-prezzo, incrementando l’efficienza aziendale anche in termini di sbocco sui mercati, con un’innovazione che deve essere ininterrotta e che porta alla creazione di nuovi prodotti e a miglioramenti continui in termini di efficacia ed efficienza.

Con l’uso dell’ABC si sono andate a delineare nuove strade di analisi che permettono di esaltare tutte le potenzialità di tale strumento.

I manager possono intraprendere diverse azioni per soddisfare i clienti e contemporaneamente ridurre i costi:

− gestione delle determinanti di costo;

− prestare maggiore attenzione alla prevenzione dei costi anziché tagliarli in seguito (Target Costing);

− collegamento delle informazioni di costo con le misure di performance di altri fattori critici di successo (Balanced scorecard25);

− la ricerca del miglioramento continuo per ottenere la customer satisfaction. All’interno della contabilità direzionale, per gestire tutte queste nuove problematiche, si diffonde un nuovo orientamento che mira, da un lato, a trovare misure dei costi realmente utili come supporto a decisioni strategiche, vale a dire quelle decisioni in grado di posizionare l’azienda nel mercato competitivo e, dall’altro, a valutare il posizionamento dell’azienda rispetto ai concorrenti dal punto di vista dei costi.

La prospettiva dell’analisi si sposta quindi, dall’interno verso l’esterno: non è più necessario, o quantomeno non è più soddisfacente, arrivare a quantificare i costi, ma è necessario inserirli in un’analisi più ampia che serva ad indirizzare le decisioni strategiche dell’azienda ed ad inquadrare la stessa nel sistema competitivo.

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IL COST MANAGEMENT

Quanto detto finora trova i suoi fondamenti nella nostra volontà di evidenziare come la visione degli scopi della contabilità dei costi sia cambiata e si sia ampliata nel corso degli anni. In proposito facciamo riferimento al modello evolutivo proposto da Silvi26 (Figura 2.2):

Figura 2.2

Approcci alla gestione dei costi

Fonte: tratto da opera citata di Silvi R., 2002.

La prima modalità di gestione dei costi è riassumibile nell’espressione “taglio dei costi”, traduzione non proprio letterale ma di notevole resa semantica di cost containment. Si esplica nella vera e propria ricerca della redditività a breve termine attraverso il contenimento delle risorse immesse nell’attività produttiva. Questi interventi possono avere risvolti positivi nel breve periodo, ma difficilmente rappresentano vantaggi in termini di competitività sostenibile nel tempo, in particolar modo qualora vadano ad intaccare attività ed iniziative quali la ricerca e lo sviluppo, la manutenzione e l’assistenza alla clientela: in questi casi i risultati potrebbero compromettere il successo dell’azienda.

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Seguendo l’evoluzione non solo temporale degli approcci alla gestione dei costi, ma anche in termini di livello di complessità degli interventi, lo schema di Silvi propone tutta quella serie di iniziative volte al miglioramento dell’efficienza dell’intero sistema azienda. Attraverso quanto detto, facciamo riferimento alle attività di Business Process Reengineering nell’ottica di lean management27. Funzionale a questo approccio è sicuramente quanto descritto nei paragrafi precedenti, ovvero l’analisi delle attività, dei relativi costi e del valore generato.

Con il terzo gruppo, la prospettiva dell’analisi si sposta verso l’esterno dell’azienda, andando ad inquadrare le attività e i relativi costi da queste assorbiti che hanno generato valore per il cliente. In altre parole, si cerca di costruire ed allineare le catene del valore rispettivamente per l’azienda e per il cliente e di trovare una sincronia tra queste: da tali considerazioni deriva la nascita di tutte le teorie economiche riguardanti la catena estesa del valore. Il grado maggiore di complessità di questo approccio è legato allo spostamento della ottica di analisi dall’interno dell’azienda al suo esterno.

Con il quarto approccio, l’utilizzo delle informazioni di costo è senza dubbio più ampio rispetto a quanto visto in precedenza; è facilmente desumibile che un Cost for Business Modelling può rappresentare la carta vincente per il successo di un’azienda nel tempo, ma, come tale, è di difficile implementazione e può risultare anche un’arma a doppio taglio, decretando il fallimento dell’iniziativa. In quest’ottica, l’analisi dei costi ha lo scopo di creare un modello di business di successo nel tempo attraverso lo studio della correlazione tra risorse-attività-valore-risultati.

