• Non ci sono risultati.

SVILUPPO DELL’OCCHIO NEI VERTEBRATI

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "SVILUPPO DELL’OCCHIO NEI VERTEBRATI "

Copied!
34
0
0

Testo completo

(1)

INTRODUZIONE

(2)

Xenopus laevis COME SISTEMA MODELLO PER LO STUDIO DELLO SVILUPPO

Xenopus laevis (Fig. 1) è una rana acquatica, diffusa principalmente nel sud del continente africano, in particolare nella porzione a sud-est dell’ Africa sub-sahariana, dove trova in fiumi e stagni fangosi, il suo habitat naturale.

Figura 1 - Xenopus laevis

Nonostante la lunghezza del ciclo vitale e la scarsa conoscenza riguardo la sua genetica, Xenopus laevis è considerato uno dei più importanti organismi modello nello studio della biologia dello sviluppo. Uno dei motivi principali risiede nel fatto che tale organismo presenta fecondazione e sviluppo esterni: è possibile seguire direttamente le primissime fasi dello sviluppo osservando semplicemente l’embrione allo stereomicroscopio. Sono necessari infatti solo pochi giorni dalla fecondazione per ottenere un girino completamente formato (larva natante). Altre caratteristiche importanti riguardano la facilità di allevamento in laboratorio e la possibilità di ottenere da una singola fecondazione, una elevatissima quantità di embrioni.

Ciò permette di avere materiale sufficiente per le varie procedure sperimentali. Inoltre, per indurre la deposizione di uova nella femmina adulta, è sufficiente somministrarle l’ormone umano Gonadotropina corionica. Inoltre è possibile somministrare nuovamente l’ormone alla stessa femmina dopo averla lasciata pochi mesi a riposo. L’embrione offre anche la possibilità di micromanipolazioni (i blastomeri sono facilmente riconoscibili) e microchirurgia.

Dal punto di vista sperimentale, permette l’esecuzione di svariate tecniche di alterazione dell’espressione genica, tra cui, ad esempio, saggi di sovraespressione, attraverso l’iniezione di mRNA di geni selezionati (esperimento di ‘gain of function’), oppure saggi di inattivazione funzionale, attraverso l’iniezione di oligonucleotidi morpholino antisenso per bloccare la

(3)

funzione dei geni stessi. Permette anche di effettuare saggi di induzione, eseguiti combinando parti diverse dell’embrione.

La lunghezza del ciclo vitale (tre anni) e la sua condizione di pseudotetraploide (quattro copie dei singoli geni) rendono tale organismo non opportuno per esperimenti di genetica classica o per stabilire linee transgeniche (la transgenesi è possibile e viene fatta, il problema è ottenere delle linee, cioè il passaggio da una generazione all’altra). Infine è uno degli organismi modello che non presenta ancora il genoma interamente sequenziato.

CENNI SULLO SVILUPPO DEI VERTEBRATI: LE PRIME FASI

Tutti gli embrioni dei vertebrati attraversano una serie simile di stadi di sviluppo, mentre i dettagli riguardo lo sviluppo precoce differiscono tra le varie classi. Nonostante ciò, nel corso del loro sviluppo, tutte le classi dei vertebrati formano le stesse strutture di base.

Infatti, dai tre foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma, endoderma) generati dopo le prime fasi dello sviluppo, derivano le stesse strutture: l’ectoderma, ad esempio dà origine al tubo neurale, da cui derivano il cervello e il midollo spinale, mentre il mesoderma dà origine alla notocorda, struttura da cui derivano la colonna vertebrale ed i muscoli del tronco e degli arti. Le differenze nello sviluppo precoce fra i vertebrati sono principalmente correlate alle modalità di nutrizione e dalla quantità di nutrimento (deutoplasma) dell’embrione, grazie al quale le varie strutture embrionali si accrescono. Nel caso della maggior parte dei mammiferi, le cui uova non hanno deutoplasma, si devono sviluppare, per il nutrimento e l’accrescimento dell’embrione, apposite strutture extraembrionali (Wolpert, 2000).

SEGMENTAZIONE _ Prima fase dello sviluppo immediatamente successiva alla fecondazione e alla rotazione corticale dell’uovo, durante la quale l’embrione di divide in cellule sempre più piccole, senza però accrescere la sua massa totale. In Xenopus laevis (Fig.

2) la prima e la seconda divisione avvengono lungo l’asse animale-vegetativo, mentre la terza è equatoriale e perpendicolare rispetto alle prime due e divide l’embrione in otto cellule (dette blastomeri in questa fase dello sviluppo): quattro animali e quattro vegetative. La segmentazione, come detto, produce blastomeri sempre più piccoli, fino a quando, nella regione animale della massa embrionale, si forma una cavità piena di fluido, il blastocele. A questo punto l’embrione è detto blastula (Hausen et al., 1991)

(4)

Figura 2 - Storia dello sviluppo di Xenopus laevis

GASTRULAZIONE _ Fase dello sviluppo successiva alla segmentazione costituita da una serie di movimenti cellulari che producono i tre foglietti embrionali, i quali si dispongono nelle posizioni corrette per il futuro sviluppo. Al termine della gastrulazione l’ectoderma ricopre tutto l’embrione, mentre il mesoderma e l’endoderma sono migrati al suo interno. In Xenopus laevis la gastrulazione comincia con la comparsa del blastoporo, una piccola invaginazione sul lato dorsale dell’embrione. Attraverso il labbro dorsale del blastoporo, i futuri endoderma e mesoderma della zona marginale dorsale scorrono all’interno dell’embrione (detto gastrula in questa fase dello sviluppo) rimanendo strettamente adesi, e le loro cellule convergono e si estendono lungo l’asse antero-posteriore al di sotto dell’ectoderma, il quale, a sua volta, si espande dal polo animale in direzione vegetativa a ricoprire l’intero embrione. All’interno della gastrula, tra l’endoderma dorsale e le cellule

(5)

vegetative ricche di deutoplasma, si viene a creare uno spazio detto archenteron, che rappresenta il primordio della cavità intestinale. L’endoderma e il mesoderma continuano ad estendersi in direzione vegetativa intorno al blastoporo, fino a disegnare un cerchio completo.

Infine, il mesoderma laterale si espande su entrambi i lati in direzione ventrale e la superficie interna dell’archenteron viene completamente rivestita da uno strato di endoderma. Il mesoderma della regione dorsale inizia a formare la notocorda e i somiti (Hausen et al., 1991)

NEURULAZIONE _ Fase dello sviluppo successiva alla gastrulazione, in cui ha luogo la formazione del tubo neurale, il primordio embrionale di tutto il sistema nervoso centrale.

Sono due i sistemi più importanti impiegati per la formazione del tubo neurale. Uno di questi è la neurulazione primaria, in cui le cellule che circondano la piastra neurale inducono le cellule della stessa a proliferare e ad invaginarsi per formare un tubo cavo. L’altro sistema è la neurulazione secondaria, nel quale il tubo neurale deriva da un cordone di cellule che sprofonda dentro l’embrione e successivamente viene cavitato. I pesci, ad esempio, presentano esclusivamente quest’ultima tipologia di neurulazione. Negli Anfibi, come Xenopus, la maggior parte del tubo neurale proviene da una neurulazione di tipo primario, mentre la coda del tubo neurale da una neurulazione di tipo secondario (Gont et al., 1993)

Il processo di neurulazione primaria può essere suddiviso in quattro stadi distinti ma parzialmente sovrapposti dal punto di vista spaziale e temporale: (1) formazione della piastra neurale; (2) rimodellamento della piastra neurale; (3) incurvamento della piastra neurale e innalzamento delle pliche neurali per formare il solco neurale; (4) chiusura del solco neurale, che porta alla formazione del tubo neurale (Sausedo et al.,1997) (Fig. 3)

Figura 3 - Tre visioni della neurulazione in embrioni di anfibio, che mostrano la neurula a stadio precoce, intermedio e tardivo. (A)

Superficie dorsale dell’embrione; (B) Sezione sagittale attraverso il piano mediale

dell’embrione; (C) Sezione trasversale che passa per il centro dell’embrione (Gilbert, 2000)

(6)

(1)(2) Il processo di neurulazione ha inizio quando il sottostante mesoderma dorsale induce le cellule dell’ectoderma sovrastante ad allungarsi a formare le cellule colonnari della piastra neurale. La piastra neurale si allunga per tutto l’asse antero-posteriore, stringendosi posteriormente, in modo che il successivo incurvamento formi un tubo.

