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Introduzione Generalità sui rivelatori

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Academic year: 2021

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(1)

Introduzione

Lo sviluppo della ricerca nel campo della fisica nucleare e subnucleare è connesso al progresso tecnologico degli acceleratori e dei rivelatori di particelle.

Tre i livelli di sviluppo che hanno interessato i rivelatori negli ultimi anni:

(a) aumento delle dimensioni degli apparati sperimentali (misura dell'impulso delle particelle più grande e rivelazione delle reazioni dei processi rari con sezioni d'urto piccole);

(b) incremento della velocità di acquisizione dei dati;

(c) notevole aumento della complessità degli apparati sperimentali.

(2)

“Fisica dei rivelatori”

In contrapposizione alla complessità dei grandi esperimenti, il principio fondamentale sul quale tutti i rivelatori di particelle sono basati è lo stesso:

“il trasferimento di tutta o di parte dell'energia della particella alla massa sensibile del rivelatore nella quale essa è successivamente convertita in una forma diversa, rivelabile dagli strumenti a disposizione dello sperimentatore”.

Le particelle cariche cedono la loro energia al materiale mediante urti di natura elettromagnetica con gli elettroni del mezzo, provocando l'eccitazione o la ionizzazione degli atomi che lo compongono; quelle neutre, invece, devono prima subire un'interazione intermedia che produca nello stato finale almeno una particella carica, che a sua volta induca processi di eccitazione e ionizzazione atomica.

La forma in cui appare l'energia convertita dipende, in parte, dal tipo di rivelatore.

Generalità sui rivelatori

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I rivelatori possono essere classificati attraverso le grandezze fisiche misurabili, come posizione, tempo, massa, energia e impulso, che ne determinano, quindi, le caratteristiche prevalenti:

• misura dell'energia totale della particella (calorimetri);

necessaria una buona risoluzione energetica

•misura della posizione della particella (camere proporzionali, a deriva, a proiezione temporale, a bolle, emulsioni nucleari, rivelatori a semiconduttori);

si richiede una buona risoluzione spaziale

•misura di tempi relativi (rivelatori a scintillazione, contatori a elettrodi piani resistivi);

devono esibire adeguate doti di risoluzione temporale

•identificazione della particella (contatori Čerenkov, rivelatori a radiazione di

transizione, sistemi per la misurazione del tempo di volo)

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“Fisica dei rivelatori”

Caratteristiche generali di un rivelatore:

• Sensibilità

• Risoluzione energetica

• Funzione risposta

• Efficienza

• Tempo di risposta, tempo morto, risoluzione temporale

• Risoluzione spaziale

Generalità sui rivelatori

(5)

a,b probabilità che la particella incidente converta tutta o parte della sua energia sotto forma di ionizzazione.

Sensibilità

E’ la capacità di produrre un segnale utilizzabile per una data radiazione e per un dato intervallo di energia.

Non esistono rivelatori sensibili a tutte le radiazioni e a tutte le energie.

La sensibilità, per una particolare radiazione e in un determinato intervallo di energia, dipende:

a) dalla sezione d'urto di ionizzazione per quella radiazione nella massa sensibile del rivelatore;

b) dalla massa totale attiva;

c) dal materiale di protezione che circonda il volume attivo.

(6)

“Fisica dei rivelatori”

Il rumore intrinseco e lo spessore del materiale del contenitore del volume attivo costituiscono un limite inferiore all'energia che può essere rivelata.

rumore intrinseco il segnale della ionizzazione superiore al livello di rumore del rivelatore;

spessore la radiazione incidente deve penetrare all'interno della massa sensibile.

Particelle cariche sufficienti anche materiali con bassa densità e volumi relativamente modesti, come nei rivelatori a gas.

Particelle neutre necessari grande densità oppure grandi volumi.

neutrini rivelatori con masse dell'ordine delle tonnellate.

neutroni veloci materiali a basso numero atomico per il massimo trasferimento di energia nella collisione.

Grandi volumi di sostanze idrogenate.

c

Generalità sui rivelatori

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Rivelatore ideale

Rivelatore reale

R = ∆ E/E

∆E misurata a metà altezza FWHM (Full Width Half Maximum)

w = energia media di ionizzazione (dipende dal materiale) E = energia rilasciata dalla particella incidente

fluttuazioni del numero medio di eventi di ionizzazione ed eccitazione

la risposta ha una larghezza finita

Risposta = δ di Dirac qualsiasi differenza di energia sarebbe rivelabile

numero medio di ionizzazioni N = E/w

E’ la capacità di distinguere tra due valori di energia molto prossimi fra loro.

Risoluzione energetica

(8)

“Fisica dei rivelatori”

la varianza σ

N 2

della distribuzione è allora: σ

N 2

= N Poiché σ

N

= σ

E

/w la risoluzione R risulta

R = ∆E/E = 2.35 σ

E

/E = 2.35 σ

N

w/E = 2.35 N

1/2

w/E = 2.35 (w/E)

1/2

• La particella si ferma nel rivelatore (range) che assorbe tutta l'energia della

radiazione l’energia depositata è fissa e non fluttua le ionizzazioni non sono indipendenti e non si può più considerare applicabile la statistica di Poisson

la varianza sarà minore σ

N 2

=F N

con F < 1, in cui F è una funzione complicata di tutti i processi fondamentali che avvengono nel materiale e che non producono ionizzazione, detta fattore di Fano

R = 2.35 (wF/E)

1/2

Generalità sui rivelatori

• rivelatore sottile la particella attraversa il rivelatore e l’energia

depositata è una piccola frazione dell'energia totale le fluttuazioni

seguono la statistica di Poisson

(9)

La risoluzione totale dipende anche da altri fattori:

rumore dei circuiti elettronici esterni, effetti associati all'intercalibrazione nei calorimetri settorizzati,

Se tali effetti sono indipendenti e distribuiti in modo normale il ∆E della risoluzione totale è:

(∆ E )

2

= (∆ E)

2riv

+ (∆ E)

2el

+ (∆ E)

2int

+...

(10)

“Fisica dei rivelatori”

Funzione risposta

Conoscere la funzione risposta di un rivelatore

Determinare lo spettro delle ampiezze dei segnali di uscita quando sul rivelatore incide una

radiazione monocromatica

Risposta ideale δ Di Dirac (ampiezza legata all’energia incidente da fattori di conversione)

Caso reale Risposta complicata dipende da più fattori

•Tipo di radiazione

•Modo di realizzare il rivelatore

•Geometria del rivelatore

•….

La funzione di risposta osservata sarà allora, in generale, espressa dall'integrale di convoluzione:

!

PH(E) = " S(E')R(E, E')dE'

in cui R (E, E') rappresenta la risposta all'energia E' e S(E’) lo spettro della radiazione incidente.

Da ciò risulta evidente l'importanza che sia R (E, E' ) =δ(E, E').

Generalità sui rivelatori

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Efficienza

L'efficienza totale, o assoluta, εtot di un rivelatore è il rapporto

ε

tot

= N

riv

/N

s

tra il numero di eventi rivelati e il numero di particelle emesse dalla sorgente.

E’ funzione della geometria sorgente‑rivelatore e della probabilità d'interazione della radiazione incidente.

Caso semplice sorgente puntiforme che emetta una radiazione con una distribuzione angolare P(θ)

!

