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Capitolo 5 DISCUSSIONE

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Capitolo 5

DISCUSSIONE

I dispositivi medici hanno risposto al bisogno dell’uomo di sostituire o di integrare tessuti ed organi non più attivi dal punto di vista funzionale o metabolico, oppure danneggiati da eventi patologici o traumatici, raggiungendo significativi risultati dopo una lunga serie di tentativi iniziati agli albori della medicina. Il numero e le tipologie delle loro applicazioni è cresciuto notevolmente in questi anni e la portata delle innovazioni terapeutiche ha consentito ad un numero elevatissimo di pazienti la sopravvivenza o la restituzione delle funzionalità di parti compromesse dell’organismo. Alcuni dispositivi medici possono essere utilizzati per qualsiasi paziente ne abbia la necessità, altri invece devono essere realizzati per il singolo caso clinico, con forma, dimensioni e caratteristiche individuali; questo aumenta la difficoltà nella progettazione e nella scelta dei materiali. In questo senso i biomateriali polimerici, poiché disponibili in un vasto range di composizioni con adeguate proprietà fisico-chimiche e meccaniche, processabili mediante diverse tecnologie (casting, estrusione e spray) e lavorabili per ottenere prodotti con le forme desiderate, consentono la realizzazione di diversi dispositivi biomedici finalizzati a diverse applicazioni cliniche.

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Le prestazioni dei materiali impiegati in campo medico, in particolar modo quelli che vengono a contatto con il sangue, sono valutate in base alla loro biocompatibilità. La biocompatibilità si riferisce alla capacità del dispositivo di continuare a svolgere la propria funzione durante tutta la vita utile dell’impianto ed è strettamente connessa, quindi, alle interazioni tra i biomateriali ed i tessuti con cui essi vengono in contatto. Più specificamente, si parla di biocompatibilità per indicare la capacità di un materiale di indurre da parte dell’organismo ospite una risposta circoscritta, sia per durata che per entità, in relazione ad una specifica applicazione (Remes A. et al. 1991). La risposta dell’organismo ospite è il problema principale nella complessa serie di fenomeni che compromettono l’applicabilità dei materiali ed in questa risposta un ruolo di fondamentale importanza viene assunto dal sistema immunitario. I biomateriali, infatti, essendo riconosciuti dall’organismo come sostanze estranee si comportano come antigeni e la loro immunocompatibilità, ossia la capacità di provocare una risposta immunitaria, si rivela un fattore cruciale nella valutazione della biocompatibilità. Numerose ricerche nell’ambito della compatibilità tissutale ed ematica hanno suggerito che la biocompatibilità, ed in particolare l’immunocompatibilità, dipendono non solamente dalle caratteristiche dei materiali (proprietà chimiche, rugosità, energia e carica superficiale, stabilità chimica, proprietà dei prodotti di degradazione, etc...) e dei dispositivi impiantati (dimensioni, forma, rigidità, etc…), ma anche

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dalle condizioni dell’organismo ospite (tipo di tessuto, luogo di impianto, età, sesso, lo stato di salute generale) e dalla tecnica chirurgica.

Una classe di biomateriali polimerici, gli elastomeri, in particolare quelli a base di poliuretano, sono largamente utilizzati per la realizzazione di dispositivi medici in virtù delle loro buone proprietà meccaniche, generalmente associate ad una accettabile biocompatibilità (Szycher M. 1990). Tuttavia il loro utilizzo in diverse applicazioni cliniche risulta limitato a causa di processi degradativi innescati in vivo da una complessa serie di fattori che ne aumentano notevolmente la velocità; in particolare la reazione immunitaria scatenata dall’impianto di un polimero sintetico rimane una delle maggiori cause di degradazione accelerata, rivelandosi una delle problematiche di maggior interesse. Numerose cellule, infatti, incluse quelle coinvolte nei processi infiammatori, producono enzimi che catalizzano reazioni proteolitiche con conseguente alterazione della struttura molecolare dei materiali impiantati. Il fenomeno dell’adesione macrofagica, inoltre, in seguito all’adsorbimento proteico sulla superficie del materiale, determina un rapido aumento dell’attività metabolica di difesa dell’organismo responsabile dell’attivazione di processi di degradazione dei materiali polimerici. Dall’altra parte, il rilascio di prodotti come monomeri, catalizzatori o additivi è spesso accompagnato da elevati livelli di infiammazione.