(3) I margini della piastra neurale si sollevano, originando le pliche neurali, che convergono lungo la linea mediana, delimitando inizialmente una doccia neurale (Balinsky, 1975).

(4) Nel momento in cui si è avuta la conversione delle pliche neurali lungo la linea mediana dorsale, il tubo neurale si chiude, le pliche aderiscono l’una con l’altra, e le cellule delle due pliche si fondono. In Xenopus, le cellule a livello di questa giunzione, formano le cellule della cresta neurale, che migrano e danno origine ad una notevole varietà di tessuti, tra cui i sistemi nervosi sensitivo e autonomo.

COMPARTIMENTAZIONE E DIFFERENZIAMENTO DEL TUBO NEURALE Il differenziamento del tubo neurale nelle diverse regioni del sistema nervoso centrale avviene contemporaneamente su tre differenti livelli. A livello anatomico, il tubo neurale ed il suo lume si gonfiano e si stringono a formare le cavità del cervello e del cordone spinale. A livello tissutale, la popolazione cellulare all’interno della parete del tubo neurale si ridispone a formare le diverse regioni funzionali del cervello e del cordone spinale. Infine, a livello cellulare, le cellule neuroepiteliali differenziano nei numerosi tipi di cellule nervose (neuroni) e di sostegno (glia) presenti nel sistema nervoso (Gilbert, 2000).

Già prima che la parte posteriore del tubo neurale abbia terminato la sua formazione, la parte più anteriore del tubo và incontro a notevoli cambiamenti. In tale regione, il tubo neurale si gonfia formando tre vescicole primarie: il prosencefalo, il mesencefalo e il romboencefalo (Fig. 4). Mentre l’estremità posteriore del tubo neurale si chiude, rigonfiamenti secondari (le vescicole ottiche) si estendono lateralmente su entrambi i lati del prosencefalo in via di sviluppo (Gilbert, 2000).

Successivamente il prosencefalo si divide in telencefalo (parte anteriore) e in diencefalo (parte più caudale del prosencefalo). Infine, il telencefalo da origine agli emisferi cerebrali, mentre il diencefalo forma le regioni del cervello corrispondenti al talamo e all’ipotalamo.

Mentre il mesencefalo non subisce alcuna divisione, il romboencefalo si divide dando origine posteriormente al mielencefalo e anteriormente al mesencefalo: il primo da origine al midollo allungato, l’altro al cervelletto (Fig. 4). Il romboencefalo sviluppa un pattern segmentale che specifica i vari punti da cui originano i nervi, dividendosi in piccoli compartimenti chiamati

(7)

rombomeri. Ciascun rombomero presenta un diverso destino di sviluppo, originando ciascuno un diverso cluster di cellule neuronali (gangli) (Gilbert, 2000).

Figura 4 - Sviluppo precoce del cervello umano. Le tre vescicole primarie del cervello vengono suddivise mentre prosegue lo sviluppo. Sulla destra è mostrata una lista di derivati adulti formati dalla parete e dalle cavità del cervello (Gilbert, 2000)

Oltre che lungo l’asse antero-posteriore, il tubo neurale è polarizzato anche lungo il suo asse dorso-ventrale per mezzo di segnali che provengono dalle zone circostanti. Il pattern dorsale è imposto da segnali provenienti dall’epidermide, mentre il pattern ventrale è indotto dalla notocorda. Nel cordone spinale, la regione dorsale è la sede in cui i neuroni spinali ricevono le informazioni dai neuroni sensoriali, mentre la regione ventrale è quella in cui risiedono i motoneuroni (Gilbert, 2000).

A livello cellulare, i neuroblasti, facenti parte del neuroepitelio pseudostratificato di cui è composto il tubo neurale, subiscono numerosi cicli di divisione simmetrica: quando il numero di cellule raggiunge un determinato limite iniziano cicli di divisione asimmetrica in cui la cellula figlia smette di moltiplicarsi e comincia a migrare (Cremisi et al., 2003). A differenza di ciò che accade nel midollo spinale, nell’encefalo i neuroblasti migrano al di sopra della zona marginale, in una posizione dipendente dal momento di uscita dal ciclo cellulare. Arrivati a destinazione, differenziano acquisendo le loro caratteristiche definitive e stabilendo le giuste connessioni con altri neuroni o tipi cellulari (McConnel e Kaznowski, 1991).

(8)

SVILUPPO DELL’OCCHIO NEI VERTEBRATI

L’occhio dei vertebrati rappresenta un sistema molto complesso, originato da una sequenza di processi di sviluppo strettamente collegati, sia dal punto di vista temporale che da quello spaziale. Tali processi richiedono specifici segnali induttivi e movimenti morfogenetici accurati. Molti aspetti concernenti lo sviluppo possono essere accostati allo sviluppo dell’occhio: l’induzione, poiché le differenti strutture dell’occhio sono progressivamente generate a partire da interazioni reciproche di tipo induttivo; la morfogenesi: le vescicole ottiche ad esempio provengono da evaginazioni del diencefalo; il ‘patterning’: l’occhio acquisice precise coordinate prossimo-distali, antero-posteriori e dorso-ventrali; la proliferazione cellulare: i precursori retinici vanno incontro ad un intenso periodo di proliferazione durante il quale il loro differenziamento viene inibito; determinazione e differenziamento cellulare: i precursori vengono determinati a dare le varie tipologie di cellule all’interno della retina (Vignali et al., 2003).

EVENTI MORFOGENETICI _ Dopo la formazione del tubo neurale, le cellule della regione ventrale anteriore del tubo (diencefalo), evaginano bilateralmente a formare le vescicole ottiche, che si estendono verso la parte dell’epidermide (ectoderma) destinata a generare il cristallino (Fig. 5-A). La formazione stessa del cristallino dipende dalla interazione tra le vescicole ottiche e l’ectoderma, poiché si è visto che questo processo viene bloccato dall’ablazione delle vescicole stesse (Spemann, 1938). E’ stato dimostrato che anche l’ectoderma gioca un ruolo decisivo nella formazione delle componenti generate dalla vescicola ottica: se la superficie dell’ectoderma è rimossa, non si sviluppa la retina neurale (Holtfreter, 1939). Però la vescicola ottica non è sufficiente da sola a formare il cristallino, in nessun punto dell’epidermide (Grainger et al., 1988). In realtà, la formazione del cristallino, è il risultato di una serie di interazioni induttive, che cominciano precedentemente al contatto tra ectoderma e vescicola ottica. Durante la gastrulazione, il tessuto corrispondente alla piastra neurale anteriore presuntiva induce, tramite segnali planari, l’ectoderma che genererà il cristallino e quello circostante a diventare competente a rispondere alla vescicola ottica (Henry e Grainger, 1990; Grainger, 1992), che risulterà quindi necessaria non tanto per l’induzione iniziale del cristallino, quanto per la sua corretta localizzazione nella regione di ectoderma competente. A questo punto, il placode del cristallino indotto evagina e forma la vescicola del cristallino, che a sua volta interagisce con la vescicola ottica (Fig. 5-B), inducendone l’invaginazione. Questo porta alla formazione di una struttura a coppa bi- stratificata, la coppa ottica (Fig. 5-C).