"

tot

= I(# ,µ)P($)d%

&

V

in cui I(ϑ,µ) è la probabilità che una particella che entra nel volume V sensibile del rivelatore abbia in esso un'interazione con coefficiente di assorbimento µ.

In generale

I(θ,µ) = 1 – e

-µx

in cui x è il percorso della particella entro il rivelatore

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“Fisica dei rivelatori”

in cui εi è definita dal rapporto

ε

i

= N

riv

/N

i

tra il numero di eventi rivelati Nriv e il numero degli eventi Ni che colpiscono il rivelatore.

Nei casi più complicati, cioè quando non si può assumere come puntiforme la sorgente, quando più rivelatori sono posti in coincidenza tra loro, quando la geometria non è semplificabile, per il calcolo dell'efficienza totale si ricorre all'uso di metodi di simulazione come, per es., il metodo Montecarlo.

εtot può essere fattorizzata come prodotto dell'efficienza intrinseca εi e dell'efficienza geometricaεg detta anche accettanza, del rivelatore.

ε

tot

= ε

i

ε

g

ε

i funzione di:

ε

g dipende da:

tipo di radiazione;

energia;

materiale con cui è costruito il rivelatore.

accettanza del rivelatore, cioè dalla

geometria del sistema rivelatore‑sorgente;

distribuzione angolare con cui quest'ultima emette la radiazione.

Generalità sui rivelatori

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Tempo di riposta e tempo morto

Il tempo di risposta è il tempo che il rivelatore impiega a formare un segnale dopo il passaggio di una particella.

Con i nuovi acceleratori come LHC (Large Hadron Collider) al CERN di Ginevra, per l’elevata luminosità (1034 cm-2s-1) e per la frequenza delle collisioni (ogni 25 ns) si richiede è un tempo di risposta breve e una velocità di formazione del segnale maggiore possibile, in modo da fornire un segnale ripido e di breve durata.

Un nuovo evento non potrà essere accettato fintanto che il r. non finisce di elaborare il precedente ovvero accadrà che l'evento successivo si sovrapporrà al precedente (effetto pile‑up), causando distorsione nel segnale d'uscita e quindi fluttuazioni nel tempo di risposta.

Il tempo che impiega il r. a elaborare il segnale corrispondente a un evento (processing) è detto tempo morto ed è naturalmente correlato con quello di risposta.

Il tempo morto può essere fisso, o non estensibile, oppure variabile, o

estensibile.

(14)

“Fisica dei rivelatori”

Dal punto di vista teorico si tratta di due diversi modelli che permettono di stabilire la

frequenza media vera ν delle particelle che colpiscono il r. noti il tempo morto τ e il numero k di eventi rivelati nel tempo T.

Caso non estendibile:

Supponiamo sia ν la frequenza vera di una sorgente (rate) e che il rivelatore conti k eventi in T secondi rimanendo insensibile, ogni volta, per un tempo τ.

Nel tempo T il tempo morto totale sarà allora kτ durante il quale si perderanno νkτ eventi.

Il numero vero di conteggi sarà allora

νT=k+νkτ

e quindi:

ν = (k/T)/[1 (k/T) τ ]

dove ν è la rate vera e k/T quella osservata

Generalità sui rivelatori

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Consideriamo una sorgente con rate di decadimento ν. La distribuzione di probabilità degli intervalli temporali tra un decadimento e il successivo è dato da:

P(t)= νe-νt La probabilità che t > τ è

!

P(t > " ) = #e

$#t

"

&

%

dt = e

$#"

Il numero di eventi osservati nel tempo T sarà la frazione del numero totale νT i cui tempi di arrivo soddisfano l’equazione:

!

k = " Te

#"$

Che, per trovare ν, deve essere risolta numericamente.

Il rapporto k/T vs ν è mostrato in fig. dalla quale si Vede anche che per ogni valore di k/T sono possibili due valori di ν.

In questo caso il rivelatore accetta eventi anche durante il tempo morto, che perciò continua a estendersi portando alla paralisi momentanea del rivelatore.

Solo gli eventi che arrivano dopo un tempo τ sono memorizzati.

Caso estendibile:

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“Fisica dei rivelatori”

Il problema è stabilire se al rivelatore debba essere applicato un modello oppure l'altro. Tale questione non è sempre risolvibile, specie se il sistema stesso è composto da r. diversi tra loro e con un tempo morto variabile in funzione della frequenza media di conteggio. La soluzione spesso adottata, ma non sempre perseguibile, è quella di forzare un tempo morto fisso maggiore di quello di ciascun elemento in modo da poter applicare con sicurezza uno dei modelli, anche se in questo modo si utilizza il sistema in un modo non ottimale.

Risoluzione temporale

E’ la precisione con cui un rivelatore determina l’istante di tempo in cui si è verificato il passaggio della particella ed è il criterio con cui si definisce la qualità di una misura temporale.

Dipende dal tipo di rivelatore, dalla sua forma, dal materiale, dall’elettronica di lettura ed altri parametri ed è definita, in generale, dalla radice quadrata della varianza.

Essa gioca un ruolo importante nella realizzazione di trigger veloci e nelle misure di tempi di volo.

Ottima risoluzione temporale hanno i rivelatori a scintillazione e quelli a elettrodi piani resistivi (RPC)

Generalità sui rivelatori

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Rivelatori a scintillazione

Si basano sulla proprietà di alcuni materiali di emettere impulsi di luce dopo essere stati eccitati dal passaggio di una particella carica o da un fotone.

Il tempo di risposta è rapidissimo e le fluttuazioni molto piccole: si può arrivare a risoluzioni di 0.1 ÷ 1 ns

La risoluzione è influenzata dalla superficie dello scintillatore, dalle proprietà della guida di luce, dalle fluttuazioni nel guadagno e del tempo di transito del fotomoltiplicatore, dalla soglia del discriminatore e, soprattutto, dalle dimensioni del rivelatore.

Δt

Δt1 Δt2

Nel caso di contatori a scintillazione di grandi dimensioni, un circuito ``meantimer'' fa la media del tempo di arrivo dei segnali ad entrambi gli estremi dello scintillatore. In questo modo è possibile correggere le fluttuazioni dovute alla distanza che la luce deve percorrere nello scintillatore, variabili a secondo del punto di impatto della particella.

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“Fisica dei rivelatori”

RPC

Anche gli RPC, che sono rivelatori a gas, hanno una grande rapidità di generazione del segnale e un’ottima risoluzione temporale intrinseca come gli scintillatori.

Per esempio in un RPC con gap fra gli elettrodi di 2 mm gli elettroni di ionizzazione primaria che producono la valanga ‘visibile’ sono quelli prodotti entro 200 ÷ 300 µm dal catodo. Essendo la velocità di deriva degli elettroni approssimativamente costante, le fluttuazioni sul tempo di generazione del segnale sono molto piccole (~ 1 ns).

Anche in questo caso a peggiorare la risoluzione temporale può essere la lunghezza (può raggiungere anche alcuni m) degli elettrodi (strip) di pick up del segnale. Questo sarà, infatti, raccolto con un ritardo che dipende dalla posizione del punto di impatto della particella lungo la strip.

La tecnica del mean-timer migliora anche in questo caso la prestazione temporale del rivelatore.

Generalità sui rivelatori

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Risoluzione temporale di rivelatore a filo

Consideriamo, come esempio, il caso di un tubo a streamer di sezione 1 cm2.