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Molte strategie sono state utilizzate al fine di ottenere modificazioni all’interno della catena del polimero che ne aumentassero la biostabilità ma spesso non sono riuscite a limitare il processo infiammatorio con drammatiche conseguenze per l’esito dell’impianto (Anderson J.M. 1988, Hunt J.A. et al. 1996).

Tuttavia, diverse applicazioni nell’ambito dell’ingegneria dei biomateriali continuano a richiedere la realizzazione di un materiale con proprietà elastomeriche che mostri una degradazione controllata e che possa consentire l’integrazione nell’ospite (Rhodes N. et al. 2005).

Oltre ai poliuretani, i materiali elastomerici attualmente disponibili per impianto nell’organismo umano, comprendono i siliconi che possiedono caratteristiche di biostabilità, biocompatibilità ed emocompatibilità, ma presentano limiti di utilizzo dal punto di vista delle proprietà meccaniche.

Il PEtU si è dimostrato in grado di diminuire il danno ossidativo ed i fenomeni di rottura da stress in vivo (Hergenrother R. et al. 1994. Ward R.S. et al. 1996): diversi autori hanno sostenuto la scelta di questo silicone in virtù delle sua buona emocompatibilità, bassa tossicità, buona stabilità termica ed ossidativa e la sua natura fondamentalmente anti-adesiva (Ward R.S. 1995. Lim F. et al. 1994).

Il PEtU-PDMS, essendo un composto a base di poliuretano reticolato con silicone, riassume in sé le caratteristiche di queste due classi di elastomeri e possiede i requisiti ideali per la

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realizzazione di dispositivi medici impiantabili, in particolare nel settore cardiovascolare.

Per tali ragioni, lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di valutare diverse formulazioni di PEtU-PDMS per individuare la migliore combinazione tra poli(etere)uretano e PDMS in termini di immunocompatibilità.

5.1 VALUTAZIONE DELL’IMMUNOCOMPATIBILITA’ IN CONDIZIONI STATICHE

La valutazione della biocompatibilità di un materiale sintetico che è destinato ad entrare in contatto con il sangue include un primo e un secondo livello; il primo livello ha lo scopo di dimostrare l’assenza di un effetto tossico del biomateriale, se questo requisito è soddisfatto si passa ad una valutazione più approfondita, di secondo livello, che ha la finalità di verificare diversi aspetti della compatibilità del materiale, tra cui la compatibilità immunologica ed ematica, per poter essere utilizzato in applicazioni cliniche.

Sulla scia di risultati di studi precedentemente condotti in

vitro (Losi P. et al. 2004. Spiller D. et al. 2007) che hanno

dimostrato la non-tossicità e la limitata trombogenicità del materiale PEtU-PDMS, in questo lavoro di tesi si è scelto di valutarne la compatibilità immunologica. Le indicazioni per la valutazione dell’immunocompatibilità di materiali utilizzati per la realizzazione di dispositivi biomedici impiantabili sono riportate

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nella normativa ISO 10993-4 dal titolo “Biological evaluation of

medical device - Part 4. Selection of tests for interactions with blood”. Tale normativa fornisce indicazioni generali da seguire per

la scelta dei saggi di immunocompatibilità in vitro, lasciando ampia scelta riguardo ai metodi ed ai sistemi sperimentali da adottare.

Le prove di immunocompatibilità possono essere condotte

per contatto diretto delle cellule con il materiale da esaminare al fine di valutare l’effetto della superficie, o per contatto con l’estratto del materiale al fine di valutare l’eventuale rilascio di sostanze tossiche. Nell’ambito della valutazione della reattività immunologica del materiale PEtU-PDMS in condizioni statiche è stato utilizzato il metodo di incubazione diretta delle cellule con i materiali per valutare la produzione citochinica e con estratti dei materiali per valutare l’induzione di apoptosi.

Per la valutazione dell’immunocompatibilità la normativa ISO prevede l’utilizzo di linee cellulari continue e di colture primarie. Le linee cellulari presentano numerosi vantaggi: crescono facilmente e si adattano bene alle condizioni di coltura in vitro, danno una risposta funzionale stabile e possono essere espanse all’infinito senza andare incontro a senescenza. Quando è richiesta una specifica sensibilità è altresì importante utilizzare cellule umane isolate dai vari tessuti viventi, scegliendo tra i tipi cellulari che verranno a contatto in vivo con il materiale.