27 Womack J., Jones D., 1997, Lean thinking (traduzione: Come creare valore e bandire gli sprechi),

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L’ACTIVITY-BASED MANAGEMENT

2.3.1 L’Activity-Based Management

Attraverso l’ABC riusciamo ad ottenere informazioni sulle modalità di impiego delle risorse indirette, contrariamente a quanto è possibile fare con un sistema di calcolo dei costi tradizionale. In questo modo viene evidenziato il legame esistente tra le risorse e le attività in cui quest’ultime sono state consumate. Tutto ciò non è cosa di poco conto, queste basi permettono di capire le ragioni di fondo per le quali i costi si sono generati e, evidenziando le attività e le persone responsabili del consumo di risorse, consentono al management di valutare se ogni singolo costo è giustificato per il suo scopo e, soprattutto, permettono di individuare dove occorre intervenire per esercitare un efficiente controllo dei costi.

Inoltre, il sistema ABC consente di valutare ogni attività in termini di contributo offerto: in altre parole, riesce a determinare il valore che ogni attività crea. L’analisi che ne scaturisce permette di individuare quali attività svolte in azienda apportano un valore per il cliente, dove, per valore, si intende la differenza tra il valore generato dalla vendita dell’output dell’attività in questione e il costo di acquisto dei beni/servizi necessari per l’ottenimento di tale output28. Se il risultato di questa semplice analisi lascia trasparire la possibilità che un’attività svolta dall’azienda non sia significativa da un punto di vista economico finanziario, nasce il bisogno di chiedersi se sia conveniente continuare a svolgere tale attività; in altre parole, bisognerà interrogarsi se proseguire a immettere risorse e quindi a sostenere costi per un’attività che non genera valore per il cliente. Inoltre, l’eliminazione di un’attività a non valore aggiunto non provoca una diminuzione del valore dell’offerta dell’azienda ai propri clienti; al contrario, vengono aumentate le risorse e le disponibilità verso azionisti, dipendenti e terzi finanziatori.

La domanda cruciale che un’azienda deve porsi di fronte alla necessità di individuare le attività a non valore aggiunto è la seguente: “Saremo in grado di fornire al cliente almeno lo stesso valore se questa attività cessasse in azienda?”.

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Per alcune attività la risposta a suddetta domanda dipende strettamente dall’orizzonte temporale preso in considerazione. Ad esempio, se analizziamo l’attività di stoccaggio delle materie prime, possiamo affermare che tale attività non risulta essere a valore aggiunto per il cliente a condizione che esista un sistema di approvvigionamento del tipo Just-In-Time.

Possiamo anche fare un esempio maggiormente legato all’argomento principe della nostra trattazione: l’eliminazione delle attività di Ricerca e Sviluppo può non andare a diminuire il valore dell’output finale percepito dal cliente. Quanto detto è ineccepibile solo se il nostro orizzonte temporale è breve: in un’ottica di medio lungo periodo la soppressione delle attività di Ricerca e Sviluppo andrebbe, con buona probabilità, ad inficiare i prodotti/servizi dell’azienda, compromettendone anche la competitività stessa.

Sfruttando le potenzialità intrinseche nell’ABC, è stato sviluppato un sistema di controllo direzionale (Activity-Based Management) che individua nelle attività e nei processi aziendali gli elementi cardine sui quali l’azione manageriale deve concentrarsi al fine di accrescere l’efficacia e l’efficienza dell’attività produttiva, in modo tale da far aumentare il valore ricevuto dal cliente e, allo stesso tempo, la redditività dell’impresa.

La chiave di volta sulla quale è costruito questo sistema è rappresentata dal concetto di processo: il focus dell’analisi si sposta, o meglio si amplia andando a ricomprendere non più le singole attività, ma le attività inserite nei processi. Più in dettaglio, se nella visione ABC il concetto di attività risulta centrale per l’attribuzione dei costi alle attività stesse e agli oggetti di costo, nella visione ABM le attività assumono un ruolo cruciale in quanto facenti parte di processi e in quanto leve sulle quali agire per migliorare efficienza ed efficacia dell’attività produttiva.

Per comprendere meglio i nessi logici che legano l’ABC all’ABM, è utile riprendere un modello utilizzato nella letteratura economica (Figura 2.3).