Il tubo streamer è un rivelatore a gas. Al passaggio di una particella carica il gas viene ionizzato e gli elettroni derivano verso l’anodo (con velocità approssimativamente costante ~ 50 µm/ns).

Nei pressi di questo, per via del campo elettrico elevatissimo (∝ 1/r), gli elettroni primari avranno energia cinetica sufficiente per produrre coppie elettrone-ione secondarie, gli elettroni secondari coppie terziarie e così via. Avviene quindi la moltiplicazione (streamer) e un segnale elettrico viene indotto sull’anodo.

filo anodico Particelle

-

!

v r

1 cm

catodo

Ci sarà quindi un ritardo tra il passaggio della particella, praticamente istantaneo (~30 ps), e la generazione del segnale che dipende dal punto di partenza dell’elettrone primario che darà origine allo streamer.

Il ritardo varierà tra ~ 0 ns, quando la particella passa vicino al filo anodico, e ~ 100 ns, quando passa vicino la parete catodica.

Il tempo fluttuerà allora tra 0 e 100 ns.

Supponendo che le particelle incidenti siano distribuite uniformemente tra il filo anodico e le pareti catodiche l’errore quadratico medio sarà:

!

"

t

= 100 #10

$9

s

12 = 28ns

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“Fisica dei rivelatori”

In generale, quasi tutti i rivelatori hanno necessità di amplificare fortemente il debole segnale.

Fanno eccezione i fotomoltiplicatori (questi provvedono sia alla conversione otticoelettronica che all'amplificazione del segnale).

La preamplificazione è operata secondo tre metodi fondamentali, sensibili, rispettivamente, alla tensione, all'intensità di corrente, alla carica, ciascuno dei quali è più adatto a un certo tipo di rivelatore.

In seguito alla preamplificazione e, soprattutto, a causa dell'inevitabile successiva amplificazione, uno dei problemi maggiori che s'incontrano nel trattamento del segnale è quello del rumore elettrico, che è introdotto nella catena di elaborazione a partire dal r. stesso e successivamente da tutti gli altri dispositivi che seguono.

Si può dimostrare che il miglior rapporto segnale‑rumore si ottiene quando la forma del segnale da manipolare è gaussiana.

Purtroppo è impossibile realizzare elettronicamente un impulso rigorosamente gaussiano.

E’ però possibile ottenere una formazione semigaussiana usando, in cascata, uno stadio derivatore RC seguito da molti (cinque sono sufficienti) stadi integratori CR.

Tale segnale presenta però, per sua natura, una coda temporale molto lunga, che limita la frequenza massima di accettazione degli eventi se non si vuol incorrere nella probabile sovrapposizione di un impulso sulla coda del precedente, con conseguente distorsione del segnale e perdita di proporzionalità con la grandezza fisica rivelata (effetto pile‑up).

Elaborazione dei segnali

Generalità sui rivelatori

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Abbiamo visto che un'altra informazione importante relativa a un evento è il tempo di occorrenza dello stesso. Per rendere minime le sue fluttuazioni è necessario che la formazione dell'impulso sia tale da consentire un tempo di salita il più rapido possibile.

Infatti, se σn, è la deviazione standard nell'ampiezza V del segnale dovuta al rumore, allora la deviazione standard σt, sul tempo è:

σ

t

= σ

n

/(dV/dt).

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“Fisica dei rivelatori”

Tale esigenza implica che la catena di amplificazione abbia la più ampia banda passante possibile, il che contrasta fortemente con la detta necessità di introdurre filtri RC e CR per ottimizzare il rapporto segnale‑rumore; esiste cioè un conflitto tra la formazione del segnale necessaria per una buona analisi di ampiezza (forma gaussiana) e quella imposta da una corretta analisi temporale (rapido tempo di salita).

E’ comunque possibile risolvere questa apparente incompatibilità costruendo due canali indipendenti di elaborazione.

Si può, partendo dallo stesso segnale, formare altri due segnali, uno ottimizzato per la temporizzazione e l'altro per l'analisi di ampiezza.

Questo è il metodo attuato dalla catena elettronica detta fast‑slow. Tale differenziazione del segnale può avvenire sia a livello dello stesso rivelatore, come avviene, per es., nelle camere proporzionali o in quelle a deriva nelle quali l'informazione temporale e quella in ampiezza vengono prelevate in punti diversi, sia duplicando l'unico segnale disponibile, come avviene nei r. a scintillazione.

In questi ultimi, a volte, si preferisce, se si ha a disposizione un fotomoltiplicatore come dispositivo di conversione ottico‑elettronica, prelevare il segnale per l'analisi di ampiezza dall'ultimo dinodo e l'altro dall'anodo.

Da quanto detto risulta evidente che il segnale di riferimento temporale deve avere caratteristiche di rapidità e non di proporzionalità; esso viene successivamente elaborato da circuiti chiamati discriminatori di ampiezza che lo trasformano in segnale logico. Il segnale analogico, invece, viene inviato a dispositivi capaci di analizzare l'ampiezza come, per es., lo MCA (Multi Channels Analyzer) o gli ADC (Analog to Digital Converter).

Generalità sui rivelatori

(23)

Camera a bolle

E’stato uno tra i principali rivelatori utilizzati nella fisica delle particelle elementari. La prima camera fu costruita nel 1952 da D.A. Glaser, che, per questa invenzione, ottenne nel 1960 il premio Nobel per la fisica.

Nel momento di massima utilizzazione, a metà degli anni '60, oltre il 60 % dei fisici sperimentali delle alte energie si servivano quasi esclusivamente di camere a bolle per i loro esperimenti.

•studio delle risonanze delle interazioni forti, oggi interpretate come stati legati di quark e misura dei numeri quantici

•Calcolo di sezioni d’urto

•Scoperta di particelle strane e con flavour pesanti e misura delle vite medie

•scoperta della corrente debole neutra

•Funzioni di struttura del nucleone

•Verifica del Modello Standard

Prima camera a bolle di Glaser Risultati

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“Fisica dei rivelatori”

Principio di funzionamento

Un liquido può essere portato oltre il punto di ebollizione e restare per breve tempo in questo stato instabile.

Nella camera a bolle, una certa quantità di liquido è mantenuta in prossimità del punto di ebollizione

•L'energia che queste depositano, favorisce la formazione delle bolle, che sono pertanto localizzate lungo il cammino delle particelle.

•Le bolle, dopo un opportuno periodo di crescita, sono fotografate, in modo da fornire una registrazione permanente della traiettoria delle particelle.

•La camera è soggetta a una brusca espansione, prima di essere attraversata da particelle cariche ionizzanti.

Procedimento:

•La camera subisce una compressione che spazza via le bolle ed è pronta per un nuovo ciclo.

Camere a bolle

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La camera a bolle ha il doppio ruolo di bersaglio e di rivelatore delle collisioni.

La scelta del liquido e delle particelle inviate restringe i tipi di interazioni possibili e consente allo sperimentatore la selezione dei processi desiderati.

La presenza di un forte

campo magnetico misura della deflessione

subita dalle particelle

Misura della carica e all'impulso vettoriale delle particelle stesse

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“Fisica dei rivelatori”

Principali vantaggi:

(a) la rivelazione di tutte particelle cariche, sia nello stato iniziale, sia in quello finale della reazione, indipendentemente dalla loro direzioni;

(b) la precisione ottenibile nella misura delle traiettorie e, di conseguenza, nei parametri cinematici che caratterizzano le collisioni;

(c) la capacità di registrare interazioni complicate, con molte particelle nello stato finale.

