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commenti aristotelici, opere di esegesi biblica, trattati più originali di natura filosofica quali, per esempio, il giovanile De natura boni

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Nelle pagine che seguono ho cercato di sviluppare un’indagine su alcuni temi etici in Alberto Magno, quali i concetti fondamentali di virtù e felicità, il ruolo di volontà e ragione in rapporto all’agire morale, la contrapposizione tra razionalità e istinto irrazionale, l’importanza dell’intenzione nel giudicare della qualità morale di un’azione, la distinzione tra diritto positivo e legge naturale e il loro reciproco rapporto, la relazione tra bene individuale bene comune, e tra quest’ultimo e la comune utilitas.

Non c’è un’opera, nel senso di una sola e particolare opera, che contenga e circoscriva l’etica di Alberto. Il suo pensiero etico è distribuito nel sottile gioco dialettico tra interpretazione e originalità di formulazione in opere di natura diversa:

commenti aristotelici, opere di esegesi biblica, trattati più originali di natura filosofica quali, per esempio, il giovanile De natura boni

1

, scritto negli anni Trenta, e il successivo De bono

2

(1243 ca.), nei quali ancora preponderante è l’impostazione tradizionale di stampo agostiniano

3

.

Il gioco dialettico è inoltre acuito da quel pluralismo epistemologico che è una sorta di manifesto di metodo per il Domenicano, e che consiste nella fondamentale distinzione tra sapere filosofico e sapere teologico, per la quale gli assunti, la procedura e gli esiti dell’uno sono, almeno in linea di principio, tenuti separati da quelli dell’altro. Questo, se da una parte concede maggiore libertà e spregiudicatezza

1 De natura boni, ed. E. Filthaut (Ed. Colon. 25/1), Münster 1974

2 De bono, edd. H. Kühle, C. Feckes, B. Geyer, W. Kübel (Ed. Colon. 28), Münster 1951

3 V. David Luscombe, Ethics in the Early Thirteenth Century, in Albertus Magnus und die Anfänge der Aristoteles-Rezeption im Lateinischen Mittelalter, a cura di Ludger Honnefelder, Rega Wood e Mechthild Dreyer, Aschendorff, Münster 2005, p. 672

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II alla sua indagine razionale, dall’altra è anche ciò che rende difficile trarre una sintesi unitaria coerente del suo pensiero, permanendo sempre una ineliminabile ambiguità.

Per questo il percorso di indagine che ho seguito parte da un’opera esegetica, la postilla sul Vangelo di Matteo, e in particolare la sezione in cui Alberto analizza il

discorso delle beatitudini. Qui, all’interno di una cornice tradizionale di esegesi biblica, gli innesti aristotelici che arrichiscono le numerose e ricche digressioni possono essere una spia di assenso da parte di Alberto alle teorie così espresse. Nella seconda parte ci si rivolgerà direttamente al commento albertino all’Etica aristotelica per approfondire tramite il confronto le tematiche emerse nella prima analisi. Proprio l’incontro con l’Etica Nicomachea, quando fu resa disponibile in latino nella sua integralità, è ciò che più ha influenzato lo sviluppo del pensiero etico di Alberto e, di seguito, quello di tutto l’Occidente latino.

La diffusione dell’Etica Nicomachea nel mondo latino, in seguito alla traduzione integrale di Roberto Grossatesta alla fine degli anni Quaranta del XIII secolo, infatti, ha inciso sul dibattito etico dell’epoca, dando centralità e rilievo a un settore che nell’insegnamento universitario delle facoltà delle Arti aveva rivestito fino ad allora un ruolo modesto e subordinato

4

. Presso la facoltà delle Arti di Parigi, ad esempio, lo statuto del 1215 relega l’insegnamento dell’etica ai soli giorni festivi, vale a dire al di fuori dei corsi ordinari. D’altra parte, in tale insegnamento si faceva già uso di stralci dell’Etica aristotelica, gli unici allora disponibili, identificati con i nomi di Ethica vetus (libro II e parte del III), Ethica nova (libro I) e Ethica Borghesiana (frammenti dei libri VII e VIII). Se già negli anni Quaranta queste

4 Per la ricostruzione che segue mi sono basata su Luca Bianchi, Le università e il decollo scientifico dell’Occidente; Roberto Lambertini, Felicità, virtù e ragion pratica: aspetti della discussione sull’etica, entrambi in La filosofia nelle università: secoli XIII-XIV, a cura di Luca Bianchi, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze) 1997; Jozef Brams, La riscoperta di Aristotele in Occidente, Jaca Book, Milano 2003; Italo Sciuto, L’etica nel Medioevo, Einaudi, Torino 2007.