(9)

Figura 5 - La morfogenesi del’occhio. (A) La vescicola ottica evagina dal diencefalo, raggiunge la superficie dell’ectoderma inducendo il placode del cristallino. (B-C) La vescicola del cristallino invagina inducendo la vescicola ottica a formare una struttura a coppa. (D-E) La coppa ottica differenzia i suoi due strati in retina neurale ed epitelio pigmentato, mentre il cristallino termina il differenziamento.

Lo strato più esterno si sviluppa in epitelio pigmentato retinico, mentre quello più interno in retina neurale, lo strato sensoriale dell’occhio (Fig. 5-D-E). Il restante ectoderma che ricopre il cristallino diventa lo strato più esterno della cornea. Inoltre, mentre la vescicola ottica si espande lateralmente, rimane connessa al cervello tramite il peduncolo ottico, il quale è mantenuto per tutto lo sviluppo e rappresenta il substrato migratorio per i neuroni che si estendono dalla retina neurale fino al cervello, dove si connettono ai centri visivi, localizzati nel tetto ottico. Questi neuroni, tutti insieme, costituiscono il nervo ottico. Inoltre la retina neurale produce anche la componente di matrice extracellulare chiamata corpo vitreo, che occupa la cavità posteriore dell’occhio.

CRISTALLINO E CORNEA _ Il cristallino consiste di due tipi cellulari correlati, le fibre, che comprendono la maggior parte del cristallino, e l’epitelio, che delimita le fibre sulla superficie anteriore. Subito dopo la formazione della vescicola del cristallino, le cellule posteriori in prossimità della coppa ottica (Fig. 6-A), sotto l’influsso di una combinazione di fattori di crescita dell’umore vitreo, diventano post-mitotiche ed iniziano ad allungarsi verso la superficie anteriore, occupando interamente la vescicola del cristallino (Fig. 6-B) ed

(10)

andando a formare le fibre primarie. Le cellule della vescicola del cristallino che si trovano sul lato opposto rispetto alla coppa ottica formano l’epitelio, un monostrato di cellule che mantengono la loro struttura epiteliale e il loro potenziale proliferativo. La continua crescita del cristallino dipende dalla proliferazione regolata delle cellule epiteliali seguita dalla loro migrazione posteriore e differenziamento in fibre secondarie (McAvoy, 1980; Piatigorsky, 1981), che si dispongono ad anelli concentrici rispetto alle fibre primarie (Fig. 6-C).

Figura 6 - ‘Patterns’ di proliferazione nel cristallino di topo. (A) A stadi embrionali precoci quasi tutte le cellule della vescicola del cristallino hanno la capacità di proliferare (nuclei rossi). (B) Le fibre primarie hanno occupato la vescicola del cristallino. La proliferazione è limitata all’epitelio anteriore (nuclei rossi), mentre le fibre primarie e le cellule nella zona di transizione sono uscite dal ciclo cellulare. (C) Dopo la nascita, la regione ad alto tasso di proliferazione è ristretta alla zona germinativa (nuclei rossi) , mentre le cellule differenzianti in fibre secondarie nella zona di transizione sono post-mitotiche (nuclei neri). Nell’epitelio centrale la maggior parte delle cellule sono in stato quiescente (nuclei blu). C, cornea; CB, corpo ciliare; CE, epitelio centrale; R, retina; TZ, zona di transizione (Griep,2006)

Le cellule portatesi verso il lato posteriore del cristallino, come iniziano ad allungarsi in fibre primarie, perdono le loro capacità proliferative. Con il procedere dello sviluppo, cresce all’interno dell’epitelio, una distinta compartimentazione di regioni con alto tasso di proliferazione, e regioni con un tasso proliferativo sostanzialmente più basso. Quindi sono messe in risalto tre zone: un epitelio centrale caratterizzato da un basso tasso proliferativo con la maggior parte delle cellule in uno stato quiescente, una zona di proliferazione o germinativa con un alto tasso di proliferazione posta anteriormente rispetto all’equatore, e una zona di transizione posteriore all’equatore, dove non si osserva proliferazione (Griep, 2006).

La cornea è il rivestimento chiaro che ricopre la superficie anteriore dell’occhio. Serve a proteggere l’occhio e a focalizzare la luce sul cristallino. Subito dopo che il cristallino si è separato dall’ectoderma superficiale, la cornea presuntiva risulta essere composta da un

(11)

singolo strato epiteliale. Il contatto con il cristallino avvia una nuova ondata di induzione, che portano ad un primo cambiamento nella struttura della cornea. Le cellule dell’epitelio della cornea si allungano ed iniziano a secernere collagene di tipo I, II, e IX, per formare lo stroma primario. In seguito, cellule provenienti dal margine della coppa ottica (Noden, 1978;

Johnston et al., 1979), derivate dalle creste neurali migrano lungo e sotto la superficie dello stroma e sulla capsula del cristallino. Una volta che queste hanno formato un monostrato di cellule, vengono trasformate da una popolazione cellulare di tipo mesenchimale ad uno strato epiteliale definito endotelio, che separerà lo stroma dalla camera anteriore dell’occhio (Hay e Revel, 1969; Bard et al., 1975). Poi, le cellule endoteliali appena prodotte secernono acido ialuronico nello stroma primario (Trelstad et al., 1974), e ciò permette ad esso di dilatarsi, creando più spazio e rendendo più facile l’invasione da parte di altre cellule. Infatti, cellule mesenchimali, anch’esse derivate dalle creste neurali, invadono lo stroma multistratificato e secernono ulteriore collagene formando lo stroma secondario (Bard e Higginson, 1977). Una volta che il secondo strato di collagene è stato depositato, la cornea si restringe e successivamente diventa trasparente. Questo a causa dei fibroblasti dello stroma, che producono ialuronidasi, il quale digerisce l’acido ialuronico della cornea, causandone il restringimento.

RETINA NEURALE ED EPITELIO PIGMENTATO RETINICO _ Durante lo sviluppo dei vertebrati, e quindi anche durante la crescita della vescicola ottica, ha luogo un aumento logaritmico del numero di cellule, accompagnato da un decremento logaritmico della loro grandezza, indicativa di divisioni simmetriche da parte dei precursori cellulari retinici (Holt et al., 1988; Harris e Hartestein, 1991). Nel momento in cui le cellule iniziano ad uscire dal ciclo cellulare, è probabile che ci sia un aumentato scambio verso una divisione cellulare di tipo asimmetrico.

Il processo di differenziamento delle cellule retiniche (Fig. 7-A,B) porta alla suddivisione della stessa in strati diversi: tre strati nucleari (strato nucleare interno, strato nucleare esterno e strato delle cellule gangliari), che presentano i corpi cellulari di diversi neuroni, e due strati plessiformi (strato plessiforme interno ed esterno), dove i processi cellulari che si estendono dagli strati nucleari adiacenti sinaptano gli uni con gli altri (Fig 7- C).

(12)

Figura 7 - Sviluppo della retina. (A, B) Iniziale seprazione dei neuroblasti all’interno della retina. (C) I tre strati nucleari e i due strati plessiformi interposti. (D) Descrizione funzionale del pathway neuronale nella retina. La luce attraversa gli strati fino a che è ricevuta dai fotorecettori, i cui assoni sinaptano con i neuroni bipolari, che trasmettono segnali elettrici alle cellule gangliari. Gli assoni delle cellule gangliari si uniscono a formare il nervo ottico, che penetra nel cervello. (Gilbert, 2000).