In questo studio è stata utilizzata la linea cellulare di monociti umani THP-1, il cui utilizzo negli studi di biocompatibilità è

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ampiamente documentato in letteratura corrente come possibile alternativa all’utilizzo di monociti isolati da sangue umano periferico (Heil T.L. et al. 2002. Rhodes N.P. et al. 1997)

. I saggi di immunocompatibilità sono stati eseguiti sul materiale reticolato con percentuali crescenti di PDMS (10, 30 e 50) utilizzato come agente cross-linkante, per valutare l’influenza della composizione chimica, e processato mediante due procedure di fabbricazione casting e spray, per valutare l’influenza della micro-geometria strutturale. La reattività immunologica del PEtU-PDMS è stata valutata mediante confronto con materiali di riferimento, attualmente utilizzati per la realizzazione di dispositivi cardio-vascolari, e riconosciuti dalle normative internazionali riguardanti i tests clinici sull’interazione dei dispositivi medici con il sangue.

5.1.1 Valutazione dell’induzione di apoptosi del materiale PEtU-PDMS

Lo studio del meccanismo di morte della popolazione cellulare aderente è di fondamentale importanza nella definizione della risposta infiammatoria innescata dall’impianto di un dispositivo biomedico; una marcata riduzione della vitalità è stata, infatti, osservata a livello della popolazione macrofagica aderente alla superficie di biomateriali impiantati come ad esempio il polietilene (Shanbhag A.S. et al. 1994. Gretzer C. et al. 2000).

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Il termine apoptosi è stato coniato da Kerr et al., nel 1972, per descrivere distinte caratteristiche morfologiche di morte cellulare programmata, in contrapposizione alla morte accidentale, necrosi, che è un fenomeno non fisiologico legato ad alterazioni patologiche dell’omeostasi cellulare, quali ipossia, ischemia, ipertermia, avvelenamento da tossine.

Il significato biologico dell’apoptosi è molto differente da quello di necrosi, infatti, le cellule apoptotiche vengono completamente eliminate dai fagociti per prevenire la risposta infiammatoria, mentre le necrosi è caratterizzata da eventi che inducono infiammazione. La morte apoptotica, inoltre, è limitata a poche cellule, mentre, la necrosi è accompagnata da una estesa lisi cellulare, con rilascio di enzimi proteolitici ed altri prodotti che causano infiammazione e danno nei tessuti adiacenti (Tomei L.D. et

al. 1991).

Fino ad oggi, il ruolo ed il meccanismo di induzione dell’apoptosi della popolazione leucocitaria aderente al materiale, causata dalla chimica di superficie dei biomateriali non sono ancora ben definiti. Secondo la maggior parte degli autori, tuttavia, tale fenomeno potrebbe limitare la durata della risposta infiammatoria locale in seguito all’impianto in vivo dei dispositivi biomedici e quindi influenzare positivamente l’esito dell’impianto stesso consentendo l’eliminazione di macrofagi aderenti e FBGCs che concentrano attività degradative e fagocitiche (Ciapetti G. et al. 2000; Brodbeck W.J. et al. 2002).

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Da questo lavoro di tesi è emerso che i campioni in PEtU-PDMS processati mediante casting, indipendentemente dalla percentuale di PDMS contenuta nella soluzione polimerica, ed il PDMS di riferimento inducono un livello di apoptosi statisticamente significativo rispetto al controllo negativo ed agli altri materiali di riferimento, mentre i campioni processati mediante procedura spray si sono rivelati pro-apoptotici solamente quelli con il più alto contenuto di PDMS. In questo caso, la capacità di induzione di apoptosi risulta quindi dipendente dalla presenza di PDMS confermando la dimostrata influenza della chimica di superficie dei biomateriali sull’apoptosi macrofagica; in particolare, uno studio in

vitro ha dimostrato che l’aumento di cellule monocitarie

apoptotiche è dovuto alla combinazione del poliuretano con silicone, o più precisamente alla presenza di gruppi funzionali del PDMS nel materiale (Jones J.A. et al. 2004. Brodbeck W.J. et al. 2001).