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III versioni parziali entrano a far parte del curriculum di studi canonico, tuttavia i commenti coevi che possediamo dimostrano perlopiù il permanere in un orizzonte ancora tradizionale, il cui universo concettuale è quello agostiniano. In questo modo si perdeva l’originalità e autenticità del pensiero aristotelico, ma, presentandolo in una forma adattata alla concezione etica tradizionale propria del cristianesimo, si era riusciti fino ad allora a neutralizzare la potenzialità innovativa di tale opera.

Con la traduzione integrale del Grossatesta dunque, diventa più difficile e

arduo, se non impossibile, il tentativo di una tale conciliazione. Di ciò non tardano ad

accorgersi anche le autorità ecclesiastiche, che già in precedenza avevano tentato a

più riprese di opporsi al dilagare dell’entusiasmo che per le opere aristoteliche si

andava diffondendo negli ambienti universitari parigini. Vari erano stati infatti i

provvedimenti ufficiali in proposito: il primo, emanato a Parigi nel 1210 proibiva

categoricamente la lettura dei libri naturales di Aristotele; lo statuto del 1215 inoltre

escludeva dall’insegnamento alcuni testi aristotelici di metafisica e filosofia naturale,

facendo esplicita eccezione per l’Ethica (conosciuta però ancora parzialmente) e le

opere logiche. Numerosi furono anche i diretti interventi papali: due le lettere (1228

e 1231) con le quali papa Gregorio IX tentò di porre un limite alla nuova filosofia

perché si mantenesse subordinata alle dottrine teologiche, invitando a correggerla

quando ciò non avveniva; successivamente intervenne anche Innocenzo IV. Ma

nessuno di questi provvedimenti dimostra di aver raggiunto l’effetto voluto se nel

1252 la Nazione inglese (una delle quattro che costituiscono la facoltà delle Arti

parigina) rende obbligatorio lo studio del De anima, e nel 1255 il nuovo statuto della

facoltà delle Arti estende tale obbligatorietà all’intero corpus aristotelico. Anche la

versione finalmente completa dell’Etica Nicomachea viene accolta quindi in un

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IV clima decisamente favorevole, almeno negli ambienti intellettuali, e diventa da subito oggetto di commento, impresa nella quale primo fra tutti si cimentò proprio Alberto Magno negli anni intorno alla metà del secolo (1248-1252), seguito dal suo allievo Tommaso e dai maestri della facoltà delle Arti. Ma, come abbiamo detto, ora che il testo si presenta in tutta la sua integrità e completezza, risulta impossibile non accorgersi dei suoi aspetti dissonanti rispetto all’universo morale cristiano. Tra i motivi di contrasto vi è, per primo, l’ideale etico interamente fondato sull’autonomia della ricerca razionale, che dunque non lascia spazio alcuno all’intervento esterno della grazia cristiana. Ulteriori problemi poi sorgono nella contrapposizione tra le singole virtù aristoteliche e cristiane: come conciliare infatti la povertà evangelica con la necessità dei beni materiali al fine dell’esercizio delle virtù fermamente ribadita dal Filosofo? E verginità e umiltà come possono rientrare nella definizione aristotelica della virtù come giusto mezzo quando appaiono come atteggiamenti estremi e quindi sarebbero, secondo tale concezione filosofica, da rigettare come vizi? La felicità aristotelica inoltre si presenta come ideale del tutto terreno, non prevedendo alcun aldilà, alcun orizzonte trascendente in cui trovare il proprio compimento.