(d) La versatilità ed economicità: alcune camere hanno fornito milioni di fotogrammi di collisioni, in molti anni di esercizio e negli esperimenti più differenti (per es. vite medie di stati metastabili, interazioni di neutrini di alta energia, dinamica delle interazioni adroniche).

(a) la mancata rivelazione delle particelle neutre, che preclude l'osservazione completa dello stato finale della reazione;

(b) l'impossibilità di restringere la presa dati ad alcuni tipi di stati finali, che, in pratica, limita la possibilità di studiare processi rari;

(c) il piccolo numero di collisioni registrabile, a parità di tempo rispetto ad altri rivelatori.

L'uso della camera a bolle è ormai in declino anche se alcune limitazioni siano state superate dalla creazione di apparati ibridi, composti da una camera a bolle circondata da rivelatori elettronici.

Un ulteriore motivo di declino è che essa può essere utilizzata solamente come bersaglio fisso ed è incompatibile con gli anelli di accumulazione, che costituiscono la maggior parte degli acceleratori oggi in operazione o in progetto.

Sostanziali difetti:

Camere a bolle

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Funzionamento

Una camera a bolle è esposta a un fascio di particelle di un acceleratore, la cui natura, carica e impulso sono preselezionati dallo sperimentatore.

Il ciclo della camera è sincronizzato con quello dell'acceleratore, in modo che essa sia sensibile durante il passaggio del fascio al suo interno.

Schema della camera a bolle da 4.6 m del Fermilab

Sono state costruite camere a bolle delle dimensioni più varie: le più piccole hanno bisogno di meno di un litro di liquido, mentre le più grandi ne contengono decine di migliaia

Il tipo di liquido di cui è riempita la camera consente di dividere le camere a bolle in

due gruppi principali. (a) Le camere a liquido leggero (idrogeno, deuterio, elio, miscele idrogeno‑neon) offrono interazioni semplici tra le particelle entranti e i nucleoni quasi liberi del liquido;

devono però essere mantenute a bassa temperatura (tra 4 e 30 K, a seconda del materiale), con una stabilità in temperatura migliore di 0.03 K su un volume che può superare 10 m3.

(b). Le camere a liquido pesante sono invece preferite quando si cerchi di aumentare la probabilità di collisione tra le particelle e il liquido (interazioni di neutrini, conversione di fotoni prodotti nell'interazione principale).

In tale caso, i liquidi più usati sono propano, xenon, freon, che possono essere utilizzati a temperature prossime a quella dell'ambiente.

(28)

“Fisica dei rivelatori”

Camere a bolle

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Caratteristiche fisiche dei principali liquidi utilizzati dalle camere a bolle

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“Fisica dei rivelatori”

Il pistone, messo in moto da un servomeccanismo idraulico, serve a variare la pressione all'interno della camera. Le espansioni e le successive ricompressioni seguono un ritmo ciclico.

Un ciclo completo comprende le seguenti fasi:

(a) l'espansione della camera, con una variazione di pressione tipicamente di 1 ‑ 10 atm.

Il liquido della camera a bolle si viene a trovare in condizioni termodinamiche ove la sola fase stabile è quella aeriforme;

(c) dopo un periodo di 0.2 ± 50 ms, necessario alla crescita delle bolle fino a un diametro di alcune decine di µm, la presa della foto;

(d) subito dopo, la ricompressione del liquido, sempre a opera del pistone, allo scopo di eliminare le bolle formate in precedenza e di riportare la camera in condizione di ricominciare il ciclo. La lunghezza totale di quest'ultimo dipende da molti fattori, quali la grandezza e il materiale di costruzione della camera, e anche da fattori esterni, come la struttura temporale del fascio di particelle inviate. Si va da camere a ciclo rapido, con decine di espansioni al secondo, a camere più lente, che danno una foto ogni 5 ‑ 10 s.

Il ciclo

(b) il passaggio delle particelle cariche nel liquido, durante il quale vengono prodotti raggi delta, che, a loro volta, producono un certo numero di ioni. La ricombinazione degli ioni libera un quantità di energia, che resta nel liquido sotto forma di calore, concentrato in un piccolo volume attorno al percorso delle particelle. Questo calore favorisce la formazione delle bolle, ciascuna delle quali richiede un'energia di parecchi eV (15 eV per l'idrogeno, oltre 100 eV per il propano). Nel momento della formazione, le bolle hanno alcuni Å di diametro e una densità media tipica di 10 bolle per ogni cm di traiettoria della particella;

Camere a bolle

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•Il campo magnetico è generato da un solenoide (in genere superconduttore) ed è generato in modo da avere l'asse il più possibile parallelo agli assi ottici delle macchine fotografiche. Si produce così un campo pressoché uniforme, quasi ortogonale al piano della foto, che facilita il riconoscimento delle particelle e la loro misurazione. Poiché, a parità degli altri parametri, un aumento della curvatura delle tracce si traduce in un miglioramento nella precisione di misura del momento, il campo magnetico deve essere il più intenso possibile: in pratica, si va da 1.0 a 3.5 T.

•Le macchine fotografiche costituiscono l'apparato di presa dati propriamente detto. Di solito, l'interno della camera è ripreso da 3 o 4 angolazioni differenti, per consentire la ricostruzione stereoscopica degli eventi e per ottenere la maggiore ridondanza possibile. Buona parte del volume della camera deve essere visibile e i raggi di luce che lo attraversano non devono essere molto distorti. Nelle camere più grandi, tale difficoltà è superata dall'uso di obiettivi grandangolari a fish‑eye (notevoli quelli della camera a bolle gigante GARGAMELLE praticamente privi di distorsione), che si affacciano sulla camera attraverso piccole finestre praticate nel corpo della camera.

Il campo magnetico e il sistema ottico

La camera a bolle Gargamelle per lo studio della fisica del neutrino utilizzava liquidi pesanti come C3H6 o CF3Br

ottiche Magnete non

superconduttore

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“Fisica dei rivelatori”

Analisi dei risultati

L'analisi dei fotogrammi costituisce la seconda parte di un esperimento di camera a bolle. Essa viene normalmente condotta in più laboratori in parallelo, per rendere più agevole e rapida una fase che, per gli esperimenti più grandi, con oltre un milione di foto, può talvolta durare alcuni anni.

Osservazione dei fotogrammi

A questo scopo le foto, le cui dimensioni originali sono di alcuni cm, sono riproiettate su uno schermo, con un ingrandimento di 10 - 20 volte. Le immagini vengono accuratamente ispezionate (talora più volte in modo indipendente, per diminuire la probabilità di errore), alla ricerca di eventi che mostrino la configurazione desiderata.

Alcuni dei criteri di selezione

a) Il principale requisito è la presenza di un'interazione principale, cioè una collisione tra una delle particelle del fascio e un nucleone del liquido. Tale interazione deve avvenire all'interno di un «volume di fiducia», tale da consentire una buona identificazione e misurazione di tutte le particelle secondarie. In alcuni casi, l'osservazione dell'interazione principale può essere particolarmente difficile: citiamo, per es., le interazioni di neutrini, i quali non producono bolle nella camera, e sono identificabili solo dalla presenza dei secondari, e le interazioni con poche (una o due) particelle cariche nello stato finale, che possono facilmente sfuggire all'osservazione.

b) L'ispezione dell'interazione principale dà informazioni sul processo avvenuto. Per es., in caso di interazioni di protoni (di carica positiva) su nuclei di deuterio (costituito da un protone positivo e un neutrone neutro), la conservazione della carica elettrica nell'interazione permette di distinguere tra collisioni protone‑protone e protone‑neutrone. Le prime sono infatti caratterizzate da un numero pari di particelle cariche nello stato finale, mentre le seconde da un numero dispari.