I due strati plessiformi sono intercalati dai tre strati nucleari. Lo strato nucleare esterno è costituito da due importanti classi di fotorecettori, i coni e i bastoncelli. Lo strato nucleare interno è invece costituito dalle cellule di Müller, le uniche cellule gliali intrinseche nella retina, oltre che dalle cellule orizzontali, bipolari e amacrine. I bastoncelli e i coni sinaptano con le cellule bipolari e quelle orizzontali nello strato plessiforme esterno, mentre le cellule bipolari e quelle amacrine sinaptano con le cellule gangliari nello strato plessiforme interno.

Lo strato delle cellule gangliari è composto da una varietà di sottotipi di cellule gangliari retiniche che mandano i loro assoni attraverso il nervo ottico ai vari target a livello del cervello (Fig. 7-D)

La retina neurale presuntiva della vescicola ottica è un semplice epitelio colonnare, come il tubo neurale da cui si è sviluppata. Le cellule della retina presuntiva poi passano attraverso diverse serie di divisioni cellulari. I corpi cellulari migrano verso lo strato esterno della retina (lo strato adiacente a quello pigmentato), dove si dividono per poi migrare nuovamente verso lo strato interno. Questa divisione porta ad un ispessimento dell’epitelio retinico. Come risultato della divisione, del movimento, oltre che del differenziamento cellulare, la retina diventa stratificata. La sequenza con cui i vari tipi cellulari, nello sviluppo della retina neurale, vengono prodotti è abbondantemente conservata tra i vertebrati. Le cellule gangliari sono le prime ad essere generate, seguite dai coni e dalle cellule orizzontali, mentre i bastoncelli e le cellule di Müller sono le ultime (Sidman, 1961; Morest, 1970; Kahn, 1974; Holt et al., 1988). Da sottolineare come esista una compressione temporale nella istogenesi retinica dello Xenopus (Jacobson, 1968; Holt et al, 1988), che dura circa

(13)

ventiquattro ore, rispetto, ad esempio, a quella dei mammiferi, la cui istogenesi retinica dura molte settimane.

Ovviamente, dietro questo progressivo processo di differenziamento, esistono una serie di regolatori trascrizionali, che avviano una cascata genetica che provoca l’espressione di diverse combinazioni di fattori di trascrizione nei precursori indirizzati ai diversi strati, ed è ritenuto che queste combinazioni siano rilevanti alla decisione del destino cellulare all’interno della retina (Perron et al., 1998). L’attivazione sequenziale di questi geni durante la retinogenesi è stata dedotta studiando il loro pattern di espressione in un area specializzata della retina differenziata periferica dello Xenopus, la zona marginale ciliare (CMZ), dove la retinogenesi prosegue per tutta la vita (Perron et al., 1998). Le più giovani indeterminate cellule staminali sono le più vicine alla periferia della zona marginale ciliare, i retinoblasti pluripotenti si trovano a metà, mentre le cellule presenti a livello del bordo centrale hanno smesso di dividersi e sono entrati nel processo di differenziamento (Dorsky et al., 1995). Il fatto che la CMZ occupi una posizione periferica nella retina rispecchia un processo di sviluppo che procede lungo una dimensione spaziale. Quindi una analisi spaziale delle cellule nella CMZ fornisce una visione delle sequenze di sviluppo che hanno luogo durante il differenziamento neuronale retinico.

Le cellule dell’epitelio pigmentato retinico provengono dal neuroepitelio ottico multipotente, si sviluppano in stretta prossimità della retina, restano radicate localmente nel loro ambiente epiteliale e sono indispensabili sia per l’organogenesi dell’occhio che per la visione (Barthi et al., 2006). Sono cellule cuboidali che sul loro lato apicale formano dei villi multipli, che prendono contatto con i segmenti esterni delle cellule fotorecettrici (Clark, 1986). Durante l’embriogenesi partecipano alla formazione del corpo ciliare e dell’iride, controllano la chiusura della fessura ottica, influiscono sulla neurogenesi retinica e sulle proiezioni delle cellule gangliari e sono coinvolte nella regolazione della vascolatura coroidale (Chow e Lang, 2001; Martinez-Morales et al., 2004). Colture di espianti hanno evidenziato che il neuroepitelio ottico precoce è in grado in linea di principio, di generare ogni suo sottodominio (retina, epitelio pigmentato retinico e peduncolo ottico), a partire da ogni sua collocazione anatomica (distale, prossimale, dorsale e ventrale) (Moshiri et al., 2004). Inoltre è stata messa in evidenza, in esperimenti sul pollo, anche l’importanza del mesenchima extraoculare nello sviluppo dell’epitelio pigmentato retinico (Fuhrmann et al., 2000). In seguito alla rimozione del mesenchima, vescicole ottiche di pollo espiantate mostrano una de-regolazione dei marcatori tipici dell’epitelio pigmentato e una concomitante sovra-regolazione dei marcatori neuroretinici.

(14)

INDUZIONE NEURALE E SPECIFICAZIONE DEL CAMPO MORFOGENETICO DELL’OCCHIO (‘EYE FIELD’)

Lo sviluppo dell’occhio è strettamente collegato al processo di induzione neurale. Un primo modello semplificato per spiegare l’induzione neurale e il ‘patterning’ antero-posteriore del sistema nervoso centrale venne proposto da Nieuwkoop (Nieuwkoop et al., 1952;

Nieuwkoop e Nigtevecht, 1954). Tale modello indica che un iniziale step di ‘attivazione’

converte l’intero ectoderma dorsale in neuroectoderma anteriore, mentre un successivo step di

‘trasformazione’ agisce per posteriorizzare gradualmente parte del tessuto neurale indotto.

Inoltre, espiantando ectoderma da embrioni a stadio di blastula tardiva (animal caps), Nieuwkoop osservò che, se questi espianti venivano coltivati da soli, davano origine a tessuto di tipo epidermico non neurale, ma se le cellule degli espianti venivano dissociate e riaggregate, queste differenziavano in tessto neurale anteriore (Nieuwkoop, 1963). Il punto importante in questo esperimento era che tali espianti, in assenza di mesoderma e di endoderma (possibili fonti induttive), davano origine a cervello anteriore, placodi olfattivi e strutture ottiche (Niewkoop, 1963). A livello molecolare, il processo di induzione neurale è mediato da molecole quali Chordin, Noggin, Follistatin, Cerberus, xnr3 (Harland, 2000;

Weinstein e Hemmati-Brivanlou, 1999) che antagonizzano l’azione anti-neuralizzante della proteina morfogenetica BMP. Quando espianti ectodermici di Xenopus, vengono iniettati con mRNA codificante uno di questi inibitori, questi si comportano esattamente come gli espianti di Nieuwkoop dissociati e riaggregati, dando origine a strutture di origine neurale anteriore, inclusi gli occhi. Siccome in tali espianti il potenziale induttivo del mesoderma e dell’endoderma è assente, è chiaro che i meccanismi molecolari che dirigono la specificazione dell’occhio stanno a valle dell’induzione neurale e sono intrinseci allo sviluppo del tessuto neurale anteriore. A livello molecolare, l’iniezione dell’mRNA di noggin e chordin è in grado di indurre marker neurali in animal caps (Andreazzoli et al., 1999; Lupo et al., 2002), indicando che l’inibizione di BMP può essere sufficiente per le fasi iniziali della specificazione del campo ottico. Comunque, oltre all’inibizione di BMP, esistono altri segnali addizionali che sono coinvolti e integrano l’induzione e il patterning del sistema nervoso centrale inclusi gli occhi.