La presenza di un effetto pro-apoptotico in funzione della percentuale crescente di PDMS nel materiale processato mediante

spray, e non in quello processato mediante casting, potrebbe essere

spiegata dalla differente struttura chimica superficiale evidenziata da analisi allo spettro-infrarosso (FT/IR) eseguite in studi precedenti (Rhodes N. et al. 2005). Questi studi eseguiti sul materiale processato mediante spray, al contrario, hanno evidenziato una distribuzione omogenea delle componenti ed una diretta proporzionalità tra il contenuto di PDMS nella soluzione

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polimerica e l’esposizione dei suoi gruppi funzionali in superficie. Gli stessi studi in vitro avevano dimostrato una distribuzione non omogenea delle due componenti elastomeriche nel materiale processato per casting, in cui l’esposizione superficiale dei gruppi funzionali del PDMS non varia in maniera proporzionale alla percentuale di PDMS contenuto nella soluzione polimerica.

Infine, il legame tra il processo apoptotico ed il verificarsi di un effettivo esaurimento dell’infiammazione dovrà essere chiarito da studi pre-clinici mirati a verificare l’ipotesi più accreditata, in letteratura, secondo cui la fusione macrofagica in FBGCs della popolazione leucocitaria aderente al materiale, in risposta alla produzione di determinate citochine, rappresenta un processo per sfuggire all’apoptosi. Tali studi in vivo, infatti, consentiranno di ovviare al limite di questo studio in vitro che consiste nella carenza di attività fagocitica nota per detreminare l’eliminazione dei corpi apoptotici per prevenendo una risposta infiammatoria.

A tal fine, sarà interessante in futuro ripetere il suddetto studio sugli essudati ottenuti in seguito all’impianto in vivo del materiale.

5.1.2 Valutazione della produzione citochinica monocitaria

L’attivazione macrofagica che si verifica in vitro in seguito al contatto delle cellule con i biomateriali risulta di fondamentale

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importanza per poter ottenere una maggiore comprensione dei bio-effetti dell’impianto di dispositivi biomedici, in particolare in termini di capacità infiammatoria (Thomsen P. et al. 2001).

Per questa ragione, il processo di attivazione macrofagica, l’espressione citochinica e l’attività secretoria sono state studiate attraverso test in vitro, che hanno dimostrato, in seguito all’adesione monocitaria a superfici sintetiche, la produzione di citochine con attività pro-infiammatoria come IL-1β, TNF-α e IL-6 e di citochine con attività anti-infiammatoria come IL-10 (Haskill S. et al. 1988. Blaine T.A. et al. 1996). Le citochine da quantificare in questo lavoro di tesi sono stata scelte in funzione della loro attività biologica in base alle indicazioni della normativa ISO 10993-4 riguardanti i tests per la valutazione dell’immunocompatibiltà dei dispositivi impiantabili.

Al fine di determinare l’eventuale effetto pro-infiammatorio del PEtU-PDMS, è stato scelto un metodo quantitativo per valutare la produzione citochinica monocitaria delle cellule THP-1 dopo contatto con i campioni; tale metodo consente di ottenere risultati riproducibili ed attendibili.

La valutazione della produzione citochinica, tramite il saggio

Fluorescent bead immunoassay, ha dimostrato che sia la procedura

di fabbricazione, sia la percentuale di PDMS dei campioni, influenzano il rilascio citochinico. Il materiale processato per spray con il più alto contenuto in PDMS (30 e 50%) induce un rilascio di IL-1β ed IL-6 inferiore rispetto ai materiali di riferimento, al

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contrario il materiale processato mediante casting mostra un limitato effetto pro-infiammatorio, paragonabile al controllo negativo, indipendentemente dalla percentuale di PDMS. iInfine il rilascio di TNF-α ed IL-10 è risultato paragonabile ai materiali di riferimento. La capacità del materiale processato per spray di determinare un limitato rilascio di IL-1β ed un livello di TNF-α paragonabile al controllo negativo potrebbe consentire di circoscrivere la risposta infiammatoria anche in termini di produzione di tessuto fibroso intorno all’impianto. E’stato infatti dimostrato che queste due citochine hanno un importante ruolo regolatorio nella crescita, proliferazione e sintesi proteica dei fibroblasti, perciò, alti livelli di IL-1β e di TNF-α potrebbero provocare la formazione di una capsula di tessuto fibroso di entità tale da determinare il fallimento dell’impianto (Swartbol P. et al. 1996. Tavazzani F. et al. 2004).