Camere a bolle

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c) Talvolta, la natura di alcune delle particelle secondarie può essere identificata.

Le particelle, cariche o neutre, aventi una vita media compresa tra 108 e 1013 s , possono decadere nella camera, a poca distanza dall'interazione principale, dando luogo a configurazioni caratteristiche ( V°, nel caso di una particella neutra che decada in due particelle cariche, tridenti, nel caso di un decadimento di una particella carica in tre cariche).

Talvolta, ciò dà luogo a una serie di decadimenti a cascata, che consentono l'interpretazione corretta degli eventi.

Conoscendo la distanza tra il vertice dell'interazione principale e quello di decadimento e l'impulso della particella decaduta, è possibile risalire al tempo proprio trascorso tra la produzione e il decadimento, e, dopo avere accumulato un numero sufficiente di eventi, misurare la vita media dello stato metastabile.

d) Un altro criterio di identificazione è dato dalla presenza di interazioni secondarie:

appartengono a questa categoria le conversioni di fotoni in due elettroni e le «stelle» prodotte dalle interazioni di antineutroni.

e) L'identificazione degli elettroni si basa invece sul fatto che, a parità d'impulso, le particelle leggere emettono molta più radiazione di Bremsstrahlung (σ ∝ 1/m2).

Pertanto, la traiettoria di un elettrone (o di un positrone) nel campo magnetico della camera ha un andamento più irregolare di quello di altre particelle, che seguono un'elica quasi perfetta.

(34)

“Fisica dei rivelatori”

La fig. mostra la ricostruzione di un evento;

si notino la mancanza di tracce associate alle particele neutre (tratteggiate nella parte destra) e la curvatura delle tracce delle particelle cariche (dovuta al campo magnetico differente per cariche di segno opposto).

Prima evidenza della produzione del barone “charmato” Σc++ registrato nella camera a bolle da 2.1 m, a idrogeno liquido, di Brookhaven nel 1974 e sua ricostruzione (a destra).

Λoπ+π+π- νp→µ-Σc++

Λc+π+

pπ-

Camere a bolle

(35)

Produzione di D* nell’interazione νp nella camera a bolle BEBC (Big European Bubble Chamber) esposta al fascio dell’SPS del CERN di Ginevra. Esperimento WA21.

(36)

“Fisica dei rivelatori”

Esempi di Bremsstrahlung

Spesso è un fenomeno distruttivo.

In questo caso, se avviene dopo un breve percorso (non misurabile) dell’elettrone, è necessario misurare l’energia del γ emesso (se questo produce una coppia misurabile).

Camere a bolle

(37)

Esperimento WA59: fascio di in BEBC con miscela H-Ne

!

"

V0 0 →π-p)

P e π- sono riconoscibili perché fanno

“range” in camera π-

P

Raggio δ

(essendo un e- indica il segno delle cariche)

(38)

“Fisica dei rivelatori”

Uno dei problemi nella ricerca degli eventi nell’osservazione dei fotogrammi consiste nel fatto che gli eventi trovati osservando un intero film, in genere, varia da operatore a operatore e, addirittura, il numero può essere diverso anche se a riosservare il film è lo stesso operatore.

Questo è tanto più frequente quanto più gli eventi sono semplici e con poche tracce (anche una sola). Per il calcolo preciso delle sezioni d’urto di un particolare canale di reazione è necessario sapere qual è il numero totale di eventi con una fissata topologia. Si ricorre allora al metodo dello scanning e del riscanning (nel senso che il film viene riosservato completamente, in generale da un altro operatore). Sia T il numero totale vero di eventi, A quelli trovati

dal primo osservatore, B quelli trovati dal secondo e C quelli comuni. Se si suppone che non ci siano errori sistematici e che il trovare gli eventi sia un processo di campionamento casuale dell’insieme T allora vale la relazione:

C : A = B : T

Per cui: T = A ×B/C

L’efficienza di scanning dell’osservatore A sarà allora εA = A/T e quella dell’osservatore B εB = B/T.

L’efficienza di scanning totale sarà ε = (A + B – C)/T.

A C B T Scanning

Camere a bolle

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Misura dei fotogrammi

Le informazioni geometriche e cinematiche sugli eventi possono essere acquisite con la misura delle foto. Esistono vari modi: il più semplice consiste nel misurare manualmente l'immagine proiettata sullo schermo, mentre i più complessi fanno uso di sensori in grado di distinguere le zone chiare da quelle scure della foto.

Il sistema “classico” è costituito da un proiettore a soffitto, con un numero di obiettivi pari al numero delle ottiche della camera. Esso proietta, uno per volta, i fotogrammi relativi allo stesso evento, su un tavolo di misura.

Ognuna delle “viste” (nel caso della figura accanto: 3) guarda la stessa zona della camera, ma da una prospettiva diversa, rendendo possibile una ricostruzione stereoscopica dei punti e delle tracce.

(40)

“Fisica dei rivelatori”

Il sistema di misura è costituito da due contatori digitali a “mangiaspago” collegati mediante due fili a un visore dotato di un puntatore. La lunghezza dei due fili fornisce la coordinata, nel piano, dell’oggetto puntato.

Marche fiduciali esterne

Marche fiduciali interne

mangiaspago

La misura di 4 marche fiduciali esterne, impresse direttamente sulla pellicola da riferimenti ottici posti nella macchina fotografica, e da un certo numero di marche fiduciali interne disegnate sulla superficie interna della camera, permette di calcolare le trasformazioni di coordinate che consentono poi di ricostruire ogni punto nello spazio della camera.

Il sistema di misura è usualmente collegato a un calcolatore elettronico, che ha la funzione di assistere l'operatore nella misura, di eseguire un primo controllo e di memorizzare i dati.

La misura contemporanea dello stesso evento, visto da più angolazioni, consente una ricostruzione geometrica completa nello spazio tridimensionale di:

•vertici di interazione

•vertici di decadimento

•tracce

Camere a bolle

(41)

La precisione di misura dipende da molti fattori

•distorsioni ottiche delle macchine fotografiche

•precisione dell'apparato di misura

•…..

precisioni ottenibili per i punti di interazione

•qualche µm per le camere più piccole

•qualche decina di µm per quelle più grandi

Misura

Calcolatore elettronico

Algoritmo del programma Distorsioni ottiche

Campo Magnetico

Ricostruzione punti di interazione

Ricostruzione impulso particelle cariche

dE/dx

Identificazione della

particella

(42)

“Fisica dei rivelatori”

Analisi

Verifica conservazione energia e impulso ogni

interazione e

d e c a d i m e n t o dell’evento

sbilanciamentodello stato finale rispetto a quello iniziale

presenza di particelle neutre non rivelate

Ricerca di particelle neutre Rimisura

studio comparativo di tutti i vertici dell'evento, tenendo conto anche della conservazione dei numeri quantici interni in ogni interazione

interpretazione univoca anche

di eventi assai complessi Informazione finale calcolatore Registrazione

(nastro o disco magnetico) Analisi statistica

Camere a bolle

(43)

Per sommare i vantaggi offerti dai liquidi leggeri (semplicità dell'interazione principale) con quelli dei liquidi pesanti (possibilità di conversione dei fotoni e neutroni), sono state costruite camere in cui una sottile parete di plastica trasparente separa due zone: una, vicina alla zona di entrata del fascio, destinata a ospitare l'interazione principale, è riempita con un liquido leggero (idrogeno o deuterio liquido); l'altra, situata intorno alla prima, destinata alla conversione dei fotoni, è riempita con un liquido più pesante. La necessità che entrambe le zone siano alla stessa temperatura, limita la scelta dei liquidi pesanti alle miscele idrogeno‑neon, le sole che presentino le caratteristiche, termodinamiche richieste.