In Xenopus laevis, studi di embriologia sperimentale hanno mostrato che il campo ottico e i territori della retina presuntiva associati, sono localizzati nella piastra neurale anteriore. I geni più precoci responsabili della regionalizzazione della piastra neurale anteriore sono gli Xotx, che demarcano il neuroectoderma anteriore (Blitz e Cho, 1995; Pannese et al., 1995;

(15)

Vignali et al., 2000). Esperimenti di ‘gene targeting’ nel topo e di espressione di un costrutto repressore dominante in Xenopus, hanno dimostrato l’importanza di Otx2 nello sviluppo del cervello anteriore: in entrambi i casi l’assenza della funzione di Otx2 porta ad embrioni mancanti sia della parte mediana che di quella anteriore del cervello, inclusi gli occhi (Acampora et al., 1995; Isaacs et al., 1999; Gammil e Sive, 2001). Otx2 è un membro della famiglia di fattori di trascrizione correlati ad orthodenticle, che contiene un omeodominio della classe bicoid (Simeone et al., 1993). La sua espressione precede quella di altri fattori di trascrizione precoci dello sviluppo dell’occhio (Pax6, Six3 e Xrx1). Malgrado Otx2 sia richiesto per la specificazione della piastra neurale anteriore, la successiva formazione del campo ottico ne richiede una locale repressione. Tra la fine della gastrulazione e l’inizio della neurulazione, l’espressione di Otx2 viene repressa nei territori della retina, dove i geni per i fattori di trascrizione specifici vengono attivati. Infatti, la perdita dell’espressione di Otx2 a livello del campo ottico, è sincronizzata con l’induzione di molti fattori di trascrizione propri del campo ottico stesso (Zuber et al., 2003). La de-regolazione di Otx2 nel campo ottico precoce indica che questo gene apparentemente non partecipa alla sua determinazione e quantomeno neanche alle fasi precoci dello sviluppo dell’occhio. Un ruolo attivo nella de- regolazione di Otx2 a livello del campo ottico presuntivo viene svolto da Xrx1, un gene homeobox che è in grado di reprimere l’espressione di Xotx2 nel campo ottico ed è richiesto per lo sviluppo dell’occhio nei vertebrati (Mathers et al., 1997; Andreazzoli et al., 1999).

Evidenze sperimentali indicano che il campo ottico viene specificato successivamente lo stadio di mid-gastrula (Lupo et al., 2002). Come nella Salamandra, anche espianti di piastra neurale di Xenopus laevis formano tessuto ottico in vitro. Quando espianti di piastra neurale anteriore vengono isolati con il sottostante mesoderma precordale a stadio 12.5, si formano due retine, dimostrando che il campo ottico, a stadio 12.5, risulta essere già specificato (Li et al., 1997)

E’ chiaro che un singolo campo morfogenetico dell’occhio deve dare origine a due strutture oculari. Oltre al lavoro pionieristico di Adelmann, che alla fine degli anni venti, dimostrò che regioni trapiantate della linea mediana della piastra neurale anteriore, possedevano il potenziale per formare un occhio, Mangold fece la singolare osservazione che se il mesoderma precordale sottostante la piastra neurale anteriore di Triton veniva rimosso, si sarebbero sviluppati girini ciclopici (Mangold, 1931). Questo lavoro sosteneva l’ipotesi del campo ottico singolo, e forniva una prima evidenza del fatto che il mesoderma precordale agisca impedendo la formazione dell’occhio lungo la linea mediana. Quindi sembra che il mesoderma precordale, ad un certo stadio di sviluppo, permetta la divisione del campo ottico

(16)

singolo in due campi ottici distinti che poi daranno origine alle due strutture oculari.

Esperimenti simili a quelli di Mangold sono stati poi ripetuti sia in Xenopus (Li et al., 1997), che nel pollo (Pera e Kessel, 1997), confermando il ruolo inibitorio svolto dal mesoderma precordale. Infatti, due dei geni responsabili della determinazione del campo ottico (Pax6 e ET), regolarmente espressi nell’ampio dominio che si estende, seguendo il completamento della gastrulazione, nella linea mediana dorsale-anteriore, mostrano durante la neurulazione repressione della propria espressione a livello della linea mediana. Questo porta alla formazione di due domini distinti che demarcano l’occhio presuntivo. Inoltre, a conferma di questo, la rimozione del mesoderma precordale negli embrioni e negli espianti porta ad una persistenza dell’espressione a livello della linea median di Pax6 ed ET (Li et al., 1997; Pera e Kessel, 1997). Infine, studi in zebrafish hanno evidenziato come il gene cyclops (cyc) è espresso nel mesoderma precordale ed è necessario per la generazione di due occhi. Gli Zebrafish con una perdita di funzione di cyc sono caratterizzati da un’assenza di segnale a livello della linea mediana che porta a ciclopia e alla mancata formazione del cervello anteriore ventrale (Ekker et al., 1995; Hatta et al., 1991; Macdonald et al., 1995).

UNA RETE DI FATTORI DI TRASCRIZIONE REGOLA LO SVILUPPO DEL’OCCHIO NEI VERTEBRATI

Il campo ottico risulta quindi già specificato allo stadio di piastra neurale, quando un gruppo di fattori di trascrizione, denominati Fattori di Trascrizione del Campo Ottico (EFTFs,

‘Eye Field Transcription Factors’), sono espressi a livello della piastra neurale anteriore. I geni codificanti i fattori di trascrizione del campo ottico sono ET, Rx1, Pax6, Six3, Lhx2, tll e Optx2. Evidenze genetiche dimostrano chiaramente l’importanza di ciascuno di questi fattori di trascrizione nella formazione dell’occhio dei vertebrati. Ad esempio, il ruolo del gene Pax6 nei vertebrati è stato verificato tramite analisi fenotipica di topi recanti una perdita di funzione del gene stesso (Callaerts et al.,1997; Treisman, 1999). Questi topi, oltre a mostrare difetti nello sviluppo del cervello e del naso, mostrano vescicole ottiche formate in modo anormale e una completa assenza di cristallini. Inoltre, quando sovraespresso, Pax6 riesce da solo ad indurre un occhio completo. Anche nell’uomo mutazioni di Pax6, Six3 e Optx2 portano a malformazioni che colpiscono gli occhi (Wawersik e Maas, 2000). Mutazioni spontanee o provocate in Rx, Lhx2, Tll, Six3 e Six6 (Optx2) nel topo, portano a sviluppare animali senza occhi o con occhi anormali (Hill et al., 1991; Lagutin et al., 2003; Li et al., 2002; Mathers et

(17)

al., 1997; Porter et al., 1997; Tucker et al., 2001; Yu et al., 2000). Inoltre è stato dimostrato come la sovraespressione di Pax6, Six3, Rx e Optx2 può espandere o indurre tessuto ottico nel sistema nervoso dei vertebrati (Andreazzoli et al., 1999; Bernier et al., 2000; Chow et al., 1999; Chuang e Raymond, 2001; Loosli et al., 1999; Mathers et al., 1997; Oliver et al., 1996;

Zuber et al., 1999).

Analisi effettuate per RT-PCR, mostrano come cinque (Pax6, Six3, Rx1, Tll e Lhx2) dei sette fattori di trascrizione del campo ottico mostrino quasi simultaneamente una forte espressione tra gli stadi 12 e 12.5. Questo indica una stretta correlazione tra questi 5 fattori, che si attivano tutti nell’arco di soli 30 minuti. Gli altri due fattori di trascrizione (ET e Optx2) mostrano una espressione altrettanto forte a stadio 14/15 (Zuber et al., 2003).