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L’ACTIVITY-BASED MANAGEMENT

Figura 2.3

Il modello bidimensionale ABC/ABM29

Fonte: tratto da opera citata di Miolo Vitali P., 2003.

Volendo riavvicinarsi all’argomento centrale della nostra dissertazione, una logica ABM esprime, a nostro avviso, tutto il proprio potenziale, in quanto permette di delineare le attività di Ricerca e Sviluppo, non come singole operazioni svolte all’interno dell’azienda, ma come un insieme di attività (tra loro diverse ma strettamente correlate) legate tra loro a tal punto da poter configurare “un’azienda in un’azienda”.

Nell’immaginario comune la Ricerca e Sviluppo vede al suo interno alcune attività quali ad esempio la progettazione e l’ingegnerizzazione di un nuovo prodotto, la ricerca di nuove materie prime o di nuovi processi, ma allo stesso tempo può comprendere al proprio interno tutta una serie di attività, come ad esempio quelle legate alla ricezione e stoccaggio dei materiali, test sui prototipi, analisi di mercato, attività tipiche di qualsiasi realtà aziendale.

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2.3.2 Il Target Cost Management

Volendo riprendere il celebre detto popolare “prevenire è meglio che curare”, possiamo capire quale sia l’apporto dello strumento che ci accingiamo a descrivere. Infatti, il Target Costing rappresenta uno strumento di contabilità direzionale votato alla prevenzione, piuttosto che ad un successivo taglio, dei costi.

Sebbene l’origine del concetto di Target Cost Mangement possa essere rintracciata nel cost engineering e nel cost management, il TCM costituisce un concetto dinamico del quale oggi si hanno varie interpretazioni e soprattutto numerose applicazioni concrete in impresa.

Il TCM è una metodologia gestionale che impiega logiche e tecniche per giungere alla definizione di un costo obiettivo, al fine di raggiungerlo (attraverso la progettazione e la gestione) e di migliorarlo nel futuro. I tempi di utilizzo di tale strumento combaciano con le fasi di progettazione e sviluppo in modo tale che sia possibile definire i costi delle specifiche di prodotto almeno inferiori ai costi obiettivo.

In realtà, l’impiego del Target Costing si può verificare in diversi momenti del ciclo di vita del prodotto, con ripercussioni diverse secondo il momento in cui viene utilizzato. Sebbene il Target Costing possa essere impiegato durante la produzione del prodotto già presente sul mercato, con l’introduzione di una procedura contabile per la riduzione dei costi con l’entrata sul mercato di varianti, questo fornisce i migliori risultati se implementato nella fase del concepimento stesso del prodotto, vale a dire nella fase di Ricerca e Sviluppo, momento in cui un’attenta pianificazione e progettazione sia tecnologica che organizzativa può contenere quanto più possibile i costi di produzione del prodotto futuro (Figura 2.4).

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IL TARGET COST MANAGEMENT

Figura 2.4

Costi impegnati e costi sostenuti30

Fonte: tratto con modifiche da opera citata di Berliner C., Brinson J. A., 1991.

La figura 2.4 mostra l’evoluzione lungo le diverse fasi del ciclo di vita di un prodotto di due tipologie di costo: i costi sostenuti e quelli impegnati.

È facile notare come la curva dei costi impegnati sia maggiore di quella dei costi sostenuti nelle prime fasi del ciclo di vita del prodotto: i costi impegnati aumentano progressivamente con l’aumentare delle decisioni assunte sul nuovo prodotto. Addirittura notiamo come, in alcuni casi, circa il 90 per cento31 dei costi che l’azienda dovrà sostenere lungo tutto il ciclo di vita del prodotto sia già stato impegnato prima dell’inizio della produzione del prodotto stesso.

Da quanto detto, deriva che uno strumento come il Target Costing sarà tanto più efficace nell’aumentare la redditività di un progetto quanto prima, nel ciclo di vita del prodotto, verrà impiegato: ribadiamo quindi l’importanza di prevedere uno strumento come quello presentato per le aziende che vogliano monitorare e gestire i costi, a partire dai costi di Ricerca e Sviluppo.