Un esempio di camera di questo tipo è stata la TST (Track Sensitive Target) realizzata in Lexan e installata all’interno di BEBC.

Camere a due liquidi

TST riempita di H all’interno di BEBC riempita di miscela Ne-H

(44)

“Fisica dei rivelatori”

Le camere a bolle giganti come Gargamelle e BEBC sono state per lunghi anni gli strumenti migliori per lo studio della struttura interna delle particelle con fasci di neutrini.

L'interazione dei neutrini con la materia determina la creazione del leptone carico partner del neutrino (νe→ e, νµ→µ). Si parla in questo caso di correnti cariche, che avvengono attraverso lo scambio di una particella mediatrice: il bosone W+ o W- .

Corrente carica Corrente neutra

Tuttavia, la teoria di unificazione tra le interazioni elettromagnetiche e deboli sviluppata da Weinberg, Glashow e Salam prevedeva l'esistenza delle cosiddette correnti neutre nelle quali il neutrino rimane tale e il mediatore è un bosone carico (la particella Z0).

Un risultato importante

Camere a bolle

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Le correnti neutre furono scoperte nel 1973 al CERN usando un fascio di neutrini muonici prodotti facendo decadere mesoni carichi e come rivelatore la camera a bolle Gargamelle. Nella figura a sinistra è mostrato un evento di corrente debole neutra: il νµ (invisibile) interagisce con un elettrone (del liquido) che viene diffuso e il neutrino non si trasforma in muone, restando invisibile.

La traccia dell’elettrone costituisce l'unica segnatura dell'evento.

Nella figura a destra si vede un evento di corrente neutra di un neutrino con nessun leptone carico nello stato finale.

Eventi corrente neutra in Gargamelle

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“Fisica dei rivelatori”

Magnete non superconduttore

proton

beam target

pion, kaon

beam neutrino

decay tunnel

muon muon monitors

steel rock

detector Gargamelle Il fascio

neutrino al PS del CERN

Camere a bolle

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BEBC “nuda”

EMI: External Muon Identifier Sistema di camere a fili posto all’esterno di BEBC e dopo del ferro per identificare i µ prodotti dall’interazione neutrino e

selezionare così gli eventi

“corrente carica”.

(48)

“Fisica dei rivelatori”

Tra le grandi camere a bolle utilizzate al CERN negli esperimenti di fisica delle particelle, la camera a liquidi pesanti (freon o propano) da 25 tonnellate denominata Gargamelle è stata utilizzata per lo studio delle correnti neutre, registrando le interazioni dei neutrini. Si trova adesso esposta al CERN nella zona all'aperto accanto all'esposizione Microcosm.

Simile ad una navicella spaziale, ha lavorato presso l'acceleratore SPS dal 1973 al 1984, producendo 3000 km di pellicola. E' adesso esposta in mostra nella zona del CERN situata presso l'esposizione Microcosm, insieme al pistone in grado di esercitare una forza di 350 tonnellate.

Tra le grandi camere a bolle utilizzate al CERN negli esperimenti di fisica delle particelle, la camera BEBC (Big European Bubble Chamber), la più grande del mondo con 30.000 litri di idrogeno liquido alla temperatura di -246°C e alla pressione di 5 atmosfere, inserita in un campo magnetico di 35.000 gauss.

Il “cimitero” delle Camere Giganti

Camere a bolle

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Emulsioni nucleari

Scoperta accidentale di H. Becquerel nel 1896 : le lastre fotografiche non esposte alla luce e conservate per qualche tempo in vicinanza di sali di uranio si annerivano.

Le particelle cariche, attraversando i granuli di una emulsione fotografica, producono immagini latenti simili a quelle dovute alla luce.

La preparazione di emulsioni specialmente dedicate alla rivelazione di tracce risale almeno al 1927; la produzione commerciale di emulsioni nucleari, sensibili anche a particelle relativistiche al minimo di ionizzazione, iniziò alla fine degli anni '40.

Le emulsioni nucleari consistono di cristalli di alogenuro d'argento (diametro di alcuni decimi di µm) inglobati in una matrice di gelatina. Il tenore di alogenuro d'argento di un’emulsione nucleare è, in genere, più alto di quello di una emulsione fotografica e si aggira sul 50 % in volume e 80 % in peso.

Una particella ionizzante che attraversa un cristallo di alogenuro d'argento lo rende sviluppabile.

Dopo lo sviluppo, seguito da fissaggio e lavaggio per rimuovere i cristalli non impressionati, e quindi non sviluppati, la gelatina è trasparente e in essa il percorso fatto dalla particella carica è indicato da una serie di granuli d'argento puro (diametro 0.5+ 1.0 µm), ben visibili al microscopio ottico.

Introduzione

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“Fisica dei rivelatori”

Composizione

I granuli di alogenuro d'argento sono gli elementi sensibili dell’emulsione

Proprietà della gelatina

(a) E’ fortemente adsorbita dai granuli di alogenuro d'argento e alcuni suoi componenti provvedono alla loro sensibilizzazione fotografica;

(b) mantiene separati i granuli;

(c) con opportuni accorgimenti si può fare in modo che, durante la fabbricazione, non impedisca la crescita dei granuli fino alle dimensioni volute;

(d) è stabile e permette la penetrazione delle soluzioni di sviluppo in tutto il volume dell’emulsione;

(e) permette lo sviluppo dei soli granuli impressionati;

(f) è trasparente.

minutissimi cristalli di bromuro d'argento

piccola quantità di iodio nel reticolo cristallino e di un gel organico (gelatina + glicerina + sensibilizzanti)

Emulsioni nucleari

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TAB. 2.1 - COMPOSIZIONE DI UN'EMULSIONE NUCLEARE STANDARD

Elemento Numero atomico Z Massa [u] Densità particellare [1020 atomi/cm3] [1020 atomi CM- 3]

H 1 1.008 321.6

C 6 12.000 138.3

N 7 14.008 31.7

O 8 16.000 95.0

S 16 32.060 1.4

Br 35 79.916 100.4

Ag 47 107.880 101.0

I 53 126.930 0.6

La composizione dell' emulsione che si adopera, dev'essere conosciuta con buona precisione, in quanto i parametri da cui dipendono i processi fisici di interazione delle particelle con la materia sono funzioni, in genere diverse, del numero atomico Z e del numero di massa A. L' emulsione, che è composta da vari tipi di atomi, può essere considerata, per ogni processo, equivalente a un singolo elemento i cui numeri atomico e di massa possono essere calcolati mediando sulla sua composizione.