È dunque un difficile e, per certi versi, precario equilibrio tra verità filosofica e

verità di fede quello ricercato nei suoi commenti da Alberto Magno, il quale però,

per non venire meno alla sua profonda onestà intellettuale e, nello stesso tempo, per

salvaguardare la verità teologica, opera una lucida distinzione epistemica, tesa a

tenere ben distinti i due ambiti della filosofia e della teologia (abbiamo detto

distinzione epistemica o, se si preferisce, dei ‘saperi’, perché da ciò non deriva

l’esistenza di due distinte verità alternative e antagoniste). La verità, e quindi il

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V sapere, è una sola, ma a seconda della prospettiva da cui si considera, si basa su diversi principi e segue dunque diverse direttive. Secondo questa impostazione dunque, l’Etica di Aristotele non viene affatto a conflitto con il sapere rivelato in quanto, come opera filosofica, essa riguarda una dimensione esclusivamente umana, che prescinde perciò da qualsiasi rapporto con il divino. Una tale preventiva limitazione del sapere filosofico, è proprio ciò che consente ad Alberto di muoversi in piena libertà nell’indagine razionale e quindi nel commento delle opere aristoteliche. E se nel corso di tale indagine può capitare di incontrare dottrine apparentemente in contrasto con quanto stabilito dall’autorità religiosa, la tattica di Alberto è quella o di ribadire la prospettiva strettamente filosofica del discorso, la quale si fonda su principi razionali e si sviluppa tramite rigorosi passaggi logici, oppure quella di declinare ogni responsabilità rivendicando per sé la neutralità del commentatore che si limita ad esporre teorie non sue. In questo modo, e solo a questo prezzo, ossia quello di dover rinunciare alla possibilità di giungere tramite il ragionamento a conclusioni valide incontrovertibilmente e sotto ogni punto di vista, Alberto si mantiene immune da ogni tipo di critica.

Se quindi, volendo indagare il pensiero etico di Alberto ci basassimo

esclusivamente sui suoi commenti all’Etica, inevitabilmente ne verrebbe fuori una

prospettiva non solo radicalmente aristotelica, ma anche incompleta, considerando i

due binari paralleli e, almeno di principio, non comunicanti, secondo i quali procede

la riflessione di Alberto. Partire dunque da una sua opera esegetica, come abbiamo

scelto di fare, permette non solo di avere una panoramica più completa, ma anche di

considerare quanto del pensiero di Aristotele è stato effettivamente fatto proprio da

Alberto, il quale altrimenti non se ne servirebbe per commentare il testo sacro. E ciò

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VI è riscontrabile non solo a livello di contenuti, ma anche e in modo evidente a livello di metodo esegetico, in rapporto al quale l’assimilazione di un’impostazione aristotelica fa sì che la posizione tradizionale che vede la lettera subordinata allo spirito si ribalti in un nuovo privilegio accordato all’interpretazione letterale. Tra l’altro, il procedere in questo modo, partendo cioè da un testo esegetico, non impedirà affatto che della concezione etica di Alberto, per quanto inserita in una prospettiva teologica, emerga il carattere fondamentalmente razionalista. Solo in un secondo momento quindi approfondiremo il discorso rivolgendoci al commento all’Etica. Da tutto ciò non potrà tuttavia risultare una visione unitaria e sistematica del pensiero di Alberto, sia per il motivo già più volte ricordato della costitutiva ambiguità che deriva dal non poter prescindere dalla doppia dimensione filosofica e teologica, sia per il carattere onnicomprensivo e pluriarticolato del procedere albertino, la cui pretesa di una sempre maggiore completezza e esaustività, spesso va a discapito dell’unitarietà e coerenza interna.

Comunque sia, l’importanza di Alberto in rapporto allo sviluppo del pensiero medievale sull’etica consiste principalmente nel fatto che egli sia stato il primo a confrontarsi con il testo integrale dell’Etica Nicomachea aristotelica. L’impatto determinante che quest’opera ha avuto sul modo di concepire l’uomo e del suo agire morale in tutto il mondo occidentale passa quindi attraverso l’opera di Alberto.

Ma il nostro lavoro non finisce qui. Esso vorrebbe infatti avere una

presunzione ulteriore: considerare il paradigma etico di Alberto scorporandolo

dall’orizzonte storico in cui è collocato per valutarne, se possibile, l’ancora attuale

validità. È quanto faremo brevemente in conclusione, distinguendo in esso gli

elementi che irrimediabilmente rimangono legati a una contingenza storica

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VII

irrecuperabile e quelli che invece possono essere ancora di una qualche interesse per

la realtà dell’uomo ancora oggi.

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