ET, Pax6, Six3, Rx1 e Lhx2 risultano tutti visibili (esperimenti di ibridazione in situ whole mount, ‘W.I.S.H.’) nel campo ottico presuntivo prima del completamento della gastrulazione e l’inizio della neurulazione (stadio 12). Rx1 è espresso precisamente entro i limiti interni del ‘buco’ del dominio di espressione di Otx2. All’interno del dominio di Rx1, ci sono anche i più piccoli domini di espressione di Lhx2 ed ET. Sia i domini di espressione di Pax6 che quello di Six3 sono leggermente più larghi rispetto a quello di Rx1, e si sovrappongono a quello di Otx2 (Zuber et al., 2003). A stadio 12.5, ET, Pax6, Six3, Rx1 e Lhx2 hanno domini di espressione sovrapponentesi, ma non identici. Il dominio di espressione di ET risulta essere quello più ristretto all’interno del campo ottico presuntivo, mentre quello di Six3 è il più esteso (Fig. 8-A) (Zuber et al., 2003).

Figura 8 - Patterns dei fattori di trascrizione del campo ottico sovrapposti a stadio 12.5 (A) e stadio 15 (B) (Zuber et al., 2003)

Dallo stadio di mid-neurula (14/15) (Fig. 8-B), può essere individuata anche l’espressione di Tll e Optx2. Tll è inizialmente osservato in una ristretta striscia di cellule nella

(18)

regione precordale della piastra neurale. Il dominio di espressione di Tll si sovrappone a quello posteriore e laterale di Pax6. I domini di espressione di Rx1, ET e Optx2 confinano, ma non si sovrappongono in maniera significativa con il dominio di Tll. Questi risultati indicano che è improbabile che Tll sia richiesto per la specificazione del campo ottico, dato che è espresso dopo che il campo ottico stesso si forma e si sovrappone soltanto parzialmente con tale regione (Zuber et al., 2003) I trascritti di Optx2 sono individuati all’interno dei domini di espressione di Pax6, Six3, Rx1 e Lhx2 (Fig 8-B). Alcuni di questi fattori di trascrizione localizzano parte del loro dominio di espressione fuori dal campo ottico definitivo, ma ciò è coerente con il ruolo di geni come Pax6 e Six3 nello sviluppo di altri strutture vicine, come l’epitelio olfattivo e l’ipotalamo (Lagutin et al., 2003; Oliver et al., 1995; Van Heyningen e Williamson, 2002).

L’espressione coordinata di un cocktail dei fattori di trascrizione del campo ottico più Otx2, induce campi ottici ectopici ed epitelio pigmentato retinico ectopico in embrioni iniettati, oltre che l’espressione di Lhx2, tenuto appositamente fuori dal cocktail, ed utilizzato come marcatore di eventuali campi ottici ectopici. Inoltre in parte di questi embrioni viene indotto lo sviluppo di occhi ectopici abbastanza grandi (Fig. 9) (Zuber et al., 2003).

Figura 9 - Embrioni iniettati con Otx2, ET, Pax6, Six3, Rx1, Tll e Optx2 mRNA, e cresciuti fino a stadio 45.

Le frecce indicano gli occhi ectopici, le punte di freccia invece i cristallini (Zuber et al., 2003)

Inoltre, iniettando cocktail mancanti di volta in volta di ciascuno di questi fattori di trascrizione, si è visto che la più importante riduzione di tessuto ottico si aveva quando era Pax6 ad essere rimosso. Anche la rimozione di Otx2, Six3 ed ET dal cocktail portava a riduzioni importanti del tessuto ottico ectopico. La rimozione di Rx1, Optx2 e Tll invece colpiva l’induzione di tessuto ottico ectopico in modo minore. Quello che succede con la rimozione di Pax6, Six3 e Otx2 è coerente con il loro ruolo centrale sulla formazione dell’occhio, stabilito da studi precedenti. Mentre per gli altri geni il minor effetto seguito alla loro rimozione è probabilmente dovuto al fatto che tali geni possono essere comunque indotti dagli altri fattori di trascrizione del campo ottico presenti nel cocktail, che compensano la loro rimozione (Zuber et al., 2003).

(19)

L’induttore neurale Noggin aumenta l’espressione di tutti i fattori di trascrizione del campo ottico eccetto quella di ET, che è represso fortemente. Inoltre Otx2 non è in grado di indurre nessuno di questi fattori di trascrizione, indicando che la loro regolazione è indipendente da Otx2 stesso. Però, la co-espressione di Otx2 e Noggin, non solo recupera l’espressione di ET, ma aumenta i livelli di ET rispetto ai controlli in maniera dose- dipendente. Ciò indica un ruolo potenzialmente cruciale di Otx2 nella formazione del campo ottico. Da sola l’induzione neurale porta ad una piastra neurale resistente all’espressione di ET per effetto di noggin. Però la successiva espressione di Otx2 nella piastra neurale anteriore consente l’espressione di ET e forse la successiva formazione del campo ottico (Zuber et al., 2003).

In esperimenti di sovraespressione, si è visto che a stadio 13 Rx1 non ha effetti sull’espressione di ET, mentre quest’ultimo induce fortemente l’espressione di Rx1, che comunque veniva osservata solo nella piastra neurale anteriore nella regione del campo ottico presuntivo. Probabilmente la de-regolazione di Otx2 mediata da Rx1 nel campo ottico può essere spiegata dal fatto che ET induce l’espressione di Rx1, che poi reprime Otx2 (Zuber et al., 2003).

Anche Noggin, come detto potenzia l’azione di Rx1, però il fatto che lo faccia mentre allo stesso tempo reprime ET, significa che deve esistere una via parallela per l’induzione di Rx1 e che l’espressione di ET non è essenziale per l’induzione di Rx1 stesso (Zuber et al., 2003).

Per poter meglio comprendere la rete nella quale questi fattori di trascrizione sono organizzati, sono stati iniettati embrioni con uno di questi fattori per volta e poi è stato eseguito uno screening per RT-PCR su caps iniettati per valutare i cambiamenti dell’espressione degli altri fattori di trascrizione del campo ottico. Questa analisi ha portato al seguente risultato (Fig. 10): ET, posizionato davanti al circuito, induce l’espressione di Rx1, Lhx2 e Tll, che, a turno, rispettivamente, inducono Pax6:Lhx2:Tll:Optx2, Pax6 e Pax6:Six3:Lhx2. Optx2, l’ultimo di questi geni ad essere espresso durante la formazione dell’occhio, è indotto sia da Pax6 che da Rx1, ed è incapace di indurre nessuno dei fattori di trascrizione del campo ottico espressi più precocemente.

Figura 10 - Modello di induzione del campo ottico nella piastra neurale anteriore (Zuber et al., 2003)

(20)

Pax6 e Six3, che precedenti studi hanno dimostrato essere centrali nella formazione dell’occhio, inducono ciascuno l’espressione dell’altro, oltre che quella di Lhx2 e Tll (Fig.10).

Questi ultimi due vengono indotti rispettivamente da cinque e da quattro dei sei fattori di trascrizione del campo ottico, confermando l’ipotesi che una quantità sufficiente di questi geni potrebbe essere indotta dai restanti fattori per compensare la loro rimozione dal cocktail di fattori di trascrizione inducente occhi ectopici (Zuber et al., 2003).

Il FATTORE DI TRASCRIZIONE Rx1

I geni Rx possiedono una struttura molto conservata e, dal momento della loro scoperta, sono stati descritti in molte specie di vertebrati ed invertebrati inclusi pollo, Xenopus, topo, medaka, Drosophila, zebrafish e uomo (Casarosa et al., 1997; Eggert et al., 1998; Furukawa et al.,1997; Loosli et al., 2001; Mathers et al., 1997; Ohuchi et al., 1999).