Le emulsioni nucleari oggi più comunemente usate (Fuji, Ilford, Kodak, Nikfi) hanno composizioni abbastanza simili. Il numero di nuclei pesanti (Ag, Br, I), leggeri (C, N, O, S) e idrogeno sono dello stesso ordine di grandezza. Un' emulsione standard al 58 % di umidità ha una massa volumica di circa 3.8 g/cm3 e contiene circa 8 1022 atomi/cm3.

(52)

“Fisica dei rivelatori”

Interazione delle particelle con l'emulsione

Ricordiamo che il percorso R, che una particella di energia E, massa M e numero atomico Z può fare in un materiale prima di arrestarsi è:

!

R = dE

dE / dx = M

Z

2

F( " )

0

#

E

essendo F funzione del rapporto β tra la velocità v della particella e la velocità c della luce.

Una volta determinata la relazione percorso‑energia per una particella (in genere il protone), si è in grado di ricavare tale relazione per qualsiasi altra particella (scaling del

“Range”).

Essendo la perdita di energia per ionizzazione un fenomeno statistico, R è il valore medio del percorso di particelle identiche e di uguali energie; i valori singoli fluttueranno intorno a quel valore. L'entità delle fluttuazioni (straggling) dipende dalla massa delle particelle ma non supera mai il 2 ‑ 3 %.

Emulsioni nucleari

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La trattazione teorica di questo effetto fornisce per una particella di carica ze, velocità βc, impulso p su una distanza L:

α = KL

1/2

z/(pβ)

dove α è la media dei valori assoluti delle proiezioni sul piano della lastra degli angoli di deflessione e K è la cosiddetta costante di diffusione, che, in realtà, è una funzione variabile molto lentamente (logaritmicamente) di β e di L.

Il comportamento, nell'attraversamento dell' emulsione, di elettroni e positroni differisce da quello descritto dalle relazioni precedenti, in quanto una parte notevole dell'energia perduta da queste particelle non è trasferita agli atomi del mezzo ma è persa sotto forma di radiazione, e ciò tanto più quanto più elevata è l'energia.

Una particella carica subisce piccolissime deflessioni nelle singole collisioni con gli atomi dell'emulsione. Il risultato di numerose collisioni può produrre una deviazione osservabile della direzione della traccia (diffusione, o scattering).

(54)

“Fisica dei rivelatori”

Esposizione e trattamento delle emulsioni

Utilizzando il gel si ha il vantaggio di avere al momento dell'esposizione emulsioni, su supporto o no, fresche, e quindi praticamente prive di tracce di fondo. La preparazione delle emulsioni dal gel richiede però una camera oscura climatizzata con attrezzature speciali e il lavoro per vari giorni di più persone esperte.

Lo spessore non può superare valori dell'ordine del millimetro, a causa della limitata distanza frontale degli obiettivi a forte ingrandimento dei microscopi. Lo spessore standard delle emulsioni è 600 µm.

I fogli di emulsioni pura possono essere posti a contatto l'uno sull'altro per l'esposizione. Si ottiene così un blocco unico di materiale sensibile, che può avere anche dimensioni geometriche considerevoli, nel quale gli eventi dovuti a particelle di alta energia hanno tutto lo spazio per svilupparsi, insieme a tutti gli eventi secondari che da essi derivano.

Nell'esporre questi blocchi, si ha cura di predisporre dei riferimenti che permetteranno poi di seguire le tracce degli eventi interessanti da un foglio (pellicola) all'altro senza soluzione di continuità. I riferimenti possono essere meccanici (perni oppure fresaggio del blocco) oppure ottenuti con l'esposizione a sottilissimi fasci di raggi X. Un sistema di coordinate interne a ogni pellicola s'ottiene imprimendo con l'esposizione alla luce una griglia molto precisa e dai tratti fini ( ~20 µm) su una sua superficie.

Emulsioni nucleari

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emulsioni sono rivelatori integrali

selezionare gli eventi

bersaglio attivo di esperimenti «ibridi»

•camere a scintilla

•a fili

•a deriva

•camere a bolle

spettrometri associate

con calorimetri magneti

Odoscopi di fascio costituiti da

•camere a fili

•piani di microstrip a silicio

•rivelatori di vertice

Permettono la localizzazione nell'emulsione l'evento selezionato entro un volume di 0.5 mm3 Riferimenti per intercalibrare il sistema

di coordinate interne a quello dei rivelatori esterni

(56)

“Fisica dei rivelatori”

Piccole deformazioni (distorsioni) possono essere misurate e se ne può tener conto per correggere le misure.

Le emulsioni sviluppate, fissate, lavate e asciugate hanno uno spessore ridotto di 1/2 ÷ 1/3 rispetto a quello originario. La conoscenza del fattore di contrazione, cioè del rapporto tra lo spessore alla misura e lo spessore originale, è necessaria per determinare percorsi e angoli delle tracce in emulsione.

Processo: Esposizione → Spacchettamento dello stack → Sviluppo → Applicazione su un supporto

Sviluppo simile a quello di un' emulsione fotografica

Spessore em. fot.= qualche decina di µm Spessore em. nucl. = fino a qualche mm

Tsviluppo= qualche min.

Tsviluppo = fino a qualche h

misura precisa sviluppo e asciugamento omogenei in tutto il volume

nessuna deformazione permanente prodotta durante il trattamento

→ →

Emulsioni nucleari

(57)

Osservazioni e misure

Per osservare e contare le tracce può essere utilizzato qualunque buon microscopio, tuttavia per le misurazioni in emulsioni sono stati sviluppati, e dotati di un opportuno corredo di accessori, microscopi ad hoc, nei quali i movimenti del piatto, in direzione sia orizzontale, sia verticale, sono particolarmente precisi.

Negli ultimi anni molti laboratori, e anche alcune ditte commerciali, si sono dedicati alla realizzazione di microscopi collegati a elaboratori, nei quali le misure vengono acquisite in modo programmato con comando automatico del movimento del piatto tramite motori il cui passo raggiunge anche il quarto di µm. In questi microscopi molto spesso l'osservazione non è diretta, ma avviene tramite telecamera e monitor.

Il riconoscimento delle particelle responsabili delle tracce che si osservano in emulsione si fa applicando opportunamente le relazioni precedenti. La determinazione della massa, della carica e dell'energia delle particelle s'ottiene da misure combinate della ionizzazione prodotta dalle particelle stesse, della lunghezza del loro percorso, della diffusione e dell'eventuale curvatura subita in campo magnetico.

(58)

“Fisica dei rivelatori”

Dalle misure di diffusione multipla (α) si può determinare il prodotto pβ (impulso per velocità) delle particelle, purché se ne conosca la carica. La misura è buona se la diffusione non è troppo piccola, cioè, per particelle di energia non superiore ad alcuni GeV e carica unitaria. Associando le misure di diffusione a quelle di ionizzazione o di percorso, è possibile ricavare massa, energia e carica della particella.

Determinazione della carica o della velocità delle particelle valutando la perdita di energia da uno dei parametri legati a dE/dx la cui scelta dipende dalla natura della particella:

•Densità n di granuli d’argento in 100 µm (una traccia in em. normale ha al minimo n=20)

•Densità b degli ammassi di granuli

•Lunghezza media g delle lacune tra un ammasso e l’altro

•Lunghezza totale l delle lacune su 100 µm

•Densità nδ dei raggi δ (elettroni con E> 5 keV)

La velocità della particella si può determinare della ionizzazione solo se non è estremamente relativistica. Per β » 0.7 la perdita di energia per ionizzazione aumenta molto poco con la velocità e per γ > 100 raggiunge un valore stabile, superiore al minimo solo dell'8 %.