In questo lavoro di tesi è stato confermato che la composizione chimica, intesa in termini di presenza/assenza di proporzionalità tra l’esposizione superficiale dei gruppi funzionali del PDMS e la percentuale di PDMS contenuta nel materiale, oltre che la procedura di processamento del materiale influenzano i tipi ed i livelli di citochine prodotte.

Uno studio interessante in futuro potrebbe essere quello di valutare, con l’aiuto della scienza della genomica e della proteomica, in quale modo il livello di proteine adsorbite sul materiale possa influenzare la produzione citochinica.

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Inoltre, nell’ambito del medesimo studio, è stata confermata la natura anti-infiammatoria del PDMS in accordo con studi in vitro e in vivo che condotti per valutare l’emocompatibilità e biocompatibilità di tale elastomero in vivo (Jenney C.R. et al. 1999, Tang L. et al. 1999).

5.1.3 Valutazione dell’adesione monocitaria

Il processo di adsorbimento proteico sulla superficie del materiale e la conseguente adesione cellulare rappresentano fenomeni capaci di influenzare sia la trombogenicità, sia la compatibilità immunologica dei dispositivi biomedici (Anderson J.M. et al. 1994).

Un’analisi quantitativa dei monociti aderenti alla superficie del materiale PEtU-PDMS è stata condotta in seguito ad incubazione delle cellule THP-1 con i campioni. Questa ha dimostrato che il processo di adesione macrofagica risulta influenzato dalla procedura di fabbricazione ma non dalla composizione chimica: i campioni processati mediante casting hanno fortemente scoraggiato il fenomeno di adesione cellulare, in maniera paragonabile ai materiali di riferimento, mentre, quelli processati mediante spray, hanno favorito l’adesione indipendentemente dalla percentuale di PDMS. Recentemente è stato documentato un ruolo cruciale della micro-topografia di superficie di vari materiali quali ad esempio il PDMS, l’LDPE ed

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l’ePTFE, utilizzati i questo studio come riferimento, sull’adesione macrofagica (Rich A. et al. 1981. Murray D.W. et al. 1989, Belanger MC. et al. 2001. Ainslie K.M. et al. 2006). Infatti, materiali polimerici con superficie liscia ed omogenea hanno dimostrato di scoraggiare in vitro l’accumulo macrofagico, rispetto a quelli con superficie rugosa ed irregolare.

Diversi autori hanno dimostrato che la chimica di superficie ha un effetto limitato sull’adesione macrofagica ma non sull’adesione di altri tipi cellulari come le cellule endoteliali o i fibroblasti con funzioni biologiche estremamente diverse da quelle dei monociti (Healy K.E. et al. 1994. Jenney C.R. et al. 1998). Uno studio in vitro, effettuato incubando monociti umani con una serie di poliuretani commerciali, tra cui etere-uretani e poli-carbonato-uretani, chimicamente combinati con PDMS ha dimostrato che l’adesione macrofagica non risulta influenzata dalla loro composizione chimica (Jones J.A. et al. 2004).

5.2 VALUTAZIONE DELL’IMMUNOCOMPATIBILITA’ IN CONDIZIONI DINAMICHE

Visti gli ottimi risultati conseguiti nelle valutazioni statiche, è stato deciso di studiare l’emocompatibilità e la reattività immunologica del materiale PEtU-PDMS a contatto con il sangue intero in condizioni di flusso dinamico per meglio simulare le condizioni in vivo. Questo studio, che costituisce un

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approfondimento dell’argomento principale della tesi, prende in esame il polimero PEtU-PDMS come soluzione potenziale per la realizzazione di protesi vascolari, ed in particolare di grafts vascolari di piccolo diametro che potrebbero trovare un utilizzo nella procedura clinica del by-pass aortocoronarico. Dall’analisi della letteratura è evidente che la scelta del materiale per la realizzazione di protesi vascolari sintetiche di piccolo diametro è critica in quanto il materiale, oltre ad essere bicompatibile, deve esser in grado di riprodurre le caratteristiche del vaso naturale ripristinando la funzionalità el condotto vascolare danneggiato.