Entrando più nello specifico, utilizzare il Target Costing fin dalla fase di Ricerca e poi di Sviluppo permette anche di guidare queste attività verso le richieste espresse ed implicite dei futuri clienti; questo strumento, infatti, rientra tra i “market-oriented”. Esso implementa cioè una continua conciliazione tra le

30 Berliner C., Brimson J. A. (a cura di), 1991, Gestione dei costi per i nuovi sistemi industriali, ISEDI,

Torino.

31 Questo valore è riscontrabile in una produzione per lotti e a flusso continuo come ad esempio quella

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esigenze del mercato (il prezzo di mercato viene ottenuto dal contatto con l’esterno e dalle informazioni che si riescono ad avere dal reparto commerciale) e quelle della produzione. Secondo questa logica, infatti, il target cost, nella forma di costo accettabile, è individuato con una semplice equazione: PREZZO DEL MERCATO - PROFITTO DESIDERATO = TARGET COST

Volendo portare un esempio, nel settore auto si è assistito ad un progressivo utilizzo di questa o di altre tecniche con le stesse finalità: ridurre i tempi di progettazione di nuovi prodotti e, allo stesso tempo, ridurre i costi di produzione. In questo sono state maestre le aziende giapponesi come la Toyota e la Nissan, ma negli ultimi anni anche “a casa nostra” si sono fatti notevoli passi in avanti. In Fiat, infatti, è stato introdotto il concetto di Piattaforma, un team di lavoro composto da personale proveniente dalle diverse funzioni (R&S, commerciale, produzione, ecc.) e con competenze diverse (ingegneri accanto a disegnatori, pubblicitari, ecc.), che si occupa di sviluppare e seguire lungo il suo intero ciclo di vita un nuovo modello di auto. Sebbene questo formalmente non sia riconosciuto come Target Costing, riteniamo che vi si possa ritrovare come aspetto caratterizzante la prioritaria attenzione alla fase di pianificazione, progettazione ed engineering fin dai primi sviluppi della business idea. Inoltre, il particolare studio rivolto alle richieste del mercato permette, in Fiat, di indirizzare la Ricerca e lo Sviluppo e tutte le successive attività riguardanti il nuovo modello verso orizzonti che possano avere maggiori ritorni.

In aziende che da diverso tempo hanno implementato un sistema di Target Costing, è stato inoltre riscontrato un miglioramento nel clima aziendale, determinando un maggiore livello di partecipazione e una maggiore disponibilità dei dipendenti nei confronti dell’azienda: tutto questo comporta un crescente stimolo alla creazione di idee innovative in termini sia di nuovi prodotti/servizi, ma anche di ottimizzazioni dei processi produttivi.

In conclusione il Target Costing, applicato a partire dalle attività di Ricerca e Sviluppo, può portare ad anticipare le azioni correttive che si renderebbero necessarie in un secondo momento, ampliando notevolmente il ventaglio di possibilità di azione e riducendo drasticamente i vincoli

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tecnico-IL TARGET COST MANAGEMENT

produttivi nelle successive fasi di produzione. Questo strumento risulta, inoltre, in grado di indirizzare la ricerca verso orizzonti maggiormente remunerativi per l’azienda e, cosa non meno importante, riesce a donare maggiore motivazione e responsabilizzazione ai dipendenti.

(33)

2.4 Il punto di vista contabile: una panoramica degli approcci

alla gestione dei costi della Ricerca e Sviluppo

Il trattamento dei costi di Ricerca e Sviluppo incontra delle difficoltà, ancor prima che nella contabilità analitica, nella contabilità ordinaria.

A testimoniare tale difficoltà, vi sono le diverse interpretazioni e posizioni che hanno assunto, nel corso degli anni, chi si poneva come commentatore del Codice Civile e chi si è curato di redigere e diffondere i principi contabili nazionali e internazionali.

In particolare l’art. 2426 del Codice Civile dispone che i costi di Ricerca e Sviluppo, nel caso in cui si ritenga che abbiano un’importanza ed un rilievo di carattere pluriennale:

− possono essere iscritti nell’attivo, con il consenso del collegio sindacale (laddove esistente);

− devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni; − devono essere oggetto di descrizione e giustificazione nell’ambito della Nota

Integrativa.

Tuttavia, il problema che si pone agli amministratori ha un’origine diversa. Non si tratta, cioè, di decidere come trattare i costi in oggetto una volta definita la loro valenza pluriennale, ma di effettuare la scelta giusta riguardo alla possibilità di capitalizzare o spesare interamente nell’esercizio, i costi di Ricerca e Sviluppo32.