Emulsioni nucleari

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Negli anni '50 e '60 questo era un metodo per determinare m ed E di una particella.

Oggi il metodo va bene in fisica dei nuclei.

Con le energie agli attuali acceleratori gli eventi sono riconosciuti in base alla loro topologia e, negli esperimenti ibridi, in base alla loro corrispondenza con le informazioni provenienti dall'apparato esterno.

Quello che si richiede dalle emulsioni è soprattutto una misura spaziale molto precisa: angoli determinati con precisioni dell'ordine del mrad e distanze fino a meno di 0.5 µm.

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“Fisica dei rivelatori”

Applicazioni

Le emulsioni nucleari hanno un potere frenante circa 1800 volte più grande di quello dell'aria in condizioni normali. Particelle, che in aria farebbero percorsi di vari metri, in un'emulsione sono ridotte allo stato di quiete in pochi millimetri. Questa caratteristica permette di registrare una grande quantità di informazioni in un volume molto piccolo.

In fisica delle alte energie molte particelle sono state scoperte, o ne è stata determinata la massa, lo spin o i modi di decadimento, grazie all'impiego di questi rivelatori.

Per es., l'evidenza del carattere di antiparticella degli antiprotoni è stato fornito dallo studio delle «stelle di tracce» prodotte da queste particelle ridotte allo stato di quiete in un' emulsione

Stella di un antiprotone in quiete. L, traccia dell'antiprotone in arrivo; a, b tracce di pioni;

tutte le altre tracce sono di evaporazione.

Citiamo lo studio delle interazioni della radiazione cosmica con la produzione di mesoni e di frammenti nucleari, lo sviluppo della fisica dei mesoni e lo studio degli iperoni carichi e neutri, la scoperta e lo studio degli iperframmenti, lo studio dei nuclei pesanti nella radiazione cosmica primaria.

Emulsioni nucleari

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Negli ultimi anni c’è stato un grande ritorno delle emulsioni nucleari nella fisica delle alte energie.

• Nello lo studio delle interazioni di ioni pesanti a energie relativistiche (centinaia di GeV/nucleone) ai nuovi acceleratori, nella determinazione della carica dei frammenti‑proiettile prodotti tramite il conteggio dei raggi δ o la misura della larghezza della traccia.

• Nelle ricerche di particelle di vita media molto breve ( < 10-11 s) per l’ottima risoluzione spaziale, che può permettere l'osservazione diretta della produzione e del susseguente decadimento di queste particelle.

Le particelle con quark pesanti, charm (1978) e beauty (1985), sono state osservate e studiate con questi rivelatori e vari esperimenti con centinaia di dm3 di emulsione sono stati realizzati successivamente nei grandi acceleratori (CERN, FERMILAB) per determinare la vita media e altre caratteristiche di queste particelle.

Attualmente, il più grande esperimento che farà utilizzo di emulsioni nucleari, è OPERA in corso di allestimento ai LNGS (Laboratori Nazionali del Gran Sasso). Verrà utilizzato un fascio di νµ, prodotto espressamente dal CERN, inviato sottoterra nei laboratori del Gran Sasso per lo studio delle oscillazioni νµ ⇔ ντ.

Le sezioni d'urto di produzione delle particelle con quark pesanti sono 10-3 , 10-6 volte più piccole di quella di interazione totale; ciò spiega perché in queste ricerche si usano le emulsioni come bersaglio attivo in esperimenti ibridi.

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“Fisica dei rivelatori”

Le emulsioni nucleari trovano impiego anche in molti campi differenti dalla fisica.

• Scienze della Terra: vengono usate sia per la rivelazione della radioattività dei minerali, sia per il riconoscimento degli elementi cui essa è dovuta.

• Nelle scienze biologiche: autoradiografia delle tracce, con la quale si può determinare la distribuzione microscopica della concentrazione di materiali radioattivi, per es. di traccianti, ponendo il campione biologico in contatto diretto con l'emulsione, in modo che le tracce ionizzanti uscenti dal campione possano essere registrate.

• Dosimetria: Monitor semplici e affidabili delle radiazioni (in forma di un pezzetto di pellicola: film badge) a coloro che lavorano con materiali radioattivi, con i reattori nucleari, con acceleratori e per gli astronauti nei voli spaziali.

Altri utilizzi

Emulsioni nucleari

(63)
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“Fisica dei rivelatori”

Emulsioni nucleari

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β = 0.59 dE/dx = 1.1 keV/ µm β = 0.56 dE/dx = 1.2 keV/ µm

β = 0.51 dE/dx = 1.45 keV/ µm β = 0.46 dE/dx = 1.7 keV/ µm

β = 0.34 dE/dx = 2.1 keV/ µm β = 0.28 dE/dx = 3.8 keV/ µm

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“Fisica dei rivelatori”

Un esempio di esperimento ibrido: WA75

WA75 è stato uno degli esperimenti con emulsioni fra i più interessanti dell’ultima generazione.

E’ stato realizzato all’SPS del CERN con l’obiettivo di cercare quark pesanti (b,c).

Si tratta di un esperimento ibrido che ha utilizzato sia emulsioni nucleari verticali sia orizzontali, per lo studio del vertice di interazione, abbinate a tecniche elettroniche, per la rivelazione di almeno un muone nello stato finale con un alto momento traverso rispetto alla direzione del beam.

L’apparato è stato disegnato per cercare l’evidenza diretta della produzione e del decadimento di particelle con beauty prodotte da un beam di π di impulso 350 GeV/c.

Il segnale viene selezionato da eventi del tipo πN → µ± + X

richiedendo un’alta componente (pT) del momento trasverso del muone rispetto alla direzione del fascio. Questa è una tipica segnatura di un decadimento semileptonico

B → µ± + Y

che ha un branching ratio BR = (11.0 ± 0.9)%.

Emulsioni nucleari

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Decadimento B → C dominante

Un muone può essere presente in ogni vertice di decadimento;

quelli provenienti dal decadimento del beauty hanno in genere un p e pT più elevato.

Questo criterio seleziona una buona frazione di segnale minimizzando il fondo.

!

B + B " C + ...

↓ ↓ C+… ….

… si richiede, come segnale dell’evidenza di produzione e successivo

decadimento di particelle con beauty, l’osservazione diretta di almeno tre, e preferibilmente quattro, vertici di decadimento nella corrispondente sequenza:

Per la prima volta è stato osservato un chiaro esempio di decadimenti (in emulsioni orizzontali) di questo tipo in un evento contenente due muoni dello stesso segno nello stato finale.

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“Fisica dei rivelatori”

Emulsioni nucleari

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Le emulsioni nucleari sono state scelte come bersaglio attivo per la loro elevata risoluzione spaziale che permette una grande sensibilità alle brevi vite medie e una facilitazione dell’analisi di eventi con molti vertici secondari.

WA75 ha preso dati al CERN nel 1983 e nel 1984. L’apparato comprendeva un beam hodoscope, uno stack di emulsioni (montato su un carrello che si muoveva durante lo spill del beam (~ 2 s), un vertex detector, un dump di ferro/tungsteno, uno spettrometro magnetico e un sistema di trigger e di acquisizione dati.

L’apparato

Riferimenti

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