La maggior parte dei metodi per valutare in vitro l’emocompatibilità delle protesi vascolari, sono focalizzati sullo studio dell’attivazione piastrinica come misura della potenziale trombogenicità del materiale (Basmadjian D. et al. 1997).

Inoltre, è stato dimostrato recentemente che i leucociti, in particolare i monociti e i neutrofili, oltre ad avere un ruolo fondamentale nella risposta infiammatoria all’impianto di un dispositivo sintetico, possono avere un loro ruolo anche nella modulazione locale del processo trombotico, come confermato da evidenze cliniche derivate da fenomeni di rigetto di grafts vascolari (Park J.H. et al. 2001). I monociti ed i polimorfonucleati, infatti, si accumulano nel trombo nel corso della sua formazione e sul monostrato piastrinico aderente al lume del vaso (Kirkhhofer et al. 1997). Gli stimoli infiammatori associati con l’impianto di biomateriali, e la possibile interazione con le piastrine attivate,

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possono determinare un’intensa attività leucocitaria pro-coagulante ed una conseguente intensificazione della trombogenesi. Per tale ragione, nonostante le piastrine e le proteine implicate nel processo coagulativo restino le principali responsabili nella formazione del trombo, è possibile che l’adesione e l’attivazione leucocitaria scatenata dalla presenza di un biomateriale contribuiscano al fallimento dell’impianto. Il meccanismo alla base dell’adesione e dell’attivazione leucocitaria può essere diretto, attraverso la stimolazione della produzione locale di trombina, mediante una sovra-espressione di recettori di membrana come CD11b capace di legare il fattore X e il fibrinogeno, o indiretto, attraverso il rilascio di mediatori capaci di attivare il processo coagulativo, come il fattore tissutale (Gorbet et al., 2001. Gorbet et al., 2004).

In questo studio, per valutare la trombogenicità e la immunocompatibilità di protesi vascolari in PEtU-PDMS in relazione alla percentuale di PDMS in esse contenuto è stato utilizzato un circuito simile al Modified Chandler Loop System progettato da Haycox et al. nel 1993, nel quale il flusso di sangue umano anticoagulato è garantito dall’azione meccanica di un pompa peristaltica.

La validità di tale circuito per poter valutare gli effetti della superficie delle protesi in PEtU-PDMS sull’attivazione piastrinica e leucocitaria è stata dimostrata in studi precedenti (Losi P. et al. 2004). Con questo tipo di circuito sono stati valutati tre tipi di protesi realizzate in PEtU-PDMS che differivano per la percentuale

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di PDMS (10, 30 e 50) presente nel loro strato interno; come riferimento sono state realizzate protesi con il solo PEtU commerciale presente nel materiale PEtU-PDMS. Le protesi in PEtU-PDMS ed in PEtU sono state realizzate in modo da avere due strati nello spessore della parete. Lo strato esterno è stato fatto denso e compatto per conferire elasticità e resistenza alle protesi, caratteristiche meccaniche che consentono loro di mimare il comportamento di un vaso naturale. Lo strato interno, al contrario, è stato realizzato con una struttura altamente microporosa in quanto studi precedenti hanno dimostrato che questo tipo di superficie è più emocompatibile rispetto a quella a bassa porosità (Okoshi T. et al. 1991).

Prima ed al termine della circolazione in vitro sono stati prelevati campioni di sangue su cui sono state eseguite indagini per stabilire il grado di emocompatibilità, valutata in termini di attivazione piastrinica, e di immunocompatibilità, valutata in termini di produzione citochimica, delle diverse protesi. Il test è stato svolto in accordo con quanto stabilito dalle norme ISO 10993-4 riguardanti la valutazione in vitro dei dispositivi impiantabili che sono destinati ad entrare in contatto con il sangue.

Questo studio è stato condotto utilizzando il sangue di donatori sani di età compresa tra i 20 e i 35 anni; si è quindi ipotizzato che la variabilità inter ed intra-individuale, legata ai valori dell’emocromo, della glicemia, del colesterolo etc. fosse

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limitata e per questa ragione i dati sono stati analizzati statisticamente con i test di Student.

5.2.1 Valutazione dell’attivazione piastrinica

Il parametro monitorato per valutare l’attivazione piastrinica, che consente di stabilire la trombogenicità di una protesi vascolare artificiale, è stato il rilascio di β-tromboglobulina in seguito alla reazione di degranulazione.