Sono geni homeobox appartenenti alla classe paired-like (correlati alla classe di geni homeobox paired (Bürglin, 1994)), in cui l’omeodominio possiede in posizione 50 un residuo di glutammina al posto di un residuo serina (presente nella classe paired) ed ha una regione N-terminale altamente conservata. Presentano un octapeptide HSIEAILG e un motivo OAR di trans-attivazione (Fig. 11)

Figura 11 - Domini funzionali di un omologo di Rx. OCT:

octapeptide, Hd: omeodominio, OAR: dominio di trans-attivazione.

Il numero degli omologhi di Rx varia tra le diverse specie, generalmente sono presenti da uno a tre omologhi. Inoltre gli omeodomini delle proteine Rx sono molto ben conservati.

Il pattern di espressione dei geni Rx nelle differenti specie è simile, ma non identico. L’omologo murino di Rx (Mrx) è inizialmente attivato nella piastra neurale anteriore dell’embrione, poi l’espressione rimane confinata alla retina in via di sviluppo e alla porzione ventrale del cervello anteriore. Poi si ha una espressione uniforme del gene a livello della retina neurale, mentre a stadi più tardivi si assiste ad una progressiva riduzione dell’espressione, che comincia in concomitanza con la perdita dell’attività proliferativa negli strati celulari retinici (Mathers et al., 1997). Lo Zebrafish invece presenta tre omologhi del gene Rx. Tutti e tre gli omologhi inizialmente sono attivati in aree analoghe nella piastra

(21)

neurale anteriore, ma più tardi nello sviluppo, Zrx1 e Zrx2 rimangono attivi esclusivamente nella retina, mentre Zrx3 continua ad essere espresso a livello dell’ipotalamo ventrale (Chuang et al., 1999; Chuang e Raymond, 2001; Mathers et al., 1997) In medaka, Rx3 è inizialmente espresso a stadio di gastrulazione tardiva e, dallo stadio di neurula precoce, risulta fortemente espresso in un singolo campo del cervello anteriore in via di sviluppo. A stadio di neurula tardiva, l’espressione del gene si aggiunge anche a livello della retina presuntiva, ma questa espressione poi è progressivamente persa dal momento in cui l’embrione procede attraverso la somitogenesi, lasciando un espressione intensa solo nel diencefalo ventrale (Deschet et al., 1999). Nel pollo invece sono stati trovati due omologhi di Rx: cRax e cRaxL. Durante la neurulazione, cRax è espresso in un modo simile all’espressione di Rx nel topo (nella retina presuntiva e nella porzione ventrale del cervello anteriore) (Ohuchi et al., 1999). cRaxL è espresso nell’ectoderma neurale anteriore, un po’ più tardi rispetto a cRax. Durante il differenziamento cellulare della retina cRaxL è espresso negli stadi iniziali del differenziamento dei fotorecettori. cRax invece non è espresso nelle cellule fotorecettrici (Chen e Cepko, 2002).

Lo studio degli effetti fenotipici imposti da mutazioni spontanee o indotte degli omologhi di Rx, ha aiutato a comprendere meglio la sua funzione. Embrioni di topo Mrx -/- non possiedono strutture ottiche visibili, mentre topi Mrx +/- sono apparentemente normali. Il fenotipo anormale degli embrioni omozigoti ha luogo a causa del fallimento nella formazione dei solchi ottici che originano le coppe ottiche. Ciò indica che Rx è essenziale per l’avvio dello sviluppo dell’occhio (Bailey et al., 2004). In medaka, una mutazione che colpisce il gene Rx3, porta alla mancata formazione dell’occhio (Loosli et al., 2001). In Zebrafish, una mutazione che inserisce un codone di stop dentro l’omeodominio di Rx3, porta il pesce mutante a non sviluppare occhi (Loosli et al., 2003). In Xenopus, invece, la perdita di funzione di Rx provocata usando un costrutto dominante negativo di Rx o attraverso l’uso di morpholino specifico contro Rx, porta ad embrioni con riduzione o perdita di occhi e di parte anteriore della testa (Andreazzoli et al., 1999; Andreazzoli et al., 2003). Nel pollo, un allele dominante-negativo di RaxL, introdotto utilizzando un vettore retrovirale nel tessuto ottico precoce, porta ad una significativa riduzione dell’espressione dei marcatori precoci delle cellule fotorecettrici (Chen e Cepko, 2002). Infine, nell’uomo, mutazioni di Rx provocano anoftalmia e sclerocornea (Voronina et al., 2004).

Tutto ciò dimostra la conservazione di questo gene tra i vertebrati, sia per quanto riguarda la sua funzione, decisiva per la formazione dell’occhio, che per quanto riguarda la sua espressione.

(22)

In Xenopus, il gene Rx è stato isolato da ectoderma di embrioni trattato con 10mM di NH4Cl, che inizia a formare epidermide e ad esprimere geni specifici della regione anteriore della testa (Jamrich e Sato, 1989; Mathers et al., 1995; Picard, 1975; Sive et al., 1989). E’ stato fatto uno screening su cDNA proveniente da tale ectoderma indotto alla ricerca di geni contenenti homeobox. Sono stati isolati alcuni geni tra cui Rx (Retinal homeobox) (Mathers et al., 1997). Xrx è stato isolato anche a partire da screening di libreria di cDNA provenienti da embrioni di Xenopus a stadio 24/25, utilizzando il probe murino Orthopedia (Casarosa et al., 1997).Il gene è stato chiamato Xrx1 (Xenopus Retinal homeobox 1).

Xrx1 comincia ad essere espresso al termine della gastrulazione nella regione più anteriore della piastra neurale, e la sua successiva espressione accompagna le vescicole ottiche per tutto il loro sviluppo, eprimendosi a stadi più tardivi, solo nelle strutture oculari di derivazione neurale, quali la retina e l’epitelio pigmentato, mentre le strutture oculari di derivazione ectodermica, come il cristallino e la cornea, non mostrano la sua espressione (Casarosa et al., 1997) (Fig.12).

Figura 12 - Espressione di Xrx1, a sinistra nel campo ottico (stadio 13, neurula precoce, visione

dorsale), a destra nella larva natante (stadio 28, visione dorsale), dove marca le vescicole ottiche, l’epifisi (freccia verde), l’ipofisi (freccia rossa) e il pavimento del diencefalo (marcatura diffusa tra gli occhi)

A partire dallo stadio 42, l’espressione di Xrx1 scompare progressivamente dalle cellule retiniche in via di differenziamento, mentre è trattenuta nelle zona marginale ciliare (CMZ), che è la fonte delle cellule staminali retiniche nell’età adulta dei pesci e degli anfibi (Harris e Perron, 1998). Xrx1 non è espresso solo nell’occhio, ma anche in altre specifiche strutture del cervello anteriore, che si sviluppano dalle regioni più anteriori della piastra neurale (Fig. 12), quali il diencefalo ventrale (recesso chiasmatico ed ipotalamo posteriore) la ghiandola pineale e l’ipofisi (Casarosa et al., 1997).

Embrioni in cui Xrx1 viene fatto sovraesprimere, mostrano molto frequentemente, la presenza di epitelio pigmentato ectopico (Fig. 13, sinistra), spesso associato ad una

(23)

sovraproliferazione della retina (Fig. 13, destra) e del tubo neurale (Fig. 13, centro) (Andrezzoli et al., 1999; Mathers et al., 1997).

Figura 13 - Fenotipi imposti dalla sovraespressione di Xrx1. Sinistra: la freccia indica epitelio pigmentato ectopico. Centro; sezione trasversale, TN1: tubo neurale, TN2: tubo neurale ectopico. Destra: sezione trasversale di occhio, R2 e EP2: retina e epitelio pigmentato di una duplice struttura neurale.