Fino a qualche anno fa, nel silenzio degli organi nazionali competenti, l’unico punto di riferimento è stato lo IAS n. 9, in cui attraverso la definizione dei concetti di Ricerca e di Sviluppo, si riuscivano a definire i confini entro cui gli amministratori potevano agire; in particolare si definiva ricerca “l’indagine

originaria e programmata intrapresa con l’obiettivo di acquisire nuove tecniche e nuove conoscenze scientifiche” e sviluppo “l’applicazione dei risultati della ricerca in un progetto o programma per la produzione […]”.

32 Lenoci F., 1997, Costi di Ricerca, Sviluppo e Pubblicità: spesarli o capitalizzarli?, Amministrazione e

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IL PUNTO DI VISTA CONTABILE: UNA PANORAMICA DEGLI APPROCCI ALLA GESTIONE DEI COSTI DI R&S

Pertanto, leggendo tra le righe, si può affermare che, affinché abbia una giustificazione la capitalizzazione dei costi di Ricerca e Sviluppo, è necessario dimostrare che vi sia una assoluta correlazione tra il sostenimento di tali costi e i benefici futuri che ne potranno derivare a favore dell’azienda. Tuttavia, in molti casi è praticamente impossibile accertare tale rapporto diretto: sui benefici futuri legati a questi costi, ricade una forte incertezza legata all’esistenza, all’entità, alle modalità e al periodo in cui si manifesteranno.

Per questo motivo, il comportamento più frequente è stato quello di imputare i costi di R&S a Conto Economico nell’esercizio in cui i costi sono stati sostenuti.

Probabilmente, una possibilità di capitalizzazione si apre, invece, per la cosiddetta Ricerca applicata, la cui definizione si discosta un po’ da quella della Ricerca definita di base.

In particolare la Ricerca applicata si caratterizza per il fatto che il progetto a cui si riferiscono i costi, è legato in maniera palese ad un prodotto o ad un processo; tali costi, poi, devono essere chiaramente identificabili e misurabili con un certo grado di ragionevolezza; devono, infine, esistere, all’interno dell’azienda le risorse (finanziarie, tecniche ma anche umane) che garantiscano la fattibilità o, quantomeno, la perseguibilità, del progetto.

Questa impostazione di carattere generale, è stata, poi, ripresa dal documento del Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti - Consiglio nazionale dei Ragionieri n. 24 che raccoglie la tradizionale distinzione tra:

− costi per la ricerca di base;

− costi per la ricerca applicata o finalizzata ad uno specifico prodotto o processo produttivo;

− costi per lo sviluppo.

Nel documento si specifica che i costi per la ricerca di base rappresentano costi di periodo, da addebitare per intero al conto economico dell’esercizio, dato che rientrano nell’ordinaria e ricorrente operatività dell’impresa e garantiscono parte fondamentale della complessiva attività aziendale. Al contrario le altre categorie di costi, qualora rispettino determinate caratteristiche (diretta correlazione con

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specifici prodotti o processi produttivi; verosimile identificazione e misurabilità; possibilità di un loro recupero con futuri ricavi derivanti dall’applicazione del progetto), possono essere capitalizzati.

Lo stesso documento contiene un elenco esemplificativo dei costi che possono essere capitalizzati. Si tratta, sempre qualora sussistano le menzionate condizioni, di:

− stipendi, salari e altri costi relativi al personale impegnato nelle attività di Ricerca e Sviluppo;

− i costi dei materiali e dei servizi impiegati nelle attività di Ricerca e Sviluppo; − l’ammortamento di immobili, impianti e macchinari, nella misura in cui tali

beni sono impiegati nelle attività di Ricerca e Sviluppo; − i vari costi che possono essere imputati indirettamente;

− gli interessi passivi sostenuti a seguito di finanziamenti specificamente ottenuti ed utilizzati per lo svolgimento delle attività di Ricerca e Sviluppo; − gli altri costi, quali ad esempio l’ammortamento di brevetti e licenze, nella

misura in cui tali beni immateriali siano utilizzati per la Ricerca e Sviluppo. Da notare, infine, che il documento contabile n. 24 prevede la possibilità di ammortizzare i costi di Ricerca e Sviluppo, oltre che per quote costanti, anche per quote decrescenti, quando questa soluzione permetta di realizzare una ottimale correlazione tra piano di ammortamento ed effettivo residuo valore che i costi sostenuti hanno generato per l’azienda.