I risultati ottenuti per quanto riguarda il rilascio di β-TG indicano un effetto anti-trombotico del materiale dipendente dalla percentuale di PDMS: protesi in PEtU-PDMS a più alto contenuto in PDMS (30 e 50 %) inducono un rilascio di β-TG minore rispetto a quelle al 10%; inoltre, il fatto che queste inducano un rilascio di β-TG significativamente inferiore rispetto al PEtU di riferimento indica che il PDMS favorisce l’emocompatibilità delle protesi, riducendo l’attivazione piastrinica. Gli studi condotti, pertanto, consentono di affermare che protesi fatte con lo stesso materiale, il PEtU-PDMS, interagiscono con il sangue in maniera diversa a seconda del contenuto di PDMS; per cui questo tipo di silicone reattivo influisce in maniera evidente sulla capacità delle protesi di simulare il comportamento del vaso naturale in condizioni dei circolazione fisiologica in cui le piastrine non si attivano scorrendo nel lume del vaso.

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Studi recenti effettuati su diversi poliuretani commerciali modificati chimicamente mediante combinazione con PDMS hanno ampiamente dimostrato un’adesione piastrinica nettamente inferiore ed un minor adsorbimento di fibrinogeno rispetto agli stessi poliuretani commerciali di riferimento (Park J.H. et al. 1999, Lim et al. 1994; Hergenrother et al. 1994). Gli autori spiegano come questo fenomeno sia dovuto all’elevata emocompatibilità del PDMS, suggerendo che domini sufficientemente grandi di PDMS possano scoraggiare l’adesione piastrinica e che l’assenza di tale fenomeno sia strettamente connessa con la mancanza di attivazione piastrinica in accordo con sperimentazioni precedenti eseguite utilizzando protesi in PEtU-PDMS (Spiller D. et al., 2007).

5.2.2 Valutazione della produzione citochinica monocitaria

Nella letteratura corrente, gli studi in vitro per valutare l’effetto sulla produzione citochinica della superficie di materiali sintetici destinati ad entrare in contatto con il sangue, sono stati condotti, quasi esclusivamente, mediante procedura di incubazione statica con sangue intero o privato in maniera selettiva di una popolazione leucocitaria, o plasma.

Questo tipo di approccio in vitro, oltre a non considerare fattori che in vivo contribuiscono a indurre una considerevole produzione citochinica, come i fenomeni legati al trauma chirurgico a livello tissutale o di ischemia/riperfusione, non tengono conto

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dell’influenza dello shear stress locale che condiziona la biocompatibilità dei materiali nel corso delle loro applicazioni cliniche.

Lo studio dell’effetto pro-infiammatorio di protesi vascolari in PEtU-PDMS, eseguito in questo lavoro di tesi, fornisce un approccio innovativo rispetto al passato essendo stato condotto con sangue intero in condizioni di flusso dinamico. Ad oggi, infatti, solamente Menegatti et al, nel 2005, hanno utilizzato un sistema di circolazione ematica in vitro per testare la reattività immunologica di un materiale a base di polistirene e ne hanno dimostrato un effetto pro-infiammatorio estremamente limitato in termini di produzione di IL-1β e TNF-α.

I risultati ottenuti in questo lavoro di tesi per quanto riguarda la produzione citochinica, in condizione di circolazione dinamica, hanno dimostrato che protesi in PEtU-PDMS con il più alto contenuto di PDMS (30 e 50 %) inducono una produzione delle sole citochina pro-infiammatorie IL-1β ed IL-6 significativamente inferiore rispetto a protesi di riferimento. La limitata capacità pro-infiammatoria del PEtU-PDMS ad alte concentrazioni di silicone, dimostrata nello studio condotto in condizioni statiche, è stata quindi confermata. Alla luce dei risultati ottenuti si può ipotizzare una correlazione tra una limitata azione pro-trombotica del PEtU-PDMS, valutata in termini di attivazione piastrinica, ed una ridotta attivazione leucocitaria. Studi più approfonditi, mediante valutazione dell’espressione di antigeni leucocitari ad azione

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pro-coagulante, come ad esempio l’espressione del Fattore Tissutale e di Mac-1, saranno necessari per verificare l’effettiva correlazione tra produzione citochinica ed azione pro-trombotica indotte dalle protesi vascolari in PEtU-PDMS.

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