(Andreazzoli et al., 1999)

Malgrado una distribuzione più ampia dell’RNA iniettato, l’epitelio pigmentato ectopico e il tessuto neurale sono sempre localizzati in una regione di tessuto compreso tra l’occhio e il cervello (Andreazzoli et al., 1999). Questa area deriva da una regione della piastra neurale anteriore che è inizialmente determinata a diventare retina, ma tale destino è soppresso più tardi da segnali provenienti dalla placca precordale (Li et al., 1997).

Un analisi funzionale del gene Xrx1 ha richiesto anche l’esecuzione di esperimenti di inattivazione funzionale. Ciò è stato eseguito iniettando RNA con “cap” al 5’ antisenso (Andreazzoli et al., 1999), oppure un RNA generato da un costrutto mancante il putativo dominio di transattivazione di Xrx1 (Andreazzoli et al., 1999), oppure iniettando un costrutto che presenta Xrx1 mancante il dominio di transattivazione fuso ‘in frame’ con il dominio repressore di Drosophila engrailed (Xrx1-EnR) (Andreazzoli et al., 1999), oppure ancora attraverso l’iniezione di un oligonucletide morpholino diretto contro Xrx1 (MoXrx1) (Andreazzoli et al., 2003). L’utilizzo di tutti questi metodi porta allo stesso risultato: embrioni privi di occhi o con strutture oculari fortemente ridotte. Appare netta la delezione di regioni telencefaliche, dove il gene non è espresso a stadi tardivi (Fig. 14-A) (Andreazzoli et al., 1999; Andreazzoli et al., 2003).

(24)

Figura 14 - Effetti fenotipici imposti dalla perdita di funzione di Xrx1 (Embrioni a stadio 41). (A) Iniettati con MoXrx1. (B) Iniettati con MoXrx1 e Xrx1. (C) Iniettati con oligo Morpholino di controllo. (Andreazzoli et al., 2003)

Analisi a livello molecolare di embrioni inettati con Xrx1-EnR, hanno evidenziato come tale trattamento porti ad una riduzione dei domini di espressione dei marcatori della piastra neurale anteriore, quali Xotx2, Xpax6 e Xsix3. Ciò indica che Xrx1 è richiesto per una corretta formazione dei territori della piastra neurale anteriore (Andreazzoli e al., 1999).

Inoltre, è stato osservato che a stadio 12, embrioni iniettati con Xrx1-EnR, mostrano un accumulo di nuclei apoptotici nella loro parte più anteriore, che corrisponde principalmente al neuroectoderma anteriore, mentre i domini di espressione di geni marcatori del romboencefalo quali En2 e Krox20 non vengono alterati. Tutto questo per dimostrare che i difetti anteriori imposti dalla inattivazione funzionale di Xrx1 sono dovuti ad una precoce perdita dei territori della piastra neurale anteriore piuttosto che ad una trasformazione del neuroectoderma anteriore in aree neurali più posteriori (Andreazzoli et al.,1999).

Nel neuroectoderma di Xenopus laevis, le cellule posteriori iniziano a differenziarsi al termine della gastrulazione, mentre quelle anteriori mostrano un esteso periodo proliferativo, andando incontro a retinogenesi soltanto allo stadio di bottone caudale. In questo fase dello sviluppo, Xrx1 svolge un ruolo rilevante. Infatti, Xrx1 controlla sia la proliferazione cellulare che la neurogenesi a livello della piastra neurale anteriore (Andreazzoli et al., 2003). Durante la retinogenesi invece Xrx1 regola la proliferazione e la multipotenza dei progenitori retinici (Casarosa et al., 2003).

In embrioni di Xenopus laevis, l’espressione di Xrx1 può essere attivata da chordin, noggin, Hedgehog (induce proliferazione e ritarda il differenziamento nella piastra neurale precoce (Franco et al., 1999)) e da Wnt (Andreazzoli et al., 2003; Rasmussen et al., 2001;

Zuber et al., 1999).

L’attività anti-neurogenica di Xrx1 è stata verificata studiando l’espressione di una serie di fattori neurogenici e anti-neurogenici, rapportata a quella di Xrx1. Xrx1 è espresso in un territorio che è precisamente circoscritto dal gene neurogenico X-Delta-1 e confina con i

(25)

domini di espressione anteriori del gene di determinazione neuronale X-ngnr-1. Inoltre, le regioni marcate dall’espressione di X-Delta-1 e di X-ngnr-1 coincidono con i siti potenziali di differenziamento neuronale (Andreazzoli et al., 2003). Embrioni sovraesprimenti Xrx1 mostrano una repressione dei geni X-Delta-1, X-ngnr-1 ed N-tubulina (marcatore di neuroni differenziati) durante le fasi precoci della neurulazione (Fig.15), mentre tali effetti repressivi risultano deboli a livello dei domini di espressione più posteriori di questi marcatori.

Figura 15 - Gli effetti di Xrx1 su (A) X-ngnr-1 (stadio 12), (B) X-Delta-1 (stadio 13), (C) N-tubulina (stadio 16) (Andreazzoli et al., 2003)

Inoltre, mentre l’iniezione di X-ngnr-1 induce una espressione massiccia di N-tubulina, la co-iniezione di X-ngnr-1 ed Xrx1 ne attenua fortemente l’attivazione (Andreazzoli et al., 2003). Altra prova del fatto che allo stadio di piastra neurale Xrx1 lavori come fattore anti- neurogenico è data da evidenze che mostrano come l’espressione di Xrx1 confini ma non si sovrapponga a quello di XRALDH2, gene codificante un enzima coinvolto nella sintesi dell’Acido Retinoico, noto agente neurogenico, e che esibiscano entrambi un’attività mutualmente repressiva (Andreazzoli et al., 2003). Infine, saggi su animal cap, indicano come l’espressione di Xrx1, indotta in caps iniettati con chordin, sia completamente abolita dal trattamento con Acido Retinoico (Andreazzoli et al., 2003).

L’attività anti-neurogenica di Xrx1 è stata verificata anche valutando la capacità di tale gene di attivare l’espressione di fattori anti-neurogenici. La scelta dei geni target di Xrx1 su cui è stato approfondito lo studio dell’espressione genica è ricaduta su quei geni che sono espressi in un’area dove è espresso anche Xrx1 e che hanno un ruolo nel controllo della proliferazione o del differenziamento cellulare. Zic2, un gene codificante un fattore di trascrizione del tipo zinc-finger, ha mostrato di avere una funzione antineurogenica (Brewster et al., 1998). Paragonando il suo dominio di espressione con quello di Xrx1, si è visto che si sovrappongono per lo più nel cervello anteriore presuntivo, e che la sovraespressione di Xrx1 porta ad un espansione di quella di Zic2, che si estende lungo l’asse medio-laterale (Fig. 16, D-E) (Andreazzoli et al., 2003). Altro gene conosciuto come inibitore del differenziamento

Riferimenti

Documenti correlati

presenza della cicloesimmide che della proteina attivata, anche se rimane una forte attivazione di Zic2 determinata dall’azione della cicloesimmide, in assenza di una

[r]

Quando gli arti sono spuntati e le branchie sono state sostituite dai polmoni, la giovane rana lascia l'acqua e si sposta sulla terraferma.. La rana riassorbe infine la coda

•  La colonna vertebrale è formata da metameri, le vertebre, che si estendono dalla testa alla coda; è l’asse portante dello scheletro interno al corpo, l’endoscheletro,

[r]

[r]

Meccanismi più specializzati Proiezione (della testa, ma soprattutto della lingua) Cinetica del cranio.. Meccanismi meno specializzati

L’encefalo anteriore dell’embrione di Drosophila deriva dalla regione neurogenica procefalica, che viene specificata a divenire neurectoderma attraverso interazioni geniche che