Riguardo ai principi contabili internazionali, le informazioni che possono risultare utili nella trattazione dell’argomento si trovano nello IAS n. 38, nel quale si definiscono i cosiddetti intagible assets.

Lo IAS n. 38 definisce un “Attività immateriale”, quell’attività non monetaria che sia in possesso di determinati caratteri:

− identificabilità: deve essere distinta o distinguibile dall’avviamento;

− controllabilità: deve essere in grado di garantire all’impresa la possibilità di godere, in modo esclusivo, dei benefici economici connessi;

− profittabilità: deve potenzialmente garantire all’impresa l’aspettativa di benefici futuri.

(36)

IL PUNTO DI VISTA CONTABILE: UNA PANORAMICA DEGLI APPROCCI ALLA GESTIONE DEI COSTI DI R&S

Inizialmente, l’attività immateriale deve essere iscritta in bilancio al costo di acquisto, ma, in seguito, sono ammessi due trattamenti diversi: si può iscrivere l’attività immateriale secondo il criterio del costo, al netto degli ammortamenti e delle eventuali perdite di valore o, in alternativa, si può iscrivere l’attività immateriale, qualora esista un mercato di riferimento, sulla base del fair value. Ad ogni modo, perché un’attività immateriale possa essere iscritta come tale, lo IAS n. 38 impone l’esistenza di due caratteristiche fondamentali: l’aspettativa di benefici economici futuri e l’attendibilità nella misurabilità del costo connesso.

Se l’esistenza di tali requisiti è più semplice nel caso di acquisizione dall’esterno, alcuni problemi possono nascere nel caso in cui l’attività è generata internamente. In questo caso è necessario distinguere tra la fase di ricerca e la fase di sviluppo.

Secondo lo IAS n. 38 la fase di ricerca non è mai correlata ad un progetto specifico e, pertanto, non dà mai origine ad una attività immateriale da capitalizzare nell’Attivo dello Stato Patrimoniale33.

Al contrario, lo IAS n. 38 sostiene che i processi di sviluppo sono potenzialmente atti a generare attività immateriali, sempre che riguardo ai costi sussistano quei requisiti tipici che possano far ritenere l’attività di ricerca come ricerca applicata.

Esempi di attività di sviluppo sono:

− progettazione, costruzione e verifica di prototipi o modelli che precedono la produzione effettiva;

− progettazione di prove e stampi concernenti la nuova tecnologia; − progettazione, costruzione e attivazione di un impianto pilota;

− progettazione, costruzione e prova di alternative scelte per materiali, progetti o servizi nuovi o migliorati;

Per i motivi che lo IAS 38 enuncia in maniera chiara, risultano esclusi dalla possibilità di capitalizzazione costi quali quelli di start-up, spese di costituzione,

33 Tipiche attività di ricerca, sempre secondo lo IAS n. 38, sono:

− attività finalizzate all’acquisizione di nuove conoscenze;

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spese di pubblicità, di ristrutturazione aziendale oppure ancora i marchi o le testate giornalistiche che, se generati internamente, non sono legati a costi che possano essere distinti dagli oneri generali sostenuti dall’azienda.

Riguardo ai principi contabili statunitensi (gli amendments), pur introducendo nuovi criteri di distinzione e di caratterizzazione, lasciano praticamente invariata l’impostazione dello IAS n. 38.

In particolare per i principi contabili statunitensi, un’attività immateriale può essere definita tale e, quindi capitalizzata, quando soddisfi una doppia condizione: in primis, deve essere separabile dal complesso aziendale a cui appartiene e deve rappresentare un oggetto di vendita e, inoltre, si deve sostanziare in diritti aventi natura legale o contrattuale.

Il reale carattere di innovazione dei principi contabili statunitensi sta nel fatto che essi considerano teoricamente infinita l’utilità delle attività immateriali per la vita dell’impresa, superando così quella che, probabilmente, è stata una mancanza di coraggio dello IAS n. 38 che fissa un limite massimo di venti anni la vita utile di un’attività immateriale.

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